1. Premessa. Devo prima di tutto ringraziare gli organizzatori di questo Incontro di studio, perché mi hanno dato la possibilità di guardare a due oggetti di studio per me abbastanza consueti quando disgiunti fra loro (da un lato la spiritualità dell'Europa medievale, e dall'altro le peculiarità della cultura tradizionale cavalleresca) con occhi diversi, cioè simultaneamente: sempre conscio del fatto che poche dinamiche esistenziali come la spiritualità ci introducono nel cuore di una cultura tradizionale, in questo caso quella cavalleresca del Medioevo europeo.2. Un necessario ritorno al reale. Il nostro argomento richiede comunque una premessa: siamo ammorbati oramai da anni da una serie pressoché infinita di pseudo-ordini cavallereschi, frastagliate e litigiose congreghe neotemplari, esoteristi d'accatto in vena di incursioni cavalleresche, legioni di cercatori del Graal usciti dal dopolavoro new age, che invadono anche le edicole delle stazioni con decine di pseudoricerche infarcite di pseudorivelazioni, utili solamente a deformare la già scarsa e difficile comprensione che l'uomo contemporaneo è in grado di avere - aldilà del fascino che prova per esso - per il mondo spirituale dell'Età di Mezzo in generale, e della Cavalleria in particolare. Per non confondersi con questo florido settore del famigerato "supermarket delle religioni" è necessario previamente effettuare quello che Gustave Thibon ha definito un ritorno al reale: aldilà di ogni invenzione e deformazione prodotte dal neospiritualismo così diffuso, cercheremo di procedere dal punto fermo di un assoluto rispetto per l'esperienza storica e spirituale del tempo; in termini antropologici, privilegiando l' autocomprensione dei protagonisti della spiritualità cavalleresca ad ogni tipo di astrazione ed interpretazione successiva, comunque motivata. 3. Le fonti.Lo studio della spiritualità cavalleresca esige prima di tutto un lavoro preventivo di definizione delle fonti, che in questa sede possono essere suddivise in tré grossolane categorie:3.1. I trattati organici sulla Cavalleria, come il De Laude Novae Militiae di San Bernardo di Chiaravalle (XII secolo)-(1), l'anonimo Ordene de Chevalerie (XIII secolo), fino al più tardo Llìbre del Orde de Cavaleria del Beato maiorchino Raimondo Lullo (2) (scritto verso il 1275), e parallelamente i trattati spirituali ad usum militìbus, come il noto trattatello di San Bernardino da Siena "La battaglia e il saccheggio del Paradiso", cioè della Gerusalemme celeste. Questi trattati, beninteso, non hanno pretese esaustive dell'argomento, ma più che altro il valore, tipico della cultura medievale, di una summa, in cui cioè gli aspetti spirituali, etici e tecnici si uniscono in sintesi che rendono in primo luogo il senso dell'interpretazione dell'Autore, noto o meno. Si tratta pertanto di documenti essenziali per la comprensione dell'universo culturale e spirituale della Cavalleria.3.2. le fonti agiografiche. Queste comprendono da un lato le "Vite" di Santi cavalieri (ne sia esempio la celebre Vita dì San Galgano di Montesiepi, la cui più recente riedizione dobbiamo alla curatela di Franco Cardini (4), e nello stesso tempo, in modo solo apparentemente contraddittorio, le "Vite" di alcuni esempi puramente negativi, di quelli che sempre Franco Cardini ha efficacemente definito "anticavalieri", milites dediti ad una vita di infrazione delle regole morali di base del proprio ceto e per questo passati alla leggenda. 3.3. I cicli letterari epici, che in tutto il Medioevo ebbero un ruolo di enorme importanza nella diffusione di un'immagine "alta", ideale della Cavalleria in tutt'Europa, senza distinzione di ceto, ma, al contrario, favorendo la diffusione del sistema di valori cavalleresco nell'intera christianitas medievale, ben aldilà quindi dei confini sociali del ceto dei milites. Questi scritti tradizionalmente si articolavano in tre cicli ampiamente compositi, definiti "Materie": la Materia di Roma, la Materia di Francia e la Materia di Bretagna. 4. La Cavalleria, ovvero il frutto del crogiolo. Già si è riconosciuto nel Cavaliere la figura più rappresentativa dell'Età di Mezzo. In effetti essa, come l'epoca che lo generò, si presenta come sintesi originale di una pluralità di componenti di eterogenea origine storica e culturale, fusi assieme a comporre, appunto, questa figura del tutto originale; come i diversi metalli nel crogiolo danno vita ad una lega originale, dalle caratteristiche irripetibili ed irriconducibili ai metalli semplici originari. In estrema sintesi, facendo perno su alcuni saggi fondamentali (5), possiamo individuare in primo luogo le componenti che, fuse nel crogiolo, danno origine al Cavaliere medievale. Sono componenti che ci richiamano immediatamente alla mente le grandi civiltà del periodo tardo antico: Roma, la Persia; l'irruenta energia dei popoli celto-germanici; la funzione spiritualmente ordinatrice, in un'epoca di cruciale trapasso, del Cristianesimo romano. Questo crogiolo operò costantemente per secoli, dalla fine dell'Impero Romano d'Occidente alla fine dei cosiddetti - ma oramai si sa, a torto - "secoli bui". Si tratta di più di seicento anni in cui vissero alcuni tra i protagonisti delle Materie medievali destinati a trascolorare nel Mito (Re Artù, Carlomagno), e in cui un mondo nuovo, la Christìanitas medievale, sorge dalle rovine del mondo greco-romano precedente. Dalla Persia partica arrivò nell'Europa romana, sull'onda della disastrosa sconfitta di Adrianopoli, la grande "novità" costituita dalla cavalleria pesante corazzata, i catafractìi, che rapidamente il saggio pragmatismo romano assorbì all'interno della propria macchina militare, conservandoli per secoli; questo anche grazie alla specifica vocazione che un antico regno foederato con Roma, l'Armenia, dimostrò di possedere: in epoca bizantina, reparti di cavalieri corazzati armeni sono attestati per decenni nell'Italia centrale. Dai popoli germanici giunse la mistica del branco a cavallo, che solo nei secoli si trasformò, fino a diventare schiera ordinata e disciplinata: ancora San Bemardo di Chiaravalle in pieno XII secolo ci tratteggia emblematiche figure di "anticavalieri" che al bellum iutum, organizzato e gerarchico, preferiscono la werra, la mischia individuale e scomposta, luogo dello scatenamento del wut, il furor germanico (6); parte integrante di questa "mistica" germanica era la fedeltà personale del singolo giovane cavaliere al capo, il vecchio, il senior: molto di questa fedeltà rimase viva nel menoma cavalleresco medievale fino al suo tramonto. Già dall'epoca longobarda queste truppe a cavallo, composte da iuniores legate al proprio senior da un patto di fedeltà per la vita e per la morte, entrano a far parte dell'esperienza quotidiana dell'Europa. Dal lievito spirituale del Cristianesimo giunse poi quell'apparato allegorico e simbolico che elevò la Cavalleria terrena a sentiero propedeutico a quella celeste, e che fece proprio il concetto di Milita estendendolo al grande conflitto cosmico cui ogni uomo è chiamato a partecipare: Militìa est vita homini super terram. Molte parole sono state spese sull'atteggiamento del Cristianesimo delle origini attorno all'uso delle armi, e spesso con scarsa cognizione di causa e ancor più scarso rispetto delle fonti (7). Qui ci accontenteremo di percorrere alcune fonti che sottolineano come, nella cultura cristiana, il combattimento concreto, terreno, militare, fùngesse immediatamente da fondamento per un'interpretazione simbolica che ne faceva l'archetipo dell'atteggiamento del cristiano di fronte al Male presente ed operante nel mondo: in quanto miles Christi, ogni cristiano è chiamato a combattere la pugna spiritualis del suo Signore. Fin dal Vangelo, la figura cardine del mondo militare romano, il legionario (particolarmente odiato dal giudaismo), acquista una valenza singolarmente positiva. Basti qui ricordare la celebre figura del Centurione di Cafarnao, che tratta Cristo come il generale di un esercito ultraterreno, a cui chiede l'esercizio della stessa auctoritas sui demoni che egli, in quanto ufficiale, era uso esercitare sui suoi milites. È nota la risposta di Gesù: "Vi assicuro che non ho mai notato una fede come questa neppure nel popolo d'Israele" (Luca, 7,9). È ancora un centurione che, al momento della morte di Cristo in croce, attesta: "Davvero costui era figlio di Dio!" (Matteo, 27, 54). Negli Atti degli Apostoli è nuovamente grazie ad un centurione, Comelio, della Coorte Italica che batteva arruolamento tra la Romagna e le alte Marche, che si deve l'esempio di pietas religiosa che convince Pietro ad accettare i "gentili" all'interno della Chiesa nascente (Atti, 10, 15). Disciplina, sincerità, pietas, fìdes, senso della gerarchia - non solo terrena - sono le caratteristiche spirituali positive che la Sacra Scrittura attribuisce a queste figure di miles romani. D'altronde la metafora della fede come combattimento contro il male non era affatto ignota al cristianesimo delle origini: già San Paolo (II Tim., 4,7) sottolinea come il cristiano combatta il "giusto combattimento", e, sia che viva o che muoia, "appartiene al Signore" (Rom., 14, 8). In un'Epistola del 356 il Vescovo di Alessandria Atanasio scrive: "non è permesso uccidere, però distruggere i nemici in guerra è legittimo e lodevole"*. San Benedetto, il fondatore del monachesimo occidentale, vede nella sua Regola il monaco come atleta Christì, che incarna in modo perfetto la militia. Il monaco è, quindi, l'archetipo ed il primo fra i milites Christì. La sapienza cristiana medievale era essenzialmente una sapienza simbolica: leggeva cioè le realtà non come piatta unidimensionalità apparente, ma come sinfonia di significati differenziati, eppure sinergici tra loro: a titolo di esempio specifico ricordiamo la chiarificazione del quadruplice senso della Scrittura così come Dante Alighieri espone nel Convivio. Non stupirà pertanto che anche la materialità del mestiere e degli strumenti della cavalleria fosse letta simbolicamente.In sintesi, il mondo medievale in generale - e quello cavalleresco in particolar modo - viveva intero nella tensione evangelica tra il "già" e il "non ancora", in cui la storia veniva letta attraverso le lenti del mito, e diveniva perciò "storia esemplare".5. I Cicli epici medievali, o le tre Materie. Come si è accennato poco sopra, i cicli epici medievali tradizionalmente si articolavano in tre "Materie": la Materia di Roma, la Materia di Francia e la Materia di Bretagna. È importante soffermarsi su questa tradizione letteraria proprio perché costituì uno specchio privilegiato della cultura cavalleresca europea, destinato ad influire sulla sua evoluzione per secoli. La tripartizione delle "Materie" sottolinea in effetti una disparità d'ispirazione ragguardevole; all'interno della "Materia di Roma" trovavano spazio quei componimenti lirici incentrati su personaggi romani o ellenistici (ad esempio, Alessandro Magno, personaggio che nel Medioevo conobbe una notevole fama simbolica e letteraria). La "Materia di Francia" è incentrata sulle figure di Carlo Magno e dei suoi Paladini, particolarmente la coppia di amici Orlando e Rinaldo, rispettivamente esempio di prouesse e di sagesse: il componimento più celebre di questa Materia è senz'altro la Chanson de Roland. Infine, la "Materia di Bretagna" raccoglie la messe di componimenti incentrati sul Santo Graal e le figure di Re Artù, Merlino, Lancillotto, Galvano, Galahad ed altre minori (9).Non è probabilmente possibile sminuire l'importanza che queste "Materie" letterarie ebbero nel dar corpo all'ideologia cavalleresca medievale; frutto a loro volta di un'idealizzazione frutto di secoli di lavoro sul piano spirituale e culturale, esse fornivano alla meditazione non solo del Cavaliere, ma dell'insieme della società medievale una serie di archetipi con cui confrontarsi e riferirsi (il Re giusto, il miglior Cavaliere del mondo, il Saggio), esempi cui tendere, anche se all'infinito, modelli retorici di confronto, schemi di valutazione della propria realtà concreta, che continuarono ad esercitare una propria particolarissima funzione normativa fino al XVIII secolo, ovunque in Europa sopravvivesse una cultura non prostituita ai "nuovi valori" della dantesca "gente nova", dell'incipiente società borghese. 6. Come la storia si fa "storia esemplare ". Ma all'occhio dell'uomo medievale non solo la parola di Dio, la vita dei santi o la lettera dei romans, ma la stessa storia si faceva "storia esemplare", e diveniva quindi specchio per la definizione sempre più esatta di una Norma spirituale, nel nostro caso della Via cavalleresca, in un legame spesso circolare tra realtà e mito: il mito influenza cioè la realtà dandole una forma difficile e preziosa, che a sua volta rinforza la capacità del mito originario di plasmare a propria misura la realtà. Vediamo alcuni esempi di questa dinamica: 6.1. Prima di tutto gli Ordini Cavallereschi. Nulla di più concreto e tipicamente medievale di queste Confraternite armate che, ricordiamolo, influenzarono profondamente non solo la cultura, ma la stessa geografia politica europea. Frutto della grande espansione della christìanitas tra XII e XIV secolo, quando si parla di Ordini Cavallereschi non si allude solamente ai tre grandi Ordini sovranazionali del Tempio, di San Giovanni (poi di Rodi, poi di Malta), di S. Maria di Gerusalemme, detto poi Ordine Teutonico, ma anche a quel numero più ampio di Ordini meno diffusi o legati più strettamente ad una comunità territoriale e linguistica (ricordiamo qui solamente gli spagnoli Ordini di Calatrava e Santiago, il portoghese Ordine di Cristo, l'italiano Ordine del Tau, il polacco Ordine dei Portaspada). Ebbene, non solamente l'esistenza di questi Ordini cambiò la storia dell'Europa (la riconquista della Spagna, la creazione della Prussia, del Portogallo e dei tre Paesi baltici di Estonia, Lettonia e Lituania, l'epopea legata al nome di Malta, la stessa storia della Terrasanta sarebbero stati del tutto diverse senza queste Confraternite guerriere dai tratti sempre religiosi e spesso monastici), ma entrò anche all'interno dei grandi cicli letterari del Graal: ricordiamo solamente come Wolfram von Eschenbach, il grandissimo minnesanger ("cantore d'Amore") autore del Parzival e del Titurel, inserì i templari, chiamandoli Templeisen e mantenendone intatti araldica e simboli, nella sua versione del Ciclo graalico, facendone addirittura i custodi del Castello del Graal, con cui ogni coraggioso che ardisca entrarvi deve scontrarsi (10). 6.2. In secondo luogo, il Pellegrinaggio. Per l'uomo medievale la vita intera, nella sua ontologica limitatezza, era una prova, un pellegrinaggio verso un'eternità successiva; a partire da questa coscienza il suo stesso ritmo di vita quotidiana necessariamente cambiava. È oramai noto agli studiosi la grande importanza della dimensione del pellegrinaggio per la vita dell'uomo medievale. Il Medioevo si può definire anzi il tempo del Pellegrinaggio: era al tempo del tutto usuale che chiunque, appartenente a tutti i ceti della società, affrontasse un iter, un viaggio della durata di anni sia verso i grandi Templi della Cristianità (Santiago, Roma, Gerusalemme sono solo i più celebri, ma l'Europa medievale era una ragnatela impressionante di Vie di pellegrinaggio, di santuari e di pellegrini). Di più, la stessa Crociata fu in realtà, per l'uomo medievale, non una spedizione di guerra ma un pellegrinaggio, a volte armato ed a volte inerme, un passagium, un iter (11) verso la Città centro del Mondo, in cui Gesù Cristo era nato, morto e risorto, in cui si poteva andare a cercar fortuna, sciogliere un voto, adempiere una penitenza, o semplicemente morire, certi della salvezza eterna; ed è un fatto che il termine "crociata" è in realtà assai tardo, del tutto sconosciuto non solamente ai cristiani del tempo, ma persino alle cronache musulmane. 6.3. Infine, l'Impero. Ottusi da secoli di relativismo e scetticismo, facciamo molta fatica a comprendere il valore spirituale, salvifico dell'Impero medievale, così come l'uomo dell'Età di Mezzo lo viveva, anche se abbiamo letto la storia di Artù ferito e del Re Pescatore nei Cicli Graalici, o magari abbiamo frequentato la Monarchici di Dante. In realtà l'Impero costituì il più duraturo mito politico incarnato nel genoma dell'Europa (motivo per cui esso è assai duro a morire, persino dopo secoli di democrazia borghese). In realtà, ed in estrema sintesi, l'Impero costituì lo sforzo epocale di dare al mondo una forma coerente con l'Ordine divino dell'Universo: non a caso le grandi figure di Imperatori (Artù, Federico Barbarossa...) trapassano rapidamente dalla storia al mito: non muoiono, ma sopravvivono nascosti - sotto una montagna, o aldilà del mare - per secoli, fino a che il mondo avrà bisogno di loro per l'ultima battaglia contro il male (12).7. La Cavalleria come Via etica. Alla Cavalleria, in quanto Via non solo sociale, ma anche - e per dignità, prima di tutto - spirituale, è propria un'etica specifica, un sistema di virtutes utili a guidare il cammino in questa terra del Cavaliere, per il proprio onore e nella certezza della Ricompensa celeste. In questa sede, allo scopo di fame ammirare la profondità e la singolare attualità, ci accontenteremo di indicare un breve percorso all'interno di questo sistema etico, facendo ricorso alla sintesi operata da Mario Polia (13): 7.1. En arche, in principio, la prima fra le virtù del Cavaliere è la nobiltà, nel suo valore etimologico di "non-viltà". Come sottolinea Raimondo Lullo nel citato Libro nell'Ordine della Cavalleria, la nobiltà così intesa, qualifica dell'animo, è il fondamento di Cavalleria. Solo nei secoli la nobiltà si irrigidirà come caratteristica ereditaria, e non a caso un tale irrigidimento porterà con sé l'inizio della decadenza della cavalleria medievale.7.2. Poi, l'umiltà, che non significa abiezione ma, di nuovo etimologicamente, humilitas, "senso della Terra", del limite. Si contrappone alla superbia.7.3. La misura nello stile di vita e nel comportamento. Si contrappone ad ogni forma di incontinenza. 7.4. La prudenza. 7.5. La pazienza. 7.6. La cortesia, particolarmente nei confronti della donna e dei deboli.7.7. La fedeltà, che non è valore autonomo, ma semplice conseguenza esteriore di una essenziale e primigenia fedeltà alla propria vocazione, così come disegnata dalle virtutes sopra elencate. Per cui l'ordine esterno è specchio di quello interiore, la fedeltà all'Imperatore è specchio della fedeltà a Dio, etc.8. La Cavalleria come Via spirituale.Ma la Cavalleria non è solamente un sistema di valori etici (che l'idea stessa di un'etica autonoma, tipica della cultura contemporanea, nell'ottica medievale è un non-senso, come l'ipotesi di una costruzione non fondata su terreno solido), ma è innanzitutto una Via spirituale, che per mezzo della charitas delle armi conduce il miles alla piena realizzazione spirituale. Il primo nodo da chiarire per il lettore contemporaneo è il rapporto tra le forme storiche della Cavalleria - ovviamente relative - e la sua essenza atemporale: "Una Via dello spirito, in quanto tale, si manifesta nel tempo, ma non è vincolata ne alla storia ne ai costumi - e neppure agli errori degli uomini - ma, proprio in quanto Via, deve poter essere accessibile da ogni punto della storia e deve potersi esprimere nella storia. È inevitabile (ed è persino salutare) che nel processo di trasformazione elementi accessori e forme particolari di manifestazione vadano perdute -ed altre forme, consone alle esigenze dei tempi, vengano assunte ...L'essenza della Cavalleria cristiana consiste nel servizio della Fede e della Giustizia. Tale servizio si esplica in due modi: verso Dio nella pietà, nella conoscenza e nella dedizione del proprio essere; verso il prossimo nell'offerta della propria vita in difesa dei deboli, degli oppressi e della Chiesa e nella lotta contro l'ingiustizia". Può essere interessante vedere come gli stessi strumenti della pratica professionale del Cavaliere, le sue armi, fossero interpretati sub specie interioritatis come simboli di una lotta spirituale che non prescinde dalla lotta esteriore, ma da essa si eleva: dalla Cavalleria terrena passando cioè, secondo il lessico graalico, alla Cavalleria celeste. La corazza, innanzitutto, è simbolo della Fede; l'elmo della Speranza; gli speroni dello zelo; la spada, classicamente a croce e a doppio taglio, assomma gli ovvi riferimenti alla Croce di Nostro Signore...; Infine il cavallo è simbolo chiarissimo della natura inferiore dell'uomo, che va guidata e condotta, rendendola in questo modo non solo utile, ma indispensabile alla Via cavalleresca. 9. Conclusioni.Nota Franco Cardini che uno dei motivi fondamentale del fascino contemporaneo per il mondo della Cavalleria medievale è di natura squisitamente estetica: un Cavaliere è più bello di un banchiere. Questo è vero, ma a sua volta l'estetica rimanda, come sempre, ad un altro livello: perché un Cavaliere è più bello di un banchiere? Perché l'estetica, il senso del bello, ha senso unicamente rimandando ad un ordine del cosmo. Un ordine non casuale ma pre-ordinato, che costituisce un valore, è bello e buono, e meritevole di essere difeso, al punto tale che l'archetipo che incarna una tale difesa si fa esempio di questa bontà e bellezza. L'Arcangelo Michele che sagitta Satana al grido "Chi come Dio?" è sempre rappresentato bellissimo, androgino, vestito da legionario romano o, appunto, da Cavaliere. Egli, non a caso, è il protettore della Cavalleria terrena. Il Cavaliere è quindi il difensore dell'ordine cosmico su questa terra. Per questo, non vi è nulla di più bello e buono. Persino all'alba del terzo millennio.
Note. 1. Del De Laude Novae Militìae di San Bernardo di Chiaravalle, scritto tra il 1128 e il 1136, vedasi prima di tutto la versione curata da Mario Polia, L'Elogio della nuova Cavalleria. Ai Cavalieri del Tempio, Rimini 1988. Sul clima culturale e spirituale che ne ispirò la stesura, vedasi F. Cardini, I poveri Cavalieri di Cristo: Bernardo dì Clairvaux e la fondazione dell 'Ordine Templare, Rimini 1994.2. Del Llibre del Orde de Cavaleria del Beato Ramon Llull, vedasi la classica versione di Giovanni Allegra, Il Libro dell'Ordine della Cavallerìa, 2° edizioni accresciuta. Carmagnola 1994. Sul complesso della sua opera di raffinato interprete della cultura medievale all'inizio del suo tramonto, vedasi l'Introduzione a nostra firma a R. Lullo, Phantastìcus. Dìsputa del chierico Pietro con l'insensato Raimondo, Rimini 1997. 3. San Bernardino da Siena La battaglia e il saccheggio del Paradiso, cioè della Gerusalemme celeste, Siena 1980. 4. Anonimo, Vita di San Galgano, a c. di F. Cardini, Siena 1976. 5. In primo luogo F. Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Firenze 1984, che contiene una ricca bibliografia da cui è ancora lecito partire per ulteriori approfondimenti. 6. Attorno al furor latino e al wut germanico vedasi M. Polia, Furor. Guerra, poesia, profezia, Rimini-Padova 1984.7. Sull'argomento, cfr. introduttivamente l'Introduzione di Mario Polia a San Bernardo di Chiaravalle, L'Elogio della nuova Cavalleria. Ai Cavalieri del Tempio, cit.8. Riportato in M. Polia, Introduzione a San Bernardo di Chiaravalle, L'Elogio della nuova Cavalleria. Ai Cavalieri del Tempio, cit., p. 59. 9. Per un primo elenco dei componimenti legati alla "Materia di Bretagna", vedasi il nostro Mistero del MagorMerlino, Rimini 1997; per un'utile introduzione al suo linguaggio simbolico cfr. M. Polia, II Mistero Imperiale del Graal, 3° edizione accresciuta, Rimini 1996.10. Sul rapporto tra Wolfram e i Templari, vedasi la nostra Introduzione a Idem, Titurel, o il Guardiano del Graal, Rimini 1993 11. Sul tema, vedi introduttivamente F. Cardini, Dio lo vuole! Intervista sulla Crociata, Rimini 1994. 12. Sul tema, vedi introduttivamente M. Polia, Il Mistero Imperiale del Graal, 3° edizione accresciuta. Rimini 1996.13. M. Polia, ''''Lineamenti di spiritualità cavalleresca", ne I Quaderni di Avallon n°12. Rimini 1986, pp. 75-76 e segg.
Adolfo Morganti
Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa