lunedì 6 agosto 2007

Il Codice d'onore del Cavaliere


Un codice d'onore della cavalleria in quanto istituzione cristiana non risulta sia mai stato redatto.È ben vero che noi potremmo compulsare la Sacra Bibbia, gli scritti dei Padri della Chiesa, le regole di quelli che chiamiamo comunemente ordini cavallereschi mentre meglio dovremmo parlare di religioni militari del medioevo precrociato e crociato. Attraverso la collazione dei molteplici elementi di tale complesso normativo potremmo delineare una sorta di testo unico; ma una elencazione organica dei princìpi di fede e di morale, dei diritti e dei doveri del cavaliere cristiano in tempo di pace e di guerra, sarebbe oggi, con tutta probabilità, null'altro che un monumento storico assai poco illuminante.Per ogni appassionato di storia sarebbe stato un vantaggio il possedere uno scritto organico, razionale nelle sue articolazioni, dettagliato nell'esposizione della normativa, esauriente e magari più completo dei testi unici e dei regolamenti che fanno da piattaforma ad una qualsiasi branca della vita sociale. .Codici del genere hanno impreziosito la cavalleria islamica e persino la classe dei samurai giapponesi, per non parlare delle allegorie degli esseni quali sono delineate nei testi qumranici. Ma la cavalleria cristiana dell'Europa medievale nulla o quasi pare avere lasciato. Eppure erano i tempi delle crociate antiislamiche in Terra Santa, della Reconquista nella penisola iberica da una parte, della lotta dei germanici cristiani contro i russi ortodossi, oltre che contro i tàtari musulmani. Tra quell'epoca convulsa da una parte, e dall'altra il nostro Novecento declinante, si è avuta una fioritura letteraria impreziosita da Torquato Tasso e da Matteo Maria Boiardo prima di cadere nelle astrusità di Jacopo Gelli e dei suoi epigoni, fatte giustamente bersaglio della satira impietosa di quel cavaliere autentico, seppure disarmato, che fu Alessandro Manzoni. Conosciamo abbastanza bene, anche perché ne esiste una traduzione italiana, il Kitab af-Futuwah (Libro della Cavalleria), un trattato di Abu 'Abd ar-Rahman ibn al-Husayn as-Sulami, un dotto arabo vissuto tra il 932 e il 1021. Assai meno noto è il Dokukodo (Camminare soli sulla strada) di Miwamoto Musachi, un samurai giapponese del XVII secolo. Pure, se cerchiamo un eauivalente europeo dei due testi, dobbiamo rassegnarci, per quanto stupefatti d'una lacuna del genere nella letteratura neolatina, romanza, nei cui contesto brillano i poemi del ciclo carolingio e di quello bretone, con alla testa la Chanson de Roland. Se taluni hanno scritto dei libri che saremmo tentati di tenere per fonti, lo hanno fatto quando la cavalleria in quanto istituzione viva e operante, se non era già tramontata, andava per lomeno percorrendo la fase terminale e la meno genuina della propria esistenza. Si sogliono citare il Libre del Orde de Ccivayleria del beato Ramón Llull, una "regola" scritta dal Vescovo di Cambrai, ed il Magmim Beigli Chronicon che riferisce l'incoronazione di Guglielmo d'Olanda a rè dei Romani; però il libro del Doctor illuminatus, come lo hanno chiamato il filosofo e mistico catalano, risale al 1275, il secondo documento è del 1330 e il terzo testo è stato scritto nel Quattrocento, quindi due secoli dopo l'incoronazione, avvenuta nel 1247, di colui che sarebbe succeduto a Federico II quale sovrano del Sacro Romano Impero. Più utile potrebbe essere il Liber de vita Christìana di Bonizone vescovo di Sutri, un cremonese nato nel 1045 e linciato a Piacenza nel 1091, che alla personalità del cavaliere dedica un capitolo intero. Ma tale libro non l'ho reperito. La lacuna nel complesso degli scritti normativi è lo stesso punto dolente che hanno riscontrato gli studiosi in un passato ancora prossimo come nell'epoca a noi contemporanea, tutti alla ricerca d'un qualche documento che permettesse qualche cosa di più dell'annaspare nel mare, magnum della poesia e del romanzo. Quando Leon Gautier, nel 1894, diede alle stampe il suo La Chevalerie, non potè che affidarsi all'estro degli scrittori medievali; nel secondo dopoguerra, Gustavo Cohen nella sua Histoire de la chevalerie en Franco au Moyen Age (1949) non riuscì a andare più lontano. Rassegnati dunque a rinunciare a un "manuale del perfetto cavaliere", cercheremo di enucleare qualcuna delle qualità più appariscenti che hanno connotato la dignità cavalieresca, e lo faremo ricorrendo a testi che, se nulla hanno di normativo, se non potrebbero essere intesi come strumenti giuridici, pure possono rendersi, per noi, fortemente illuminanti.In primo luogo vediamo il menzionato Magnum Beigli Chronicon, redatto in occasione dell'incoronazione di Guglielmo d'Olanda a rè dei Romani, nel quale si legge: Regala Militaris Ordinis prcescripta Wilhelmo, cum in Regem Romanorum eligeretur a Principibus Imperi] in Cominjs Coloniensibus. Anno Domini MCCXLVII. Dominus autem Cardinalis in Pontìfìcalibus assistens omamenns eidem Armigero dixit, secundum Etymologiam nominis, quodMiles esse debeat.-Magnanimus in adversitate.- Ingenuus in consanguineitate.- Largifluus in benestate.- Egregius in Curialitate.- Strenuus in virili peditate.Sed antequam votimi luce professionis facias cum matura deliberatìone, lugum Regulce prius audias. Ista est Regula Militaris Ordinis.I. Inprimis cum devota recordatione Dominicoe passionisMfssam quotiate audire.II. Pro fide Catholica corpus audacter exponere. III. Sanctam Ecclesiam cum ministris eius a quibusdam grassatoribus liberare.IV. Viduas, pupillos, ac orphanos in eorum necessitate protegere.V. Iniusta bella vitare.VI. Iniqua stipendia renuere.VII. Pro liberatìone cuiuslibet innocentis duellum mire.VIII. imperatori Romanorum, seu eius patrocinio reverenter in temporalibus obedire.IX. Rempublicam illibatam in vigore suo permittere.X. Bona Feudalia Regni, ve!Imperi}nequaquam alienare. XI. Ac irreprehensibiliter apudDeum, et homines in hocMundo vivere.Regola dell'Ordine Militare prescritta da Guglielmo quando fa eletto Rè dei Romani dai Prìncipi dell'Impero nel congresso di Colonia nell'anno del Signore 1247. Il Signor Cardinale, che assisteva in paramenti pontificali, disse a colui che secondo l'etimologia del nome si chiama l'Armigero, come debba essere il Cavaliere:- magnanimo nelle avversità,- generoso con la parentela,- abbondante di onorabilità,- distinto tra le autorità, - coraggioso nella milizia.Precisando: Prima che tu, con matura deliberazione, emetta il voto della tua professione, ascolta il giogo della regola. Questa è la regola dell'Ordine Militare: I. Innanzitutto ascoltare devotamente, ogni giorno, la Messa memoriale della Passione del Signore.II. Esporre audacemente il corpo per la fede cattolica.III. Liberare la Santa Chiesa con i suoi ministri da qualsiasi brigante.IV. Proteggere nelle loro necessità le vedove, i fanciulli, gli orfani.V. Evitare le guerre ingiuste.VI. Rifiutare le ricompense ingiuste. VII. Battersi in duello per la liberazione di qualsiasi innocente.VIII. Obbedire rispettosamente, negli affari temporali, sia all'Imperatore dei Romani, sia alla sua autorità.IX. Conservare lo Stato integro nel suo vigore.X. Non alienare mai i beni feudali del Regno o dell'Impero.XI. Vivere in questo mondo in modo irreprensibile al cospetto di Dio e degli uomini..La Regula di Guglielmo, come gli altri scritti, certo non può soddisfare il nostro desiderio tutto moderno, tutto cartesiano se vogliamo, di vedere illustrata compiutamente la figura del cavaliere in ogni suo dettaglio, ponendole basi per orientarsi in un'eventuale casistica- Emergono da essa, nondimeno, i lineamenti d'un carattere che ben si addicono al cavaliere di ogni epoca come di ogni professione ideologica. Anche se la cavalleria è aperta a tutti, il cavaliere è innanzitutto un "chiamato": è colui che risponde ad una "vocazione" in perfetta sintonia con Colui che "chiama": lo si dica Dio o Allah o s'impieghi qualsiasi altro termine. È un credente pronto ad esporre la propria vita per la fede, ad affrontare il pericolo senza mai indietreggiare, senza debolezze, senza rassegnazione, bensì con l'audacia dei generosi, ogni qualvolta ravvisi il profilarsi d'un pericolo per la giustizia. È un alleato degl'inermi, degl'indifesi, pronto a battersi per loro, rifiutando se del caso i vantaggi derivanti dal servire i potenti, e più sovente ancora, i prepotenti. È fedele al suo dovere, e se il desiderio tutto umano, e dunque perfettamente comprensibile, del guadagno può agire da molla in tante evenienze, pure teme il disonore più della morte. Non per nulla un cavaliere modello è stato Baiardo, il cavaliere senza macchia e senza paura. La Regula di Guglielmo può essere illuminante; però vanno debitamente considerati i libri liturgici, nei quali si hanno parole interessanti. Il Pontificale Romanum, in un'epoca posteriore, ma certo riprendendo concetti e formulazioni del passato, fa pregare cosi il Vescovo ufficiante il rito consacratorio del Cavaliere novello: Domine sancte, Poter omnipotens, aeterne Deus, qui cuncta solus ordinas et recto disponis, qui ad coèrcendam malitìam reproborum et tuendain justìtìam, usum gladii m terris homini- bus tua salubri disposinone permisistì, et militarem ordinem ad populi protectionem instìtui voluistì, quique per beatum Joannem militibus ad se m deserto venientìbus, ut neminem con- cuterent, sedpropriis contenti essent stìpendiis dicifecistì: clementìam tuam. Domine, suppliciter exoramus, ut sicut David puero tuo Goliam supe- randi largitus es facultatem, et Judam Machabaeum feritate gentìum nomen tuum non invo- cantìum triumpharefecistì; ita et huic famulo tuo, qui noviterjugo militiae colla supponi!, piotate coelestì vires et au- daciam adfìdei etjustìtiae defensionem tribuas, et praestes eifìdei, spei, et charìtatìs aug- mentum; et da fui tìmorem pariter et amorem, humilitatem perseverantìam, oboedientiam, et patientìam bonam, et cuncta in eo recto disponas, ut neminem cum gladio isto, voi alio, inju- ste laedat: et omnia cum eojusta et recto defendat: et sicut ipse de minori gradu adnovum militiae promovetur honorem, ita veterem hominem deponens cum actìbus suis, novum induat hominem: ut tè tìmeat et recto coiai, perfìdorum consortia vitet, et suam in proximum charitatem extendat, praeposito suo in omnibus recto obediat, et suum in cunctisjuste afficium exequatur. (O Signore santo. Padre onnipotente, eterno Iddio, che da solo ordini tutte le cose e le disponi secondo giustizia, tu che per reprimere la malvagità dei reprobi e per difendere la giustizia permettesti l'uso della spada sulla terra agli uomini secondo la tua salutare disposizione e volesti che fosse istituito l'ordine della Cavalleria per la protezione del popolo, e per mezzo del beato Giovanni facesti dire ai soldati che a lui nel deserto erano venuti di non depredare nessuno ma di essere contenti dei loro salari; supplici imploriamo la tua clemenza, o Signore: così come elargisti a David tuo servo la capacità di vincere Golia e facesti trionfare Giuda Maccabeo sulla malvagità delle genti che non invocavano il tuo nome, così anche a questo tuo servo, il quale va sottoponendo il collo al giogo della milizia, concedi con pietà celeste la forza e l'audacia per la difesa della fede e della giustizia, e aumenta la sua fede, la sua speranza e la sua carità; concedigli pure timore e amore per tè, umiltà, perseveranza, obbedienza, buona pazienza; disponilo per intero verso il giusto, affinchè non danneggi ingiustamente alcuno con questa spada o con un'altra, e difenda con essa quanto vi è di giusto e di retto; e poiché egli è promosso da uno stato inferiore alla nuova dignità della milizia, così, abbandonato il vecchio uomo con le sue azioni, accolga in sé un uomo nuovo: ti tema, ti onori in modo giusto, eviti di frequentare i perfidi, rivolga al prossimo la sua carità, obbedisca rettamente al suo superiore in ogni occasione ed esegua sempre il suo ufficio secondo giustizia. In queste espressioni ammantate di aulica solennità si tracciano i lineamenti essenziali del cavaliere cristiano ideale. Non chiediamoci se a tanta magniloquenza abbia corrisposto una realtà: si sa che dal sacramento e dal sacramentale non bisogna attendersi dei miracoli, tant'è vero che lo spirito genuino del servizio armato si inquinerà al contatto con la ricchezza, il benessere, l'ascesa sociale, infettando l'istituzione cavalleresca con i germi della decadenza così come aveva fatto nel Cristianesimo prima col sacerdozio, e poi con il monachesimo. Purtuttavia, non va dimenticato che così come la goccia scava la pietra, la catechesi costante ha condotto ad una indubbia evoluzione, ad un ingentilimento dei costumi, a una ben più affinata visione dell'uomo e del suo modo d'intendere e, quel che più conta, vivere la fede cristiana. Un'altra fonte preziosa di notizie sulla cavalleria e i suoi adepti, i suoi ideali e le regole d'una convivenza non sempre pacifica tra gente incline per natura alla lotta o spinta dalla sorte alla professione delle armi, l'abbiamo nella letteratura. Sulla base della tradizione orale, sono stati tramandati, in poesia come in prosa, eventi e personaggi che hanno acquistato un posto d'onore nella cultura dell'Europa neolatina e anglo-germanica. Figure come Roland, Orlando per noi, l'eroe di Roncisvalle, sono state nei secoli l'anima del teatro dei "pupi" che è gloria della Sicilia e condivide con l'Estremo Oriente la funzione di strumento primario nell'educazione delle masse popolari. Quando ho avuto la ventura di tenere all'Università delle Tré Età di Savona il quinto dei miei corsi sulle "Civiltà dell'Estremo Oriente", un corso denominato Cavalieri d'Oriente e d'Occidente, ho gustato io, e spero di avere fatto cogliere ai miei allievi, maturi di età ma ancor più di esperienza della vita, un fatto straordinario: l'esistenza d'un patrimonio ideale condiviso da civiltà assai lontane tra loro, lontane più nello spirito e nelle tradizioni che nella duplice dimensione spazio-temporale. Trasferiamoci in un qualsiasi ambiente dell'Europa sempre meno legata al civis romanus che aveva conquistato il mondo allora conosciuto imponendo la lex romana, e non quella soltanto. Il susseguirsi delle immigrazioni dall'oriente e dal nord, l'alternarsi dei cosiddetti barbari, gli stranieri portatori di concezioni e costumanze nuove, avevano affievolito lo spirito dello ius atutto beneficio della forza, al senso del diritto era subentrata la volontà del più potente. La saggezza della Chiesa ha fatto sì che energie dirompenti di uomini dal fisico robusto ma dallo spirito inquieto finissero incanalate e indirizzate con una gradualità imposta dalla natura umana più che da un piano organico di azione sociale. Ma ancora più saggia dobbiamo considerare la politica di modellamento delle coscienze a partire dalla prima età. Perché è proprio negli anni più teneri che si forma il carattere e tante doti, siano innate od acquisite, si consolidano. Comprendere bene questo fattore psicologico significa preparare le strutture portanti della società del domani, anche se non di rado il futuro ha riservato sorprese, delusioni, amarezze. "Cavaliere non si nasce, si diventa". È come dire: nessuno nasce perfetto, il carattere va formato. La pedagogia in quanto scienza continua ad insegnarlo; ma anche quando operava ancora in modo empirico seguiva appieno questo criterio. Ecco perché troviamo nell'istituzione cavalleresca una particolare attenzione per l'adolescenza e per la stessa fanciullezza: così come la troviamo nella liturgia della quale è ben nota l'efficacia formativa in ogni condizione psicofisica oltre che sociale. Una pedagogia per quanto rudimentale si pone degli obiettivi, più o meno chiari, più o meno organici, e di fronte alla varietà dei metodi uno ne adotta, non sempre consapevolmente. Sempre, comunque, ricorre alla legge della presentazione di modelli ai quali indirizzare i propri allievi: che i neofiti sono stati e continuano ad essere tali. La cavalleria aveva da un lato da rafforzare i propri ranghi, dall'altro da preparare le proprie future leve; in vista d'una continuità nella quale si riflette l'istinto di sopravvivenza, dell'uomo come delle istituzioni, occorreva assumere appunto dei modelli mostrandoli come figure ideali non solo, ma pienamente raggiungibili. Ed ecco delinearsi il cavaliere sanspeur et sans reproche, senza macchia e senza paura, capace di vivere appieno lo spirito cavalleresco nec laudìbus nec timore, liberi dal calcolo del premio quanto dalla paura di punizioni. È vero che un tipo d'uomo di questo genere si ha sulla carta come anche in quelle buone intenzioni delle quali la saggezza popolare dice che è lastricato l'inferno. Ma è altrettanto vero che se la cavalleria sviluppò una pedagogia sua propria, un'educazione peculiare per le finalità alle quali tendeva e che non sarebbero state di certo standardizzabili per la massa, lo fece prefiggendo a sé stessa ed ai suoi mèmbri, agli effettivi come a quelli da cooptare, un complesso di obbligazioni la cui osservanza conduceva all'elevazione costante, e non soltanto morale, mentre la loro violazione avrebbe comportato un abbassamento di fronte alla propria coscienza prima ancora che agli occhi altrui. Immaginiamo un fanciullo che, accanto a una dama, ma soprattutto ad un cavaliere, sente parlare in termini positivi e lusinghieri di elementi della vita che fanno dell'uomo una personalità libera seppure disciplinata, soddisfatta nell'esercizio costante della fedeltà, preoccupata di riscuotere costantemente l'approvazione della casta dei propri simili. Dieu premier servi: il servizio di Dio innanzitutto, così come proposto dai suoi rappresentanti in terra; quindi, Deus meumque ius, perché il senso della verità e del dovere non deve far velo alla difesa costante del proprio onore personale; poi l'esercizio di virtù naturaliter umane e per questo naturaliter cristiane, quali la disciplina, l'autocontrollo, la moderazione, la dedizione, la protezione dei deboli, la sollecitudine per i propri subalterni, la lealtà verso l'avversario, persino la generosità con il nemico sconfitto. Un ruolo considerevole è assegnato ai rapporti con la dama, incarnazione della bellezza e della grazia. È un amore rispettoso, tutt'altro che sdolcinato. Certo, nel tempo nostro che vede predominare quella che molti e troppi chiamano sincerità, schiettezza e via dicendo mentre meglio parleremmo di postribolarismo predominante, una tale correttezza si stenta a comprenderla; ma la rottura di ogni senso morale significa proprio il contrario della libertà: il decoro, la dignità, l'indirizzare la natura umana verso l'impero della ragione sulla sensualità animalesca, sono valori che l'età cavalleresca quanto meno insegnava a rispettare, non a deridere. Un'altra faccia del sentimento dell'onore e del dovere il fanciullo imparava: il mantenere fedeltà al suo signore e alla parola data. Il Machiavelli non era ancora nato, l'ideale era quello della "cortesia". In val d'Aosta, esempio degno di maggiore rilievo, i fanciulli di casa Challant venivano condotti di fronte agli stemmi degli antenati, e di ciascuno di questi si ricordavano le nobili azioni affinchè l'azione educativa si fondasse su elementi visivi tali da rafforzare la memoria e meglio foggiare il carattere. Erano la madre e due gentildonne a preparare il fanciullo a diventare paggio, quindi, alla corte d'un principe o d'un castellano, farsi domicellus e poi scudiere, percorrendo questo iter punteggiato da riti altamente formativi, fino a mostrarsi degno di portare le armi. Il ventunenne aspirante, superato un vero e proprio esame sotto forma di un'impresa, veniva "armato" cavaliere, ossia, riceveva solennemente le armi tutte sue nel corso d'un rito liturgico di investitura così ricco di simboli visivi e verbali e gestuali, preceduto da una "veglia d'armi" essa pure condotta ritualmente in modo da fissare taluni punti chiave; ed è proprio da questo complesso di atti, se non iniziatici, certo altamente allegorici, che è possibile ricavare parte delle norme morali per le quali la cavalleria avvertiva un legame del tutto particolare. Alla vigilia della solenne investitura il candidato si sottoponeva al bagno rituale che presenta tutti i caratteri della purificazione fisica intesa come un voto alla purezza dello spirito: una metanoia, un segno di penitenza e di conversione parallelo al battesimo. Indossava poi una cotta nera simbolo della morte, una tunica bianca simbolo dell'onore, e un manto rosso simbolo del sangue da versare, all'occorrenza, in difese della fede e di tutto ciò che è bene. Sempre digiuno, trascorreva la notte in cappella, ed era questa la "veglia d'armi". Il mattino, dopo la comunione sacramentale e la benedizione della spada, il Vescovo dava lettura dei doveri del cavaliere, poi procedeva all'investitura che consisteva nella vestizione (adoubemenf), nella consegna delle armi e nell'abbraccio finale (accolade): uno sviluppo delle tradizioni germaniche già note a Tacito e citate nella sua Germania. Ciascun elemento, come si può vedere, portava con sé un richiamo all'impegno di fedeltà da conservare al prezzo della vita stessa, al fatto che l'impiego delle armi era finalizzato alla tutela dell'onore di Dio e della Chiesa, del sovrano e dello Stato, di sé stesso e degli altri, specie i deboli, gl'inermi, gli indifesi. La stessa pompa del cerimoniale aveva una funzione ben precisa, più psicologica in senso ampliore che pedagogica in senso stretto: far comprendere che i valori soggiacenti a quelle esteriorità sfarzose erano inerenti al campo della morale e presupponevano l'impegno alla loro difesa. Le parole "La mia anima a Dio, la mia vita al Rè, il mio cuore alla mia dama, il mio onore a me", vanno ben distinte dalle frasi fatte, velano anzi tutta la filosofia della cavalleria medievale composta di idealità superiori. Varrà la pena di insistere sull'educazione cavalleresca come pure sul rituale dell'investitura perché, anche se non abbiamo noi un codice strido sensu, abbiamo però un quadro del complesso di valori dei quali il cavaliere doveva rappresentare l'incarnazione. Nella preparazione pluriennale non sarà difficile scorgere una chiara intenzionalità axiologica, una prospettiva alla quale orientare l'azione di chi, in vari tempi e a diversi livelli, aveva il compito delicato di farsi maestro d'un fanciullo, poi d'un adolescente, infine d'un giovane, con la piena consapevolezza che quell'allievo era stato chiamato da un destino sconosciuto e insondabile a farsi, un giorno, il portatore d'un ideale non solo, ma il difensore d'una visione tutta particolare della vita: armato di spada perché coscientemente votato al sacrificio. Un difensore esperto delle cose del mondo, esperto, per lo più a proprie spese, del fatto che il mondo non solo misconosce, ma disprezza e combatte ogni concezione elevatrice dello spirito, ogni ideologia schiettamente aristocratica. E tutto quello che può contribuire a rendere egregius l'uomo, ad elevarlo facendolo emergere dal gregge amorfo, anonimo, incolore, è sempre stato riguardato come un donchisciottismo di nessuna utilità o spregiato come espressione di superbia. Come in tutto ciò che è legato all'umanità, c'è da pensare che nell'intersecarsi della combattività con la religiosità ci fossero più aspirazioni che realtà; comunque, la regolamentazione nel ricorso alla forza e nell'uso delle armi così come adombrata da quanto rimane dei codici offre un contributo non indifferente alla comprensione d'un fenomeno che non sarebbe esatto circoscrivere al cristianesimo medievale e che spiega come sia stato possibile parlare di religioni militari ed anche di monaci guerrieri. Verranno i giorni in cui troverà accentuazione il misticismo che indirizzerà a ideali meno materiali, e più spiritualizzati ne risulteranno sia lo spirito, sia lo stile di vita. Si parlerà della queste du Graal, della ricerca del Santo Graal a voler simboleggiare l'anelito a quanto di più elevato possano albergare l'intelletto ed il cuore dell'uomo.
Quanto ho esposto non è di certo soddisfacente per il mio cortese uditorio, così come non lo è per me. Non lo considero una trattazione, ma solo un accenno, la puntualizzazione d'un tema che varrà la pena di sviluppare e approfondire sotto il duplice profilo storico e morale. Il mondo contemporaneo offre ai nostri occhi la visione d'una società che non lascia troppo sperare anche se non può dirsi tutta depravata, anche se lo stato di abiezione in cui è stata volutamente gettata viene dal calcolo d'una malvagità variamente paludata. L'irridere ai valori cavallereschi, ai valori morali tout court, il rafforzarsi costante dello spirito di casta nella lotta per il potere socio-politico ed economico, ha condotto ai risultati che tutti vedono fuorché coloro che dovrebbero vederli. Ma anche se non tutti hanno smarrito la retta coscienza, anche se esiste ancora la santità di vita spinta fino al suggello del martirio, sarà giocoforza guardare al futuro senza illusioni. Noi comunque seminiamo affinchè nel mondo di domani i valori della cavalleria possano emergere e trionfare sui disvalori dell'ora presente.

Franco Bigatti

membro del Royal Institute of Philosophy e della Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi
Presidente del Centro Studi Orientali di Savona