lunedì 6 agosto 2007

Il Cingolo antico e lieve. L’Ordine della Cavalleria tra iniziazione sacramentale ed appartenenza onorifica.


di Adolfo Morganti
Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa

Introduzione. Un necessario “Ritorno al reale”.

Il nostro argomento richiede una premessa: non avrebbe per noi senso disporsi ad un approfondimento del rapporto tra appartenenza onorifica ed iniziazione sacramentale nell’esperienza cavalleresca se ciò non fosse reso opportuno dalla persistenza di un’esperienza reale e concreta, quella della Cavalleria cristiana europea, e dalla percezione del suo attuale valore storico, culturale e spirituale.
Finché vi saranno in Europa persone che sentiranno in sé il fascino dell’archetipo del Cavaliere1, e ancor di più finché qualcuno si sentirà vocato alla Via della Cavalleria (e negli ultimi anni queste sembrano paradossalmente aumentate di numero) grazie a quanto questa Istituzione ha dato alla storia e all’identità del nostro continente, questo interesse profondo, che continuiamo a pensare non ridotto alla ricerca di vuote decorazioni e pompe esteriori, sarà segno di una vitalità spirituale reale e strumento essenziale per la nuova evangelizzazione dell’Europa. E perciò stesso degno di approfondimento e meditazione2.
Inoltre, ulteriore constatazione che – sia pure in negativo – comprova la necessità di prendere sul serio il presente argomento, siamo ammorbati oramai da decenni da una pletora pressoché infinita di pseudo-ordini cavallereschi3, frastagliate e litigiose congreghe neotemplari, esoteristi d'accatto in vena di incursioni cavalleresche, legioni di cercatori del Graal usciti dal dopolavoro new age4 e dalle edicole delle stazioni; questo sottobosco di liberi parolieri e di mestatori hanno invaso i media con decine di pseudoricerche infarcite di pseudorivelazioni, utili solamente a deformare la già scarsa e difficile comprensione che l'uomo contemporaneo è in grado di avere - aldilà del fascino che prova per esso - per il mondo spirituale dell'Età di Mezzo in generale, e della Cavalleria in particolare.
Per non confondersi – in primo luogo - con questo florido settore del famigerato "supermarket delle religioni", e per opporre alla marea dei deliri pseudostorici e settari un fondamentale rispetto per quanto è stato, per l’oggettiva lezione della storia, è necessario previamente effettuare quello che Gustave Thibon ha definito un “Ritorno al reale”5: aldilà di ogni invenzione e deformazione, cercheremo di procedere dal punto fermo di un assoluto rispetto per l'esperienza storica e spirituale della Cavalleria; in termini antropologici, privilegiando l'autocomprensione dei protagonisti della spiritualità cavalleresca ad ogni tipo di astrazione ed interpretazione successiva, comunque motivata.


La tradizione.

Come l’Europa stessa, la Cavalleria si è formata gradualmente, assimilando e fondendo in sé elementi eterogenei sia da un punto di vista culturale che spirituale. In maniera efficace un illustre storico cattolico argentino scrive: «La Cavalleria non è una delle tante istituzioni che sono apparse nel corso della storia, fondate da un Papa o decretate da un Re. Sebbene, col passare del tempo, la cavalleria si trasformò in un’istituzione caratterizzata da uno spirito profondamente cristiano, alle sue origini non presenta alcun elemento che ricordi gli inizi di un ordine religioso»6.
Così come l’insieme della cultura e dell’identità europea, la Cavalleria ci appare come una lenta distillazione e fusione di elementi eterogenei e non di rado contraddittori, che nel corso dei secoli si fondono in un insieme organico e vivente grazie ad un reagente comune di tipo prettamente spirituale: la civiltà cristiana. Alla radice di questa lenta fusione di elementi diversi in un medesimo crogiolo traspare la continuità di un dato culturale e religioso di lunghissima durata: la sacralizzazione del guerriero e della sua funzione all’interno della società, parte integrante di una più ampia concezione del mondo che gli storici della religione sono oramai usi definire “tradizionale”, e nella quale il concetto che una qualsiasi attività umana potesse essere abbandonata a sé stessa, ossia all’insignificanza della profanità, era del tutto inconcepibile7.
Il lavoro del crogiolo, che fonde elementi iranici, greco-romani, celto-germanici al fuoco della Rivelazione cristiana, raggiunge la condizione di amalgama in coincidenza – affatto casuale – con la pienezza del Medioevo europeo, tra XIII e XV secolo, di cui diviene un aspetto cardinale: ne sia immediata controprova la maturazione della trattatistica sul tema, da Bernardo di Chiaravalle8 a Raimondo Lullo9, e la diffusione capillare in quello stesso periodo della letteratura cortese, in particolare graalico-arturiana10, vero e proprio “manifesto ideologico” della visione del mondo cavalleresca.

La Cavalleria acquista quindi, come al termine di un lungo processo di decantazione, una compiuta coscienza di sé al tempo delle Crociate: così Mario Polia, in un ormai celebre saggio, ne tratteggia il cuore: «Il Cavaliere, ossia (...) quella figura di carismatico consacrato che, nella sua realizzazione più alta e ideale, meritò l’epiteto di Miles Christi a significare sia la vocazione al combattimento che la legittimazione e il fine ultimo del medesimo: la difesa del Regno di Dio sulla terra e l’esaltazione della gloria di Cristo Re. Il Miles Christi, infatti, appartiene a Cristo, esercita la sua militia in nome di Cristo ed in Cristo ripone ogni sua speranza. (...)
La Cavalleria, dunque, è Via di santificazione mediante l’esercizio della militia e delle virtù militari. Dovuto a questa sua qualità specifica, la Cavalleria si configura giustamente come Ordine.
È Ordine perché è stata istituita direttamente da Dio per difendere l’Ordine cristiano ma, come istituzione storica, precede il Cristianesimo.
È Ordine perché possiede una propria tradizione e regole proprie, fondate sul Vangelo, attraverso le quali il Miles raggiunge la propria santificazione ed, inoltre, perché attraverso il rito dell’investitura la grazia agisce sulla persona trasformandone la natura, facendo del Cavaliere un combattente di Cristo e dotato dell’assistenza divina necessaria allo svolgimento della sua funzione di Miles.»11.
Il Cavaliere sul piano esistenziale percorre quindi una Via di santificazione per mezzo delle pratiche proprie al suo stato, così come nel Medioevo facevano anche il monaco e l’artefice, le tre “figure esemplari” che ressero l’immagine ideale della società degli uomini fino ai tempi della rivoluzione francese12. Ed essendo una Via di santificazione, essa alla sua radice deve sorgere da una vocazione, ossia da una chiamata interiore che non dipende da scelte sociali o individuali, di pari dignità seppur diversa dalla vocazione sacerdotale o monastica: «...all’origine della scelta del Cavaliere vi è una chiamata la quale rivela una vocazione ed un carisma “militare”. Non si entra a far parte della Cavalleria in base a calcoli d’interesse, orgoglio o motivati da spinte emozionali. La militia presuppone, infatti, una vocazione la quale manifesta qualità innate che contraddistinguono un combattente. Queste qualità, quando sono autentiche manifestazioni dell’anima e non velleità della mente, sono doni di Dio, talenti che il cristiano deve mettere a servizio di Dio perché fruttino al meglio. Su queste qualità innate s’innesta feconda la grazia veicolata dal sacramentale dell’investitura, alimentata dalla disciplina e dalla pratica della militia, dalla vita spirituale, dalla preghiera e dal Cibo eucaristico. L’investitura è, tipologicamente, un’iniziazione: è l’iniziazione guerriera cristiana ma, affinché l’iniziazione sia valida e il potere spirituale da essa veicolato possa agire occorre che questo trovi la materia prima su cui agire: la “sposa” cui unirsi per la nuova generazione spirituale.»13.
E pur tuttavia la presenza nella persona concreta di questa vocazione, una condizione ovviamente necessaria, non è di per sé sufficiente all’ingresso della persona medesima nella Via della Cavalleria: nella concezione cristiana essendo la vocazione un dato naturale – ossia proprio alla concreta realtà della persona umana - essa deve essere perfezionata da un sigillo spirituale, da una specifica “grazia di stato”, che in quanto tale è Dono divino e pertanto può essere solamente trasmessa per mezzo di un apposito rituale: «...per far parte dell’Ordine della Cavalleria non basta possedere la qualificazione interiore e la volontà poiché occorre essere regolarmente investiti. Il rituale d’investitura cavalleresca, sviluppatosi e modificatosi nei secoli a partire da pratiche rituali militari precristiane (si pensi, ad esempio a quelle romane, germaniche, celtiche) è stato fissato permanentemente, nella sua forma canonica, nel Pontificale Romano di S.S. Pio V. Dopo l’ultimo Concilio il rituale d’investitura, pur essendo considerato desueto e pur non facendo più parte del Novus Ordo, non è stato abolito.
Gli elementi costitutivi del rituale d’investitura cavalleresca sono l’accinzione del cingolo, della spada e degli speroni; lo schiaffo (militaris alapa) e la “collata” data con la spada e accompagnata dalla formula d’investitura. Elementi accessori, presenti nell’investitura data dal vescovo secondo il rito del Pontificale Romano, sono la benedizione della spada e la benedizione del nuovo Cavaliere»14.


Il Rituale di investitura cavalleresca nel Pontificale Romano “Tridentino”.

Il riferimento a quel cardinale documento che è il Pontificale Romano promulgato da Papa Clemente VIII, successore di San Pio V, nel 1595-1596 si impone quindi nell’orizzonte dei problemi cui abbiamo accennato con tutta l’autorevolezza di un testo canonico e di riferimento anche negli anni presenti. Esso stesso frutto della progressiva decantazione di una tradizione liturgica plurisecolare, all’indomani del Concilio di Trento fissò le forme della trasmissione sacramentale dell’investitura Cavalleresca, assieme ad altre forme liturgiche che per il nostro percorso assumono un valore del tutto peculiare.
Non a caso, nell’orizzonte della riscoperta del senso profondo della Tradizione centrale nei Pontificati delle Loro Santità Giovanni Paolo II ed attualmente Benedetto XVI, una particolare attenzione è stata riservata alla riscoperta critica della completezza dei Testi liturgici frutto dell’ampio lavoro del Concilio di Trento. Segno evidentissimo di questa rinnovata attenzione è stato il grande progetto editoriale di riedizione in anastatica dei Monumenta Liturgica Concilii Tridentini promosso dalla Libreria Editrice Vaticana a partire dal 1996, per la cura minuziosa dei Padri Salesiani Manlio Sodi ed Achille Maria Triacca15.
La citazione ci consente di eliminare immediatamente un argomento tanto frequentato quanto infondato: come ognun ben sa, nel percorso culminato nel Concilio Vaticano II la riforma dei testi liturgici della Chiesa cattolica ha condotto nel 1961-62 alla stesura di una rinnovata versione del Pontificale Romanum, che rispetto a quello “tridentino” di cui stiamo parlando presenta una serie di cospicue differenze, fra le quali spicca nell’ottica del presente lavoro l’assenza del Rituale di investitura cavalleresca16. Non è ovviamente mancato chi, argomentando sulla base di questa assenza nel nuovo testo, ha preteso di interpretare come “abbandonato” se non addirittura come “anacronistico” il Rituale in oggetto assieme alla figura ed alla funzione del Cavaliere, caso specifico ma cruciale di una diffusa moda culturale all’interno di parte del mondo cattolico degli anni ’70 ed ’80 che vedeva nel Concilio Vaticano II una cesura ed una rivoluzione, operante un taglio netto nei confronti del passato della Chiesa cattolica: per cui tutto ciò che non fosse stato recuperato e reinterpretato dalla nuova Chiesa conciliare avrebbe dovuto appunto essere relegato nel limbo di un passato di cui “purificarsi”. Una siffatta concezione dello sviluppo del corpus liturgico cattolico è evidentemente viziata da uno spiccato pregiudizio ideologico, come è dimostrato nel nostro specifico caso dalla seguente considerazione di Mons. Raffaele Farina, Rettore della Pontificia Università Salesiana al tempo della riedizione: «Accostarsi… ai libri liturgici editi in attuazione delle disposizioni conciliari tridentine è toccare con mano (…) una realtà in sé complessa e quanto mai articolata. Si tratta di una ricchezza di contenuti che ha plasmato la spiritualità cristiana per ben quattro secoli, e continua ancor oggi – in una linea di ininterrotta “tradizione” – a illuminare l’itinerario di fede e vita del popolo cristiano»17. Non di “rivoluzione” o di cesura si deve quindi parlare, ma del cammino nel tempo di una medesima comunità di fede, che riflette nei cambiamenti dei propri Libri liturgici il proprio parlare a tempi ed uomini nuovi, senza assolutamente tagliare le radici della propria storia: una continua ed immensa ricapitolazione18.
Non a caso, sul terreno della prassi liturgica e sacramentale cattolica, anche dopo la pubblicazione del Pontificale del 1961-1962 all’interno della Chiesa cattolica sono stati mantenuti precisi spazi di utilizzo pubblico del Rituale di investitura cavalleresca secondo il Pontificale tridentino19.

Ciò detto, possiamo entrare molto brevemente all’interno della struttura del Pontificale Romanum tridentino. Esso si presenta suddiviso in tre Parti, la cui prima (pagg. I – 278 dell’edizione originale), composta da 31 Capitoli, contiene a pag. 274 (Capitolo 29) il Rituale dell’investitura cavalleresca, titolato De benedictione novi Militis. Non sarà inutile riportare l’Indice di questa prima parte del testo:

De confirmandis.
De Ordinibus faciendis.
De Clerico facendo.
De minoribus Ordinis.
De ordinatione Ostiarum.
De ordinatione Lectorum.
De ordinatione Exorcistarum.
De ordinatione Acolitorum.
De sacris Ordinibus in genere.
De ordinatione Subdiaconi.
De ordinatione Diaconi.
De ordinatione Presbiteri.
De consecratione Electi in Episcopum.
Forma iuramenti.
Examen.
De Pallio.
Forma iuramenti.
Dies, quibus Pallio ut ipotest Patriarcha, sive Archiepiscopus.
De benedictione Abbatis.
De benedictione Abbatis auctoritate apostolica.
De benedictione Abbatis auctoritate Ordinarii.
De benedictione Abbatissae.
De benedictione, et consecratione Virginum.
Anathema contra molestantes bona monialum, vel eas ad malum inducentes.
De benedictione, et coronatione Regis.
De benedictione, et coronatione Reginae.
De benedictione, et coronatione Reginae ut regni Dominae.
De benedictione, et coronatione Regis in consortem electi.
De benedictione novi Militis.
De benedictione ensis.
De creatione Militis regularis.

L’impianto stesso di questa successione di Rituale rende evidenti alcune considerazioni:
a) Trattasi della parte del Pontificale che in principio racchiude e compendia in sé le diverse applicazioni del Sacramento dell’Ordine sacro in tutti i livelli della Gerarchia sacerdotale (dagli Ordini minori alla dignità di Arcivescovo) e della vita consacrata (Abati ed abbadesse; Vergini consacrate) (capp. 1-24).
b) Successivamente, in un’articolazione gerarchica altamente significativa della natura sacramentale dei rituali stessi, vengono elencati e specificati i Rituali di investitura delle Persone Regali (capp. 25-28), e i diversi Rituali relativi alla figura del Cavaliere (capp. 29-31).
c) Relativamente a quest’ultimo gruppo di tre rituali specificamente connessi alla figura del Cavaliere, è bene evidenziare che si tratta di rituali fra loro ben diversificati, anch’essi riportati in ordine gerarchico:
c1) Il rituale di Investitura cavalleresco vero e proprio (cap. 29).
c2) Nel contesto del rituale suddetto, viene sottolineata con uno specifico richiamo nell’Indice l’importanza del rituale della Benedizione della spada del nuovo Cavaliere (cap. 30).
c3) Infine, vengono riportate le modalità essenziali relative all’accettazione di un Cavaliere all’interno di un Ordine militare (cap. 31).


La natura sacramentale dell’Ordinazione cavalleresca.

Per sottolineare ulteriormente la lucida continuità teologica e sacramentale tra le prescrizioni in ambito di Investitura cavalleresca del Pontificale Romanum tridentino e le attuali prescrizioni canoniche, è bene ora soffermarsi più partitamente sul significato del termine “sacramentale” all’interno della teologia cristiana cattolica contemporanea.
Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica promulgato da SS. Benedetto XVI il 28 giugno 2005, alla domanda n° 351. Che cosa sono i sacramentali? risponde con queste poche e precise parole:
«Sono segni sacri istituiti dalla Chiesa, per mezzo dei quali vengono santificate alcune circostanze della vita. Essi comportano una preghiera accompagnata dal segno della croce e da altri segni. Fra i Sacramentali, occupano un posto importante le benedizioni, che sono una lode di Dio e una preghiera per ottenere i suoi doni, le consacrazioni di persone e le dedicazioni di cose al culto di Dio»20.
Anche la Cavalleria si inserisce, da un punto di vista spirituale e giuridico, fra i sacramentali, essendo appunto una “consacrazione di persone” all’esercizio della Via cavalleresca. «L’investitura cavalleresca è per propria natura un “sacramentale costitutivo”. È un sacramentale perché, pur non avendo la natura e la superiore efficacia del sacramento che innesta direttamente l’uomo sul Corpo Mistico di Cristo, in quanto sacramentale veicola comunque una grazia speciale proveniente da Dio. Questa, tramite il Suo potere, agisce in un duplice modo: trasforma permanentemente la natura della persona consacrandola come Miles Christi e la dota dei mezzi spirituali atti a sostenere la christiana militia.
In questo senso, il rituale d’investitura può essere inteso come una riconferma della Cresima poiché come la Cresima consacra il cresimando (maschio o femmina) soldato di Cristo in spiritualibus, l’investitura cavalleresca riconosce valida e consacra la vocazione specifica del Miles autorizzandolo, se le circostanze lo impongono, a difendere anche materialmente a prezzo della propria vita il popolo di Dio. Allo stesso tempo il rituale d’investitura dota il Miles delle grazie necessarie al proprio stato. Queste grazie manifestano l’assistenza divina nei confronti della sua persona e della funzione che questa è chiamata a compiere.
Come avviene per i Sacramenti, anche il sacramentale dell’investitura cavalleresca possiede una propria forma e una propria sostanza: la forma è quella fissata dal rito canonico e prevede le operazioni rituali cui abbiamo accennato; la sostanza è la persona stessa del Cavaliere elevato dal rito alla dignità spirituale di Miles Christi.
Nella tradizione cavalleresca le uniche persone autorizzate a compiere il rito dell’investitura sono il Vescovo e il Cavaliere regolarmente consacrato da Vescovo, o da altro Cavaliere a sua volta regolarmente investito... Ovviamente, nell’investitura conferita da Cavaliere mancano gli elementi pertinenti alla dignità sacerdotale, come la benedizione della spada e del nuovo Cavaliere.
Quando queste condizioni vengano a mancare, o quando la forma del sacramentale risulti incompleta o alterata, il sacramentale cessa di essere tale per cui non si può parlare propriamente di “Cavaliere” né di “rito d’investitura”»21.


L’ingresso del Cavaliere in un Ordine o Organizzazione Cavalleresca.

Abbiamo appena sottolineato come all’interno della Prima Parte del Pontificale Romanum tridentino venga nettamente distinto il Rituale di Investitura cavalleresco (capp. 29-30) dalle modalità essenziali relative all’accettazione di un Cavaliere all’interno di un Ordine militare (cap. 31).
Il capitolo 31 del Pontificale, assai sintetico, recita così:
«De Creatione Militis regularis.
Cum summus Pontifex committit alique creari in Militem ordinis militaris, Pontifex, cui creatio huiusmodi commissa est, in primis imponit ei abitum illum, quo Milites illius ordinis, quem intendit profiteri, v(o)ti consueuerunt. Deinde recipit ab eo adhuc genuflexo professionem, per tales emitti solitam votorum, secundum illius ordinis instituta.»22.

Le prescrizioni del testo sono chiarissime: qualora un Cavaliere desideri entrare in un Ordine Militare (già evidentemente preesistente e nel contempo posto sotto l’Autorità della Santa Sede, in quanto viene specificato che il coinvolgimento nel Rituale del Romano Pontefice è conseguenza di una specifica commissio), il Pontefice impone al Cavaliere in primo luogo l’abito dell’Ordine in oggetto, e successivamente riceve dal medesimo Cavaliere, genuflesso, i voti secondo gli Statuti dell’Ordine in cui il Cavaliere desidera appunto entrare.

La distinzione fra i capp. 29-30 e 31, nell’articolazione rigorosa della Prima Parte del testo del Pontificale, rimanda sia ad una differenza di dignità fra i due rituali che ad una precisa scansione temporale fra gli stessi:
a) Appare chiaro al di là di ogni dubbio che l’Investitura alla dignità di Cavaliere rappresenta un Rituale con dignità sacramentale a sé stante (capp. 29-30), distinto e separato dall’appartenenza a qualsiasi Ordine Militare (cap. 31).
b) Nel contempo l’ingresso di un Cavaliere all’interno di un Ordine militare è gesto successivo all’acquisizione della dignità Cavalleresca, ed in presenza di una riconosciuta pluralità di Ordini militari la prescrizione liturgica rimanda esplicitamente agli Statuti di ogni Ordine. Non si tratta quindi né di una Benedictio né di una Consecratio, ma della ricezione da parte del Pontifex dei Voti espressi dal Cavaliere – già tale - secondo gli Statuti dell’Ordine in cui Egli desidera entrare.
c) Inoltre, è ben noto che l’ingresso in un Ordine Militare può avvenire prescindendo dall’avvenuta Investitura alla dignità cavalleresca, in forma onoraria, secondo una delle diverse formule distillate nei secoli dell’era moderna e contemporanea.


Le aggregazioni dei fedeli all’interno del moderno Codex Juris Canonicis.

A questo punto è assai interessante constatare come l’attuale ordinamento giuridico della Chiesa Cattolica mantenga precisi spazi aperti al desiderio dei fedeli di aggregarsi sulla base di una comune vocazione, non esclusa quella cavalleresca. Il nuovo Codice di Diritto Canonico promulgato da Papa Giovanni Paolo II, aprendo il Titolo dedicato a “Le associazioni dei fedeli” ai cann. 298-299 (Capitolo I – Norme comuni), recita:
«Can. 298. Nella Chiesa vi sono associazioni, distinte dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica, in cui i fedeli, sia chierici, sia laici, sia chierici e laici insieme, tendono, mediante l’azione comune, all’incremento di una vita più perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali (…) animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristiano. (…)
Can. 299. I fedeli hanno il diritto di costituire associazioni, mediante un accordo privato fra loro per conseguire i fini di cui al can. 298, §1… Tali associazioni, anche se lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica, si chiamano associazioni private.»23
Beninteso, come specificato al Can. 301, «§2. L’autorità ecclesiastica competente, se lo giudica opportuno, può erigere associazioni di fedeli anche per il conseguimento diretto o indiretto di altre finalità spirituali alle quali non sia stato sufficientemente provveduto mediante iniziative private. § 3. Le associazioni di fedeli erette dall’autorità ecclesiastica si chiamano associazioni pubbliche»24.
In entrambi i casi (sia che si tratti di Associazioni di fedeli private che pubbliche), il Can. 307. precisa che «L’accettazione dei membri avvenga a norma del diritto e degli statuti di ciascuna associazione»25.
Gli Ordini Cavallereschi riconosciuti dalla Santa Sede rientrano quindi pienamente nei dettami del Can. 301 del CJC, mentre gli altri Ordini dinastici e le Congregazioni cavalleresche appaiono inquadrati giuridicamente nei Cann. 298 e 299, come parte integrante e storicamente gloriosa del millenario movimento di animazione cristiana del mondo che ha visto protagonisti i laici cattolici.
Questa constatazione non è affatto priva di conseguenze, in quanto fa uscire la Cavalleria dal novero delle testimonianze del Ben Tempo Andato, e la colloca nel cuore del contemporaneo processo di valorizzazione del contributo laicale al grandioso e cruciale processo della “nuova evangelizzazione”26.

Come ha ben sottolineato Mario Polia, «...una volta ricevuta l’investitura, quindi diventato Miles Christi, il Cavaliere è autorizzato a compiere la sua funzione non solo in quanto ha acquisito (come avveniva soprattutto un tempo) uno status sociale ma, innanzitutto, perché ha ormai raggiunto la categoria spirituale di appartenente all’Ordine della Cavalleria avendo ricevuto le grazie necessarie al proprio stato di combattente. La sua funzione, da quel momento, si esplica militarmente mediante il combattimento in difesa dei deboli e degli oppressi, quando ciò è necessario, ma, prima di tutto, si manifesta mediante un’assidua opera di charitas nei confronti della quale le condizioni contingenti di “guerra” o “pace” sono sostituite dalla pratica di una militia permanente, attiva sul piano della testimonianza a favore del prossimo e della lotta spirituale.
Per quanto riguarda la condizione del Cavaliere, questi può essere Cavaliere laico, e come tale può possedere dei beni, contrarre matrimonio e divenire padre, oppure può passare alla condizione di “Cavaliere professo” mediante la dichiarazione solenne dei voti di castità, povertà ed obbedienza. In questo caso, di norma, la professione avviene nel seno di uno degli Ordini Militari ancora esistenti. Tuttavia, previa l’autorizzazione dell’autorità religiosa, nulla impedisce che un Cavaliere divenga professo indipendentemente dall’appartenenza ad un Ordine militare perché, in quanto Cavaliere consacrato dal rito d’investitura, appartiene già all’Ordine della Cavalleria. In questo caso, il Cavaliere può aderire, ad esempio, agli statuti di una delle grandi famiglie monastiche derivate dalla Regola di San Benedetto, Regola che influì possentemente sulla struttura spirituale della Cavalleria.»27.


Conclusione: per la “nuova evangelizzazione” dell’Europa la Cavalleria è sempre necessaria.

E’ un paradosso interessante constatare come il panorama dei mutamenti della società post-moderna, impregnata di un relativismo aggressivo e dissolutorio, abbia provocato in via riflessa l’accrescersi di una nuova attenzione nei confronti dell’Istituzione Cavalleresca, millenaria creazione del genio europeo a contatto con la Rivelazione cristiana.
Nel contempo, il proliferare di falsi Ordini, imitazioni parodistiche e truffaldine dell’Istituzione Cavalleresca, lungi dallo svuotare di senso questa attenzione fascinosa ne sottolinea ancor più il carattere istintivo, sovente irriflesso ed ignorante, ma indubbiamente autentico.
Nel contesto della “nuova evangelizzazione” con cui la Chiesa e la cultura cattolica europea, stimolati dalla lezione di Papa Giovanni Paolo II, stanno reagendo alla diffusione di ciò che l’attuale pontefice ha definito «La dittatura del relativismo», la Cavalleria nella sua natura sacramentale, lungi dall’essere una reliquia di tempi andati, dimostra sempre più di possedere non solo una grande vitalità, ma ancor più una propria specifica vocazione:
«...il fine primario della Cavalleria cristiana è la santificazione del Cavaliere mediante il servizio prestato al prossimo, specialmente ai poveri e ai bisognosi, ai deboli ed agli oppressi. La militia del Cavaliere non riguardò (come un tempo) né riguarda solo la sua opera in tempo di guerra, se così fosse Cavalleria e militia diverrebbero inutili in tempo di pace mentre il concetto di “combattimento” che informa l’esistenza e l’opera del Cavaliere è un concetto ampio e ubbidisce alla definizione paolina della vita come militia super terram.
Si tratta, dunque, di un duplice combattimento quello cui da sempre il Cavaliere cristiano dedica la sua vita: esterno ed interno. Si tratta di un combattimento materiale e spirituale diretto non solo contro i nemici del popolo di Dio ma contro i nemici che s’annidano nel segreto della propria anima. Per questo, San Bernardo da Chiaravalle, supremo ed ultimo rifondatore della Cavalleria, fa questione di una duplice spada impugnata dal Miles: materiale e spirituale. Di esse la spada spirituale è di gran lungi la più importante: senza di essa, infatti, ogni combattimento risulterebbe non solo inutile ma illecito poiché senza la retta conoscenza e la retta intenzione la retta azione non può in alcun modo sussistere.»28.

«Oggi, il processo di scristianizzazione dell’Europa, orchestrato da una èlite contraria a Cristo ed alla Chiesa, avanza a grandi passi mentre si sta affermando a scala planetaria un’ideologia bassamente edonista, fondata sul calcolo personale, sul profitto economico di oligarchie internazionali e sugli interessi dei paesi industrializzati asserviti alla logica del denaro. Un’ideologia sostenuta dallo sfruttamento distruttivo degli ecosistemi, forte del potere delle armi e del capillare controllo delle coscienze, oggi si appresta a dirigere le sorti del pianeta, apparentemente senza incontrare ostacoli significativi. Come una diabolica parodia del sogno dell’Impero Universale cristiano.
Ed ecco, proprio oggi si aprono al Cavaliere cristiano meravigliose possibilità d’azione che un tempo erano insolite. Oggi, infatti, il concetto di “povertà”, di “bisogno”, di “oppressione” non riguarda più soltanto la sfera materiale e i bisogni materiali ma anche ed innanzitutto la dimensione e le esigenze dello spirito. Mai come oggi la militia deve essere dedicata a combattere alla radice l’errore e le tragiche conseguenze prodotte dall’errore. Il combattimento oggi si fa essenzialmente spirituale e il Cavaliere deve dedicare la sua azione a quanti, vittime dell’ignoranza, sono incapaci di spiegarsi il perché della sofferenza, del male, della solitudine, della morte. Costoro sono stati traditi dal sistema, dalle promesse di un progresso che non tiene conto delle esigenze dell’uomo e della natura, che non sa rispondere a quelle eterne domande se non eludendole, o dando risposte insoddisfacenti ai grandi quesiti che accomunano tutti gli esseri umani indipendentemente dalla latitudine geografica e dalla cultura la cui risoluzione era stata fornita dalla religione.
La protezione dei deboli, inoltre, oggi coincide anche con la difesa dell’ambiente e delle specie indifese, minacciate da un progresso cieco ed egoista. L’attuale sistema di produzione e consumo si è trasformato in un mostro spietato che per vivere deve distruggere incessantemente equilibri materiali e spirituali, fagocitando risorse naturali e coscienze, distruggendo ogni salutare diversità culturale e finendo, per ultimo, dopo aver inflitto ad ogni essere senziente incalcolabili sofferenze, per divorare sé stesso.
Oggi, in questa drammatica situazione, forse per la prima volta in modo così netto ed urgente, la Cavalleria coincide con la Conoscenza e il suo destino con quello dell’identità dell’Europa cristiana e della cristianità intera. Oggi, forse, ancor più che ai tempi di San Bernardo la Cavalleria terrena, libera da qualsiasi compromesso col potere terreno, libera dagli orpelli dei blasoni e dei titoli, libera dalla servitù delle corti, restituita alla sua nuda semplicità spirituale di testimonianza militante, ha i mezzi e l’occasione propizia per trasformarsi in Cavalleria Celeste»29.


Note

Una breve meditazione attorno all’archetipo cavalleresco non può che partire dalla riscoperta di uno dei migliori saggi scritti in argomento negli ultimi cento anni: F. Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Firenze 1981, part. pagg. 3 e segg.; dello stesso Autore vedasi inoltre Guerre di primavera. Studi sulla Cavalleria e la tradizione cavalleresca, Firenze 1992, pagg. 13 e segg.
Attorno alla contemporanea diffusione del fascino per la Cavalleria e gli Ordini che storicamente ne hanno incarnato le espressioni, vedi A. Saentz, La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della Verità inerme, trad. it., Rimini 2000.
Lo studio degli pseudo-ordini cavallereschi oramai esige una bibliografia a sè stante. Per un primo approccio al tema vedi Aa.Vv., “Gli Ordini Cavallereschi”, numero monografico de Religioni e Sette nel Mondo, n° 25, Bologna 2003-2004, e la ricca bibliografia ivi inclusa.
Il panorama delle aggregazioni settarie e neo-spiritualiste che prendono come proprio bersaglio la Cavalleria è pressoché infinito: sul tema vedi introduttivamente Aa.Vv., “Gli Ordini Cavallereschi”, cit., part. pagg. 102 e segg.
Il riferimento è al noto saggio del Thibon Ritorno al reale, trad. it., Milano 2001.
A. Saentz, La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della Verità inerme, cit., pag. 5.
Il tema del rapporto fra l’esercizio delle armi e il Sacro è veramente sterminato: per limitarsi al contesto europeo, si parta da: M. Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, tra. It., Torino 1976 e Idem, Il Sacro e il profano, trad. it., Torino 1973; G. Dumézil, L’ideologia tripartita degli Indoeuropei, trad. it., Rimini 2003 ed Idem, Ventura e sventura del guerriero. Aspetti mitici della funzione guerriera presso gli Indoeuropei, trad. it. Torino 1974; Autori Vari, Guerra, num. monografico di Avallon, Rimini 1995; per quanto concerne il tempo del “lungo medioevo”, accanto al già citato saggiodi F. Cardini Alle radici della Cavalleria medievale, vedasi G. Duby, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri, contadini, trad. it., Roma-Bari 1980; D. Tessore, La mistica della guerra. Spiritualità delle armi nel cristianesimo e nell’islam, Roma 2003.
S. Bernardo di Chiaravalle, De Laude Novae Militiae, trad. it. a c. di M. Polia, Rimini 2003.
Raimondo Lullo, Il Libro dell’Ordine della Cavalleria, trad. it. a c. di G. Allegra, Carmagnola 1983.
Attorno alla diffusione ed all’interpretazione della letteratura graalico-arturiana come specchio della visione del mondo cavalleresca, vedi M.Polia, Il Mistero Imperiale del Graal, Rimini 1996, e A. Morganti, Il Mistero del Mago Merlino, Rimini 1997.
M. Polia, “Profilo etico e religioso della Cavalleria cristiana e del Miles Christi”, in Religioni e sette nel mondo n°25/2004, pagg. 11-12.
Sulla persistenza dell’immagine tripartita della società fino agli albori della modernità vedi O. Niccoli, I Sacerdoti, i guerrieri, i contadini. Storia di un’immagine della società, Torino 1979.
M. Polia, “Profilo etico e religioso...”, cit.
Idem, pag. 13.
Il progetto integrale della ristampa dei Monumenta Liturgica Concilii Tridentini prevede la ristampa in edizione anastatica commentata dei sei volumi costituenti il corpus dei testi liturgici licenziati dal Concilio di Trento dopo il 1568. Per il presente lavoro si è concentrata l’attenzione unicamente sulla riedizione del Pontificale Romanum, edita nel 1997.
Per una comparazione fra la struttura contenutistica delle due edizioni del Pontificale Romanum vedi l’Introduzione alla riedizione del Pontificale tridentino, cit., pagg. XVII-XXI.
Mons. R. Farina, Presentazione alla riedizione del Pontificale tridentino, cit., pag. V.
Sull’evoluzione dei Libri liturgici cattolici in generale, e del Pontificale Romanum in particolare, vedi M. Sodi-A.M. Triacca, Introduzione alla riedizione del Pontificale tridentino, cit., pagg. XII-XIII, e la ricca Bibliografia ivi riportata.
Ne sia esempio il caso dei “Cavalieri professi” appartenenti all’Ordine di Malta, ma anche quello certamente meno celebre, ma forse altrettanto significativo, di numerosi cattolici investiti Cavalieri secondo il Rituale “tridentino” negli ultimi trent’anni da parte di svariati Vescovi cattolici, sia Ordinari militari che Vescovi diocesani.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Roma 2005, pag. 94. I riferimenti al testo completo del Catechismo della Chiesa Cattolica sono i seguenti: 1667-1672; 1677-1678. Abbiamo riportato questa forma sintetica per evidente praticità.
M. Polia, cit., pagg. 13-14.
M. Sodi-A.M. Triacca (a c.), Pontificale Romanum – Editio Princeps 1595-1596, rist.anast. Roma 1997, pag. 278 dell’edizione originale.
Codex Juris Canonicis, pp. 237.
Codex Juris Canonicis, pp. 239.
Codex Juris Canonicis, pp. 241.
Sul tema vedi utilmente la sintesi di p. P. Ferrari da Cassano S.J., “I Movimenti ecclesiali nel diritto della Chiesa”, in La Civiltà Cattolica, n° IV/1997, pagg. 330 e segg.
M. Polia, art. cit., pagg. 23-24; vedi anche l’eccellente saggio di C. Alzati, “Prassi sacramentale e Militia Christi”, in Aevum n°2/1993, pagg. 313 e segg.
M. Polia, art. cit., pagg. 15-16.
M. Polia, art. cit., pagg. 17-18.



Bibliografia

Autori Vari, Guerra, numero monografico di Avallon, Rimini 1995.
S. Bernardo di Chiaravalle, De Laude Novae Militiae, trad. it. a c. di M. Polia, Rimini 2003.
F. Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Firenze 1981.
F. Cardini, Guerre di primavera. Studi sulla Cavalleria e la tradizione cavalleresca, Firenze 1992.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Roma 2005.
G. Duby, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri, contadini, trad. it., Roma-Bari 1980.
O. Niccoli, I Sacerdoti, i guerrieri, i contadini. Storia di un’immagine della società, Torino 1979.
M. Polia, “Profilo etico e religioso della Cavalleria cristiana e del Miles Christi”, in Religioni e sette nel mondo n°25/2004.
A. Saentz, La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della Verità inerme, trad. it., Rimini 2000.
M. Sodi – A.M. Triacca (a c.), Pontificale Romanum – Editio Princeps 1595-1596, rist.anast. Roma 1997.
D. Tessore, La mistica della guerra. Spiritualità delle armi nel cristianesimo e nell’islam, Roma 2003.


Breve autopresentazione:

Adolfo Morganti, nato nel 1959, laureato in Psicologia, è Docente di Pedagogia della Religione e Socio fondatore del Centro Studi Nuovo Medioevo della Repubblica di San Marino, presieduto dal prof. Franco Cardini, nonché fondatore e Presidente di Paneuropa San Marino.
Dal 2001 è Fondatore e Presidente della Fondazione Istituto di Studi Storici Europei (I.S.S.E.) di Roma; nel dicembre 2002 viene nominato Membro dell’ “Osservatorio per il monitoraggio comparativo dell’attuazione delle direttive comunitarie in Italia” istituito dal Ministero per le Politiche Comunitarie della Repubblica Italiana, e della Commissione Cultura presso il medesimo Ministero.
E’ incaricato della Docenza di “Psicologia Dinamica” presso l’Università “Guglielmo Marconi” di Roma, e nel 2004 è insignito dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio con la qualifica di Cavaliere di Merito con placca. Dal luglio 2005, infine, è Fondatore e Presidente dell’Istituto di Studi Storico-Politici Sammarinese (I.S.S.Po.S.).
Collabora a numerosi periodici europei.