Di Cosmo Intini
(Terza parte)
La peggiore blasfemia del laicismo consiste forse proprio in questo: nel negare alla Chiesa di operare nella verità “del nome di”, e quindi “della fede per” Cristo Gesù! Ecco come Essa viene ancora criticata: “Se i suoi uomini (della Chiesa) si attribuiscono il pieno possesso dello spirito confondendolo così con quel mondo che essi sono, come potrà non valere anche per la Chiesa la legge inesorabile di tutte le istituzioni ‘secolarizzate’ che si insudiciano della corruzione dei loro membri e, alla fine, ne sono travolte? All’inizio del terzo Millennio, il papa Giovanni Paolo II ha ritenuto necessario chiedere perdono a Dio per un’impressionante sequela di misfatti della Chiesa cattolica, tutti dovuti a commistioni di fede e di potenza mondana. E’ stata un’ammissione di colpa rivolta al passato ma nulla impedisce di ipotizzare che altre ammissioni domani dovranno ripetersi con riguardo al nostro presente, quando sarà anch’esso passato”.[I]
Introdurre riflessioni concernenti il senso precipuo con cui intendere la “Giornata del perdono”, voluta espressamente da Giovanni Paolo II e celebrata il 12 marzo 2000, ci costringerebbe ad inopportune ed eccessive divagazioni: pertanto ce ne esimiamo! Ma non possiamo tuttavia sottacere la distorsione e la tendenziosità con cui l’argomento viene qui introdotto da Zagrebelsky. Questa richiesta di perdono viene infatti riletta strumentalmente dal laicismo ed assunta come alibi per giustificare il proprio anticlericalismo, in quanto evidente prova tanto della “fallibilità” della Chiesa cattolica, quanto della “scelleratezza” della Sua gerarchia, generalmente incline a collusioni di comodo con i potentati politici! “La Chiesa di Cristo ridotta al tavolo d’una partita”,[II] dirà altrove con il tono scandalizzato di un benpensante!
Ma le cose non stanno così, poiché il perdono non è stato invocato dalla Chiesa per Sé stessa come Istituto, ma per l’insieme dei propri figli; né tanto meno per avallare una sorta di “revisionismo storico”, ma per una purificazione della memoria; e nemmeno per giudicare singoli responsabili, ma per ribadire la propria generale fede nella Misericordia di Dio.
Dopo aver così cercato in vario modo di negare alla Chiesa l’effettivo e legittimo possesso dei Suoi attributi di “unità, santità, cattolicità e apostolicità”, proprio allora Zagrebelsky getta definitivamente la maschera svelando quale sia il reale scopo dell’accanimento laicista contro la gerarchia cattolica: la delegittimazione, attraverso essa, della Chiesa in toto. Dice infatti subito di seguito: “…possiamo dire che…la riduzione del Cristianesimo a Chiesa è un peccato (sic!) contro lo spirito”.[III]
Siamo comunque alle solite opportunistiche contraddizioni! Il Cristianesimo non può esser ridotto a Chiesa, eppure, quando fa comodo, Le si riconosce un certo credito in rapporto a quello: “…(il Cristianesimo) ha causato nei secoli momenti di terribile sopraffazione, ora condannati dalla Chiesa stessa”![IV] Sicché, con “liberale magnanimità”, Le si concede almeno il contentino: “Che ne viene allora? Allora…riconosciamo alla Chiesa il pieno diritto di partecipare, insieme agli altri, alla definizione delle nostre identità collettive, ma in parità morale con ogni interlocutore, senza che il nome cristiano giustifichi una pretesa d’incontestabilità”.[V]
Nonostante la “pruderie” mostrata in più di un’occasione da Zagrebelsky - ad esempio lì dove afferma di preoccuparsi di fornire “un solido terreno per fondare quella concordia tra credenti e non credenti che andiamo cercando”,[VI] o anche più avanti dove riconosce “aperto il campo di una vasta cooperazione…(al cui) compito sono chiamati, allo stesso tempo e con la medesima responsabilità verso la convivenza democratica, sia i laici che i credenti”[VII] - se di pretesa bisogna parlare essa è quella con cui il laicismo agogna di sottoporre la Chiesa cattolica al compromesso, in nome di un “dialogo” che è in realtà faziosamente posto soltanto sulle basi proprie del relativismo. Dato che non potrà mai esserci alcun dialogo tra due interlocutori ma solo sterili monologhi, a meno che non si decida preventivamente almeno di donare il medesimo significato alla terminologia da adoperare e di riconoscere il medesimo valore ai concetti che si metteranno in campo, ebbene, a ben guardare è proprio la democrazia laicista a costituirsi quale atteggiamento dal carattere aprioristicamente “anti-dialogo”, perché concede a tutti già in partenza la “babelica” legittimità di basarsi ognuno sui propri linguaggi! Chiedere insomma alla Chiesa di rinunciare alla propria incontestabilità spirituale in nome di un così “snaturato” dialogo, è non solo emblematico nella sua offensività e nella sua arroganza, ma è pure indice di un consapevole sotterfugio: quello che è volto cioè , con l’inganno, a farLa tacere per sempre sommergendoLa nel “chiassoso” disordine del relativismo!
E’ soltanto in questa ottica, e non altrimenti, che si può e si deve leggere infatti la condivisione entusiastica che Zagrebelsky mostra per le idee del teologo protestante D.Bonhoeffer, allorché questi “…abbozza il progetto di una teologia ‘senza Dio’ o, più precisamente, di una teologia che abbandona il Dio della religione, impersonata dalle chiese storiche…: una teologia che si rende possibile anche se, anzi proprio perché il Dio della religione non esiste (più). Nella ‘maggior età del mondo’, di un mondo che ‘basta a sé stesso’ e ‘funziona anche senza Dio’, e non meno bene di prima grazie allo straordinario sviluppo delle conoscenze scientifiche, etiche ed artistiche che riescono perfino a esorcizzare l’estremo terrore della morte tramite trattamenti della psiche (sic!) - dice Bonhoeffer - non c’è più posto per il deus ex machina della religione…poiché è venuto meno questo Dio che proclama la Verità dall’alto della croce, trono del mondo, si apre il tempo della fede nel Dio sofferente ‘che si lasci cacciare fuori dal mondo’ (sic!) e che possiamo conoscere gratuitamente e problematicamente nella fede purificata, disinteressata e ‘demitizzata’ ”.[VIII]
Dato per assodato che il “trono di Cristo nel mondo” è il “soglio di Pietro”, ebbene “cacciare Dio fuori dal mondo” equivale appunto ad “annullare la Chiesa cattolica”! Parole di una tale “mostruosità” non possono insomma essere pronunciate se non da chi intenda sostituire Cristo Gesù con quel noto “principe” che è signore di “questo mondo”!
Contrabbandare tutto ciò dietro un paravento pretestuoso quale possa essere il “dialogo” tra credenti e non credenti vuol dire travisare il reale e più corretto significato che in tale termine è implicito! La questione ci invita insomma ad una necessaria precisazione alla luce del fatto che esso “dialogo”, la cui attuazione è comunque pur sempre auspicata proprio dalla stessa Chiesa, troppo spesso si costituisce come uno dei più equivoci argomenti su cui il laicismo fonda le proprie demagogiche pretese.
In questo caso la demagogia consiste nel cavalcare l’errato presupposto secondo cui il “dialogo”, in ossequio al principio di “egualitarismo e libertinismo” - spacciati per “uguaglianza e libertà” -, rappresenti il democraticistico “processo di discussione con cui due contrari si sviluppano unitariamente risolvendosi in un superiore momento di sintesi”! Tuttavia va eccepito che tale definizione compete in realtà più al termine “dialettica” che non a quello di “dialogo”, il quale comporta invece col proprio etimo ben altra accezione e pregnanza!
Vi è da dire innanzitutto che la pretesa dei “non credenti laicisti”, montata sulla scia delle dichiarazioni conciliari, di dover usufruire per diritto di un dialogo con la Chiesa cattolica alla pari di un qualunque “dialogo interreligioso” - atteggiamento quest’ultimo che è d’altra parte sempre più specificatamente accolto dalla stessa Chiesa, per l’appunto dopo il Vaticano II, in quanto imprescindibile segno di doverosa disponibilità cattolica verso i credenti di altre religioni alla luce del riconoscimento anche in queste ultime dell’effettiva presenza di “elementi di verità e di bontà”-, nel postularsi tramite una illegittima sovrapposizione di contesti fra loro affatto differenti (religioni e sistemi culturali) tradisce, una volta di più, il perpetrarsi dell’inconfessata mistificazione, a cui si è già accennato precedentemente, operata da una concezione idolatrica della democrazia. Ma a parte ciò, se è vero come è vero che “il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza fra le religioni e tra i sistemi culturali umani”,[IX] ebbene né le dottrine religiose non cattoliche né tanto meno quelle culturali, peraltro erronee, possiedono allora per il Concilio un medesimo valore. Al contrario, “l’affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non contraddice affatto la condanna dell’indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica, anzi con essa è pienamente coerente”.[X]
Qual’è dunque il senso col quale intendere l’auspicio, da parte della Chiesa cattolica, di instaurare un “dialogo” con coloro ai quali il proprio Magistero nulla può concedere che possa comportare la seppur minima rinuncia alla centralità sia di Gesù Cristo che di Sé stessa, in quanto Sua vera ed unica Chiesa? Forse mai come in questo caso risulta illuminante considerare il termine secondo l’etimologia che ad esso pertiene in maniera più immediata!
Ebbene, derivando dal greco dia-logos, “dialogo” significa letteralmente “per mezzo, attraverso, a causa della parola”. Pertanto, trattandosi nella fattispecie della parola che è pronunciata dallo Spirito di Verità attraverso la Chiesa di Cristo, essa coincide allora proprio con ciò che usualmente si esprime alla greca con il termine “Logos”: ossia, il Verbo, la Parola assoluta, il Cristo stesso. Tale Parola non è quindi proposta dalla Chiesa cattolica per essere “dialetticamente” inserita in una discussione, ma molto più precisamente per essere “annunciata”: ed è ciò che costituisce davvero il “dialogo per eccellenza”! Del resto il verbo greco dialegomai, da cui il sostantivo dialogos trae origine, traduce appunto “converso, parlo, ragiono, spiego”; mentre da parte sua lo stesso sostantivo dialogos traduce, in una delle sue più antiche accezioni, persino “udienza”! Dal che si desume in definitiva che se al concetto più proprio di “dialogo” non concerne affatto alcun senso di “imposizione”, nondimeno esso non implica nemmeno alcun senso di “opinabilità”!
Nel Catechismo si afferma che la convinzione della Chiesa di poter e dover operare il dialogo con le altre religioni, e con i non credenti, trova la sua base nella convinzione del fatto che la ragione umana “può e deve conoscere Dio”.[XI] Ed inoltre vi si dice: “L’attività missionaria (a cui può essere aggiunta senz’altro anche quella pura e semplice di testimonianza, N.d.A.) implica un dialogo rispettoso con coloro che non accettano ancora il Vangelo…Se infatti (i credenti) annunziano la Buona Novella a coloro che la ignorano, è per consolidare, completare ed elevare la verità e il bene che Dio ha diffuso tra gli uomini e i popoli, e per purificarli dall’errore e dal male”.[XII]
Quando il laicismo (e attraverso di esso il democraticismo) erge il principio del dialogo a propria precipua virtù, accusando peraltro la Chiesa cattolica di difettarne, compie insomma una triplice anticristica mistificazione: si appropria di un valore che in senso assoluto appartiene soltanto alla Chiesa del Logos; sovverte tale valore rivestendolo di un significato contingente che non è più quello reale; lo “rispedisce al mittente”, per così dire, avvalendosene come strumento di rivalsa e di rivolta. Ecco infatti cosa pensa Zagrebelsky: “La democrazia della possibilità, della ricerca deve mobilitarsi contro chi rifiuta il dialogo, nega la tolleranza, ricerca soltanto il potere, crede di avere sempre ragione. Della democrazia critica, la mitezza - come atteggiamento dello spirito aperto al discorso comune, che aspira non a vincere ma a convincere ed è disposto a farsi convincere - è certamente la virtù cardinale. Ma solo il figlio di dio poté essere mite come l’agnello. Nella politica, la mitezza, per non farsi irridere come imbecillità, deve essere una virtù reciproca. Se non lo è, ad un certo punto prima della fine, bisogna rompere il silenzio e cessare di subire”.[XIII]
Da quanto osservato deriva insomma tutta l’“inaffidabilità” del sistema laicistico-democratico a costituirsi, con positiva disponibilità, quale fruitore di un dialogo con la Chiesa cattolica; e ciò vistane appunto l’indole scevra, per sua stessa ammissione, di ogni ritegno a formulare le proprie istanze se non alla luce del risentimento e della ribellione! Al di là dell’apparente pacatezza di quelle sue parole che inneggiano alla mitezza, l’ambiguità in cui cade Zagrebelsky allorché si dichiara democraticamente “disposto a farsi convincere”, manifesta in verità una palese ipocrisia. Innanzitutto perché non è né operabile né tanto meno opportuna l’equiparazione tra un fin troppo agevole atteggiamento che sia “disponibile al mutamento d’opinione” - privo cioè di un reale sforzo di abdicazione, operato da parte di chi, come lui, crede appunto relativisticamente in una pari validità delle diversificate “possibilità” -, con l’impossibilità ontologica per la Chiesa di “farsi convincere”, di mutare cioè il proprio credo su questioni contrarie alla Verità. E poi perché ciò sancisce in maniera chiara la differenza che è da porsi tra la cosiddetta “mitezza” vantata dal laicismo - peraltro da lui indebitamente assurta al ruolo di una “virtù cardinale”, essa che è in realtà e più precisamente uno dei dodici frutti dello Spirito Santo (cfr. Gal 5,22-23 vulg.) - e la “mansuetudine” cristiana: quella è infatti relativizzata (una volta di più) dal poter e voler sussistere solo nella reciprocità; questa è assoluta per il proprio sussistere sempre, fin’anche nel martirio!
Il ventilato bisogno-dovere della cosiddetta “mitezza democratica” di finalmente mobilitarsi per “rompere il silenzio e cessare di subire”, con il suo orgoglioso convincimento di non dover mai accondiscendere per non incorrere nell’umiliante pericolo di essere scambiata per “debolezza” (la quale costituisce propriamente la vera accezione del termine “imbecillità”), tradisce piuttosto la malcelata sussistenza di una vocazione a volersi imporre per l’appunto con la “forza”. E non conta nulla l’incidentale specificazione secondo cui tutto ciò varrebbe in un ambito più specificatamente “politico”! Infatti, l’irriverente e non casuale citazione riguardante la mitezza del “figlio di dio” (scritto emblematicamente tutto in minuscolo), nella sua sottile ironia che la pone ai limiti della bestemmia conferma che, per Zagrebelsky, la tanto auspicata remissività alle regole laiciste deve essere recepita ed assunta anche da coloro che si ostinassero a voler riconoscere Cristo come proprio modello: a cominciare quindi dalla gerarchia! E che tutto ciò sia un esplicito riferimento proprio alla Chiesa, viene del resto confermato dalle ulteriori sue seguenti affermazioni: “La Chiesa vuole essere ‘dialogante’. Purtroppo però, adottato un atteggiamento esteriore amichevole, non sembra mutato quello interiore. Gli interlocutori continuano ad essere considerati non come dei diversi, ma come degli inferiori, sul piano morale e razionale”.[XIV]
Per Zagrebelsky è pertanto la Chiesa che “rifiuta il dialogo, nega la tolleranza, ricerca soltanto il potere, crede di avere sempre ragione”: “…l’interlocutore non cattolico, per la Chiesa, è uno che, in moralità e razionalità, vale poco o niente; è uno che le circostanze inducono a tollerare (sic!), ma di cui si farebbe volentieri a meno…Il dialogo non è questione di convinzione, ma di opportunismo dettato da forza maggiore o da ragioni tattiche”.[XV] Di conseguenza, a parte la contraddittoria questione sull’effettiva tolleranza o meno della Chiesa, a coloro che sono da Essa con arroganza oppressi non resta altro di legittimo che la “ribellione”!
Vogliamo osservare a tal proposito, e verrebbe da leggere ciò proprio alla luce di un conclamato caso di nomen omen, che la suddetta indole incline alla “rivolta” contro la gerarchia cattolica, più volte palesata da Zagrebelsky, ritrovi curiosamente concorde riflesso appunto nel fatto che dalla scomposizione del suo cognome venga fuori la locuzione “rebel-sky”, che in inglese traduce “ribelle al cielo”! Mentre “zag-”, da parte sua, trova significativa attinenza col tedesco “zach”, che traduce “cosa a punta”; nonchè con lo spagnolo “zaga”, “parte posteriore, coda”. Del resto, lo “zig-zag” indica il “serpeggiare” ed il russo “zagovor” traduce “cospirazione”, ma anche “esorcismo”!
Vogliamo forse con questo indire un qualche processo, e poi pure emettere qualche sentenza? Assolutamente no; perché non è nelle nostre intenzioni giudicare, ma solo esprimere delle contingenze oggettive ancorché singolari. Oltretutto, anche perché il laicismo positivista e materialista non potrebbe mai accondiscendere a ritenere tali operazioni semantiche niente più che giochetti privi di alcun senso scientifico e quindi concreto!
Nondimeno, in maniera sorprendente proprio Zagrebelsky si lascia andare ad una riflessione di tal genere: “Accade però talvolta…che da parte cattolica, anche altolocata, si ricorra ancora oggi a denunce di collusioni demoniache, non solo per modo di dire (la riduzione delle figure della fede a simboli è condannata) onde, anche chi scrive questo articolo potrebbe essere un adepto, nel migliore dei casi incosciente, di Satana”.[XVI]
Il discorso qui risulta inserito nel più grande contesto della “questione morale”; la quale per Zagrebelsky non deve porsi “…nei termini triviali di una graduatoria di meriti e demeriti. Nessuno dovrebbe arrischiarsi a rivendicare un primato di questo genere. Non può esserci una competizione come questa, da cui tutti rischierebbero di uscire malconci”.[XVII] In altre parole, secondo Zagrebelsky la gerarchia cattolica (la parte cattolica “altolocata”), vittima già di suo di una eccepibilità morale, non può con supponenza riconoscere la superiorità appunto morale del Cristianesimo - né tanto meno la propria – sul laicismo; tacciando peraltro quest’ultimo, nei casi limite, addirittura di esplicita collusione con il male! E per avvalorare la propria tesi conclude: “Postulare una morale esterna, dispensata da un’autorità, sia pure paterna come la Provvidenza divina, significa, nel grande colloquio sulla libertà che occupa un celeberrimo capitolo (II, 5, 5) dei Karamazov, dare ragione all’Inquisitore e torto al Cristo”.[XVIII]
Non scenderemo nei dettagli di un’analisi del tanto qui decantato, “celeberrimo capitolo” del romanzo di Dostoevskij, né in un contraddittorio con le numerosissime voci laiciste che, cavalcando i contenuti della nota “Leggenda del Grande Inquisitore” a cui qui si allude, li adoperano per stabilire e poi anche confermare la (per loro) reale sussistenza di una frattura tra Cristo e la gerarchia della Sua Chiesa (nella fattispecie impersonata appunto dall’Inquisitore); Chiesa pertanto accusata di detenere, proprio Essa, un’identità “anticristica”. Per una confutazione immediata di tali calunniose prese di posizione, contro qualunque tentazione che pretenda di riconoscere e decretare alcun contenuto di verità al testo in oggetto ci basta solamente osservare che esso non è, né si può pretendere che esso sia più di quel che gli compete essere: un testo letterario e non sacro; una rappresentazione realizzata da invenzione umana e non certamente una scrittura ascrivibile ad una rivelazione divina!
A Zagrebelsky piace però convincersi della quasi “sacrale” autorità di tale testo, tanto da citarlo a modello in più di un’occasione[XIX] e dedicandogli addirittura la pubblicazione di un intero saggio, forgiandosi così una “verità” ad hoc e pretendendo pure che essa venga accolta dai cattolici medesimi come quella per essi più consona!
La confusione tra verità e verosimiglianza, la quale ultima è l’unica qualità che può concedersi ad un romanzo, sia pur esso d’argomento filosofico-religioso, procede di pari passo con la confusione reiteratamente perpetrata tra “moralità” dell’individuo e “legge morale” a lui esterna! Se la prima è indicativa della libertà goduta dalla persona umana in quanto tale, padrona cioè di agire secondo un giudizio di coscienza che può suggerirgli, in virtù di maggiore o minore ragione, atti “buoni o cattivi”; la seconda invece è “opera della Sapienza divina,…un insegnamento paterno, una pedagogia di Dio”,[XX] la quale viene ratificata, ossia “emanata dall’autorità competente in vista del bene comune…Suppone l’ordine razionale stabilito tra le creature…E’ dichiarata e stabilita dalla ragione come una partecipazione alla provvidenza del Dio vivente, Creatore e Redentore di tutti. L’ordinamento della ragione (del Logos, N.d.A.), ecco ciò che si chiama la legge”.[XXI] Ciò ribadisce insomma l’autonomia, la libertà, ma non certo l’indipendenza della moralità rispetto alla legge morale; e tale specificazione vale come risposta a tutti gli interrogativi ed ai dubbi sollevati in maniera puramente artistico-filosofica, e non punto dottrinale-teologica, dal romanzo di Dostoevskij, nel quale l’Inquisitore rappresenta, ma non è certamente la Chiesa, ed il Prigioniero rappresenta, ma non è certamente Gesù!
Anche la “moralità” delle persone umane che compongono la gerarchia non può sottrarsi agli obblighi di “dipendenza” dalla “legge morale”: è ovvio! Ma la pretesa di rinfacciar loro la legittimità di parlare “in nome” della legge morale e pertanto di effettivamente ratificarne i principi, pur nell’imperfezione morale della loro natura umana, ebbene ciò significa voler, in maniera subdola, rigettare la divinità di Cristo Gesù concedendoGli solamente la Sua umanità! Ma il Mistero è tutto qui: Cristo è Dio nel mentre è uomo! E secondo entrambe le persone, umana e divina, rimarrà sempre accanto alla Chiesa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt 28,20)! E’ solo il “grande tentatore” che può sedurre con la menzogna; è solo il “grande mistificatore” che può istillare il dubbio; è solo il “grande ribelle” che può istigare alla rivolta!
Certamente, alla fine di tutta questa disamina contro la tentazione, la mistificazione, la ribellione laicista, non vogliamo nascondere la crisi di moralità e di autorevolezza patita in questi tempi dalla gerarchia. Ma se sono in crisi la Sua moralità, ossia la capacità di aderire alla legge morale, e la Sua autorevolezza, ossia la capacità di guadagnarsi la considerazione popolare, tuttavia non può essere messa in discussione la Sua autorità nel dispensare realmente la legge morale.
D’altronde non è nemmeno di questo che deve preoccuparsi il fedele laico; anche perché “…quel servo che, conoscendo la volontà del padrone, non dispone e non fa secondo il volere di lui, sarà aspramente flagellato, mentre colui che non la conosce, ma opera in modo da meritare delle percosse, ne riceverà di meno. Molto sarà richiesto a colui che molto ha ricevuto, e più si esigerà da colui al quale molto è stato affidato” (Lc 12, 47-48). Il che rappresenta un chiaro monito verso i “pastori” alla cui guida è stato “affidato il gregge” di Cristo! Monito il quale, se non assolve il gregge, perlomeno lo esonera da molte responsabilità!
D’altro canto, in maniera in certo qual modo “speculare”, merita pure che qui si faccia menzione di quel passo della Gaudium et spes in cui si riconosce che “…la potenza di Dio molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni” (IV, 76)! Il che rappresenta questa volta un “incoraggiamento” all’indirizzo di tutti i credenti affinché non disperino, pur non esonerandoli dalle rispettive responsabilità.
In quanto fedeli e pertanto unici e veri “laici”, proprio perchè desiderosi di non essere confusi con gli atei “laicisti”, non possiamo e non dobbiamo cadere nella trappola di operare il medesimo loro “delegittimante” gioco anticristico: quello cioè secondo cui sussisterebbe un problema che sarebbe da ricondursi alle responsabilità esclusive della gerarchia. Valgono piuttosto i reiterati inviti che con sempre maggior insistenza (se non supplica) provengono da una certa parte della gerarchia stessa, a ché si ponga rimedio alla mancanza di un’efficace presenza di una forte e determinata proposta che sia appunto “puramente e legittimamente laicale”, e che miri pertanto alla “tutela” della Chiesa: nel mondo e dal mondo. Tale è difatti la funzione precipua dei laici, il “ministero” che è ad essi pertinente!
Val bene per l’appunto ricordare quanto opportunamente scriveva Attilio Mordini:
“Dicendo questo non intendiamo affatto muovere un processo al clero. Il problema concerne solo il laicato; e le cause del fenomeno sono da ricercarsi nell’affermazione del guelfismo. Da parte del clero, anzi, si sono avuti molti lodevoli tentativi di mutare in meglio la situazione, ma tutto è inutile se non si risale decisamente alle cause prime…Rispondere alle esigenze del proprio tempo significava, nell’era del cristianesimo equestre e veramente militante, combattere di secolo in secolo, e con la medesima tenacia, le eresie tipiche del momento, e quindi instaurare un ordinamento civile atto alla difesa delle istituzioni e delle anime dal morbo che di volta in volta s’avventava sulla Chiesa. Invece nel tempo moderno, vivere il proprio tempo significa, in pratica, accondiscendere alle eresie del secolo cercando un modus vivendi con quelle, purché sia salva la possibilità di ottemperare ai precetti della Chiesa. Da lungo tempo, le organizzazioni del laicato cattolico non sono più state all’altezza dell’avventarsi continuo dei nemici del Cristianesimo e della civiltà; in una parola, i cattolici non sono più stati capaci di combattere”.[XXII]
Concludiamo, dunque, sintetizzando il pensiero: oggi manca quella Cavalleria che possa ergersi quale baluardo difensivo contro le insidie anticristiche che mirano a demolire il castrum della Chiesa cattolica, l’aedificium del Corpo mistico di Cristo; quelle insidie di cui il laicismo democraticistico costituisce per l’appunto l’ariete di sfondamento e di cui Zagrebelsky ha dimostrato d’essere uno dei più pericolosi alfieri!
29 settembre 2007 (nella festa di S.Michele Arcangelo, patrono della Cavalleria)
Cosmo Intini
Assoc. Studi Cavallereschi “S.Giuseppe da Leonessa”
[I] Idem, pg.87.
[II] Idem, pg.159.
[III] Idem, pg.87.
[IV] Idem, pg.48.
[V] Idem, pg.87.
[VI] Idem, pg.17.
[VII] Idem, pg.23.
[VIII] Idem, pg.18.
[IX] Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede del 24/11/2002.
[X] Ibidem.
[XI] Cfr. Catechismo della C.C., 39.
[XII] Idem, 856.
[XIII] G.Zagrebelsky, Il crucifige e la democrazia, Einaudi, Torino 1995.
[XIV] Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.146.
[XV] Idem, pg.148.
[XVI] Idem, pg.146.
[XVII] Ibidem.
[XVIII] Idem, pg.147.
[XIX] Cfr. idem, pgg.23, 118, 146, 147.
[XX] Catechismo della C.C., 1950.
[XXI] Idem, 1951.
[XXII] A.Mordini, Il tempio del Cristianesimo. Per una retorica della storia, Il Cerchio, Rimini 2006, p.139.
Introdurre riflessioni concernenti il senso precipuo con cui intendere la “Giornata del perdono”, voluta espressamente da Giovanni Paolo II e celebrata il 12 marzo 2000, ci costringerebbe ad inopportune ed eccessive divagazioni: pertanto ce ne esimiamo! Ma non possiamo tuttavia sottacere la distorsione e la tendenziosità con cui l’argomento viene qui introdotto da Zagrebelsky. Questa richiesta di perdono viene infatti riletta strumentalmente dal laicismo ed assunta come alibi per giustificare il proprio anticlericalismo, in quanto evidente prova tanto della “fallibilità” della Chiesa cattolica, quanto della “scelleratezza” della Sua gerarchia, generalmente incline a collusioni di comodo con i potentati politici! “La Chiesa di Cristo ridotta al tavolo d’una partita”,[II] dirà altrove con il tono scandalizzato di un benpensante!
Ma le cose non stanno così, poiché il perdono non è stato invocato dalla Chiesa per Sé stessa come Istituto, ma per l’insieme dei propri figli; né tanto meno per avallare una sorta di “revisionismo storico”, ma per una purificazione della memoria; e nemmeno per giudicare singoli responsabili, ma per ribadire la propria generale fede nella Misericordia di Dio.
Dopo aver così cercato in vario modo di negare alla Chiesa l’effettivo e legittimo possesso dei Suoi attributi di “unità, santità, cattolicità e apostolicità”, proprio allora Zagrebelsky getta definitivamente la maschera svelando quale sia il reale scopo dell’accanimento laicista contro la gerarchia cattolica: la delegittimazione, attraverso essa, della Chiesa in toto. Dice infatti subito di seguito: “…possiamo dire che…la riduzione del Cristianesimo a Chiesa è un peccato (sic!) contro lo spirito”.[III]
Siamo comunque alle solite opportunistiche contraddizioni! Il Cristianesimo non può esser ridotto a Chiesa, eppure, quando fa comodo, Le si riconosce un certo credito in rapporto a quello: “…(il Cristianesimo) ha causato nei secoli momenti di terribile sopraffazione, ora condannati dalla Chiesa stessa”![IV] Sicché, con “liberale magnanimità”, Le si concede almeno il contentino: “Che ne viene allora? Allora…riconosciamo alla Chiesa il pieno diritto di partecipare, insieme agli altri, alla definizione delle nostre identità collettive, ma in parità morale con ogni interlocutore, senza che il nome cristiano giustifichi una pretesa d’incontestabilità”.[V]
Nonostante la “pruderie” mostrata in più di un’occasione da Zagrebelsky - ad esempio lì dove afferma di preoccuparsi di fornire “un solido terreno per fondare quella concordia tra credenti e non credenti che andiamo cercando”,[VI] o anche più avanti dove riconosce “aperto il campo di una vasta cooperazione…(al cui) compito sono chiamati, allo stesso tempo e con la medesima responsabilità verso la convivenza democratica, sia i laici che i credenti”[VII] - se di pretesa bisogna parlare essa è quella con cui il laicismo agogna di sottoporre la Chiesa cattolica al compromesso, in nome di un “dialogo” che è in realtà faziosamente posto soltanto sulle basi proprie del relativismo. Dato che non potrà mai esserci alcun dialogo tra due interlocutori ma solo sterili monologhi, a meno che non si decida preventivamente almeno di donare il medesimo significato alla terminologia da adoperare e di riconoscere il medesimo valore ai concetti che si metteranno in campo, ebbene, a ben guardare è proprio la democrazia laicista a costituirsi quale atteggiamento dal carattere aprioristicamente “anti-dialogo”, perché concede a tutti già in partenza la “babelica” legittimità di basarsi ognuno sui propri linguaggi! Chiedere insomma alla Chiesa di rinunciare alla propria incontestabilità spirituale in nome di un così “snaturato” dialogo, è non solo emblematico nella sua offensività e nella sua arroganza, ma è pure indice di un consapevole sotterfugio: quello che è volto cioè , con l’inganno, a farLa tacere per sempre sommergendoLa nel “chiassoso” disordine del relativismo!
E’ soltanto in questa ottica, e non altrimenti, che si può e si deve leggere infatti la condivisione entusiastica che Zagrebelsky mostra per le idee del teologo protestante D.Bonhoeffer, allorché questi “…abbozza il progetto di una teologia ‘senza Dio’ o, più precisamente, di una teologia che abbandona il Dio della religione, impersonata dalle chiese storiche…: una teologia che si rende possibile anche se, anzi proprio perché il Dio della religione non esiste (più). Nella ‘maggior età del mondo’, di un mondo che ‘basta a sé stesso’ e ‘funziona anche senza Dio’, e non meno bene di prima grazie allo straordinario sviluppo delle conoscenze scientifiche, etiche ed artistiche che riescono perfino a esorcizzare l’estremo terrore della morte tramite trattamenti della psiche (sic!) - dice Bonhoeffer - non c’è più posto per il deus ex machina della religione…poiché è venuto meno questo Dio che proclama la Verità dall’alto della croce, trono del mondo, si apre il tempo della fede nel Dio sofferente ‘che si lasci cacciare fuori dal mondo’ (sic!) e che possiamo conoscere gratuitamente e problematicamente nella fede purificata, disinteressata e ‘demitizzata’ ”.[VIII]
Dato per assodato che il “trono di Cristo nel mondo” è il “soglio di Pietro”, ebbene “cacciare Dio fuori dal mondo” equivale appunto ad “annullare la Chiesa cattolica”! Parole di una tale “mostruosità” non possono insomma essere pronunciate se non da chi intenda sostituire Cristo Gesù con quel noto “principe” che è signore di “questo mondo”!
Contrabbandare tutto ciò dietro un paravento pretestuoso quale possa essere il “dialogo” tra credenti e non credenti vuol dire travisare il reale e più corretto significato che in tale termine è implicito! La questione ci invita insomma ad una necessaria precisazione alla luce del fatto che esso “dialogo”, la cui attuazione è comunque pur sempre auspicata proprio dalla stessa Chiesa, troppo spesso si costituisce come uno dei più equivoci argomenti su cui il laicismo fonda le proprie demagogiche pretese.
In questo caso la demagogia consiste nel cavalcare l’errato presupposto secondo cui il “dialogo”, in ossequio al principio di “egualitarismo e libertinismo” - spacciati per “uguaglianza e libertà” -, rappresenti il democraticistico “processo di discussione con cui due contrari si sviluppano unitariamente risolvendosi in un superiore momento di sintesi”! Tuttavia va eccepito che tale definizione compete in realtà più al termine “dialettica” che non a quello di “dialogo”, il quale comporta invece col proprio etimo ben altra accezione e pregnanza!
Vi è da dire innanzitutto che la pretesa dei “non credenti laicisti”, montata sulla scia delle dichiarazioni conciliari, di dover usufruire per diritto di un dialogo con la Chiesa cattolica alla pari di un qualunque “dialogo interreligioso” - atteggiamento quest’ultimo che è d’altra parte sempre più specificatamente accolto dalla stessa Chiesa, per l’appunto dopo il Vaticano II, in quanto imprescindibile segno di doverosa disponibilità cattolica verso i credenti di altre religioni alla luce del riconoscimento anche in queste ultime dell’effettiva presenza di “elementi di verità e di bontà”-, nel postularsi tramite una illegittima sovrapposizione di contesti fra loro affatto differenti (religioni e sistemi culturali) tradisce, una volta di più, il perpetrarsi dell’inconfessata mistificazione, a cui si è già accennato precedentemente, operata da una concezione idolatrica della democrazia. Ma a parte ciò, se è vero come è vero che “il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza fra le religioni e tra i sistemi culturali umani”,[IX] ebbene né le dottrine religiose non cattoliche né tanto meno quelle culturali, peraltro erronee, possiedono allora per il Concilio un medesimo valore. Al contrario, “l’affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non contraddice affatto la condanna dell’indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica, anzi con essa è pienamente coerente”.[X]
Qual’è dunque il senso col quale intendere l’auspicio, da parte della Chiesa cattolica, di instaurare un “dialogo” con coloro ai quali il proprio Magistero nulla può concedere che possa comportare la seppur minima rinuncia alla centralità sia di Gesù Cristo che di Sé stessa, in quanto Sua vera ed unica Chiesa? Forse mai come in questo caso risulta illuminante considerare il termine secondo l’etimologia che ad esso pertiene in maniera più immediata!
Ebbene, derivando dal greco dia-logos, “dialogo” significa letteralmente “per mezzo, attraverso, a causa della parola”. Pertanto, trattandosi nella fattispecie della parola che è pronunciata dallo Spirito di Verità attraverso la Chiesa di Cristo, essa coincide allora proprio con ciò che usualmente si esprime alla greca con il termine “Logos”: ossia, il Verbo, la Parola assoluta, il Cristo stesso. Tale Parola non è quindi proposta dalla Chiesa cattolica per essere “dialetticamente” inserita in una discussione, ma molto più precisamente per essere “annunciata”: ed è ciò che costituisce davvero il “dialogo per eccellenza”! Del resto il verbo greco dialegomai, da cui il sostantivo dialogos trae origine, traduce appunto “converso, parlo, ragiono, spiego”; mentre da parte sua lo stesso sostantivo dialogos traduce, in una delle sue più antiche accezioni, persino “udienza”! Dal che si desume in definitiva che se al concetto più proprio di “dialogo” non concerne affatto alcun senso di “imposizione”, nondimeno esso non implica nemmeno alcun senso di “opinabilità”!
Nel Catechismo si afferma che la convinzione della Chiesa di poter e dover operare il dialogo con le altre religioni, e con i non credenti, trova la sua base nella convinzione del fatto che la ragione umana “può e deve conoscere Dio”.[XI] Ed inoltre vi si dice: “L’attività missionaria (a cui può essere aggiunta senz’altro anche quella pura e semplice di testimonianza, N.d.A.) implica un dialogo rispettoso con coloro che non accettano ancora il Vangelo…Se infatti (i credenti) annunziano la Buona Novella a coloro che la ignorano, è per consolidare, completare ed elevare la verità e il bene che Dio ha diffuso tra gli uomini e i popoli, e per purificarli dall’errore e dal male”.[XII]
Quando il laicismo (e attraverso di esso il democraticismo) erge il principio del dialogo a propria precipua virtù, accusando peraltro la Chiesa cattolica di difettarne, compie insomma una triplice anticristica mistificazione: si appropria di un valore che in senso assoluto appartiene soltanto alla Chiesa del Logos; sovverte tale valore rivestendolo di un significato contingente che non è più quello reale; lo “rispedisce al mittente”, per così dire, avvalendosene come strumento di rivalsa e di rivolta. Ecco infatti cosa pensa Zagrebelsky: “La democrazia della possibilità, della ricerca deve mobilitarsi contro chi rifiuta il dialogo, nega la tolleranza, ricerca soltanto il potere, crede di avere sempre ragione. Della democrazia critica, la mitezza - come atteggiamento dello spirito aperto al discorso comune, che aspira non a vincere ma a convincere ed è disposto a farsi convincere - è certamente la virtù cardinale. Ma solo il figlio di dio poté essere mite come l’agnello. Nella politica, la mitezza, per non farsi irridere come imbecillità, deve essere una virtù reciproca. Se non lo è, ad un certo punto prima della fine, bisogna rompere il silenzio e cessare di subire”.[XIII]
Da quanto osservato deriva insomma tutta l’“inaffidabilità” del sistema laicistico-democratico a costituirsi, con positiva disponibilità, quale fruitore di un dialogo con la Chiesa cattolica; e ciò vistane appunto l’indole scevra, per sua stessa ammissione, di ogni ritegno a formulare le proprie istanze se non alla luce del risentimento e della ribellione! Al di là dell’apparente pacatezza di quelle sue parole che inneggiano alla mitezza, l’ambiguità in cui cade Zagrebelsky allorché si dichiara democraticamente “disposto a farsi convincere”, manifesta in verità una palese ipocrisia. Innanzitutto perché non è né operabile né tanto meno opportuna l’equiparazione tra un fin troppo agevole atteggiamento che sia “disponibile al mutamento d’opinione” - privo cioè di un reale sforzo di abdicazione, operato da parte di chi, come lui, crede appunto relativisticamente in una pari validità delle diversificate “possibilità” -, con l’impossibilità ontologica per la Chiesa di “farsi convincere”, di mutare cioè il proprio credo su questioni contrarie alla Verità. E poi perché ciò sancisce in maniera chiara la differenza che è da porsi tra la cosiddetta “mitezza” vantata dal laicismo - peraltro da lui indebitamente assurta al ruolo di una “virtù cardinale”, essa che è in realtà e più precisamente uno dei dodici frutti dello Spirito Santo (cfr. Gal 5,22-23 vulg.) - e la “mansuetudine” cristiana: quella è infatti relativizzata (una volta di più) dal poter e voler sussistere solo nella reciprocità; questa è assoluta per il proprio sussistere sempre, fin’anche nel martirio!
Il ventilato bisogno-dovere della cosiddetta “mitezza democratica” di finalmente mobilitarsi per “rompere il silenzio e cessare di subire”, con il suo orgoglioso convincimento di non dover mai accondiscendere per non incorrere nell’umiliante pericolo di essere scambiata per “debolezza” (la quale costituisce propriamente la vera accezione del termine “imbecillità”), tradisce piuttosto la malcelata sussistenza di una vocazione a volersi imporre per l’appunto con la “forza”. E non conta nulla l’incidentale specificazione secondo cui tutto ciò varrebbe in un ambito più specificatamente “politico”! Infatti, l’irriverente e non casuale citazione riguardante la mitezza del “figlio di dio” (scritto emblematicamente tutto in minuscolo), nella sua sottile ironia che la pone ai limiti della bestemmia conferma che, per Zagrebelsky, la tanto auspicata remissività alle regole laiciste deve essere recepita ed assunta anche da coloro che si ostinassero a voler riconoscere Cristo come proprio modello: a cominciare quindi dalla gerarchia! E che tutto ciò sia un esplicito riferimento proprio alla Chiesa, viene del resto confermato dalle ulteriori sue seguenti affermazioni: “La Chiesa vuole essere ‘dialogante’. Purtroppo però, adottato un atteggiamento esteriore amichevole, non sembra mutato quello interiore. Gli interlocutori continuano ad essere considerati non come dei diversi, ma come degli inferiori, sul piano morale e razionale”.[XIV]
Per Zagrebelsky è pertanto la Chiesa che “rifiuta il dialogo, nega la tolleranza, ricerca soltanto il potere, crede di avere sempre ragione”: “…l’interlocutore non cattolico, per la Chiesa, è uno che, in moralità e razionalità, vale poco o niente; è uno che le circostanze inducono a tollerare (sic!), ma di cui si farebbe volentieri a meno…Il dialogo non è questione di convinzione, ma di opportunismo dettato da forza maggiore o da ragioni tattiche”.[XV] Di conseguenza, a parte la contraddittoria questione sull’effettiva tolleranza o meno della Chiesa, a coloro che sono da Essa con arroganza oppressi non resta altro di legittimo che la “ribellione”!
Vogliamo osservare a tal proposito, e verrebbe da leggere ciò proprio alla luce di un conclamato caso di nomen omen, che la suddetta indole incline alla “rivolta” contro la gerarchia cattolica, più volte palesata da Zagrebelsky, ritrovi curiosamente concorde riflesso appunto nel fatto che dalla scomposizione del suo cognome venga fuori la locuzione “rebel-sky”, che in inglese traduce “ribelle al cielo”! Mentre “zag-”, da parte sua, trova significativa attinenza col tedesco “zach”, che traduce “cosa a punta”; nonchè con lo spagnolo “zaga”, “parte posteriore, coda”. Del resto, lo “zig-zag” indica il “serpeggiare” ed il russo “zagovor” traduce “cospirazione”, ma anche “esorcismo”!
Vogliamo forse con questo indire un qualche processo, e poi pure emettere qualche sentenza? Assolutamente no; perché non è nelle nostre intenzioni giudicare, ma solo esprimere delle contingenze oggettive ancorché singolari. Oltretutto, anche perché il laicismo positivista e materialista non potrebbe mai accondiscendere a ritenere tali operazioni semantiche niente più che giochetti privi di alcun senso scientifico e quindi concreto!
Nondimeno, in maniera sorprendente proprio Zagrebelsky si lascia andare ad una riflessione di tal genere: “Accade però talvolta…che da parte cattolica, anche altolocata, si ricorra ancora oggi a denunce di collusioni demoniache, non solo per modo di dire (la riduzione delle figure della fede a simboli è condannata) onde, anche chi scrive questo articolo potrebbe essere un adepto, nel migliore dei casi incosciente, di Satana”.[XVI]
Il discorso qui risulta inserito nel più grande contesto della “questione morale”; la quale per Zagrebelsky non deve porsi “…nei termini triviali di una graduatoria di meriti e demeriti. Nessuno dovrebbe arrischiarsi a rivendicare un primato di questo genere. Non può esserci una competizione come questa, da cui tutti rischierebbero di uscire malconci”.[XVII] In altre parole, secondo Zagrebelsky la gerarchia cattolica (la parte cattolica “altolocata”), vittima già di suo di una eccepibilità morale, non può con supponenza riconoscere la superiorità appunto morale del Cristianesimo - né tanto meno la propria – sul laicismo; tacciando peraltro quest’ultimo, nei casi limite, addirittura di esplicita collusione con il male! E per avvalorare la propria tesi conclude: “Postulare una morale esterna, dispensata da un’autorità, sia pure paterna come la Provvidenza divina, significa, nel grande colloquio sulla libertà che occupa un celeberrimo capitolo (II, 5, 5) dei Karamazov, dare ragione all’Inquisitore e torto al Cristo”.[XVIII]
Non scenderemo nei dettagli di un’analisi del tanto qui decantato, “celeberrimo capitolo” del romanzo di Dostoevskij, né in un contraddittorio con le numerosissime voci laiciste che, cavalcando i contenuti della nota “Leggenda del Grande Inquisitore” a cui qui si allude, li adoperano per stabilire e poi anche confermare la (per loro) reale sussistenza di una frattura tra Cristo e la gerarchia della Sua Chiesa (nella fattispecie impersonata appunto dall’Inquisitore); Chiesa pertanto accusata di detenere, proprio Essa, un’identità “anticristica”. Per una confutazione immediata di tali calunniose prese di posizione, contro qualunque tentazione che pretenda di riconoscere e decretare alcun contenuto di verità al testo in oggetto ci basta solamente osservare che esso non è, né si può pretendere che esso sia più di quel che gli compete essere: un testo letterario e non sacro; una rappresentazione realizzata da invenzione umana e non certamente una scrittura ascrivibile ad una rivelazione divina!
A Zagrebelsky piace però convincersi della quasi “sacrale” autorità di tale testo, tanto da citarlo a modello in più di un’occasione[XIX] e dedicandogli addirittura la pubblicazione di un intero saggio, forgiandosi così una “verità” ad hoc e pretendendo pure che essa venga accolta dai cattolici medesimi come quella per essi più consona!
La confusione tra verità e verosimiglianza, la quale ultima è l’unica qualità che può concedersi ad un romanzo, sia pur esso d’argomento filosofico-religioso, procede di pari passo con la confusione reiteratamente perpetrata tra “moralità” dell’individuo e “legge morale” a lui esterna! Se la prima è indicativa della libertà goduta dalla persona umana in quanto tale, padrona cioè di agire secondo un giudizio di coscienza che può suggerirgli, in virtù di maggiore o minore ragione, atti “buoni o cattivi”; la seconda invece è “opera della Sapienza divina,…un insegnamento paterno, una pedagogia di Dio”,[XX] la quale viene ratificata, ossia “emanata dall’autorità competente in vista del bene comune…Suppone l’ordine razionale stabilito tra le creature…E’ dichiarata e stabilita dalla ragione come una partecipazione alla provvidenza del Dio vivente, Creatore e Redentore di tutti. L’ordinamento della ragione (del Logos, N.d.A.), ecco ciò che si chiama la legge”.[XXI] Ciò ribadisce insomma l’autonomia, la libertà, ma non certo l’indipendenza della moralità rispetto alla legge morale; e tale specificazione vale come risposta a tutti gli interrogativi ed ai dubbi sollevati in maniera puramente artistico-filosofica, e non punto dottrinale-teologica, dal romanzo di Dostoevskij, nel quale l’Inquisitore rappresenta, ma non è certamente la Chiesa, ed il Prigioniero rappresenta, ma non è certamente Gesù!
Anche la “moralità” delle persone umane che compongono la gerarchia non può sottrarsi agli obblighi di “dipendenza” dalla “legge morale”: è ovvio! Ma la pretesa di rinfacciar loro la legittimità di parlare “in nome” della legge morale e pertanto di effettivamente ratificarne i principi, pur nell’imperfezione morale della loro natura umana, ebbene ciò significa voler, in maniera subdola, rigettare la divinità di Cristo Gesù concedendoGli solamente la Sua umanità! Ma il Mistero è tutto qui: Cristo è Dio nel mentre è uomo! E secondo entrambe le persone, umana e divina, rimarrà sempre accanto alla Chiesa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt 28,20)! E’ solo il “grande tentatore” che può sedurre con la menzogna; è solo il “grande mistificatore” che può istillare il dubbio; è solo il “grande ribelle” che può istigare alla rivolta!
Certamente, alla fine di tutta questa disamina contro la tentazione, la mistificazione, la ribellione laicista, non vogliamo nascondere la crisi di moralità e di autorevolezza patita in questi tempi dalla gerarchia. Ma se sono in crisi la Sua moralità, ossia la capacità di aderire alla legge morale, e la Sua autorevolezza, ossia la capacità di guadagnarsi la considerazione popolare, tuttavia non può essere messa in discussione la Sua autorità nel dispensare realmente la legge morale.
D’altronde non è nemmeno di questo che deve preoccuparsi il fedele laico; anche perché “…quel servo che, conoscendo la volontà del padrone, non dispone e non fa secondo il volere di lui, sarà aspramente flagellato, mentre colui che non la conosce, ma opera in modo da meritare delle percosse, ne riceverà di meno. Molto sarà richiesto a colui che molto ha ricevuto, e più si esigerà da colui al quale molto è stato affidato” (Lc 12, 47-48). Il che rappresenta un chiaro monito verso i “pastori” alla cui guida è stato “affidato il gregge” di Cristo! Monito il quale, se non assolve il gregge, perlomeno lo esonera da molte responsabilità!
D’altro canto, in maniera in certo qual modo “speculare”, merita pure che qui si faccia menzione di quel passo della Gaudium et spes in cui si riconosce che “…la potenza di Dio molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni” (IV, 76)! Il che rappresenta questa volta un “incoraggiamento” all’indirizzo di tutti i credenti affinché non disperino, pur non esonerandoli dalle rispettive responsabilità.
In quanto fedeli e pertanto unici e veri “laici”, proprio perchè desiderosi di non essere confusi con gli atei “laicisti”, non possiamo e non dobbiamo cadere nella trappola di operare il medesimo loro “delegittimante” gioco anticristico: quello cioè secondo cui sussisterebbe un problema che sarebbe da ricondursi alle responsabilità esclusive della gerarchia. Valgono piuttosto i reiterati inviti che con sempre maggior insistenza (se non supplica) provengono da una certa parte della gerarchia stessa, a ché si ponga rimedio alla mancanza di un’efficace presenza di una forte e determinata proposta che sia appunto “puramente e legittimamente laicale”, e che miri pertanto alla “tutela” della Chiesa: nel mondo e dal mondo. Tale è difatti la funzione precipua dei laici, il “ministero” che è ad essi pertinente!
Val bene per l’appunto ricordare quanto opportunamente scriveva Attilio Mordini:
“Dicendo questo non intendiamo affatto muovere un processo al clero. Il problema concerne solo il laicato; e le cause del fenomeno sono da ricercarsi nell’affermazione del guelfismo. Da parte del clero, anzi, si sono avuti molti lodevoli tentativi di mutare in meglio la situazione, ma tutto è inutile se non si risale decisamente alle cause prime…Rispondere alle esigenze del proprio tempo significava, nell’era del cristianesimo equestre e veramente militante, combattere di secolo in secolo, e con la medesima tenacia, le eresie tipiche del momento, e quindi instaurare un ordinamento civile atto alla difesa delle istituzioni e delle anime dal morbo che di volta in volta s’avventava sulla Chiesa. Invece nel tempo moderno, vivere il proprio tempo significa, in pratica, accondiscendere alle eresie del secolo cercando un modus vivendi con quelle, purché sia salva la possibilità di ottemperare ai precetti della Chiesa. Da lungo tempo, le organizzazioni del laicato cattolico non sono più state all’altezza dell’avventarsi continuo dei nemici del Cristianesimo e della civiltà; in una parola, i cattolici non sono più stati capaci di combattere”.[XXII]
Concludiamo, dunque, sintetizzando il pensiero: oggi manca quella Cavalleria che possa ergersi quale baluardo difensivo contro le insidie anticristiche che mirano a demolire il castrum della Chiesa cattolica, l’aedificium del Corpo mistico di Cristo; quelle insidie di cui il laicismo democraticistico costituisce per l’appunto l’ariete di sfondamento e di cui Zagrebelsky ha dimostrato d’essere uno dei più pericolosi alfieri!
29 settembre 2007 (nella festa di S.Michele Arcangelo, patrono della Cavalleria)
Cosmo Intini
Assoc. Studi Cavallereschi “S.Giuseppe da Leonessa”
[I] Idem, pg.87.
[II] Idem, pg.159.
[III] Idem, pg.87.
[IV] Idem, pg.48.
[V] Idem, pg.87.
[VI] Idem, pg.17.
[VII] Idem, pg.23.
[VIII] Idem, pg.18.
[IX] Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede del 24/11/2002.
[X] Ibidem.
[XI] Cfr. Catechismo della C.C., 39.
[XII] Idem, 856.
[XIII] G.Zagrebelsky, Il crucifige e la democrazia, Einaudi, Torino 1995.
[XIV] Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.146.
[XV] Idem, pg.148.
[XVI] Idem, pg.146.
[XVII] Ibidem.
[XVIII] Idem, pg.147.
[XIX] Cfr. idem, pgg.23, 118, 146, 147.
[XX] Catechismo della C.C., 1950.
[XXI] Idem, 1951.
[XXII] A.Mordini, Il tempio del Cristianesimo. Per una retorica della storia, Il Cerchio, Rimini 2006, p.139.