sabato 4 agosto 2007

"De Nova Laude Militiae" ( " Nuovo Elogio della Cavalleria")


di Cosmo Intini
Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa

Prologo

Seppur esplicitamente ispirato al noto sermone “De Laude Novae Militiae”, che S.Bernardo di Chiaravalle indirizzava quasi nove secoli fa ai cavalieri del Tempio, questo scritto non intende di certo configurarsi come una sua parafrasi che, oltre che irrispettosa, potrebbe anche risultare sospetta in tempi di revivals “templaristici” quali sono quelli odierni. Né tanto meno siamo spinti a questa stesura da un qualche senso di malcelata orgogliosa emulazione; ché, in tal caso, inevitabile si prospetterebbe per noi la caduta addirittura in una vera e propria grottesca parodia.
Vero è al contrario il nostro semplice desiderio di puntualizzare proprio l’irripetibile unicità ed assolutezza del “De Laude”, per genere e contenuto, svincolato come esso è da ogni limite e contingenza spazio-temporale alla pari di ogni sublime vetta di carattere spirituale; ed è solo alla luce di ciò che si è rivelata a noi oramai indifferibile l’urgenza di riproporne le tematiche, con la profonda convinzione di dover infatti esaltarne il carattere di attualità.
E come potrebbe tacciarsi di puro e semplice anacronismo ciò che mira nuovamente ad esortare e ad incoraggiare, come già nelle intenzioni del “Doctor Mariae”, a “combattere la giusta battaglia a favore di Cristo”?
In effetti, seppur adattandola al differente contesto storico, il che ne implica l’adozione con un carattere più specificatamente interiorizzato, ma non per questo meno “bellico”, tale “giusta battaglia” rimane comunque, oggi come e più di ieri, una doverosa ed impellente necessità. E non contro un altro popolo, o una differente religione, né contro questo o quell’umano nemico del cristianesimo; bensì contro il nemico-principe di Gesù Cristo: lo spirito artefice del male che perfidamente si è insinuato tra gli stessi cristiani, riducendo molti di essi a suoi nefasti e nefandi predicati!
“Anche l’amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno” - Salmo XL -.
“Sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre. Perché mi divora lo zelo per la tua casa” - Salmo LXVIII -.
La raffinatezza della tecnica che il “principe di questo mondo” ha oramai subdolamente adottato prevede che il proprio attacco a Cristo non si manifesti secondo modalità esplicite, immediate, scontate. Al contrario, con paziente ma inesorabile gradualità, il male si instilla giorno dopo giorno in una maniera che ai più risulta inavvertibile, in quanto camuffato sotto le mentite spoglie di ciò che non è altro che una mostruosità spacciata in maniera mistificante come fosse un bene: come fosse il Bene!
“Affinché satana non approfitti di noi con inganno: non ignoriamo infatti i suoi disegni” - 2 Cor. II, 11 -.
Sappiamo perfettamente che la parodia costituisce l’aspetto più tipico e l’arma più insidiosa del grande seduttore; e con questa ambiziosa illusione di sostituirsi al vero Bene, incarnato sempre e soltanto da Cristo Gesù, esso viene a riprodurre di Nostro Signore proprio quello che ne è l’aspetto “antinòmico”, la “controfigura”: l’Anticristo!

Della Militia

La percezione della palesata sussistenza di un virulento attacco frontale in atto, ad opera delle forze anticristiche, suggerisce la necessità di un’immediata adozione di contromisure le quali, in virtù di una propria configurazione che risulti idonea allo scopo, si rivelino capaci di costituirsi a baluardo difensivo-protettivo contro di esse. Vedremo come e perché questo baluardo sia rappresentato, meglio di qualunque altra cosa, dalla “Militia Christi”, ovvero dalla “Cavalleria”: intendendo questa in un ben preciso senso.
Per una più corretta interpretazione di quale sia il senso della Cavalleria oggi, quasi 900 anni dopo S.Bernardo, in linea di principio non si può e non si deve prescindere dalla fedele e puntuale adesione proprio alla tradizione delineata nel “De Laude”. E tanto per cominciare va ricordato allora quale debba essere il compito di essa Cavalleria!
La “Militia Christi” nacque con una funzione ben precisa: quella di proteggere e custodire la “Terra Santa”. Dopo aver sfrondato però questa affermazione da tutte le interpretazioni puramente letterali e geografiche, abbiamo che, così come nel caso del termine “Israele” con cui si designa nelle S.Scritture il popolo eletto, denominazione la quale è passata ad indicare dopo la venuta di Nostro Signore tutto il “popolo dei battezzati”, parimenti la “Terra Santa” di cui è qui questione non significa altro che la S.Vergine Madre di Dio; e pertanto anche l’integrità e l’integralità della S.Chiesa. Ma su questo ritorneremo più avanti!
Alla luce di ciò decade per naturale conseguenza qualunque perplessità a riguardo della effettiva o meno attualità della Cavalleria. E ciò in quanto essa è Istituzione che, a partire dal Concilio di Troyes in cui fu redatta la Regola dell’ordine del Tempio e dall’immediatamente successivo sermone di S.Bernardo, risulta oramai “per sempre” investita della responsabilità di difendere e custodire appunto la S.Chiesa di Cristo Gesù.
“Cingi, prode, la spada al tuo fianco; nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte; cavalca per la causa del vero, del giusto, del bene” - Salmo XLIV -.
Tale opera di salvaguardia mantiene inalterato il rapportarsi a ciò che già S.Bernardo sottolineava essere la duplice battaglia che compete al Cavaliere: una, combattuta verso l’esterno (contro tutti i nemici di Cristo e della Sua S.Chiesa), la quale si potrebbe considerare fondata sull’azione; un’altra, invece, combattuta verso l’interno di sé stesso (contro il male che insidia il proprio cuore), la quale si potrebbe a sua volta considerare fondata sulla contemplazione. Tale “duplicità” coincide con il simbolico possesso di una “doppia spada”, equivalente in altri casi anche al simbolismo della “spada a due tagli”.
Va tuttavia riscontrata anche qui la necessità di operare una trasposizione sulla base della mutata contingenza storica: la “giusta battaglia” combattuta verso l’esterno non va ad esplicarsi in un ambito che coinvolga “la carne ed il sangue”, per usare l’espressione di S.Bernardo; ma si metamorfosa in un’azione bellica esplicantesi in contesti più precisamente di tipo “etico-culturale”.
“Cantate al Signore,…annunziate di giorno in giorno la sua salvezza. In mezzo ai popoli narrate la sua gloria, a tutte le nazioni dite i suoi prodigi” - Salmo XCV -.
Va comunque precisato che questa “interiorizzazione” dell’azione militante risulta tale solo fino ad un certo punto. Infatti, essa si avvale effettivamente dell’uso di armi tramite cui incidere sulla realtà circostante, seppure tali armi risultano essere di natura meramente “figurata”!
Si conduce in tal modo a perfetto compimento la “spiritualizzazione” di tutto quanto concerne il corredo di strumenti che il Cavaliere adopera per espletare la propria funzione bellica, la cui analogicità di significato con le virtù interiori propriamente cavalleresche veniva già colta e sottolineata da R.Lullo nel suo “Libro dell’Ordine della Cavalleria” (V, 1-19).
Pertanto, come afferma in tale opera il mistico catalano, abbiamo che: la “spada” indica la giustizia; la “lancia” è la verità; l’“elmo” è la vergogna del disonore e della viltà; la “corazza” è la chiusura al vizio ed all’errore; i “calzari di ferro” sono il tragitto verso Cristo immune da incertezze; gli “speroni” sono diligenza, prudenza e zelo; la “gorgiera” è l’obbedienza; la “mazza” è la forza del cuore; il “pugnale” è la misericordia; lo “scudo” è l’ufficio stesso di Cavaliere, posto come egli è tra Cristo e la S.Chiesa; la “sella” è la fermezza di cuore; il “cavallo” è la nobiltà e l’elevatezza sul mondo; le “redini” sono la capacità di raffrenare i propri impulsi eccessivi; la “testiera del cavallo” è la ragione; i “finimenti” sono l’oculatezza nel gestire i propri beni in quanto necessari al mantenimento della Cavalleria; il “giubbone” indica le grandi sofferenze che si devono patire per onore; il “blasone” sullo scudo, sulla sella e sulla cotta è l’ardimento nella battaglia; infine lo “stendardo” è l’onore da difendere.
Il possesso e soprattutto la messa in opera di tutte le summenzionate qualità interiori, nella realtà quotidiana di un cristiano, attesta già il configurarsi, almeno in maniera potenziale, di un’attività di tipo militante-cavalleresco. Tuttavia ciò non è affatto sufficiente a titolare un Cavaliere, in quanto, è bene ribadirlo, il “sacramentale” della vestizione cavalleresca implica che sia imprescindibile “fonte” della sua trasmissione l’intervento ministeriale di un Vescovo, di un Abate o di un altro Cavaliere già investito, secondo il rituale dell’antico Pontificale Romano.
La sussistenza di questo “rituale sacramentale” è la prima di una serie di specificità che stabiliscono quindi una profonda differenziazione tra la “via cavalleresca” e l’attività di una qualsivoglia “associazione laicale di fedeli”.
Una seconda, ma non secondaria specificità può considerarsi ancora l’appartenenza della Cavalleria ad un’antica, secolare tradizione; la qual cosa ne nobilita senz’altro l’essenza, costituendo altresì il suo assoluto paradigma comportamentale.
A tal proposito diviene pertanto necessario il recupero ortodosso di tale tradizione; e cioè sempre entro i canoni sanciti e riconosciuti da S.Madre Chiesa, così come furono ottimamente sintetizzati nella Regola Templare e nel “De Laude Novae Militiae”, nonché approfonditi da tanta riflessione cristiana posteriore. E ciò per ridare linfa all’Istituto cavalleresco che ai giorni nostri, negli ultimi Ordini ancora rimasti in vita, pare essersi ridotto piuttosto ad una mera organizzazione di carattere assistenzialistico-filantropico: indirizzato cioè più allo svolgimento di funzioni nell’ambito della ricerca di benessere e progresso, che non nella difesa dei cristiani e nell’opposizione a quanto di anticristiano (o anticristico) semmai sussiste in una visione della vita eccessivamente preoccupata del materialistico; che è come dire: del benessere prescindendo dallo spirituale, del progresso prescindendo da Dio.
“Non senza ragione porta la spada: per la punizione dei malvagi e la lode dei giusti”
-De Laude N.M. -.
Terza specificità, che demarca una definitiva differenziazione tra “sodalizio cavalleresco” e “associazione laicale cristiana”, è la “militanza”: che è poi ciò che distingue da chiunque altro il Cavaliere, proprio in quanto “Miles”.
“Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori. Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta…come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” - Gc. I, 22-25 -.
S.Bernardo sottolinea che “typus” del Cavaliere è colui che non teme né il demonio, né l’uomo, né la morte. Egli integra, insomma, la pratica quotidiana dei valori cristiani con un consapevole senso di “eroicità”, ovvero di disprezzo nei confronti di qualunque compromesso, sia pure la salvezza della propria vita, che possa inficiare la lotta a favore di Cristo Gesù e della Sua S.Chiesa.
“Difatti, cosa potrebbe temere in vita o in morte colui per il quale il Cristo è la Vita e la morte un guadagno?” - De Laude N.M. -.
“Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore” - Rom. XIV, 8 -.
“Rallegrati o forte campione se vivi e vinci nel Signore: ma ancor più esulta e sii glorioso nella tua gloria se morirai e ti riunirai al Signore. La vita è certo fruttuosa, e la vittoria gloriosa: ma a giusto diritto ad entrambe è da preporre la morte sacra. Infatti, se sono beati coloro che muoiono nel Signore, quanto più lo saranno quelli che muoiono per il Signore?” - De Laude N.M. -.
Ancora una volta è necessario operare una trasposizione nel contesto storico odierno, la quale concerna in questo caso il principio metafisico, l’archetipo che viene adombrato nelle suddette parole di S.Bernardo: alludiamo al “sacrificio”!
La “morte sacra” è da intendersi proprio in tal senso: non necessariamente in quanto morte fisica (se non, in ultima analisi, come “martirio”), ma primariamente in quanto “morte dell’ego”. Tale è la portata profonda del “sacrum facere”, il “sacro operare”; la qual cosa consiste nell’agire in maniera direttamente ispirata dallo Spirito, liberi da qualsiasi implicazione “egoica”, cioè legata alla e dalla contingenza. Tale “liberazione” è il traguardo finale di una progressiva operazione “ascetica”, che è poi ciò che costituisce la “battaglia interiore” del Cavaliere, nonché la sua milizia contemplativa. Di modo che si comprende bene come per il “Miles” si instauri un diretto rapporto di reciprocità tra “battaglia esterna e battaglia interna”, perché ambedue fondate su di un medesimo, coincidente atto di “sacrificio”. Pregare è combattere, combattere è pregare; contemplare è agire, agire è contemplare! Due sono i tagli della medesima spada!

Della malitia

All’esaltazione dei caratteri costitutivi della “Militia Christi” S.Bernardo opponeva il biasimo di quella che ne era, all’epoca, la diretta controparte: la cavalleria secolare; da lui condannata, con opportuno gioco di parole, come “malitia”.
Avendo riconosciuto alla Cavalleria odierna la prerogativa di esplicare in maniera privilegiata la propria “azione bellica” all’interno del contesto etico-culturale, sorge allora evidente e spontaneo il parallelismo tra la medioevale “cavalleria secolare” (la cosiddetta “malizia”) ed il moderno “laicismo culturale”.
Con questo appellativo vogliamo alludere a tutto quel modus vivendi che è stato tipicizzato dall’uomo europeo postmedioevale, improntato ad un progressivo svincolamento dai riferimenti cristiano-cattolici inerenti al sacro, al trascendente, nella conduzione del proprio agire e pensare quotidiano.
L’accezione del termine “laicismo” è da intendersi quindi nel senso più generale e completo, in quanto informante la totalità dei diversificati ambiti che caratterizzano la cultura occidentale moderna; i quali sono propri di quell’uomo che, da unitariamente “europeo” che era in origine, man mano che smarriva la coesione mantenuta appunto dalla sua tradizionale appartenenza alla sola e medesima cultura cristiano-cattolica, disgregava la propria omogenea “identità” culturale e passava oltre tutto da una concezione del mondo rispettosamente teocentrica ad una più orgogliosamente antropocentrica.
Se da un lato si verificava l’esportazione nel Nuovo Mondo di una “pseudo-europeità” sempre più priva di “sane radici”, dall’altro si assisteva ad una parodistica sostituzione dell’unità culturale cristiano-cattolica europea con le varie e diversificate unità politico-nazionali. A tal proposito è però emblematico ricordare che nel termine “identità” procedono di pari passo sia il significato di “qualificazione di qualcosa o qualcuno per cui si è tale e non altro”, sia il significato di “uguaglianza, coincidenza”! Cioè a dire: non sussiste un’identità (= personalità) culturale se non vi è identità (= coincidenza) di cultura! E non è un ovvio gioco di parole!
L’Occidente, pur dopo vari secoli, ha compreso di dover porre rimedio a tale palese incongruenza; ma ha ricreato artatamente un’identità europea risultante invero univoca e laicistica, in quanto basata esclusivamente su presupposti “mercantilistici” e non mantenendo che in un conto marginale le radici cristiane dell’Europa stessa.
Dal punto di visto della più pura Cavalleria tale identità non può non leggersi quindi che come il trionfo di quella sottile “parodia” attuata ai danni della vera identità culturale europea cristiano-cattolica. Tanto più che, a conferma dell’anticriticità del fenomeno, si è giunti oramai a sovvertire il concetto stesso di “cattolicità” (= universalità) sostituendolo e pervertendolo con quello di “globalizzazione” (= massificazione).
La “malizia” della cultura laicistica occidentale è divenuto il terreno fertile per l’attecchimento della “mala pianta” del grande sovvertitore. Ed al Cavaliere non rimane che constatare come il nemico di Cristo, che un tempo premeva minaccioso alle sue porte, col sotterfugio adesso si è proditoriamente installato addirittura in casa propria!
“Ecco, la vostra casa sarà lasciata deserta” - Mt. XXIII, 38 -.
“Ho lasciato la mia casa, ho abbandonato la mia eredità” - Ger. XII, 7 -.
Necessario è pertanto che alla presa di coscienza segua, da parte della Cavalleria, la presa delle “armi”: la “mobilitazione spirituale”; affinché la mala pianta sia estirpata. Perché questo è il compito che alla “Militia” è assegnato, nonché l’onore che le è concesso!
“Siano scacciati dalla città del Signore tutti i malfattori…Sia sguainata la doppia spada dei
fedeli…per distruggere chi si erge contro la conoscenza di Dio, che è la fede cristiana”
- De Laude N.M. -.
“Affinché le nazioni non dicano: dov’è il loro Dio?” - Salmo CXIII -.

Come vivono i Militi di Cristo

La “Militia Christi” a cui si rivolgeva S.Bernardo era costituita da “monaci-cavalieri”; e tale rimane l’ambizione suprema per la Cavalleria: fondarsi su uomini che abbraccino oltre che la “vocazione alla militanza” anche la “vocazione religiosa”. Tuttavia, poiché a mali estremi bisogna opporre estremi rimedi, data la contingenza dei tempi odierni non è da disdegnare l’apporto che è pure suscettibile di fornire il Cavaliere ancorché “secolare”, purché i suoi princìpi ed il suo stile di vita risultino ovviamente tali da diversificarlo in maniera totale ed evidente dal “laicista”. Ancor più perché egli potrà combattere il “laicismo” più dall’interno di quanto oggi possa (e in certi casi, debba) un religioso! E’ giusto infatti che quest’ultimo possa piuttosto dedicarsi con maggior esclusività all’“orazione”, alle funzioni di “ministro dei sacramenti”, alla “formazione”. Il Cavaliere, quando secolare, può da parte sua approfittare invece del suo inserimento diretto ed attivo nel contesto sociale laicistico, in qualunque campo egli svolga la propria attività, per prodigarsi nel compito di arginare con la propria azione l’aggressione anticristica e riportare tutto sul più giusto sentiero.
“Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini…Servite a Cristo Signore” - Col. III, 23-24 -.
Quali siano i valori di un cavaliere è abbondantemente precisato dalla tradizione: obbedienza, disciplina, povertà, umiltà, castità, onestà, fedeltà, lealtà, generosità, instancabilità, giustizia, coraggio, sprezzo di ogni male: tutte doti che in una parola costituiscono la sua “cortesia”, la sua “nobiltà”.
“Chi cammina nella giustizia ed è leale nel parlare, chi rigetta un guadagno frutto di angherie, scuote le mani per non accettare regali, si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue, chiude gli occhi per non vedere il male: costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio” - Is. XXXIII, 13-16 -.
Ma di quante qualità egli debba cristianamente possedere, due ci sembrano costituire una sorta di sunto di tutte le altre: l’esemplarità e la coerenza!
“Esemplare” è colui che assomma in sé tali e tante qualità e doti, da costituirsi quale punto di riferimento, modello, metro di paragone per tutti coloro che hanno bisogno di aiuto; nonché causa di timore per tutti coloro che compiono qualsivoglia male e prevaricazione.
“Fortificate le mani deboli, rinfrancate le ginocchia vacillanti! Dite ai pusillanimi: -Fatevi coraggio, non temete, ecco il vostro Dio-” - Is. XXXV, 3-4 -.
“Sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno” - Salmo L -.
Il Cavaliere sa dosare il proprio intervento conformemente alle occasioni ed alle persone, poiché la sua capacità d’adattamento gli consente di ritrovarsi a proprio agio in qualunque frangente, con pieno controllo di sé.
“Sembrano più miti degli agnelli e più feroci dei leoni” - De Laude N.M. -.
Ed è suo preciso dovere non venir mai meno, in nessun luogo e momento, alle aspettative derivate da tale sua esemplarità; mancando altrimenti di “coerenza” tra quanto afferma e quanto compie.
Tutti i valori posseduti dal Cavaliere sono inoltre gestiti con rigoroso e severo contegno, il quale risulta immune da ogni eccesso di emotività e passione: sia se ciò si manifesti sottoforma di “vacuo sentimentalismo” che sottoforma di “arido cerebralismo”, oppure di “euforia” o di “scoramento”. Il Cavaliere, insomma, non “autoindulge” mai: né in un senso, né in un altro!
La prerogativa del Cavaliere di costituire un “esempio in Cristo” rappresenta un’arma importantissima contro i disegni anticristici che mirano a svuotare l’individuo, privandolo nella sua vita quotidiana di vere certezze e di saldi riferimenti. La sua fede incrollabile, il suo perfetto equilibrio, il suo sincero disinteresse non possono non suscitare il desiderio di emulazione in chi, tra non poche difficoltà, stia oggi cercando di vivere con un senso di maggiore convinzione e profondità la propria fede cristiana; nonché ammirazione e senso di protezione in chi stia patendo un’ingiustizia.
“Beato l’uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera”
- Salmo XL -.
“Vedano gli umili e si rallegrino, si ravvivi il cuore di chi cerca Dio” - Salmo LXVIII -.
E questo perché ogni azione vittoriosa del Cavaliere è “grazia di Dio” che opera attraverso di lui.
“Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia…Mio scudo in cui confido, colui che mi assoggetta i popoli” - Salmo CXLIII -.
“Tu sei la mia roccia ed il mio baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi” - Salmo XXX -.
Al contrario, ogni caduta è solamente imputabile alla sua stessa responsabilità, al suo “orgoglio”. Quest’ultimo, assieme all’“immodestia”, è infatti il peccato maggiore che si annida nel cuore di un Cavaliere.
“Tale è la sorte di chi confida in sé stesso, l’avvenire di chi si compiace nelle sue parole. Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte” - Salmo XLVIII -.
“Non confiderete mai nella vostra prudenza e nella vostra forza, ma solo nell’aiuto del Signore” - De Laude N.M. -.

Il “tempio” dell’Anticristo

L’“orgoglio” è la peggiore trappola per il Cavaliere in quanto, allorché la sua azione ne venisse permeata, essa si trasformerebbe in “ybris”, pari soltanto alla prepotenza della cultura laicistica nei confronti della Legge di Cristo Gesù.
“Anche dall’orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere; allora sarò irreprensibile, sarò puro dal grande peccato” – Salmo XVIII -.
L’orgoglio è del resto strettamente collegato con la “superbia”, la quale è il principe dei vizi capitali: di essa peccò difatti Lucifero, il “principe di questo mondo”!
Il Cavaliere, proprio in quanto “Miles Christi”, si costituisce pertanto come il più diretto e prescelto bersaglio dell’attacco anticristico.
“I superbi mi tendono lacci e stendono funi come una rete, pongono agguati sul mio cammino”
- Salmo CXXXIX -.
Egli svolge un’azione che possiamo certamente definire di “parafulmine”, in quanto, allorché un Cavaliere “cade”, l’effetto di vittoria del grande sovvertitore è centuplicato rispetto a quanto risulterebbe con la caduta di un individuo che non sia “Miles”, avendo infatti così eliminato uno tra i più forti antagonisti. In questo gli è pari soltanto l’ecclesiastico ed in special modo il monaco!
Da ciò si evince che la lotta non gli dà mai tregua; e mai gli è concesso di abbassare la guardia: troppo grande è in effetti la responsabilità di cui è investito.
E’ del resto ovvio che se il suo “essere militante” è ciò che attira contro di lui tutta la concentrata offensiva del nemico, parimenti è soltanto il “vivere fino in fondo tale sua militanza” ciò che gli può garantire la vittoria.
Infatti, con il puro operare (= carità) egli rinnova la “forza”; fortificando la sua pura dedizione a Cristo (= fede) egli rinnova il “coraggio”; non avendo più paura di nulla egli rinnova la pura certezza di non cadere (= speranza). Pertanto, “pura forza, puro coraggio e pura certezza” è quanto di più alto il Cavaliere, nel suo pregare, può chiedere che gli venga concesso dalla misericordia di Dio per la sua vittoria!
La Cavalleria è palesemente l’ultimo baluardo nella lotta contro le forze anticristiche; e ciò da quando queste, dopo aver con violenza annientato il “Tempio del Padre” in Gerusalemme, ed aver con perfidia annientato il “Tempio del Figlio” in Parigi, adesso vogliono annientare con la suadente menzogna il “Tempio dello Spirito Santo” che è in ogni individuo battezzato, per sostituirlo con il “tempio dell’Anticristo”.
“O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni, hanno profanato il tuo santo tempio”
- Salmo LXXVIII -.
Sappiamo che la parodia è il segnale della presenza del grande sovvertitore; e allora: cos’altro è se non un palese “sovvertimento” del significato vero e proprio di “templum” (= “spazio ritagliato, separato dall’esterno”, dal greco “temno”) il tentativo laicistico di creare un mondo, una cultura, un’identità da cui venga “tagliato fuori, separato, escluso” Nostro Signore?
E’ proprio questo il “tempio dell’Anticristo” che si vuol erigere sul Tempio dello Spirito Santo, per sostituirsi ad esso!
Ma il Cavaliere, fedele all’esempio di Cristo Gesù, fervente dello stesso zelo, è colui che può e deve scacciare dal Tempio di Dio i “mercanti”, i “cambiavalute”, i “venditori di (false) colombe”.
“Portate via di queste cose: e non fate della casa del Padre mio una casa di mercato”
- Gv. II, 16 -.
Ma tramite quali artifici è possibile per il nemico giungere ad insidiare il cristiano, fin dentro il suo Tempio, ossia dentro il suo cuore?
In genere le forze anticristiche si manifestano prima come “opposizione a Cristo”; poi, in maniera più sottile, “prescindendo da Lui”; ed infine, con estrema raffinatezza, tramite l’estrema e più subdola tattica: “travestendosi da Bene”!
“All’empio dice Dio: perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle? Se vedi un ladro corri con lui; e degli adulteri ti fai compagno. Abbandoni la tua bocca al male e la tua lingua ordisce inganni”
- Salmo XLIX -.
E’ così che, per mezzo dei suoi ambigui predicati umani, il Male mette in atto il definitivo sovvertimento! Questi individui miserandi, i predicati dell’Anticristo, arrogantemente propongono sé stessi come “fonte di valori, di verità, di carità”, glorificandosi al posto di Dio. Essi sono fautori convinti e detentori inattaccabili del potere laicistico, che attualmente informa di sé tutto il quotidiano. Essi pongono il laicismo come suprema istanza delle coscienze, pur essendo esso molto spesso in palese violazione della legge divina.
“La loro bocca dice menzogne e la loro destra giura il falso” - Salmo CXLIII -.
“Affilano le loro lingue come spade, scagliano come frecce parole amare per colpire di nascosto l’innocente” - Salmo LXIII -.
I capi politici, per una sorta di autodivinizzazione, aspirano ad essere riconosciuti come supremi dominatori universali, nonché “vindici” degli oppressi, fingendosi quali filantropi intesi ad assicurare il benessere universale. Ma essi sono coloro nei quali è ricapitolata tutta l’apostasia, l’ingiustizia, la malvagità, la falsa profezia e l’inganno (cfr. S.Ireneo, “Contro le eresie”).
“Esultino i fedeli nella gloria, sorgano lieti dai loro giacigli. Le lodi di Dio sulla loro bocca e la spada a due tagli nelle loro mani, per compiere la vendetta tra i popoli e punire le genti; per stringere in catene i loro capi” - Salmo CXLIX -.
Non contenti, tali capi politici spesso tentano di appropriarsi addirittura del ruolo di “difensori dei valori della Chiesa”; ma solamente per palese, astuto calcolo opportunistico. Evidente è infatti la contraddizione, di tipico “sapore anticristico”, in cui cadono coloro i quali, pur rimanendo per esplicita ammissione conformi alle idee laicistiche, al contempo pretenderebbero di aderire per comportamento al proprio inconciliabile contrario, rappresentato dai princìpi cristiani. Ontologicamente parlando, infatti, ciò risulta essere una prerogativa che può possedere soltanto ciò che è contrario al Bene; essendo, lo “scimmiottare”, un atteggiamento che è precipuo non di quest’ultimo, bensì appunto del Male! Colui che infatti apprezza i valori sanciti dal Cristo, se è un vero cristiano, non può che considerarli assoluti. Costoro invece, i predicati dell’Anticristo, al di là dell’esteriorità “buonistica”, non cedono mai dalla posizione laicistica che considera l’autorità spirituale una mera voce “relativa”; prestigiosa sì, ma pur tuttavia solamente una tra le tante: in ogni caso, “marginale” nell’ambito della realtà sociale! Infatti non ammetteranno mai, costoro, l’assurdità consistente nella separazione di autorità spirituale e potere temporale in due compartimenti stagni, falsando il senso delle parole dello stesso Gesù in merito alla dottrina del “…date a Cesare quel che è di Cesare”.
Da parte sua il Cavaliere, non auspicando certamente un inopportuno “mescolamento” tra i due ambiti, sa tuttavia quanto sia stato nefasto il travisamento di suddetta dottrina, la quale comunque sancisce la necessità non certo di una “separazione”, di una “divisione” dei poteri “sacerdotale e regale”, bensì di una giusta e feconda “complementarietà” di ruolo e funzioni tra di essi. Tale complementarietà raggiunse il suo irripetuto vertice tramite la coesistenza di Papato e Sacro Romano Impero!
Ma per chi come il Cavaliere è abituato a vivere nella piena unità del Cristo, la menzogna si smaschera da sola; in quanto non vi è mai Bene laddove non vi sia da parte dell’individuo totale santificazione in Cristo e nella Sua Chiesa. Non basta spacciarsi suadentemente per il “Bene”, se in realtà l’operato risulta ingenerare “separazioni, antagonismi, conflittualità, bivalenze, contraddizioni”. Non è difatti proprio questo il tratto distintivo del “diabolus”: creare divisioni (dal greco “dia-ballo”, “disunire, metter male fra due”)??
Ne consegue che coloro i quali illudono l’individuo di poter e dover laicisticamente trovare la verità attraverso la molteplicità delle “opinioni” personali, indipendentemente cioè dagli univoci dettami di Cristo Gesù, perpetrano il vero delitto ai danni della vera “libertà” dell’uomo; in quanto vanno a compiacere l’Anticristo nel suo scopo di sostituirsi a Cristo stesso, per assoggettare l’uomo come suo misero schiavo.
Il “Miles” sa che non conta affatto la propria soggettività di individuo, ma si affida al “servizio” che dalla tradizione gli è richiesto di portare avanti, aderendovi con fedele spirito di oggettiva unità nella Chiesa e nella Cavalleria.
“Manifesta al Signore la tua via, confida in Lui: compirà la sua opera; farà brillare come luce la tua giustizia, come meriggio il tuo diritto” - Salmo XXXVI -.
“Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei tu (Signore) che agisci” - Salmo XXXVIII -.
“Diresti che tutta questa moltitudine (di Cavalieri) abbia un cuore solo ed un’anima sola: a tal
punto ognuno si preoccupa non di seguire la propria volontà, ma quella di chi comanda”
- De Laude N.M. -.
Laddove il nemico è menzogna, perché ingenera molteplicità, frammentazione (checché egli ne dica), la Cavalleria è dunque verità: perché persegue vera unità in Cristo!
“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!…Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre” - Salmo CXXXII -.
Ma vi è ancora una prova che dimostra indirettamente quanto la Cavalleria, così come la si è andata delineando sin qui, costituisca un valido e necessario “baluardo” nei confronti delle forze anticristiche. Ciò consiste molto semplicemente nel fatto che queste ultime, evidentemente temendola in quanto efficacissima avversaria, con abile mossa hanno cercato nel tempo di adescarla a sé per inibirla (= opposizione a Cristo), svuotarla (= omissione di Cristo) e riproporla in veste adulterata (= sovversione di Cristo). Assistiamo pertanto a quella ingiuriosa pantomima, a quell’appropriazione indebita di incidenza solo apparentemente marginale, che è il “cavalierato del lavoro”; in esso ogni tratto di vera, tradizionale Cavalleria è stato mortificato ed annullato, sancendo figuratamente il ritorno nel Tempio di quei mercanti cacciati da Gesù, di quei cambiavalute, di quei venditori di false colombe.


Della Terra Santa

Per concludere il suo sermone, S.Bernardo si sofferma sui principali luoghi di Terra Santa, meditando su tutta quanta la ricchezza spirituale di cui essa è latrice, affinché i Cavalieri diventino ben consapevoli di quanto grande sia ciò che è stato affidato in custodia alla loro fedeltà, alla loro prudenza, al loro coraggio. E’ bene anche per noi, dunque, riflettere su di Essa!
Affinché la “mala pianta” delle forze anticristiche non attecchisca dentro di sé, il Cavaliere è colui che è chiamato a rinnovare il proprio cuore, svuotandolo della vecchia terra sterile e secca per colmarlo di “nuova terra” più fertile e sana in quanto “vergine”.
“La terra arida diventerà uno stagno e il suolo riarso avrà sorgenti abbondanti” - Is. XXXV, 7-.
Ed è questa la “Terra Santa” che egli vuole e deve proteggere, nonché custodire: ossia la S.Vergine Maria, da sempre tanto cara alla Cavalleria!
Tale Terra è la medesima che nutre l’“Albero della Vita”; è la Terra del giardino dell’Eden, che in ebraico significa, appunto, “vergine”.
Giovanni Crisostomo, Tertulliano, Celio Sedulio chiamano Nostra Signora: la “Terra Vergine”.
Proclo di Costantinopoli e Teodoro di Ancira la invocano come “Terra non seminata che aprì il Paradiso ad Adamo”. Sempre Proclo aggiunge che Lei è il “Paradiso Spirituale del Secondo Adamo (il Cristo)”.
Girolamo la definisce “Terra promessa a Davide”.
Il Cantico dei Cantici (IV, 12) si riferisce proprio a Maria quando parla di “hortus conclusus”: il “giardino recintato e protetto”.
Dopo aver posto in sé, con amorevole cura, questa fertilissima e vergine Terra, il Cavaliere può attendere allora che Ella venga fecondata dallo Spirito Santo. Se la preparazione sarà stata effettuata con sapienza, certamente il santo seme porterà fiore e frutto. Ed il cuore del Cavaliere diverrà di essi il “recipiente santificato”, il “privilegiato vaso” entro il quale attecchisca il “germoglio di Jesse”; in una parola: il S.Graal di cui egli è alla ricerca!
Rendendosi “vergine” come Nostra Signora, al pari di Lei diviene “ricettacolo di Cristo”.
Ma per divenire “come Lei”, bisogna “affidarsi a Lei”! Ed ecco allora che il Cavaliere dimostra di conoscere come il percorso magistrale per attuare questa assimilazione venga indicato dalla “Vergine Hodegetria” (“Colei che mostra il cammino”) attraverso la “Corona del S.Rosario”: ossia la via “che porta al Re”, la via “regale” per eccellenza in quanto la “più amata” da Dio!
“Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio,…al Re piacerà la tua bellezza” - Salmo XLIV - .
Nella Corona del S.Rosario, infatti, si sintetizzano per il Cavaliere le due Sante Tavole che costituiscono il “nutrimento” della sua Tradizione: quella che fu istituita da Nostro Signore, il Re-Messia, assieme ai suoi 12 Apostoli e quella, analoga in quanto sua simbolica replica, che fu istituita da Re Artù assieme ai suoi 12 Cavalieri-tipo. Il Centro focale di queste Tavole è occupato da due santi “Vasi”: rispettivamente il S.Calice eucaristico e la S.Coppa del Graal, di entrambi i quali è immagine la “Rosa”!
“Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca” - Salmo XXII -.
Il n.60, che rappresenta il totale dei grani della Corona del Rosario, costituisce la sintesi dei numeri 15 e 12, di cui esso è multiplo rispettivamente seconda 4 e secondo 5. E così i 60 grani del S.Rosario alludono ai “12 Apostoli-Cavalieri” che, innalzando le “15 misteriche rose” (le quali, in ossequio alla S.Trinità, sono divise in tre gruppi: gaudiose, dolorose e gloriose), fanno da “corona” attorno al loro Re ed alla loro Regina.
“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” - Salmo CXV -.
Quei “Dodici” divengono allora i “pilastri” del “Trono di Dio”!
“Giustizia e diritto sono la base del trono di Dio” - Salmo LXXXVIII -.
“Le sue fondamenta sono sui monti santi” - Salmo LXXXVI -.
La S.Vergine del Rosario, attorno al cui capo brillano 12 stelle, è il prototipo dell’“Ecclesia” nella sua intatta integralità, la quale si costituisce come complementarietà tra Papato (12 Apostoli-Cavalieri) ed Impero (12 Cavalieri-Apostoli).
“Ave, Tu sei per la Chiesa qual torre possente; Ave Tu sei per l’Impero qual forte muraglia”
- Inno Akathistos, XXIII -.
Il Cavaliere lotta affinché il “Trono della Terra Santa”, cioè l’“Ecclesia Papato-Impero”, sia ripristinato nella sua naturale e completa integrità. E affinché ciò possa realizzarsi nella storia, egli deve riuscire intanto a realizzarlo specularmente anche nel proprio cuore: perché egli stesso attraverso il S.Rosario diviene “Terra Santa”.
“Il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua dimora” - Salmo CXXXI -.
“E’ in Gerusalemme la sua dimora, la sua abitazione” - Salmo LXXV -.
Ossia, si identifica con Essa in quanto il Logos viene ad abitare in lui conferendogli il
“sacerdozio-regale”.
“Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek” - Salmo CIX -.
“Li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra”
- Ap. V, 10 -.
In tal modo il Cavaliere entra a far parte a pieno titolo, per diritto e per merito, della nobilissima “stirpe di Jesse”; viene eletto “suo germoglio”, essendo oltre tutto il “tutore delle sue radici”. Ed è proprio tale privilegiata elezione che gli guadagna l’appartenenza all’èlite la cui responsabilità è appunto quella di combattere “in prima linea” le forze anticristiche, oggi espresse dal laicismo.
“Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici…Su di lui si poserà lo spirito del Signore…Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i poveri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese. La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà…La radice di Jesse si leverà a vessillo per i popoli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa” - Is. XI,1-10 -.
Tuttavia tale particolare “gloriosa distinzione”, a cui il Cavaliere è condotto in virtù della sua “milizia”, non comporta mai per lui alcun diritto; ma piuttosto solamente un dovere: quello di “glorificare” sempre e dovunque Nostro Signore Cristo Gesù.
“Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam” - Salmo CXIII -.