Stiamo assistendo oggi sempre più ad una sorta di " dialettica della persecuzione" nei confronti della Chiesa e della fede del popolo di Cristo Gesù. Una fede che fino a prova contraria è qui con noi da due millenni. E' questa lenta sostituzione per cosa? In Italia il laicismo mostra il suo infame volto luciferino dell'anticristo sia dichiarandosi apertamente ostile alla Rivelazione cristiana in nome di una religione scientista, di una religione comunista, di una religione ecologista, di una religione " cristiana adulta", ecc. ecc. sia dichiarandosi subdolamente ed ipocritamente non ostile a Cristo e quindi alla Chiesa, ma trasformando la Viva Presenza di Cristo in un cristo moralista umanitario, che non esito a definire il cristo del volemose bene, il cristo campagna elettorale (che schifezza!!!). Il "Gesù fast food" delle nuove ideologie politiche utopiche. Chi oggi sta macchinando simili discorsi è nemico del popolo italiano!!! Chi oggi sta lavorando per cancellare la memoria dei nostri padri è nemico del popolo italiano!!! Chi oggi sta contribuendo a distruggere la tradizione cristiana sopravvissuta due millenni su questo suolo italiano è nemico di queste genti e tradisce i nostri antenati!!! In messico il governo massonico laicista, con forti influenze ( ahimè!!!) statunitensi, lavorò pian piano all'inizio e poi sempre più accanitamente per cancellare la fede cristiana del popolo ma ne ottenne invece una eroica e radicale resistenza. Resistenza di mite militanza fino al martirio. Quello che colpisce nei combattenti Cristeros è la Presenza viva e costante di Cristo. Non un cristo ideologia. Ma un Cristo morto risorto e presente, anche nei momenti di forte prova. Un'ostinata obbedienza alla gerarchia ecclesiastica anche di fronte ad errori umani eclatanti, e la costante recita del Rosario come arma essenziale fu la fisionomia di questa lotta. Il messico di quegli anni deve giungere a noi oggi come esempio e monito affinchè quotidianamente possiamo combattere per difendere la fede in noi e poi verso i più deboli i quali si vedono bersagliati anche oggi dai nemici di sempre. Difendiamo la fede del popolo! Custodiamo la presenza del Vivo Amore di Cristo in mezzo a noi. Non dimentichiamo la nostra tradizione. O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi e per quanti a Voi non ricorrono! In particolar modo per i nemici della Santa Chiesa e per quelli che Vi sono raccomandati!
Federico Intini
Ass. Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa
di Paolo Giulisano
Un frutto dell’odio ideologico del ‘900: la persecuzione del governo massonico e laicista messicano contro la Chiesa. La resistenza popolare, l’insurrezione dei Cristeros, i tanti martiri. E le tre encicliche di Papa XI. [Da «Il Timone» n. 57, novembre 2006]
Nel corso del Novecento, dolorosamente percorso da immani tragedie conseguenza soprattutto del clima ideologico segnato dall’odio anticristiano, si è verificato anche un episodio ancor oggi poco conosciuto di martirio. Si trattò di una tremenda persecuzione, che si trascinò poi ancora per moltissimo tempo dopo il triennio cruento (1926-1929), lasciando effetti duraturi sulla struttura politica e sociale del Messico, determinando in maniera irreversibile il destino forse anche dell’intero sub-continente latino-americano. Fu un conflitto scatenato contro una società contadina, tradizionale, cattolica, un’aggressione perpetrata da uno Stato autoritario uscito da un processo rivoluzionario. Sarà papa Giovanni Paolo II (1978-2005) ad elevare agli onori degli altari alcuni martiri della persecuzione messicana: sacerdoti e laici, militanti delle organizzazioni cattoliche, tra cui Manuel Morales, presidente della Lega Nazionale per la difesa della libertà religiosa. Uomini e donne che testimoniarono con coraggio la loro fede contro un governo che nella propria Costituzione affermava, tra l’altro, che «L’esistenza di qualsiasi ordine e congregazione religiosa resta proibito» (art. 5); «ogni culto è proibito fuori delle chiese, e nelle chiese il culto sarà sempre sottomesso all’ispezione dell’autorità civile» (art. 24); «le chiese sono proprietà dello Stato. Tutte le associazioni religiose sono incapaci di acquistare, possedere o amministrare beni immobili». L’epopea della Cristiada annovera come suoi protomartiri Joaquim Silva e Manuel Melgarejo, il primo di 27 anni, il secondo di soli 17, entrambi mlitanti della Gioventù cattolica. Dopo il provvedimento della sospensione del culto pubblico voluto dai vescovi messicani per protestare contro le misure del governo, Silva aveva cominciato, insieme all’amico, a percorrere il paese e a tenere conferenze nelle quali, grazie ad una solida cultura, una fede appassionata e una concezione della vita come milizia, sapeva accendere gli animi dell’uditorio e spronarlo alla lotta. Domenica 12 settembre 1925, mentre si dirigevano in treno a Zamora per tenervi uno di questi incontri, vennero arrestati e condannati a morte senza nemmeno un processo. Inutilmente Silva chiese che almeno l’amico minorenne fosse risparmiato. Entrambi furono condotti al muro, dove i soldati non riuscirono a strappare dalle loro mani le corone del Rosario. Di fronte al plotone d’esecuzione Joaquim Silva tenne un discorso talmente toccante per sentimenti religiosi e patriottici, che gli stessi soldati ne furono commossi. Uno di essi si rifiutò di prender parte all’esecuzione, così che venne a sua volta arrestato e passato per le armi il giorno seguente. Joaquim disse con fermezza al comandante: «Non siamo dei criminali, né abbiamo paura della morte. lo stesso vi darò il segnale di sparare, quando griderò viva Cristo Re, viva la Vergine di Guadalupe». Così avvenne: al grido di battaglia e di vittoria lanciato dai due giovani partì la scarica di fucileria che li abbattè. I corpi dei due eroi furono esposti più tardi nel cimitero: stringevano ancora tra le mani i rosari, e furono rivestiti di bianche vesti, dopo che i loro abiti insanguinati erano stati divisi in frammenti, come reliquie, tra i fedeli del paese. Tra i martiri si poterono annoverare anche amministratori pubblici, come Luis Navarro Origel, il sindaco terziario francescano della città di Peniamo, fondatore nella sua regione dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, di società di mutuo soccorso, casse rurali, sezioni della Gioventù Cattolica, circoli culturali, scuole di catechismo, propagatore instancabile dell’adorazione eucaristica notturna. Dopo quattro anni di amministrazione corretta e vantaggiosa per la popolazione, venne destituito di forza dal governo, prima di essere assassinato. Un’altra figura commovente della persecuzione fu Tomàs de la Mora, di Colima, un ragazzo di soli sedici anni, uno dei più attivi membri del locale Circolo Cattolico, che svolgeva l’attività di catechista tra i bambini più poveri. Il 15 agosto 1927 fu arrestato per il semplice motivo che portava uno scapolare, ossia un pezzo di stoffa con una immagine sacra, simbolo di una confraternita religiosa. Il comandante della caserma gli domandò se avesse rapporti con "i fanatici", ovvero preti, frati, cattolici e briganti. «Non fanatici - rispose il ragazzo - ma liberatori della Chiesa e della Patria dai tiranni». Tomàs fu allora frustato, affinchè fornisse informazioni sui ribelli, ma fu tutto inutile. Il comandante ordinò allora che venisse impiccato all’Albero della libertà che era stato eretto, cupo retaggio della Rivoluzione Francese, nella piazza principale della città. Un esempio di eroismo femminile è quello di Eleonora Garduno, arrestata per complicità coi ribelli. Interrogata dal generale Ortiz, uno dei principali collaboratori di Calles, che aveva per motto "il mio dio è il diavolo", la cui figura portava tatuata sul petto, ricevette dal militare l’offerta della scarcerazione, in cambio di una docile collaborazione. La ragazza rispose: «Lei mi chiede una cosa impossibile: io continuerò a lavorare finché questo governo cadrà». Anche lei finì davanti al plotone d’esecuzione. Quando portarono alla moglie dell’avvocato Gonzales, una delle guide dell’insurrezione, il cadavere straziato del marito, la donna chiamò vicino i figli e disse: «Guardatelo, è vostro padre. È un martire della Fede. Promettetegli che anche voi sarete degni figli e continuerete un giorno la sua opera». Accanto a questi uomini, donne e ragazzi, occorre ricordare il tanto sangue sacerdotale versato. Furono centinaia i sacerdoti uccisi: poveri parroci di villaggio, giovani strappati dal seminario (con l’intenzione di "liberarli"!) monaci uccisi nei loro conventi. Fra di essi il più celebre è senz’altro padre Miguel Augustin Pro, gesuita, di Guadalupe, assassinato a soli trentasette anni nel 1927, riconosciuto come martire dalla Chiesa il 25 settembre 1988. Ma non solo lui. Padre Elia Nieves, agostiniano: nonostante il divieto, continuò a esercitare il suo ministero, recandosi ovunque era necessario confortare, aiutare, amministrare i sacramenti. La polizia, venuta a conoscenza dei fatti, lo fece pedinare e arrestare mentre, in una soffitta, celebrava la Messa. Condannato a morte, venne condotto sul luogo dell’esecuzione. Dopo essersi inginocchiato a pregare, si rivolse ai soldati del plotone di esecuzione: «In ginocchio, figli miei. Prima di morire voglio darvi la mia benedizione». I soldati obbedirono e si inchinarono riverenti al gesto del sacerdote. Mentre padre Nieves tracciava il segno di croce, l’ufficiale che comandava il picchetto, infuriato, gli sparò al petto, uccidendolo mentre ancora benediva. A volte gli aguzzini si divertivano a infierire sui sacerdoti senza ucciderli; venivano loro tagliate le braccia per impedire che in futuro potessero celebrare la Messa. Don Pablo Garcia subì una sorte atroce: parroco zelante, anch’egli sfidava le leggi e ogni pericolo. Volle celebrare con grande solennità la festa nazionale di Nostra Signora di Guadalupe e il 12 dicembre raccolse il suo popolo in un luogo solitario sulla montagna di S. Juan de los Lagos. Scoperto, arrestato, venne orribilmente torturato per giorni. «La morte, ma mai tradire» ripeteva il sacerdote, finché fu finito a colpi di pistola. Padre Davide Uribe, annoverato nel gruppo di martiri beatificati da papa Giovanni Paolo II, fu strappato al suo gregge, dopo essere stato rinchiuso in un campo di concentramento. Riuscì tuttavia ad evadere e tornò alla sua parrocchia di Iguala, continuando ad esercitare, in forma clandestina, il suo ministero. Finì per essere nuovamente arrestato. Il generale governativo Castrejon propose ai parrocchiani di riscattare il sacerdote consegnando tremila pesos. Furono raccolti immediatamente, a costo anche di enormi sacrifici, ma il parroco non fu rilasciato: si pretendeva da lui un pubblico atto di apostasia e di adesione alla scismatica chiesa patriottica. Pabre Uribe rifiutò decisamente e fu allora sottoposto a lunghe torture, tra le quali il supplizio della graticola. La Domenica delle Palme del 1927 spirò dopo i terribili tormenti subiti. Le sue ultime parole furono: «la morte piuttosto che rinnegare il Vicario di Cristo, lo amo il Papa! Viva il Papa!». Il suo corpo, gettato per strada, venne raccolto e gli fu data sepoltura con grandi onori. Bibliografia Papa Pio XI ha dedicato alla vicenda messicana tre encicliche, Iniquis afflictisque, del 18 novembre 1926, Acerba animi, del 29 settembre 1932, Firmissimam constantia, del 28 marzo 1937: cfr. Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, a.c. di Ugo Bellocchi, voli. IX e X, LEV, 2002. Jean Meyer, La Cristiada, Mexico-Madrid-Buenos Aires 1973 (3 voli.) Paolo Gulisano, «Viva Cristo Re», Il Cerchio, 1998.
di Paolo Gulisano
Sono i Cristeros, cattolici perseguitati che per affermare il loro diritto di vivere la fede si trovarono costretti a prendere le armi. Al grido di Viva Cristo Rey. In Messico, negli anni Venti del secolo scorso. Dominato dalla Massoneria. [Da "Il Timone" n. 14 Luglio/Agosto 2001]
Tra gli eventi che nel XX hanno visto per protagonisti quelli che Giovanni Paolo II chiama "i nuovi martiri", uno era finora sfuggito all’attenzione del grande pubblico: il martirio subito dalla Chiesa in Messico. Raccontiamo questa storia dimenticata, che diffficilmente si trova nei libri di storia, quella di una rivolta di coraggiosi, di contadini, maestri, impiegati, madri di famiglia, che insorsero in difesa della libertà concrete (di fede, di diritto ad un insegnamento libero, ad una socialità non soffocata dallo Stato), che combatterono contro il genocidio culturale: l’epopea dei Cristeros. Prima della celeberrima rivoluzione avvenuta agli inizi del XX secolo, il Messico aveva conosciuto, nello spazio di cinquant’anni, settantadue colpi di stato e trentasei costituzioni: la corsa al potere era continua e avveniva nel crepitio delle fucilate. Tra i vari litiganti chi seppe trarre profitto fu l’Amministrazione Statunitense, appoggiando di volta in volta gli ambiziosi contendenti e soffiando sul fuoco della discordia. Fin dai primi anni della loro indipendenza gli Stati Uniti rivolsero particolare attenzione alle ricchezze dell’ex-colonia spagnola. Ai primi dell’Ottocento incorporarono la Louisiana e la Florida, e oltre ai commerci vi impiantarono ben presto un’aggressiva attività missionaria protestante, allo scopo di "delatinizzare" quelle regioni la cui popolazione era quasi interamente cattolica. A metà del secolo, gli USA crearono un incidente diplomatico col Messico, a cui fece seguito una breve ed intensa guerra di annessione: a bandiera a stelle e strisce sventolò così in tre nuovi stati - il Texas, la California, il New Mexico - un territorio enorme e dalle immense risorse naturali. Fu sempre Washington ad appoggiare le rivolte che servivano a sbarazzarsi di uomini divenuti non graditi, sostituendoli con personaggi più malleabili, che appena giunti al potere si affrettavano a rilasciare concessioni minerarie a importanti compagnie americane per lo sfruttamento di oro, platino, mercurio, rame, ferro, carbone e argento. Per lo più, alla vigilia della prima Guerra Mondiale, una nuova scoperta, quella del petrolio, accentuò l’interesse nord-americano per i territori al di là del Rio Grande. Scoppiata la Rivoluzione nel 1910, una serie di ditattori si susseguì al potere: dapprima Carranza, autore nel 1917 di una Costituzione ferocemente anti-cattolica, e quindi Obregone Callas, eletti coi voti del 2% della popolazione. La Rivoluzione, inizialmente sostenuta dalla sollevazione dei peones, che sognavano una più equa riforma agraria e che erano animati da un profondo sentimento religioso, finì in realtà per porre a capo della nazione messicana una classe dirigente massonica che diede il via ad una massiccia opera di scristianizzazione della società. Il generale Plutarco Calles fu il principale protagonista dell’opera di persecuzione. Nato negli USA, fu l’esponente di quell’ideologia apparentemente contradditoria - un misto di liberismo e leninismo, di giacobinismo e autoritarismo pragmatico - che diede i fondamenti ideologici e pratici al "Partido Revolucionario lnstitutional". Il collante di tale composita ideologia fu l’appartenenza massonica dei suoi seguaci e un nemico da abbattere con odio determinato: la Cbiesa Cattolica. La persecuzione religiosa raggiunse il suo vertice con la "Legge Calles" del 14 giugno 1926, con la quale la Chiesa Cattolica, che rappresentava non solo la religione del popolo messicano, ma la sua stessa anima e identità culturale e nazionale, tu privata di tutti i diritti. I vescovi messicani, sostenuti da Papa Pio Xl, ordinarono di chiudere al culto le chiese, dal momento che ne andava della vita stessa dei sacerdoti e della libertà del popolo di Dio. Cominciò a scorrere il sangue dei martiri, I cattolici perseguitati trovarono il coraggio di manifestare pubblicamente la propria fede, affrontando dapprima la repressione poliziesca e quindi quella militare. Calles impose aqli impiegati cattolici una scelta: rinunciare a Cristo o perdere il posto. Su 400 maestri di Guadalajara, ben 389 preferirono essere destituiti piuttosto che rinnegare la fede. Mentre le prigioni andavano riempiendosi sempre più, i cattolici costituitisi nella "Lega per la difesa della libertà religiosa", continuarono la battaglia civile e non violenta con il boicottaggio nei confronti dello Stato: acquistare solo lo stretto necessario, disertare teatri e luoghi di divertimento, rinunciare a viaggi, ritirare i depositi dalle banche. Il boicottaggio venne propagandato dai giovani attivisti in vari modi e in ogni parte del paese e la risposta violentissima del regime non si fece attendere: le detenzioni vennero sostituite dalle esecuzioni sommarie. Il generale Gonzales, comandante delle truppe della regione di Michoacan, emise questo decreto in data 23 dicembre 1927: "Chiunque farà battezzare i propri figli, o farà matrimonio religioso, o si confesserà, sarà trattato da ribelle e fucilato". A Citta del Messico, in tutta risposta, convennero folle di pellegrini da ogni parte della nazione, a ricordo del primo Congresso Eucaristico Nazionale, tenutasi nel 1924 con grande successo, nonostante le restrizioni governative, e sulla cima del Cubilete, centro geografico della nazione, per la prima volta venne lanciato il grido fatidico, segnale di riscossa e di insorgenza, che doveva diventare il grido dei martiri davanti ai plotoni di esecuzione o alle forche di questa nuova Vandea: "Viva Cristo Re!". Ma dì fronte agli arresti, alle confische, ai campi di concentramento, agli stupri e agli eccidi, consumati nell’indifferenza internazionale, rotta solo dalle vibranti proteste del Vaticano, i cattolici si trovarono senza altra alternativa, dopo la testimonianza, il boicottaggio e la resistenza passiva, che prendere le armi: divennero soldati, soldati di Cristo Re o, come venivano sprezzantemente definiti dai nemici, "Cristeros". L’11 gennaio 1927 fu proclamato il Manifesto alla nazione detto "de los Altos" e nacque l’Esercito Nazionale dei Liberatori. Il programma politico prevedeva la restaurazione di tutte le libertà soppresse. L’esercito si organizzò disponendo unicamente del sostegno dei volontari e della popolazione civile. Le colonne si spostavano continuamente in una tattica di guerriglia. L’armata era composta di giovani, contadini e operai, studenti e impiegati, animati e uniti da uno spirito ammirevole: alla sera, prima di addormentarsi, i Cristeros cantavano l’inno "Tropas de Maria". Quando era possibile si conservava il Santissimo, e i soldati si davano il cambio ogni quarto d’ora per L’adorazione. I capi portavano la croce sul petto e i soldati l’immagine della Vergine di Guadalupe; prima di dare battaglia, tutti si facevano il segno della croce e poi si battevano al grido di "Viva Cristo Re". Lo spazio non ci consente di elencare i tanti protagonisti dell’eroica insurrezione, i valorosi e i martiri, alcuni dei quali, sotto il pontficato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Padre Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo. Fu una Vandea, abbiamo detto, ma con una conclusione diversa: il desiderio di vedere cessare definitivamente le sofferenze del popolo messicano portò l’Episcopato a siglare accordi con il governo. Il 29 giugno 1929, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, le chiese del Messico si riaprirono al culto, e le campane tornarono a suonare nel paese: vennero celebrate Messe ovunque, tra l’entusiasmo della popolazione. I Cristeros deposero le armi: discesero dai monti, sciolsero i battaglioni che per tre anni avevano tenuto testa alle truppe governative, e tornarono ai loro villaggi e alle loro città. La gioia per il ritorno della pace si accompagnò però nei loro cuori all’amarezza per la mancata vittoria: i nemici di sempre rimanevano ai loro posti di comando e la tregua, così frettolosamente raggiunta. sapeva di compromesso. Molti esponenti dei Cristeros si sentirono traditi: non era stato firmato un accordo, ma una resa. Numerosi membri del clero e laici noti per il loro impegno antigovernativo vennero esiliati e molti Cristeros, appena deposte le armi, furono arrestati e fucilati. Non pochi paesi che avevano dato loro ospitalità vennero saccheggiati e i sacerdoti ritornati nelle loro parrocchie divennero bersagli dell’ostilità governativa. Prese il via un’opera più raffinata e meno cruenta di marginalizzazione dell’identità religiosa e culturale del popolo messicano. Secondo il filosofo argentino Alberto Caturelli, "il popolo messicano è il prototipo di una comunità martire, della cui testimonianza partecipano tutti i popoli della iberoamerica. Popolo di Cristo Re la cui epopea cristiana ha consacrato tanti messicani come testimoni del Testimone". Impossibile immaginare una gloria maggiore: a noi il dovere dl. non soccombere alla maledizione della dimenticanza.
Bibliografia Paolo Gulisano, Viva Cristo Re! Cristeros: il martirio del Messico 1926-29. Il Cerchio, Rimini 1999. L. Zilliani, Messico Martire, Soc. Ed. S. Alessandrino, Bergamo 1935. Vandea e Messico, Edizioni Centro Grafico Stampa, Bergamo 1993.
Cronologia · Dicembre 1916: attraverso elezioni manipolate, Carranza diventa Presidente del Messico. Egli si appoggia al liberalismo giacobino, al protestantesimo nordamericano e alla massoneria. Sì inaugura la serie di governi anticattolici che domineranno il Messico per tuffo il secolo XX. · 5 febbraio 1917: viene approvata la nuova Costituzione massonica. La Costituzione proibisce l’insegnamento religioso, spoglia la Chiesa di tutti i suoi beni, limita il numero dei sacerdoti e l’esercizio del loro ministero, nega alla Chiesa personalità giuridica, vieta ai sacerdoti di avere proprietà, di votare, ereditare, ma li obbliga al servizio militare. Nel biennio successivo, undici tra arcivescovi e vescovi vengono esiliati negli USA, due a Cuba, altri in Europa. Centinaia di sacerdoti e religiosi vengono cacciati e duemila scuole cattoliche vengono chiuse. · 1920: un colpo di Stato militare depone Carranza. lì generale Alvaro Obregòn (1880-1928) è il nuovo presidente. · 1924: Scaduto il mandato presidenziale di Obregòn, inizia la "staffetta" con Plutarco Elias Calles. · 21 aprile 1926: una lettera pastorale dei vescovi messicani accusa il governo di voler "annichilire il cattolicesimo", aprire le porte ai Protestanti e favorire la Massoneria. · 14 giugno 1926: viene emanata la "legge Calles", che restringe ancor di più la libertà religiosa. · 31 luglio 1926: per la prima volta, dopo più di 400 anni, i vescovi decidono di sospendere il culto pubblico in tutte le chiese del Messico. Si vive come in un lutto nazionale. · Agosto 1926: si contano sei rivolte in diverse zone del Paese e numerose proteste di piazza. La rivolta dei Cristeros è iniziata. Dopo un anno, i Cristeros in armi sono circa 25.000. · 18 novembre 1926: nell’Enciclica Iniquis afflictisque, Papa Pio Xl richiama l’attenzione della Chiesa universale sulla "paurosa situazione" dei cattolici messicani. · 21 giugno 1929: i vescovi Ruiz Flòres e Pascual Diaz firmano con il Presidente ad interim Emilio Portes Gil un modus vivendi che pone fine agli scontri. lì 29 giugno si riaprono le chiese. Ma la persecuzione continua. Nel 1935 si contano in Messico poco più di 300 sacerdoti, sugli oltre 4.000 presenti all’inizio della rivolta. In 17 Stati non si tollera la presenza di alcun sacerdote. La cristiada era costata la morte di 30.000 cristeros a cui vanno aggiunti 150.000 morti tra il popolo e quasi 40.000 caduti dell’esercito governativo.
di Vittorio Messori [Da "Le cose della vita", San Paolo, Milano 1995]
Se ne leggono (e se ne sentono) di tutti i colori sui cinquecento anni dalla scoperta dell’America. La ricorrenza ha generato un fiume di parole, dove si mescolano verità e leggende, intuizioni profonde e slogan superficiali. Ciò che più rattrista è l’atteggiamento di certi religiosi - soprattutto dell’emisfero Nord, europeo e americano - che, pur spiazzati dal crollo subitaneo di quel marxismo che avevano abbracciato con entusiasmo di convertiti, continuano ad applicarne le fallaci quanto disastrose categorie interpretative. Ci sono addirittura frati e suore che pubblicamente deprecano che i missionari cristiani abbiano "rovinato" quelle belle idolatrie precolombiane, quei feticismi feroci che - come nel caso degli Aztechi - avevano a base indispensabile il sacrificio umano di massa. Stando a questi religiosi, molto meglio se quei popoli non fossero entrati in contatto con la pericolosa mania dei loro confratelli di un tempo di considerare importante l’annuncio di Cristo e del vangelo. Ma, nella massa dello sciocco, del falso, del noncristiano (anche se sostenuto da chi come "cristiano" si presenta: e più di ogni altro, in quanto presunto "difensore degli oppressi"), si distinguono alcune pubblicazioni che meritano attenzione. Tra le altre, la traduzione, edita dalla Ares, dell’opera di Alberto Caturelli, prestigioso docente di filosofia nell’università argentina di Cordoba. Il libro - dal titolo Il nuovo mondo riscoperto - è uno straordinario impasto di metafisica, di storia e di teologia; ne è uscita una riflessione felice e illuminante, perché guarda a ciò che avvenne nelle Americhe nella linea di una "teologia della storia" che ormai da troppo tempo manca ai credenti, con il risultato di renderli insignificanti. È una sorte alla quale cerca di reagire anche Jean Dumont, con il suo piccolo, denso, nervoso libro provocatoriamente "cattolico" sin dal titolo: Il vangelo nelle Americhe. Dalla barbarie alla civiltà. La traduzione italiana è pubblicata in queste settimane dalle Edizioni Effedieffe, le stesse di cui già parlammo qui (frammento 95) per la coraggiosa traduzione del pamphlet sulla rivoluzione francese dello stesso Dumont e dell’implacabile Il genocidio vandeano di Reynald Secher. È Jean Dumont che ai "nuovi" cattolici in vena masochistica, a quei credenti che giudicano l’epopea dell’annuncio della fede nelle terre americane solo come una guerra di massacro e di conquista travestita da pseudo-evangelizzazione, è Dumont, dunque, che ricorda il caso troppo spesso dimenticato del Messico. Sono avvenimenti di pochi decenni fa, eppure sembrano sepolti da una cortina di oblio e di silenzio. Ecco tanti preti e frati ripeterci per l’ennesima volta le atrocità, vere o presunte che siano, dei Conquistadores del XVI secolo e tacere ostinatamente, al contempo, sui Cristeros del XX secolo. Un silenzio non casuale, perché proprio i Cristeros, con quella loro folla di martiri indigeni, sono una smentita dello schema che vorrebbe forzata e superficiale l’evangelizzazione nella Ibero-America. Vediamo, dunque, di rinfrescarci un poco la memoria. Come già ricordammo in "puntate" che dedicammo alla "leggenda nera" antispagnola, all’inizio dell’Ottocento la borghesia "creola", quella cioè di origine europea, combatté per liberarsi dalla Corona di Spagna e dalla Chiesa e per avere così mano libera nello sfruttamento degli indios, senza più l’impaccio dei governatori di Madrid e dei religiosi. È un "movimento di liberazione" (ma solo per i privilegiati bianchi) che si raccoglie attorno alle logge massoniche locali, aiutate dai "fratelli libero-muratori" di quel Nord America anglosassone che proprio in questo modo comincia il suo spietato processo di colonizzazione del Sud "latino". *Le nuove caste al potere nelle antiche province spagnole mettono in atto una legislazione anticattolica, scontrandosi con la resistenza popolare, costituita in maggioranza proprio da quegli indios o da quei meticci che - secondo lo schema attuale sarebbero stati battezzati a forza e non vedrebbero l’ora dì tornare ai loro culti sanguinari. Per stare al Messico, le leggi "giacobine" e la prima insurrezione "cattolica" si verificano tra il 1858 e il 1862. All’inizio del nostro secolo, poi, il giacobinismo liberale si allea al socialismo e al marxismo locali, tanto che "tra il 1914 e il 1915 i vescovi furono arrestati o espulsi, tutti i sacerdoti furono imprigionati, le suore cacciate dai conventi, il culto religioso proibito, le scuole religiose chiuse, le proprietà ecclesiastiche confiscate. La costituzione del 1917 legalizzò l’attacco alla Chiesa e la radicalizzò in modo intollerabile" (Felix Zubillaga). È da notare che quella costituzione (ancora oggi in vigore, almeno formalmente: nei suoi viaggi in Messico Giovanni Paolo II fu chiamato dalle autorità sempre e solo señor Wojtyla) non fu sottoposta all’approvazione del popolo. Il quale non solamente non l’avrebbe approvata, ma dimostrò subito come la pensasse: prima con la resistenza passiva e poi prendendo le armi, in nomedella dottrina cattolica tradizionale che riconosce lecito resistere con la forza a una tirannia insopportabile. Cominciava l’epopea dei Cristeros, detti così con spregio perché, davanti ai plotoni di esecuzione, morivano gridando: ¡Viva Cristo Rey! ¡Viva Cristo y Nuestra Señora de Guadalupe! Gli insorti che (come i loro fratelli vandeani) militavano sotto le bandiere col Sacro Cuore, giunsero a schierare 200.000 uomini armati, appoggiati dalle Brigadas Bonitas, le brigate femminili per la sanità, la sussistenza, le comunicazioni. La guerra divampò tra il 1926 e il 1929, e se il governo fu costretto alla fine a un compromesso (e se i bandoleros cattolici dovettero, malgrado i successi, obbedire a malincuore all’ordine della Santa Sede di deporre le armi), lo si deve al fatto che la resistenza alla scristianizzazione aveva coinvolto in profondo tutte le classi sociali: dagli studenti agli operai, dalle casalinghe ai contadini. Anzi, per dirla con uno storico imparziale, "non ci fu un solo campesino che, direttamente o indirettamente, non appoggiasse i Cristeros". A differenza delle rivoluzioni marxiste, che in nessuna parte del mondo e mai neppure in America Latina - riuscirono a coinvolgere davvero il popolo (lo si vide, tra l’altro, in Nicaragua, quando al popolo si diede voce), la Cristiada messicana fu un movimento profondamente, autenticamente popolate. Uomini e donne di ogni ceto si fecero massacrare, a centinaia, pur di non rinunciare al Cristo Rey e alla devozione per la gloriosa Madonna di Guadalupe, madre di tutta l’America iberica. Cadde fucilato, tra gli altri, quel padre Miguel Agustin Pro che il papa ha beatificato nel 1988. La più eroica delle resistenze fu proprio quella degli indios del Messico centrale che era stato la culla degli Aztechi e dei loro foschi culti; mentre la casta dei sin Diòs i "senza Dio" al governo venivano dalle regioni del Nord, scarsamente cristianizzate a causa della soppressione, nel Settecento, delle missioni dei gesuiti. Questa lotta dei Cristeros a difesa della loro fede fu tra le più coraggiose della storia ed è continuata, anche se in forme meno cruente, sino ai giorni nostri. Malgrado dal 1917 viga in Messico la costituzione "atea", forse in nessun altro luogo Giovanni Paolo II ha avuto accoglienze di massa più sinceramente festose. E nessun santuario al mondo è più affollato di quello di Guadalupe. Come spiegano questa fedeltà coloro che ci vorrebbero convincere di una evangelizzazione forzata, di una fede imposta usando il crocifisso come una clava?
* Cfr. Pensare la storia, pp. 658ss.