tag:blogger.com,1999:blog-13024247482405787182024-03-05T20:34:12.413+01:00Ass. Studi Cavallereschi "S.Giuseppe da Leonessa"Unknownnoreply@blogger.comBlogger26125tag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-78724049519641801622007-11-27T17:41:00.000+01:002007-11-27T18:02:26.769+01:00Uccidiamo Babbo Natale! Babbo natale, santa Klaus,natale, coca cola e multinazionali<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGaBxtqZR_9p6WCV4P2XO_U2jsLlA_UXn7puSIuoxu0JTcxC2gAoc7rLrq7CgTtOZmiJUjHAXhnRB1-fYXWNzR5n4siv91ZwF3dP8W1WNor4dv2HqItD5l-8ccSQ0rns1_AhuPfzb3qPdE/s1600-h/giotto_nativita.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5137562751116179474" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGaBxtqZR_9p6WCV4P2XO_U2jsLlA_UXn7puSIuoxu0JTcxC2gAoc7rLrq7CgTtOZmiJUjHAXhnRB1-fYXWNzR5n4siv91ZwF3dP8W1WNor4dv2HqItD5l-8ccSQ0rns1_AhuPfzb3qPdE/s320/giotto_nativita.jpg" border="0" /></a><br /><div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhO5XXONMI0UbZeoKdE8C_a3YtlrKmgxt89AuEV198nl1gi2AtWO8gVEpOoohy27V8PvfL5F-lUUKjwdYjcDijX_9jVzacpF784ZasUc_8B-mtbVNsYmIjkYxZ5svlOj26yE-aGuWZ2gxNR/s1600-h/COCACOLA.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5137562124050954242" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhO5XXONMI0UbZeoKdE8C_a3YtlrKmgxt89AuEV198nl1gi2AtWO8gVEpOoohy27V8PvfL5F-lUUKjwdYjcDijX_9jVzacpF784ZasUc_8B-mtbVNsYmIjkYxZ5svlOj26yE-aGuWZ2gxNR/s320/COCACOLA.jpg" border="0" /></a> Questo articolo potrebbe benissimo essere intitolato <strong>BABBO NATALE CONTRO GESU' BAMBINO</strong> leggendo scoprirete il perchè. Quello che però occore ri-affermare, ai cultori del dio panettone, del dio babbo natale, del dio grinch, del dio " lo spirito del natale", è che Gesù Cristo è un avvenimento storico, così come ce lo raccontano i Vangeli così come dimostra l'esperienza della fede. Occorre fare memoria di questa Presenza che nasce per noi, nonostante certe furbate commerciali, nonostante molti il 25 dicembre lo spenderanno pensando solo ai panettoni e ai saldi degli iper-mega super mercati. E' nato, nasce e continuerà a nascere nei secoli dei secoli. Noi intanto Lo preghiamo che abbia misericordia di noi.<br /><br /><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify">di Francesco Mario Agnoli</div><br /><div align="justify">Santa Klaus ... aveva già fatto la sua apparizione negli States al servizio dell'ufficio marketing della Coca-Cola, che nel 1931 l'aveva commissionato ad un tale Haddon Sundblom. Questo pittore svedese-americano, ispiratosi per il volto e la figura ad un suo amico camionista, aveva in quell'anno soddisfatto nel migliore dei modi le esigenze del committente anche col sostituire al tradizionale vestito verde del vecchio ed innocuo Santa Klaus, uno bianco e rosso: i colori della Coca-Cola.<br />Scopro in un sito web che in Austria opera il Verein pro Christuskind (<a href="http://www.pro-christkind.org/" target="_blank">http://www.pro-christkind.org/</a>), cioè una lega o circolo che si propone di riportare al centro del Natale, festa della famiglia, il Bambino Gesù, espellendone quel barbuto grassone vestito di rosso, in sospetto di ubriachezza per le guance rubizze, che, usurpando il nome di Santa Klaus e, nei paesi latini, di Natale (babbo Natale, pére Noel et similia), l'ha degradato a festa dei regali. Il comando delle operazioni è in Austria, ma il campo di battaglia ha gli stessi confini dell'opulento Occidente e comunque dell'Europa, perché si tratta anche di mantenere (o recuperare) le nostre tradizioni natalizie (Wir mochten unsere Tradition des Christkinds erhalten, ohne dabei andere Traditionen zu verdrangen, si legge nella manifesto programmatico dell'associazione) e, difatti, le prime operazioni hanno avuto luogo in quei paesi nei quali al Bambino Gesù i genitori affidavano il compito di portare piccoli doni ai bambini nella Notte Santa: Austria, Svizzera e Germania (in quest'ultimo un sacerdote di Francoforte, Eckard Bieger, che presumo collegato alla società austriaca, ha preso esempio dai manifesti contro l'energia atomica e ha diffuso un gran numero di adesivi con la scritta This is a Santa-free zona).<br />Quando sono nato Santa Klaus (versione consumistica di quel San Nicola da Bari, che in alcune zone d'Europa legate a questa tradizione, dall'estremo nord all'estremo sud, la notte del 6 dicembre di ogni anno percorreva le campagne lasciando qualche dolcetto nelle scarpe o negli zoccoli dei bambini buoni) aveva già fatto la sua apparizione negli States al servizio dell'ufficio marketing della Coca-Cola, che nel 1931 l'aveva commissionato ad un tale Haddon Sundblom. Questo pittore svedese-americano, ispiratosi per il volto e la figura ad un suo amico camionista, aveva in quell'anno soddisfatto nel migliore dei modi le esigenze del committente anche col sostituire al tradizionale vestito verde del vecchio ed innocuo Santa Klaus, uno bianco e rosso: i colori della Coca-Cola.<br />In realtà, pur se non sono esattamente coetaneo di quel barbuto clone di un peraltro innocente camionista statunitense poco ci manca. Ciò non toglie che quella piccola differenza di età e le distanze geografiche e culturali, all'epoca, con la globalizzazione appena in fasce, assai più rilevanti e decisive di oggi, abbiano salvato le mie notti di Natale, pur cariche di attesa per i doni da trovare al mattino davanti al presepe, dalla ingombrante presenza del ciccione rosso-vestito.<br />Debbo purtroppo confessare la mia ignoranza circa le antiche ed autentiche tradizioni bolognesi a proposito di strenne (posso soltanto supporre, prendendo spunto dalla tuttora esistente e vivace fiera che porta il suo nome, che a Bologna, dove sono nato, la benefattrice dei bambini buoni fosse, in occasione della sua ricorrenza, il 13 dicembre, la giovane martire siracusana Lucia). Nella borgatella della collina romagnola di mia madre i bambini dipendevano in tutto e per tutto per i regali dalla nostrana, rustica Befana, che, nel primo decennio del secolo XX, non ancora iscritta d'autorità al partito fascista, appendeva alla cappa del camino calzerotti riempiti (in genere parsimoniosamente) con cioccolatini e caramelle oppure (in città, in campagna queste raffinatezze erano sconosciute), per i meno buoni, con pezzi di carbone, una specie di antracite, che tuttavia, dopo la prima delusione quasi sempre si rivelava commestibile e composta di zucchero mascherato. Mio padre, rimasto orfano di entrambi i genitori in tenerissima età, non aveva probabilmente nemmeno conosciuto le tradizioni natalizie della sua Liguria. Di conseguenza, il mondo del Natale nel quale si riconosceva, per effetto dei suoi studi e dei periodi trascorsi in Germania, era quello tedesco anche se cattolicamente corretto con la preferenza per il presepio in luogo del sempre verde Tannenbaum. Fatto sta che a portarmi i doni era, come per i bambini del Verein pro Christuskind, lo stesso Gesù Bambino, adeguatamente rifornito dalle officine e dalle pasticcerie, dove lavoravano centinaia di biondi angioletti (conservo ancora, nella versione italiana, La cucina del cielo, un libriccino che descriveva, in versi ed immagini, le laboriose operazioni degli angeli pasticcieri, pubblicato nel 1933 a Monaco dall' editore Joseph Mueller).<br />Del resto, quali che fossero le tradizioni locali, non ero il solo a trovarmi in questa situazione. La maggior parte dei bambini di mia conoscenza che condividevano con me il privilegio di ricevere regali non solo per l'Epifania (questo ormai accadeva a tutti o quasi, perché alla Befana casalinga si era adesso aggiunta o sostituita quella iscritta al PNF, che si presentava in carne ed ossa alla locale Casa del Fascio) ma anche nella notte di Natale, li attendevano dal Bambino Gesù.<br />E' vero che un moralista potrebbe avere da ridire su questa mescolanza di sacro e profano e trovare qualcosa di riduttivo e addirittura di pericoloso nell'attribuire a Gesù, sia pure bambino, un ruolo che non gli compete e che in effetti non svolge, come i destinatari dei suoi doni necessariamente scoprivano non appena usciti dalle favolose nebbie della prima infanzia. Tuttavia non mi risulta che nessuno abbia perso la fede per avere scoperto che non era stato Gesù Bambino a lasciare i doni davanti al presepio o sotto l'albero e la giocosa bugia (se bugia la si vuole definire) aveva comunque il pregio di collocarlo unico protagonista al centro della festa natalizia senza sostituirlo o accompagnarlo col falso-sorridente servitore di Mammona, padrone rigoroso ed esclusivo, che non può essere servito assieme a Dio.<br />Con questi precedenti e con l'antica avversione per il consumismo in genere e per quello natalizio in particolare la mia adesione all'iniziativa austriaca non può essere che totale.<br />E allora togliamolo di mezzo questo clone di camionista, questo pseudo-santo pubblicitario, che, oltre tutto, per meglio svolgere i suoi compiti pubblicitari da qualche tempo ha cominciato a riprodursi in una variegata schiera di doppi, alcuni dei quali di sesso femminile, dotati delle allettanti sembianze di veline e letterine..<br />Il modo più semplice e sbrigativo per liberarsene sarebbe di sparargli un colpo di pistola dritto al cuore, fare un falò della sua slitta e mandare libere per le tundre della Lapponia o le foreste di betulle della Finlandia le renne costrette a servirlo.<br />Purtroppo questa procedura spiccia è resa impossibile dal fatto che nonostante gli sforzi della Walt Disney Babbo Natale non possiede un cuore. Di conseguenza è necessario scegliere metodi più lenti, ma, si spera, ugualmente efficaci. Sforacchiarlo con mille piccoli colpi, come, appunto, gli adesivi che lo pongono al bando, attraverso quel suo ridicolo vestito rosso in modo da praticargli migliaia di forellini dai quali possa defluire, invece di sangue, il gas o il nulla che lo gonfiano e lo fanno svolazzare per i cieli come uno zeppelin pubblicitario.<br />Soprattutto si dovrà fare attenzione a non lasciarsi commuovere dalle lagrime dei bambini. Ricordarsi che si tratta d'innocenti ingannati, di piccoli consumatori che, proprio grazie al doppio oscuro di San Nicola, vengono allevati e ingrassati per formarne le future mandrie da sacrificare sulle are non del commercio, ma dei bisogni indotti, delle necessità superflue, dei desideri stravaganti ed insaziabili., che appena soddisfatti si riproducono moltiplicati per fare girare la cosiddetta macchina del progresso, il cui moto verso la finale, immancabile rovina si accelera di giorno in giorno grazie anche a macchinisti folli e incompetenti come il bianco barbuto Babbo Natale.<br />Wir mochten, dass auch unsere kinder die Chance haben, unsere Traditionen kennen zu lernen, scrivono i membri dell'austriaco Verein e, difatti, la sparizione di Babbo Natale non toglierà l'ansia festosa dell'attesa dai loro occhi, né il sorriso dalle loro labbra, ma, al contrario, li renderà più sereni, più veri, più capaci di resistere alle ingiurie del tempo e della vita, perché si fonderanno in un unico completo e vero universo le due dimensioni ora tenute separate e contrapposte, e, ai fini di quell'attesa e di quel sorriso, il più modesto dei doni avrà, grazie alle piccole mani portatrici di amore e di pace da cui simbolicamente proviene, esattamente lo stesso valore del più grande.<br />Noi che abbiamo la fortuna di averlo provato abbiamo il dovere (io ho cercato di adempierlo coi miei figli, adesso, a loro volta, padri e madri) di liberare i genitori delle generazioni che ci hanno seguito e i loro figli dalle catene solo apparentemente dorate dell'omino che, a dispetto del sorriso bonario, al posto del cuore ha una macchina calcolatrice e una postazione bancomat perennemente in funzione.</div></div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-71168368521547632892007-11-27T17:36:00.000+01:002007-11-27T17:39:52.055+01:00Il Presepe è un segno di cultura e di fede<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCtaZFBWYFGL2XOCtD_ClRjxNuhGS_Nw20LHqg01XWjpglkRFKEEBWqOXmeZNU0KBu6pkP-8nbBES99917nkRPDlog-0s-pDTXkjvbwRjBWXco_lXCQ72KlHT6qGJbAjiy6s8Hu4NS9xKh/s1600-h/presepe.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5137560775431223282" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCtaZFBWYFGL2XOCtD_ClRjxNuhGS_Nw20LHqg01XWjpglkRFKEEBWqOXmeZNU0KBu6pkP-8nbBES99917nkRPDlog-0s-pDTXkjvbwRjBWXco_lXCQ72KlHT6qGJbAjiy6s8Hu4NS9xKh/s320/presepe.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"><br />VATICANO - Papa: il presepe è un segno di cultura e di fede<br /><br />2 Dicembre 2004 - <a href="http://www.asianews.it/" target="_blank">da www.asianews.it</a><br /></div><br /><div align="justify">Nei giorni scorsi in Italia ha fatto scalpore la notizia che in alcune scuole non si prepara il presepio per rispetto verso studenti di altre religioni, in particolare musulmani. Nel dibattito che ne è sorto , molti musulmani si sono dichiarati a favore del presepio, dato che l’Islam venera Gesù come profeta. Personalità ecclesiastiche hanno precisato che chi vuole cancellare il presepio dalle scuole è in realtà mosso non da rispetto verso i musulmani, ma da idee laiciste, che confondono la tolleranza con il relativismo delle idee.<br />Città del Vaticano (AsiaNews) – Giovanni Paolo II riafferma il valore del presepe. Parlando prima dell’Angelus, il papa ha definito la rappresentazione della natività di Gesù come “un elemento della nostra cultura e dell’arte, ma soprattutto un segno di fede in Dio, che a Betlemme è venuto ‘ad abitare in mezzo a noi’ (Gv 1,14)”.In piazza san Pietro erano presenti ragazzi e ragazze di Roma per la tradizionale benedizione della statuetta del “Bambinello”, che verrà posta nel presepio.<br />Nei giorni scorsi in Italia ha fatto scalpore la notizia che in alcune scuole non si prepara il presepio per rispetto verso studenti di altre religioni, in particolare musulmani. Nel dibattito che ne è sorto , molti musulmani si sono dichiarati a favore del presepio, dato che l’Islam venera Gesù come profeta. Personalità ecclesiastiche hanno precisato che chi vuole cancellare il presepio dalle scuole è in realtà mosso non da rispetto verso i musulmani, ma da idee laiciste, che confondono la tolleranza con il relativismo delle idee.<br />Ecco quanto ha detto il papa prima della preghiera mariana:<br />“Si avvicina la festa del Natale e in molti luoghi è già in allestimento il presepe, come qui in Piazza San Pietro. Piccolo o grande, semplice o elaborato, il presepe costituisce una familiare e quanto mai espressiva rappresentazione del Natale. È un elemento della nostra cultura e dell’arte, ma soprattutto un segno di fede in Dio, che a Betlemme è venuto "ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14).<br />Come ogni anno, tra poco benedirò i Bambinelli, che nella Notte Santa verranno collocati nei presepi, dove si trovano già san Giuseppe e la Madonna, silenziosi testimoni d’un sublime mistero. Con il loro sguardo d’amore essi ci invitano a vegliare e pregare per accogliere il divino Salvatore, il quale viene a recare al mondo la gioia del Natale.<br />Questa stessa gioia ci esorta a pregustare l’odierna terza domenica di Avvento, chiamata domenica "Gaudete". Domandiamo alla Vergine dell’attesa che sia vivo nei cristiani e in tutti gli uomini di buona volontà il desiderio di incontrare il Signore ormai vicino”.Copyright © 2003 AsiaNewsTutti i diritti riservati</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-73636184995927235792007-11-27T16:58:00.000+01:002007-11-27T17:04:09.351+01:0025 dicembre è data storica<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtR6zyRCjFECRcqnUB8_54dPr9SVbTJWQGf8RfFFZBChyphenhyphenX1UTdgZL36TTXGvRieu8m-BHnsz0hhkHvPGF3COGzsjEyeOY2C7sdIe7XWPSb9E8eZR4TI_IvTt6xF2sot_2PO6Af_y45puj5/s1600-h/nativita.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5137551287848466402" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtR6zyRCjFECRcqnUB8_54dPr9SVbTJWQGf8RfFFZBChyphenhyphenX1UTdgZL36TTXGvRieu8m-BHnsz0hhkHvPGF3COGzsjEyeOY2C7sdIe7XWPSb9E8eZR4TI_IvTt6xF2sot_2PO6Af_y45puj5/s320/nativita.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify">di Tommaso Federici<br /></div><br /><div align="justify">tratto da 30 Giorni, anno XVIII, novembre 2000, p. 63-68.<br /></div><br /><div align="justify">Non fu una scelta arbitraria per soppiantare antiche feste pagane. Recenti scoperte avvalorano l’attendibilità storica della data del Natale. Quando la Chiesa celebra la nascita di Gesù nella terza decade di dicembre, attinge all'ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero. Tommaso Federici, professore emerito di teologia biblica, fa il punto su indizi e recenti scoperte che confermano la storicità della data del Natale Un preambolo In genere si assumeva e si assume senza discutere la notizia già antica secondo cui la celebrazione del Natale del Signore nella prima metà del secolo IV fu introdotta dalla Chiesa di Roma per motivi ideologici. Infatti sarebbe stata posta al 25 dicembre per contrastare una pericolosa festa pagana, il Natale Solis invicti (fosse Mitra, come è probabile, o fosse una titolatura di un imperatore romano). Tale festa era stata fissata al solstizio invernale (21-22 dicembre), quando il sole riprendeva il suo corso trionfale verso il suo sempre maggiore risplendere. Quindi in ambito cristiano, risalendo di 9 mesi, si era posta al 25 marzo la celebrazione dell'annuncio dell'Angelo a Maria Vergine di Nazareth, e la sua Immacolata Concezione del Figlio e Salvatore. In conseguenza, sei mesi prima della nascita del Signore si era posta anche la memoria della nascita del suo precursore e profeta e battezzatore Giovanni. D'altra parte, l'Occidente cristiano non celebrava l'annuncio della nascita di Giovanni al padre, il sacerdote Zaccaria. Che invece, e da lunghissima data, è commemorato nell'Oriente siro alla prima domenica del "Tempo dell'Annuncio (Sûbarâ)", che comprende in altre cinque domeniche l'annunciazione a Maria Vergine, la visitazione, la nascita del Battista, l'annuncio a Giuseppe, la genealogia del Signore secondo Matteo. L'Oriente bizantino, e sempre da data immemoriale, celebra invece al 23 settembre anche l'annuncio a Zaccaria. Si hanno in successione quattro date evangeliche che inseguendosi si intersecano, ossia I) l'annuncio a Zaccaria e II) sei mesi dopo l'annunciazione a Maria, III) rispettivamente nove e tre mesi dopo le prime due date, la nascita del Battista, e IV) rispettivamente sei mesi dopo quest'ultima data, e naturalmente nove mesi dopo l'annunciazione, la Nascita del Signore e Salvatore. Il referente per così dire "liturgico" di tutto questo sarebbe quindi il Natale del Signore, al 25 dicembre, sulla cui base, si assume, furono disposte le feste dell'annunciazione nove mesi prima, e della nascita del Battista sei mesi prima. Gli storici e i liturgisti su questo svolgono diverse ipotesi più o meno accolte. Il problema è che già nei secoli II-IV erano state avanzate diverse datazioni, che tenevano conto di computi astronomici, o di idee teologiche. Una data "storica" esterna, ossia che non fosse biblica, patristica e liturgica, e che portasse una conferma agli studiosi, non era ancora conosciuta. Un riferimento: l'annuncio a Zaccaria Luca ha una certa sua cura di situare la storia. Così ad esempio cita "l'editto di Cesare Augusto" per il lungo censimento di Quirino (circa il 7-6 a. C.), durante il quale avvenne la nascita del Signore (Lc 2, 1-2). Inoltre rimanda all'anno quindicesimo di Tiberio Cesare (circa il 27-28 d. C.), quando Giovanni il Battista cominciò la sua predicazione preparatoria del Signore (Lc 3, 1). E annota: "E lo stesso Gesù era cominciante [il suo ministero dopo il Battesimo, Lc 3, 21-22] quasi di anni 30" (Lc 3, 23), di fatto avendo circa 33 o 34 anni. Secondo la sua suggestiva narrazione evangelica, lo stesso Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell'annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne celebrazione sacrificale quotidiana aveva annunciato nel santuario all'anziano sacerdote Zaccaria che la sua sposa, sterile e anziana, Elisabetta, avrebbe concepito un figlio, destinato a preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1, 5-25). Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che rimanda a un dato conosciuto da tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla "classe [sacerdotale, ephêmería] di Abia" (Lc 1, 5), e mentre gli appare Gabriele "esercitava sacerdotalmente nel turno [táxis] del suo ordine [ephêmería]" (Lc 1, 8). Così rimanda a un fatto generale senza difficoltà, e a uno specifico e puntuale, che presenta un problema. Il primo fatto, noto a tutti, era che nel santuario di Gerusalemme, secondo la narrazione del cronista, David stesso aveva disposto che i "figli di Aronne" fossero distinti in 24 táxeis, ebraico sebaot, i "turni" perenni (1 Cr 24, 1-7.19). Tali "classi", avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, "da sabato a sabato", due volte l'anno. L'elenco delle classi sacerdotali fino alla distruzione del tempio (anno 70 d. C.) secondo il testo dei Settanta era stabilito per sorteggio, così: I) Iarib, II) Ideia, III) Charim, IV) Seorim, V) Mechia, VI) Miamin, VII) Kos, VIII) Abia, IX) Giosuè, X) Senechia, XI) Eliasib, XII) Iakim, XIII) Occhoffa, XIV) Isbaal, XV) Belga, XVI) Emmer, XVII) Chezir, XVIII) Afessi, XIX) Fetaia, XX) Ezekil, XXI) Iachin, XXII) Gamoul, XXIII) Dalaia, XXIV) Maasai (l'elenco, in 1 Cr 24, 7-18). Il secondo fatto è che Zaccaria quindi apparteneva al "turno di Abia", l'VIII. Il problema che pone questo è che Luca scrive quando il tempio è ancora in attività, e quindi tutti potevano conoscere le sue funzioni, e non annota "quando" stava in esercizio il "turno di Abia". Inoltre, non dice in quale dei due avvicendamenti annuali Zaccaria ricevette l'annuncio dell'Angelo nel santuario. E sembra che lungo i secoli nessuno abbia avuto cura di riportare la memoria, o di fare qualche ricerca. La stessa Comunità madre, la Chiesa di Gerusalemme, giudeo-cristiana di lingua aramaica, che tradizionalmente (almeno per due secoli) era guidata dai parenti di sangue di Gesù, Giacomo e i suoi successori, non sembra che si curasse di questo particolare, che per i contemporanei andava da sé. Il "turno di Abia" con data certa Nel 1953 la grande specialista francese Annie Jaubert, nell'articolo «Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques», in «Vetus Testamentum», Suppl. 3 (1953) pp. 250-264, aveva studiato il calendario del Libro dei Giubilei, un apocrifo ebraico assai importante, che risaliva alla fine del sec. II a.C. Ora numerosi frammenti di testo di tale calendario, ritrovati nelle grotte di Qumran, dimostravano non solo che esso era stato fatto proprio dagli Esseni che lì vivevano (circa sec. II a. C.-sec. I d. C.), ma che esso era ancora in uso. Detto calendario è solare, e non dà nomi ai mesi, ma li chiamava con il numero di successione. La studiosa aveva pubblicato poi su questo diversi altri articoli importanti; vedi anche la sua voce "Calendario di Qumran", in "Enciclopedia della Bibbia" 2 (1969) pp. 35- 38. E in una celebre monografia, "La date de la Cène, Calendrier biblique et liturgie chrétienne", Études Bibliques, Paris 1957, aveva anche ricostruito la successione degli eventi della settimana santa, individuando in modo convincente (salvo dissensi di qualcuno) al martedì, e non al giovedì, la data della cena del Signore. Da parte sua, anche lo specialista Shemarjahu Talmon, dell'Università Ebraica di Gerusalemme, aveva lavorato sui documenti di Qumran e sul calendario dei Giubilei, ed era riuscito a precisare lo svolgersi settimanale dell'ordine dei 24 turni sacerdotali nel tempio, allora ancora in funzione. I suoi risultati erano consegnati nell'articolo "The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls", in "Scripta Hierosolymitana", vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199; si tratta di uno studio accurato e importante, ma, si deve dire, passato pressoché inosservato dal grande circuito, ma non ad Annie Jaubert. Ora, la lista che il professor Talmon ricostruisce indica che il "turno di Abia (Ab-Jah)", prescritto per due volte l'anno, ricorreva così: I) la prima volta, dall'8 al 14 del terzo mese del calendario, e II) la seconda volta dal 24 al 30 dell'ottavo mese del calendario. Ora, secondo il calendario solare (non lunare, come è l'attuale calendario ebraico), questa seconda volta corrisponde circa all'ultima decade di settembre. Come annota anche Antonio Ammassari, "Alle origini del calendario natalizio", in "Euntes Docete" 45 (1992) pp. 11-16, Luca, con l'indicazione sul "turno di Abia", risale a una preziosa tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, che da narratore accurato di storia (Lc 1, 1-4) ha rintracciato, e offre la possibilità di ricostruire alcune date storiche. Così il rito bizantino al 23 settembre fa memoria dell'annuncio a Zaccaria, e conserva una data storica certa, e pressoché precisa (forse con un decalco di uno o due giorni). Date storiche del Nuovo Testamento La principale datazione storica sulla vita del Signore verte sull'evento principale: la sua resurrezione nel resoconto unanime dei quattro Evangeli (e del resto della Tradizione apostolica del Nuovo Testamento, vedi 1Cor 15, 3-7) avvenne all'alba della domenica 9 aprile dell'anno 30 d.C., data astronomica certa, e quindi quella della sua morte avvenne circa alle 15 pomeridiane del venerdì 7 aprile del medesimo anno 30. Secondo i dati ricavati dall'indagine recente come sopra accennata, viene un intreccio impressionante di altre date storiche. Il ciclo di Giovanni il Battista ha la data storica accertata (circa) del 24 settembre del nostro calendario gregoriano dell'anno 7-6 a. C. per l'annuncio divino concesso a suo padre Zaccaria. Nel computo attuale, sarebbe nell'autunno dell'1 a. C., ma si sa che dal VI secolo vi fu un errore di circa sei o cinque anni sulla data reale dell'anno della nascita del Signore. La nascita di Giovanni il Battista nove mesi dopo (Lc 1, 57-66), (circa) il 24 giugno, è una data storica. Ma allora, nel ciclo di Cristo Signore, che Luca pone in forma di un dittico speculare con quello del Battista, l'annunciazione a Maria Vergine di Nazareth "nel mese sesto" dopo la concezione di Elisabetta (Lc 1, 28) risulta come un'altra data storica. E in conseguenza, e finalmente, è una data storica la nascita del Signore al 25 dicembre, ossia 15 mesi dopo l'annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l'annunciazione alla Madre sempre vergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista. La santa circoncisione otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè (Lev 12, 1-3), è una data storica. E così, quaranta giorni dopo la nascita, il 2 febbraio, la "presentazione" del Signore al tempio sempre secondo la legge di Mosè (Lev 12, 4-8), che segna l'hypapantê, l'Incontro con il suo popolo, è una data storica. "Problemi liturgici" La data del Natale ha intorno un nugolo di problemi. Anzitutto viene il fatto che in alcune Chiese si cumulò e talvolta si confuse il 25 dicembre con il 6 gennaio, giorno che cumulava la memoria degli eventi che contornavano la nascita del Salvatore. Poi, soprattutto, la non chiara distinzione tra memoria di un fatto, che può durare generazioni, la devozione intorno a questo fatto, che si può esprimere con un culto non liturgico, e l'istituzione di una festa "liturgica" con data propria e con una vera e propria ufficiatura, che comprende la liturgia delle ore sante e quella dei divini misteri. Qui va tenuto conto, come invece in genere si trascura, dell'incredibile memoria delle comunità cristiane quanto a eventi evangelici, e ai luoghi che videro il loro verificarsi. L'Annunciazione, ad esempio, era entrata nella formulazione di alcuni "Simboli battesimali" più antichi già nel secolo II. Essa nella medesima epoca fu rappresentata nell'arte cristiana primitiva, come nella catacombe di Priscilla. A Nazareth stessa, come ormai ha dimostrato splendidamente l'archeologia, il luogo dell'Annunciazione fu conservato e venerato senza interruzione dalla comunità locale, e fu visitato da un ininterrotto afflusso di pellegrini devoti, che lungo i secoli lasciarono anche graffiti e scritte commoventi, fino ai giorni nostri. Quando si avviò il culto "liturgico" della Madre di Dio, nel V secolo inoltrato, si ebbe la grande festa "liturgica" dell'Euaggelismós, l'annunciazione a Maria. Questa acquistò tale straordinaria risonanza che in Occidente i Padri la annoverarono tra i "primordi della nostra redenzione" (con il Natale, i Magi e le nozze di Cana), e in Oriente fu considerata così solenne e quasi soverchiante, che la sua data nel rito bizantino abolisce la domenica e perfino il giovedì santo, cede solo al venerdì santo, e se cade alla domenica della Resurrezione divide la celebrazione così che si celebra metà del Canone pasquale e metà del Canone dell'Annunciazione. A Betlemme già prima della costruzione della Basilica costantiniana (primo trentennio del IV secolo), la comunità cristiana aveva conservata la memoria e la venerazione ininterrotte del luogo della nascita del Signore. In Egitto la Chiesa copta conserva con ininterrotta devozione la memoria dei luoghi dove la santa famiglia sostò nella sua fuga (Mt 2, 13-18), dove furono costruite chiese ancora officiate. Si può parlare qui dei luoghi santi della Palestina, in specie quelli di Gerusalemme: dell'Anástasis, la Resurrezione (così riduttivamente chiamato "santo sepolcro") e del Golgota, del Cenacolo, del "Monte della Galilea" che è quello dell'Ascensione, del Getsemani, di Betania, della piscina probatica (Gv 5, 1-9), dove fu costruita una chiesa, del luogo della "Dormizione" della Madre di Dio nel Cedron, e così via. Su tutti questi luoghi esiste una documentazione preziosa, impressionante e ininterrotta lungo i secoli fino a noi, dei pellegrini che li visitarono sempre con gravi sacrifici e pericoli, e lasciarono descrizioni e resoconti scritti della venerazione di cui erano oggetto, e degli usi della devozione degli abitanti e degli altri visitatori. Il problema di grande interesse qui è la scelta delle date per le celebrazioni "liturgiche" vere e proprie. Quanto alla celebrazione "liturgica", nel senso visto sopra, del Signore, della sua Madre sempre vergine, di Giovanni il Battista, si trattò di scelte arbitrarie, provenienti da ideologie o da calcoli ingegnosi? Non pare. Il 23 settembre e il 24 giugno per l'annuncio e la nascita di Giovanni il Battista, e il 25 marzo e il 25 dicembre per l'annunciazione del Signore e per la sua nascita, non furono arbitrarie, e non provengono da ideologie di riporto. Le Chiese avevano conservato memorie ininterrotte, e quando decisero di renderle celebrazioni "liturgiche" non fecero che sanzionare un uso immemoriale della devozione popolare. Va tenuto conto anche del fatto poco notato che le Chiese si comunicavano le "date" delle loro celebrazioni, e così ad esempio quelle delle "deposizioni dei martiri", che chiamavano il "natale dei martiri" alla gloria dei cielo. Per le grandi ricorrenze, come le feste del Signore, degli apostoli, dei martiri, dei santi vescovi delle Chiese locali, e dal secolo V anche di quelle della Madre di Dio, le Chiese adottarono volentieri le proposte delle Chiese sorelle. In pratica, pressoché tutte le grandi feste del Signore e della Madre di Dio vengono dall'Oriente palestinese, e, furono accettate con grande entusiasmo dalle Chiese dell'Impero, e prima dei grandi scismi del V secolo, anche dall'immensa cristianità dell'Impero parto. Il Natale, come sembra, venne da Roma, e fu accettato, sia pure con qualche esitazione, da tutte le Chiese. Con questo, si vuole dire che le Chiese avevano la possibilità di controlli e di verifiche, e va detto che gli antichi padri nostri non erano affatto creduloni, ma spesso giustamente diffidenti, così da respingere ogni tentativo illecito e illegittimo di culto "non provato". L'evangelista Luca in tutto questo ha una parte non piccola, quando con opportuni e abili accenni rimanda a luoghi ed eventi e date e persone.</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-51865837171380100762007-11-27T16:46:00.000+01:002007-11-27T16:52:31.557+01:00La cultura dominata. Le ideologie del '900 e le loro radici anticristiane<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8Fd1cdR9xiZUIdUOaZ1TFKcGGNzV-3jQP5tXKQnCErPm4QH-oqMYCrsHkzuKwIGhLBbGoMsehRW3xxg6eEHz81KU37P95smm_bm2LKYW8fz82FnlLragd8sdIimeot0hACJ1hcZw_OcpS/s1600-h/LocandinaLeideologiedel900.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5137548238421686226" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8Fd1cdR9xiZUIdUOaZ1TFKcGGNzV-3jQP5tXKQnCErPm4QH-oqMYCrsHkzuKwIGhLBbGoMsehRW3xxg6eEHz81KU37P95smm_bm2LKYW8fz82FnlLragd8sdIimeot0hACJ1hcZw_OcpS/s320/LocandinaLeideologiedel900.jpg" border="0" /></a><br /><div></div><br /><div>Ciclo di incontri “La Cultura Dominata”.</div><br /><div>Venerdì 30 Novembre, ore 21.00,presso la sala della chiesa di San Martino I Papa,via Veio 37, zona San Giovanni, Roma; incontro sul tema:</div><br /><div><strong>LE IDEOLOGIE DEL ‘900 E LE LORO RADICI ANTICRISTIANE</strong> </div><div>Interverrà:- <strong><em>Adolfo Morganti</em></strong>, storico e saggista.</div><br /><div></div><br /><div>Tema dell’incontro:“La storia del ‘900 è stata in gran parte la storia di quelle ideologie che,con la scusa di cancellare Dio, hanno cancellato e imprigionato l’uomo e la sua natura. Una vicenda fatta di utopie e di sangue, di sogni prometeici e di macabre realtà, che va capita nella sua logica lucida e delirante.Per non dimenticare”.</div><br /><div></div><br /><div>Link: <a href="http://www.identitaeuropea.org/iniziative/dominata08_02.html">http://www.identitaeuropea.org/iniziative/dominata08_02.html</a> A cura di:</div><br /><div>- Ass. Cult. “Identità Europea area Lazio” (<a href="http://www.identitaeuropea.org/">http://www.identitaeuropea.org/</a>)</div><br /><div>- Casa Editrice “Il Cerchio” (<a href="http://www.ilcerchio.it/">http://www.ilcerchio.it/</a>)</div><br /><div>- Libreria Caffè Letterario “Aquisgrana” (www.aquisgrana.org)</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-42267984789940656182007-10-21T19:46:00.001+02:002007-10-21T20:19:35.706+02:00Contro Halloween: la macabra festa delle zucche vuote<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjci5EWxy0xlpbJGp6-u8MFp5tCrvyheVTXiKnwfDGjA6XgDvUxg3n8eu5Lu6tMZZPhd29B2fR1vlIsv9TvlstQjawzCI_xIe0cD-3EKMoYWllTNFTBDCaW8PVXMtmPf-gu_tkJblVIBSwD/s1600-h/halloween-mask.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5123848096186902178" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 271px; CURSOR: hand; HEIGHT: 225px" height="217" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjci5EWxy0xlpbJGp6-u8MFp5tCrvyheVTXiKnwfDGjA6XgDvUxg3n8eu5Lu6tMZZPhd29B2fR1vlIsv9TvlstQjawzCI_xIe0cD-3EKMoYWllTNFTBDCaW8PVXMtmPf-gu_tkJblVIBSwD/s320/halloween-mask.jpg" width="280" border="0" /></a> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh88NI0H9nVGrcRxl84X9MgFkDc2dlIccHPXkWQEY9bsA3FkyrduPuZUmXshZKnqE9wz_BO3eJPXDv91ahUsaSD2Xa-Od3dqkqrR0ly1IwRseSMpculdnuS6gsrzBrGkgb2JYKLbakZaXGq/s1600-h/tutti+i+santi.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5123847980222785170" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" height="248" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh88NI0H9nVGrcRxl84X9MgFkDc2dlIccHPXkWQEY9bsA3FkyrduPuZUmXshZKnqE9wz_BO3eJPXDv91ahUsaSD2Xa-Od3dqkqrR0ly1IwRseSMpculdnuS6gsrzBrGkgb2JYKLbakZaXGq/s320/tutti+i+santi.jpg" width="315" border="0" /></a><br /><div><br /><br /></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div></div><div align="justify">Ancora pochi giorni e le strade della nostra città, la notte di Ognissanti, si riempiranno di diavoli, streghe e teschi. Insomma c'è da stare tranquilli!!! Riproponiamo qui di seguito alcuni testi utili per un giusto discernimento su cosa sia in realtà Halloween. Abbiamo molti motivi per riflettere su questa strana festa: </div><div align="justify"></div><div align="justify"><strong>1) La passività sociale che vige in nome del divertimento alienante. E la passività anche cristiana difronte a simili manifestazioni</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>2) Lo svilimento della solennità di Tutti i Santi e della commemorazione dei fedeli defunti. Halloween trasforma la solennità liturgica da festa di luce a festa dell'ombra e della magia evocatrice. Come il Babbo Natale ed il ferragosto inaugura così una festa ideologica ridotta a pura esteriorità.</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>3) Povertà spirituale e pericolosità simbolica evocatrice.</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>4) Crescita in modo drammatico di stregoneria, paganesimo e satanismo soprattutto fra le classi più giovani.</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>5) Festa indirizzata all'immaginario infantile con sponsor che vanno dalla Coca-Cola al McDonalds fino alla Disney.</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify">Di fronte a questo rispondiamo nelle nostre parrocchie e diocesi con l'invito che ha fatto Padre Gabriele Amorth:</div><div align="justify"></div><div align="justify"><strong>1) celebrare la Santa Messa per offrire al Signore attraverso l’Eucarestia, una riparazione a questa “orrenda” festa, e di accostarsi tutti a prendere l’Eucarestia;</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>2)Recitare il Rosario, meglio se in Famiglia, in Parrocchia, anche attraverso l’ascolto di Radio Maria (per gli orari della recita del Rosario vai su www.radiomaria.it). Se proprio siete impossibilitati, recitatelo da soli;</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>3) Alla fine della Santa Messa recitare la Coroncina della Divina Misericordia, per chiedere perdono al Signore.</strong></div><div align="justify">Difendiamo la nostra tradizione da queste forme perverse.</div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify">Federico Intini</div><div align="justify">Ass. Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa</div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"><strong></strong> </div><div align="justify"><strong></strong> </div><div align="justify"><strong>Halloween festa anticristiana<br /></strong>a cura di <strong><em>Don Guglielmo Fichera</em></strong><br /><strong>HALLOWEEN: FESTA DELL’IGNORANZA E DELLA SUPERSTIZIONE<br />"NO" ALLA RIDICOLA FESTA DELLE ZUCCHE... VUOTE!!</strong><br /></div><div align="justify">Non è più giusto e più rispettoso della fede cristiana almeno spostare la data di questa festa di Halloween, non farla cioè coincidere con le due significative feste cristiane di tutti i Santi e dei fedeli defunti?<br />UNA PREMESSA<br />Non basta affermare con superficialità: "È solo un modo di divertirsi... è come se fosse un altro carnevale", senza valutare bene le sue radici culturali, le sue implicazioni esoteriche, il suo clima ambiguo e la sua risultante di apertura, più o meno dichiarata, alla mentalità magica.<br />1) Possibile che non ti sembra assurdo mettere sullo stesso piano maschere come quelle di Pulcinella, Arlecchino, Colombina, il dottor Balanzone, ecc. che hanno alle spalle una letteratura, una storia dell’arte e una storia del teatro significativa e positiva, con maschere che mirano solo ad esaltare un clima negativo, un clima macabro, fatto di horror, di stregonesco, di occulto, agganciandosi e diffondendo una pericolosa e deleteria cultura magica?<br />2) Possibile che tutti quei simboli dell’Horror (pipistrelli, streghe, fantasmi, vampiri, morti che tornano, ecc.) non hanno suscitato in te almeno una giusta perplessità?<br />3) Possibile che l’unico modo per divertirsi è riesumare LA FIERA DELL’HORROR? Bisogna per forza divertirsi (sic!) solo con diavoli, fantasmi, streghe, pipistrelli, e quanto altro di lugubre viene propinato?<br />Halloween, per esplicita ammissione dei suoi sostenitori è una festa pagana a cui sono stati aggiunti elementi tratti dalla cultura esoterica, magica, stregonesca, il tutto mascherato ipocritamente (e con studiata doppiezza) sotto la forma della festa, del divertimento, delle mangiate godereccie e delle frenesie di gruppo; in modo che quando qualcuno, meno "addormentato", punta il dito contro gli sconcertanti "aspetti horror" e magici di questo rito che ci è stato imposto, i fanatici della festa (a chi?) con un sorrisetto sarcastico e malizioso si giustificheranno dicendo: "Ma è solo un po’ di divertimento!" Noi ci chiediamo e vi chiediamo: qual è la necessità di riesumare una festa pagana? A cosa mira questo ritorno al paganesimo, che non è unico nella nostra società? Per quale motivo bisogna legare un sano divertimento ad un deleterio horror, ad una festa esoterica, magica, stregonesca, con tanto di travestimenti da diavoli, streghe, fantasmi, pipistrelli? Quando in una società cala (o si fa calare) il cristianesimo, sale lo spazio occupato dalla SUPERSTIZIONE!<br />A) Noi pensiamo che come esiste nella cultura normale, una "introduzione alla filosofia", una "introduzione alla sociologia", ecc., questi riti di massa, (non solo Halloween, ma anche altri, in altri modi e in altri campi) sono un tentativo di introduzione nell’opinione pubblica di un atteggiamento favorevole alla mentalità magico-esoterica. Quindi fanno da apripista per successive manipolazioni. B) È necessario contestualizzare questa pseudo-festa. Halloween non è un tentativo di "colonizzazione" magica, isolato. Questa pseudo-festa è solo uno degli svariati modi con cui si tenta di introdurre questa mentalità esoterica, estranea ed ostile al cristianesimo, nella nostra cultura e nei nostri costumi. Per realizzare questa strategia vengono utilizzati più mezzi, come la letteratura, i films e persino pubblicazioni specializzate che si vendono ora, addirittura in edicola. Contemporaneamente, nella società, pullulano "santoni" e "sensitivi". C) Naturalmente, tutti questi svariati modi, compreso Halloween, sono solo una "rete gettata", con cui si introducono occasioni, che possono prestarsi a successivi coinvolgimenti nella mentalità magica. Noi pensiamo che coloro che intendono diffondere questa mentalità magico-esoterica nell’opinione pubblica, procedano per gradi e per tentativi successivi. Si comincia con lo scherzo, col romanzo-fumettone che fa sognare, col film divertente e accattivante. Se si imbattono in UN CRISTIANESIMO AUTENTICO, VIGILE E VIGOROSO, si fermano e rimandano alla prossima occasione e modalità. Se invece trovano un CRISTIANESIMO ANNACQUATO, SECOLARIZZATO, MODERNISTA, CULTURALMENTE FRAGILE E COMPROMESSO, allora diffondono apertamente e in modo molto esteso, le loro forme "alternative" al cristianesimo e ben presto passano alla più grave tappa successiva. Halloween, per altro, è diventata anche un colossale business economico, con un giro enorme di soldi che arricchisce speculatori e mestieranti. Per tutti questi motivi messi insieme e per tutte le argomentazioni registrate in questo volantino, diciamo "NO!" a questa festa dell’ignoranza e della superstizione.<br /><br />PRUDENZA CONTRO GLI INGANNI<br />Esiste in atto un tentativo di introdurre e diffondere in vari modi, una contro-cultura alternativa fondata sulla mentalità magica ed esoterica. Si mira allora in vari modi a creare un atmosfera di simpatia intorno alla magia, a farla apparire buona, utile, addirittura… divertente, per spingere ad abbassare la guardia e la prevenzione naturale e giusta che l’opinione pubblica ha nei suoi riguardi. Questa cosiddetta "festa di Halloween" è solo uno dei modi (non certamente il solo) per realizzare queste finalità. La mentalità e la prassi magica o para-magica è il modo superstizioso, modernista e secolarizzato di sostituire la vera religione. Esistono in atto tentativi di introdurre gusti, mentalità e spirito magico in vari modi cercando di non destare sospetti, con tatticismi e accorgimenti furbeschi, per ingannare se fosse possibile anche coloro che hanno conservato un sano ... buon senso. Questa tattica del "doppio gioco" viene dichiarata esplicitamente da una loro rivista uscita per l’occasione: "I costumi più tipici sono quelli raffiguranti creature magiche pericolose, o ritenute tali dai Babbani (N.d.R. = i Babbani sono le persone di buon senso che si tengono lontane dalla magia = N.d.R.) come vampiri, lupi mammari, fantasmi, ecc. 1) Se frequentiamo insediamenti completamente magici, non ci sono limitazioni riguardo ai costumi. 2) Se invece progettiamo di fare un giretto, magari ad una festa in maschera babbana, dobbiamo osservate alcune semplici norme come: A) L’uso di incantesimi per creare i costumi deve essere molto scarso. B) Niente zanne o pelo troppo realistici, i Babbani potrebbero insospettirsi. Attrezziamoci quindi con pazienza e tentiamo di limitare al massimo l’utilizzazione della magia!" (Gazzetta dei Maghi e delle Streghe, Anno I, N. 10, 2004 - Edizione Straordinaria – HALLOWEEN - Magie e segreti della Notte più Misteriosa, p. 3).<br /><br />PRIMA DI AGIRE, CONOSCI SIMBOLISMI ED OCCULTO<br />Il 31 ottobre, è una data importante non soltanto nella cultura celtica, ma anche nel satanismo. E uno dei quattro sabba delle streghe. I primi tre segnavano il tempo per le stagioni "benefiche": il risveglio della terra dopo l’inverno, il tempo della semina, il tempo della messe. Il quarto sabba marcava l’arrivo dell’inverno e la "sconfitta" del sole, freddo, fame e morte. La festa cattolica di Tutti i Santi non ha niente a che vedere con quella di Halloween. Essa è stata instaurata da Papa Gregorio IV nell’anno 840. Originariamente si celebrava nel mese di maggio e non il 1° novembre.<br />Fu nel 1048 che Odilo de Cluny decise di spostare la celebrazione cattolica all’inizio di novembre al fine di detronizzare il culto a Samhain. Una volta, dunque, le feste pagane venivano sostituite, negli stessi giorni da feste cristiane; oggi si assiste al tentativo contrario: in coincidenza con le feste cristiane di tutti i Santi e dei fedeli defunti, si cerca di diffondere nella cultura e nei costumi, una festa pagana estranea e ostile al clima e al contesto di preghiera e di vera fede delle due feste cristiane. Non era più giusto e più rispettoso almeno spostare la data di questa festa di Halloween, non farla cioè coincidere con queste due significative feste cristiane?<br /><br />1. IL SIGNIFICATO<br />Halloween è la forma contratta dell’espressione inglese "All Hallows Eve" che letteralmente significa vigilia d’Ognissanti. Halloween, nonostante non lo si dica come invece si dovrebbe, è una ricorrenza magica. Il mondo dell’occulto cosi lo definisce: "È il giorno più magico dell’anno, è il capodanno di tutto il mondo esoterico, è la festa . più importante dell’anno per i seguaci di satana".<br />Nell’ultima pagina pubblichiamo il rituale magico per la festa di Halloween, stampato, su carta intestata; da un centro di magia nel foggiano.<br /><br />2. PERCHÉ SI FESTEGGIA LA NOTTE DEL 31 OTTOBRE?<br />Le origini di Halloween risalgono dunque agli antichi druidi celti, e quindi a circa 2000 anni fa. I Celti vivevano in un vasto territorio che oggi è occupato dalla Francia, l’Inghilterra, il Galles e la Scozia, l’Irlanda, e celebravano la vigilia del nuovo anno, il 31 ottobre, in onore di Samhain, il principe della morte. Siccome il loro sostentamento principale era l’agricoltura, nella notte del 31 ottobre (la notte di fine estate) i Celti festeggiavano Samhain, una divinità oscura che i mortali ringraziavano per i raccolti estivi. Si trattava del "Trinox Samhain" o capodanno celtico. Quindi è evidente l’origine pagana della festa. Samhain era il Signore degli Inferi che, con l’arrivo dell’inverno, cancellava la potenza del dio sole, suo eterno rivale. Samhain venne così tradizionalmente identificato con il dio dei morti, o semplicemente con la luna, che spesso appare nell’iconografia di Halloween. Samain è anche il nome gaelico del mese che corrispondeva suppergiù a novembre. Il giorno di Samhain segnava dunque l’inizio invernale della metà dell’anno, e fu chiamato per questo il giorno in mezzo agli anni.<br />L’essere "in mezzo agli anni" veniva considerato un momento magico: le barriere tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti si assottigliavano tanto da permettere a questi ultimi di tornare sulla terra comunicare con i vivi. I Celti credevano che in questo giorno gli spiriti malvagi dei morti, ritornavano per creare confusione e caos fra i viventi. La festa doveva placare Samhain e gli spiriti dei defunti. All’inizio, in questa giornata, si onoravano tutti i morti, compresi i primi santi cristiani, ma con il passare del tempo, incredibilmente, questi spiriti assunsero un connotato diabolico e malvagio. Fu così che, durante le celebrazioni per Halloween, apparvero rappresentazioni di fantasmi, scheletri, simboli della morte, del diavolo e di altre creature maligne, come le streghe. Pipistrelli, gatti neri, la luna piena, streghe, fantasmi, ecc. questi simboli hanno poco a che vedere con la iniziale e celtica vigilia di Samhain. Qualcuno li ha aggiunti abusivamente. Nella cerimonia celtica però era già presente un particolare che ha fatto da apripista all’inglobamento di simboli esoterici: i partecipanti dovevano vestirsi con pelli e teste d'animali, al fine di acquistare la forza dell’animale rappresentato e spaventare (sic!) così gli spiriti malvagi che erano presenti.<br /><br />3. LA LEGGENDA<br />L’antica leggenda irlandese racconta che Jack, un fabbro malvagio, perverso e tirchio, una notte d’Ognissanti, dopo l’ennesima bevuta viene colto da un attacco mortale di cirrosi epatica. Il diavolo nel reclamare la sua anima viene raggirato da Jack (sic!) e si trova costretto ad esaudire alcuni suoi desideri, tra i quali quello di lasciarlo in vita, giungendo ad un patto con cui rinunciava all’anima del reprobo. Jack, ignaro dell’effetto della malattia, muore un anno dopo. Rifiutato in Paradiso, Jack non trova posto nemmeno all’inferno a causa del patto con diavolo. A modo di rito il poveraccio intaglia una grossa rapa mettendovi all’interno della brace fiammante, a luogo della dannazione eterna. Con questa lanterna, Jack, fantasma, torna nel mondo dei vivi. Gli irlandesi, colpiti dalla carestia, immigrarono in America verso il 1850. Approdati nel nuovo mondo, trovarono un enormità di zucche che, a differenza delle piccole rape indigene, erano sufficientemente grandi da essere intagliate. Così le zucche sostituirono le rape e divennero le Jack o lantern, utilizzate la notte d’Ognissanti perché si pensava di tenere lontani gli spiriti inquieti dei morti che tentavano, come Jack, di tornare a casa. I bambini oggi si travestono e fanno visita alle famiglie guidati dalla lanterna-zucca e ottengono dolci in cambio della loro "benevolenza". "Trick - or - treat" è l’usanza del "dolcetto o scherzetto" [...], il significato originale è: "maledizione o sacrificio". Questa festa, affermatasi e diffusasi negli U.S.A., è stata importata dagli Stati Uniti in Europa e quindi in Italia.<br /><br />4. FATTI STORICI<br />Alcuni secoli prima di Gesù Cristo, una setta segreta teneva sotto il suo impero il mondo celtico. Ogni anno, il 31 ottobre, giorno di Halloween, essa celebrava, in onore delle sue divinità pagane, un festival della morte. Gli anziani della setta andavano di casa in casa reclamando offerte per il loro "dio" e capitava che esigessero sacrifici umani. In caso di rifiuto, proferivano delle maledizioni di morte sulla casa: da qui è nato il "trick or treat".<br /><br />5. PERCHÉ CI SI METTE IN MASCHERA?<br />Halloween è la festa--dei mostri, degli spiriti, degli esseri malvagi, e di tutti quei personaggi che tradizionalmente, nell’immaginario comune, incarnano il concetto del male, opponendosi agli eroi buoni. Quindi le maschere più azzeccate sono quelle che rispettano questa tendenza malefica: pirati, streghe, vampiri, diavoli, con tutte le varianti moderne estrapolate dal cinema, dai cartoons, dai fumetti (quanti bambini, quest’anno, si travestiranno ancora da nemici di Spiderman?). Nell’Irlanda celtica si credeva che in questa data gli spiriti tornassero indietro in cerca di un corpo da possedere. Per difendersi (sic!) da questa minaccia ci si mascherava in modi spaventosi, e si sfilava per le strade sperando così di scacciare i fantasmi vagabondi fuori dalla città.<br /><br /><br />6. PERCHÉ LE MELE SONO IL FRUTTO PROTAGONISTA?<br />Per la notte delle streghe si fanno feste durante le quali vengono distribuiti vari tipi di dolci come la mela caramellata, tradizionale dolce della notte di Halloween. Inoltre si organizzano giochi come quello della mela, che consiste nel cercare di mordere una mela messa in una bacinella d'acqua, tenendo le mani dietro alla schiena. Ma da dove arriva l’abitudine di usare le mele in occasione di Halloween? La tradizione popolare riferisce che per venerare Samhain, la terribile divinità della notte, si praticavano riti divinatori che riguardavano previsioni del tempo, matrimoni e la fortuna per l’anno venturo, e che avevano tutti per protagonista la mela. In particolare vi erano due riti: 1) quello dell’immersione delle mele 2) e quello della spellatura della mela. Il primo era una divinazione per un matrimonio: la prima persona che mordeva una mela si sarebbe sposata l’anno seguente. Invece sbucciare la mela era una divinazione sulla durata della vita: più lungo era il pezzo di mela sbucciato senza romperlo, più lunga sarebbe stata la vita di chi la sbucciava. Naturalmente non è la mela caramellata che - di per sè - trasforma in... streghe! Come non sono i pipistrelli, i ragni e i gatti neri che - di per sé - fanno la magia. In questi riti di massa, si aprono delle "finestre", sì introducono delle occasioni che gettano una rete favorevole che può preparare la strada a possibili intromissioni, da parte di esponenti della mentalità magica.<br /><br /><br />7. PERCHÉ LE ICONE ANIMALI SONO PIPISTRELLO, GUFO, RAGNO E GATTO NERO?<br />Tutti e quattro questi animali sono stati associati, a partire dal Medioevo, alle streghe, di cui si credeva che fossero servitori demoniaci, chiamati famigli. Quando le streghe cominciarono a essere collegate ad Halloween, anche i famigli ne divennero delle icone.<br />Pipistrello. Simbolo molto popolare di Halloween. Il pipistrello è connesso alla stregoneria e alla morte in molte culture diverse: questa associazione nasce dall’usanza di volare di notte e di dimorare in caverne e rovine. Il sangue di pipistrello era anche usato (soprattutto nella magia nera) per la preparazione di pozioni magiche e unguenti.<br />Ragno. La superstizione vuole che il ragno sia portatore di cattive vibrazioni, capace di fare del male a uomini e animali anche solo con la vicinanza.<br />Gufo. Ancora oggi c è chi pensa che sentire un gufo nel buio della notte indichi morte o cattivi presagi. Durante il Medioevo si credeva che nella notte di Halloween demoni in forma di gufi viaggiassero assieme alle streghe e ai loro gatti a bordo di manici di scopa per andare al Sabba delle Streghe. Addirittura si temeva che fossero streghe travestite, ragion per cui vedere o sentire un gufo era fonte di paura. Anche nell’antica Roma il gufo era uccello di malaugurio: la sua presenza indicava sfortuna (infatti il gufo era chiamato strinx dai romani, cioè strega).<br />Gatto. Infine, il gatto nero: quanti di voi tuttora fanno tre passi indietro quando un gatto nero taglia la strada? Per qualcuno, ancora oggi, i gatti neri sono creature sinistre portatrici di sfortuna. Ed è ancora una volta nell’epoca medievale che il gatto nero divenne simbolo del diavolo. I gatti neri vengono associati alle streghe per superstizione: si credeva infatti che le streghe potessero trasferire il loro spirito in un gatto, e per questo ne avevano sempre uno.<br /><br />8. ALCUNE CONSIDERAZIONI<br />1) A parte che è solo ridicolo pensare che ci siano degli spiriti dei morti che tentano di tornare a casa! Dopo la morte, col giudizio particolare, l’anima di ogni uomo va in Paradiso, oppure in Purgatorio o all’Inferno, e quindi è per sempre, solo nelle mani di Dio. È solo ridicolo pensare che l’anima può decidere di farsi una passeggiata, di andare a trovare una casa dove abitare per il futuro, di fare scampagnate o di passare una serata con gli amici! 2) La leggenda di Jack è solo sconcertante e assurda: A) quando uno muore, il Giudizio si compie davanti a Dio e non davanti al diavolo; B) il diavolo non ha il potere di far tornare in vita una persona dopo che è morta: questo potere compete solo a Dio; C) se si fa un patto col diavolo, l’Inferno accoglie a braccia aperte il contraente; la storiellina, invece, racconta assurdamente che a causa del patto col diavolo addirittura Jack non trova posto nemmeno all’inferno; D) inoltre la storiellina sviluppa e accredita credenze e pratiche magiche: chiedere al diavolo l’esaudimento dei propri desideri, fare un patto col diavolo, ecc. E) È veramente ridicolo pensare di tenere lontano questi presunti spiriti dei morti, di spaventare e scacciare i fantasmi, solo con delle lanterne. È superstizioso pensare di allontanare realtà spirituali, soprannaturali, solo con una zucca, cioè solo con mezzi naturali!! F) Infine va sottolineato con forza l’atteggiamento negativo verso la morte e verso i defunti che questa "festaccia" induce, come se i morti fossero solo qualcosa di ostile da cui difendersi. Per i defunti si va al cimitero a pregare, si fanno offrire Messe, comunque vanno pensati e accostati con affetto e familiarità, non certo con timore e diffidenza. Il culto e l’affetto per i morti è segno di civiltà e scaturisce dall’amore. "E stato il cristianesimo a rivoluzionare il rapporto con i defunti: i pagani seppellivano i morti lontano dalle città perché ne avevano timore e li sentivano in qualche modo contaminanti; invece, i cristiani cominciarono subito a venerare i corpi dei santi, costruendoci sopra le chiese e i villaggi. Furono i giacobini, ufficialmente per motivi "igienici" (ma in realtà neopagani), a ripristinare le necropoli extraurbane, che Napoleone si preoccupò di esportare, facendo infuriare, come si sa dalla scuola dell’obbligo, il suo ammiratore Foscolo" (Rino Camilleri). Si vuole esorcizzare la morte, facendone la caricatura. Ma questo non è un modo di esorcizzare la morte, ma di profanarla, banalizzarla, ridicolizzarla, renderla superficiale, come un genere di consumo. Questa festa di Halloween getta sicuramente un’ombra blasfema sulla festa di tutti i Santi, lasciando strascichi anche nel giorno dei defunti.<br /><br />9. ATTENZIONE: HALLOWEEN È SOSTANZIALMENTE MAGIA<br />Giovani o meno giovani, dobbiamo essere sempre ben accorti a non farci avvinghiare dal mondo esoterico attraverso i rituali di massa che, nelle feste come quelle dedicate ad Halloween, ci vengono proposti. Halloween, quando e dove è celebrata nel significato oggi assunto, insieme ad altri modi e stimoli simili (presenti ad esempio nella letteratura, nel cinema, ecc.) sono tutte porte aperte sulla mentalità magica, sulla cultura esoterica, in alcuni casi - e dove vi si accede - anche sul mondo del paranormale.<br />Lo scopo è di far familiarizzare l’opinione pubblica e di farle prendere dimestichezza con queste mentalità esoteriche e magiche, estranee e ostili alla cultura cristiana. Una parte del cinema - ad esempio - ha contribuito non poco al dannoso influsso di Halloween, sponsorizzandola e promuovendone stili, contenuti e costumi. In ogni caso bisogna sempre vigilare che attraverso i gesti e i simboli posti durante questa festa non si cada o non ci acceda ai deleteri significati da essa - oggi - sottesi e veicolati. Non c’è dubbio che nel mondo dei satanisti, Halloween è una grande festa magica e che, in alcuni loro settori più depravati ai nostri giorni si sa che in questa notte alcuni di loro arrivano anche a praticare dei sacrifici umani. A causa delle sue radici e della sua essenza occulta Halloween può aprire una porta all’influsso occulto nella vita delle persone. L’enfasi di Halloween è sulla paura, sulla morte, sugli spiriti, sulla stregoneria, sulla violenza, sui demoni.<br />Commercianti e venditori, abbiamo il coraggio di dire "NO" a promuovere articoli che, dietro l’apparenza della mascherata, diffondono e creano, mentalità esoterica. Molti oggetti venduti tra i prodotti di consumo sono amuleti, o loro riproduzioni, usati nelle pratiche di stregoneria.<br />Non dimentichiamo che le disastrose conseguenze dell’inalazione magica non sono immediate, ma si manifestano a distanza di anni in depressioni, crisi e violenze. S’impone un irremovibile presa di posizione riguardo a tutto ciò che ci viene propinato da Halloween, dal mondo e dalla mentalità magica in genere. Consideriamo che le parole che proclamiamo, i gesti che facciamo, la mentalità che seguiamo e i simboli che poniamo, non sono realtà neutre o prive di significato, ma costruiscono e richiamano un mondo e una mentalità; significano e introducono la realtà spirituale che rappresentano. Genitori, stiamo attenti a permettere che i nostri ragazzi si abituino, o ancor peggio, si educhino all’occulto. Insegnanti, informiamoci sulle verità nascoste dietro questo rito di massa. Potremmo trasmettere ai giovani - a nostra e a loro insaputa - monete false e deleterie aperture a mentalità magico-esoteriche.<br /><br />UNA TESTIMONIANZA IN PRIMA PERSONA<br />In un liceo di Foggia l’insegnante di religione ha parlato a lungo di questa festa, delle sue implicazioni, del suo significato, delle sue origini pagane, delle sue implicazioni magiche, esoteriche, stregonesche, ecc. Durante il dialogo con i ragazzi, due ragazze hanno chiesto la parola per testimoniare che tutto quanto riportato in questa documentazione risponde a verità. L’anno precedente infatti hanno partecipato ad una di queste feste di Halloween, pensando che si trattasse solo di un po’ di divertimento con punte di macabro, ma alla fine della festa alcuni ragazzi hanno chiesto loro di partecipare ad una seduta spiritica.<br /><br />"NON PARTECIPATE ALLE OPERE INFRUTTUOSE DELLE TENEBRE, MA DENUNCIATELE APERTAMENTE" (Ef 5,11)<br />Giovanni Paolo II: "Oggi diverse forme di esoterismo dilagano anche presso alcuni credenti, privi del dovuto senso critico" (Fides et Ratio, n. 37).<br />Molti gruppi, movimenti, associazioni cattoliche, la notte del 31 ottobre si riuniranno in preghiera o organizzeranno feste cristiane alternative con la partecipazione di gruppi, cantanti o cantautori della musica cristiana contemporanea dei vari generi musicali e particolarmente, in quella occasione, di Lode e Adorazione contemporanea.<br />La festa della zucca si è rivelata in realtà, la festa di chi ha poca... zucca. È la festa di chi ha poca conoscenza delle. sue radici e delle sue implicazioni. Essa è la festa delle zucche vuote: ma non di quelle che si portano in mano! La zucca veramente vuota è costituita - in realtà - dalla mentalità pagana, superficiale e superstiziosa - estranea ed ostile al nostro cristianesimo - che lo spirito attuale di questa festa richiama e cerca di introdurre.<br />Halloween festa anticristiana<br />di don Lorenzo Biselx n.1(49) di LA TRADIZIONE CATTOLICA (nuova serie - anno XIII - 2002),<br />Indubbiamente Halloween è entrato nel paesaggio della nostra "civiltà" odierna. Però devo confessare che dieci anni fa non avevo ancora mai sentito questo strano vocabolo. Lo scoprii durante il mio primo anno di seminario a Flavigny-sur-Ozerain, vedendo con sorpresa una sera una zucca con dentro una candela accesa, deposta davanti alla porta di alcune case. Qualcuno mi spiegò allora che si trattava di una nuova festa: Halloween. Penso che è stato più o meno così per tutti voi. D'altronde possiamo constatare che perfino le grandi enciclopedie come l'Enciclopedia cattolica (1948-1954), il Grande Dizionario enciclopedico (1935), il Grande Dizionario della lingua italiana (1972) o anche la Grande Enciclopedia universale Atlantica (1982) non contengono affatto questo nome. Soltanto l'Encyclopedia britannica vi consacra un articolo. Internet ovviamente ci fornisce oggi molti dettagli sulla storia di questa "festa" leggendaria.<br /><br /><br />Le origini<br />Il 1 novembre era il giorno più solenne dell'anno per i Celti che solevano fare le loro celebrazioni più importanti durante la notte dal 31 ottobre al 1 novembre, chiamata la notte di Samhaim, il quale era il "Signore della morte, il Principe delle Tenebre". I Druidi credevano infatti che, la veglia di questa festa, i morti dell'anno precedente tornassero sulla terra in cerca di nuovi corpi da possedere. Mentre i contadini spegnevano il focolare per allontanare questi spiriti, i Druidi si radunavano su una collina in mezzo alle querce per compiere la grande cerimonia notturna in cui, tra le danze e i canti, si offrivano dei sacrifici per fare paura agli "spiriti cattivi". Il mattino, dopo aver acceso il fuoco nuovo, i druidi facevano il giro delle case portando le ceneri ardenti del fuoco presso le famiglie affinché tutti potessero riaccendere il focolare familiare. In questa occasione chiedevano delle offerte per il loro dio e proferivano delle maledizioni in caso di rifiuto. Donde il "trick or treat" (offerta o maledizione), e le famose rape (oggi zucche) nelle quali bruciava il fuoco sacro.<br />E l'usanza moderna di travestirsi nel giorno d'Halloween?<br />Viene dai tre giorni di festa che succedevano alla notte dei sacrifici: durante questi giorni, i Celti si mascheravano con le pelli degli animali uccisi "per esorcizzare e spaventare gli spiriti. Vestiti con queste maschere grottesche, ritornavano al villaggio illuminando il loro cammino con lanterne costituite da cipolle intagliate in cui erano poste le braci del Fuoco Sacro".<br />In epoca moderna questo rito celtico s'intrecciò con la leggenda di Jack o'Lantern. Jack era un uomo dissoluto e un alcolizzato impenitente. Quando una notte il diavolo venne a cercare la sua anima, negoziò e ottenne ancora un anno di vita. Dopo questo anno riuscì a ottenere dal demonio di non essere mai mandato all'inferno. Così, quando morì, non potendo né entrare in Cielo a causa della sua impenitenza né in inferno a causa del suo commercio col diavolo, fu condannato a girovagare sulla terra, illuminando il suo cammino grazie ad una lanterna formata da un rapa (americanizzata poi in zucca) contenente una brace dell'inferno regalata dal diavolo.<br />Morte e demoni<br />Ovviamente, Halloween ci riporta in pieno paganesimo, un paganesimo mai sparito e che approfittò dello sconvolgimento religioso della Riforma per ritornare in "superficie": il 31 ottobre, vigilia della festa di Ognissanti (All Hallows' e'en in vecchio inglese), alcuni solevano festeggiare gli spiriti cattivi, lodando quanto si opponeva alla bontà, alla bellezza di Dio, alla vita eterna...<br />La Riforma protestante, portando con sé la perdita della fede e sopprimendo molte feste cattoliche (tra le quali la festa di Ognissanti), aveva deviato la pietà e quindi creato le condizioni favorevoli per tali cerimonie sacrileghe. Peggio ancora, la notte del 31 ottobre, capodanno dei Celti, è rimasta come il capodanno degli stregoni, perché è l'inizio di quanto è "cold, dark and dead..." (freddo, buio e morto...) e uno dei loro principali sabba ("Black Sabbath")7. Può ahimè essere anche un'occasione speciale per i sacrifici, perfino umani, e le messe nere.<br />Halloween ha seguito i coloni anglosassoni (soprattuto irlandesi) nella loro conquista del continente americano e si è sviluppato nel Nuovo Mondo dove, nell'ultimo secolo, ha fatto la felicità di alcuni grandi negozianti, ai quali mancava, tra le vacanze estive e Babbo Natale, un'occasione per sfruttare lo spirito consumistico dei bambini. Ovviamente la Vecchia Europa non poteva rimanere a lungo senza adottare il nuovo "culto"; così vediamo diffondersi sempre di più da noi Halloween con il suo corteo di articoli adorni in modo macabro (con immagini di teschi8, scheletri, streghe... ). Ho sotto gli occhi una tessera di "demone ufficiale 2000"; il bambino vi è invitato a firmare la seguente dichiarazione: "Faccio parte dei demoni della festa di Halloween 2000 e mi impegno a fare e dire tantissime cose mostruose". Poi viene la risposta: "Adesso che sei demone ufficiale, impara il linguaggio degli orrori e svela il tuo lato demone!" Ecco la demonopedagogia! I bambini sono poi invitati a girare nella città, "con maschere e costumi mostruosi e terrificanti", bussando alle porte chiedendo spiccioli o dolcetti. Se le persone rifiutano, possono giocare loro qualche brutto scherzo, "come svuotare la pattumiera nel giardino"10.<br />Così, astutamente, i fanciulli vengono invitati a travestirsi da strega, fantasma, morto vivente o demone in un nuovo carnevale, molto peggio del vecchio (perché per un bambino vestirsi da orso o da principessa può essere un gioco innocente). Qui si tratta di mirare direttamente al laido, al male, per partecipare, inconsapevolmente, alla celebrazione di una specie di festa liturgica neo pagana e addirittura satanica. I bambini vengono così resi più vulnerabili di fronte al tenebroso fascino del rock satanico che forse incontreranno una volta adolescenti. Noisy Mag, rivista specializzata nel "rock estremo", consacrava nel 2000 un dossier "Special Halloween" nel quale venivano condannati i tentativi fatti negli USA da "potenti lobbies affiliate alla destra ultraconservatrice" per vietare la celebrazione di Halloween. Noisy Mag affermava poi che, accanto alle processioni di bambini travestiti che bussano alle porte, Halloween continua ad "avere un'importanza tutta particolare presso i satanisti". Quindi l'articolista di questa rivista "hard rock" proseguiva con una descrizione dei riti luciferiani propri della "festa" chiamata da loro "Samhain".<br />Secondo l'Encyclopodia Britannica, la Chiesa tentò nel Medioevo di sradicare Halloween: tale fu lo scopo dello spostamento, ad opera di Gregorio IV, nell'834, della festa di Ognissanti dal 13 maggio al 1 novembre. L'introduzione nel X secolo della festa di tutti i fedeli defunti avrebbe anche dovuto aiutare la sparizione della "festa delle streghe". Abbiamo visto che purtroppo questo scopo non fu totalmente raggiunto e adesso è necessaria una vigilanza particolare perché, per molti cristiani di nome, Halloween rischia di fare forte concorrenza alle belle e consolanti feste cristiane del 1 e 2 novembre.<br />Basta con Halloween<br />di Cecilia Gatto Trocchi tratto da Avvenire del 26 Ottobre 2002<br />Da alcuni anni si è diffusa in Italia la moda di celebrare Halloween, festa semi-carnevalesca, legata impropriamente alle streghe. Le maestre elementari fanno a gara a proporre spettri, maghi, vampiri e mostri. Ma Samain o Samuin è il nome gaelico di un mese che corrisponde più o meno a novembre: la festa è citata ma non descritta per la prima volta in un testo irlandese detto prosaicamente "La mucca grigia" del 1100. Altro che preistoria! Ognissanti è una festa cristiana, portata negli Stati Uniti dagli irlandesi e dagli scozzesi. Si ricordavano nella notte di Halloween i martiri, in una celebrazione che anticipava la festa del 2 novembre, quando ogni famiglia ricordava i propri defunti. Il cristianesimo ha rivoluzionato il rapporto coi defunti: mentre i pagani seppellivano i morti lontano dalla città, in quanto ne avevano timore e li sentivano contaminanti, i primi cristiani hanno venerato i corpi dei santi, costruendo su di essi gli altari e poi le chiese e i villaggi. Il ricordo dei defunti è stato posto dai Padri della Chiesa nel periodo autunnale, quando anche la natura sembra appesantita da un sonno mortale e i giorni si accorciano fino al solstizio d'inverno.<br />Le tradizioni popolari collegano al periodo autunnale riti propiziatori. È certo che in ambito celtico e gallico si celebravano i defunti e si consacrava un giorno alla loro rievocazione, anche se non esistono testimonianze storiche scritte. I riti riguardavano la natura, il cosmo e la comunità dei vivi e dei morti. I bambini indossavano maschere rappresentando, nel grande dramma cosmico e sociale, la continuità della vita. Ecco il perché delle maschere spettrali: i bambini impersonano per un giorno i "poveri, pallidi morti" come dice una ballata irlandese: in nome dei defunti chiedono i dolcetti che nell'Italia centro-meridionale si chiamano espressamente "ossa di morto" o "fave di morto". Le zucche illuminate, utilizzate fin dalla remota romanità, simboleggiano sia la fecondità (per via dei numerosi semi, che alludono alla rinascita) sia la luce che guiderà i morti nel loro ritorno nel regno dell'Ade.<br />In Sicilia è viva la tradizione secondo cui sono i defunti a portare regali ai bambini. Durante la "fiera dei morti", tra riti e celebrazioni, si vendono i dolci che i bambini troveranno ai piedi del letto il 3 novembre. Perché allora oggi si celebra Halloween in discoteche fracassone, si evocano streghe e demoni, vampiri e spettri?<br />Si tratta di un vero e proprio processo di "desacralizzazione" che l'ambiente consumistico e materialista americano sta imponendo da vari anni. Va ricordato che il neo-protestantesimo americano nega il culto dei santi, lo combatte e lo demonizza. Nell'Ottocento, dimenticato il rapporto coi santi, obliato il ruolo delle maschere legate alla rievocazione dei defunti, resta un pasticcio neo-stregonesco, un'evocazione ambigua di forze maligne, una moda horror, sulla spinta del romanticismo deteriore. A tutto questo da almeno 10 anni si è sovrapposto il revival della magia paganeggiante, della stregoneria New Age, dell'occultismo e del satanismo. È quindi accaduto che una festa cristiana sia diventata pagana e non viceversa. Non a caso i fondatori della neo-stregoneria inglese ed americana hanno "scippato" alla cristianità la festa di Ognissanti per farne una ricorrenza dei Sabbah. Si tratta di un'invenzione bella e buona, dato che in nessun testo di magia storicamente corretto risultano rituali magici eseguiti il 1° novembre.<br />Secondo le tradizioni di moltissimi popoli primitivi, i morti vanno pacificati e mai evocati inutilmente. Ma alcune zelanti maestrine e capi-condominio fanno a gara a evocare streghe e spettri. Adesso anche la Sisal ha inventato una lotteria legata ad Halloween. Per non parlare delle discoteche che lucrano su diavoli, streghe, fantasmi. Non a caso i satanisti celebrano i loro riti ad Halloween. La festa così concepita si configura inconsapevolmente come un sortilegio laico, una sorta di rituale di necromanzia mercantile molto kitsch. È un folklore da fast food, condito con salse piccanti e dolciastre e corredato da un mostriciattolo di plastica.<br />È giusto chiederci: che ne sarà della salute mentale e digestiva dei nostri bambini? Non sarebbe meglio mangiare i dolci caserecci di mandorle e recitare "I Sepolcri" di Ugo Foscolo, monumento perenne alle glorie italiche?<br />di padre Gabriele Amorth<br /></div><div align="justify">L'ESORCISTA DELLA SANTA SEDE: HALLOWEEN E' UN OSANNA AL DIAVOLO<br />''Penso che la societa' italiana stia perdendo il senno, il senso della vita, l'uso della ragione e sia sempre piu' malata. Festeggiare la festa di Halloween e' rendere un osanna al diavolo. Il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona. Allora non meravigliamoci se il mondo sembra andare a catafascio e se gli studi di psicologi e psichiatri pullulano di bambini insonni, vandali, agitati, e di ragazzi ossessionati e depressi, potenziali suicidi''. La condanna e' dell'esorcista della Santa Sede, gia' presidente dell'associazione internazionale degli esorcisti, il modenese padre Gabriele Amorth.<br />I macabri mascheramenti, le invocazioni apparentemente innocue altro non sarebbero, per l'esorcista, che un tributo al principe di questo mondo: il diavolo. ''Mi dispiace moltissimo che l'Italia, come il resto d'Europa, si stia allontanando da Gesu' il Signore e, addirittura, si metta a omaggiare satana'', dice l' esorcista secondo il quale ''la festa di Halloween e' una sorta di seduta spiritica presentata sotto forma di gioco. L'astuzia del demonio sta proprio qui. Se ci fate caso tutto viene presentato sotto forma ludica, innocente. Anche il peccato non e' piu' peccato al mondo d'oggi. Ma tutto viene camuffato sotto forma di esigenza, liberta' o piacere personale. L'uomo - conclude - e' diventato il dio di se stesso, esattamente cio' che vuole il demonio''. E ricorda che intanto, in molte citta' italiane, sono state organizzate le 'feste della luce', una vera e propria controffensiva ai festeggiamenti delle tenebre, con canti al Signore e giochi innocenti per bambini.<br /></div><div align="justify">di <strong><em>don Tullio Rotondo</em></strong><br />Carissimi, riguardo alla festa di Halloween ritengo importante riportarequanto segue, tratto dalla Encyclopedia Britannica del 1960. Sintetizzoal massimo il testo ma metto in evidenza i dati per noi più decisivi Ilnome, come detto significa vigilia della festa di tutti i santi.Studiosi del folklore trovano in Halloween delle tracce del druidismo edella festa romana di Pomona e ciò a causa dell'uso di noci e mele e difigure di streghe, gatti neri e scheletri. Il collegamento al druidismoè reso evidente dal fatto che precisamente il 31 ottobre finiva l'annoceltico , era la vigilia di Samahain : per i druidi Samahain era insiemela fine dell'estate e la festa della morte Gli spiriti dei trapassati siriteneva che visitassero i loro cari i quali cercavano caloreavvicinandosi l'inverno. A Sam. venivano praticati la divinazione e gliauguri (pratiche magiche) riguardanti l'anno entrante. Era l'occasionein cui streghe e altri personaggi del genere terrorizzavano lapopolazione. Venivano accesi fuochi per guidare gli spiriti.Questi fuochi rimasero in Scozia fino al 1800.Probabilmente le due ricorrenze cattoliche di Tutti i santi e tuttii defunti furono fissate al 1 e 2 novembre precisamente per sradicare lapersistenza di queste feste pagane. Si noti che inizialmente la festadi tutti i santi era celebrata il 13 maggio. La commemorazione deifedeli defunti fu introdotta significativamente a Cluny e di qui intutta la Chiesa probabilmente anche per aumentare la cancellazione dellefeste pagane che permanevano. Il culto satanico che sopravviveva allaintroduzione della fede trovava appunto nell'Halloween un giornoparticolare in cui si celebrava appunto un importantissimo Sabbhats.<br />Alla fine del Medioevo la festa di tutti i santi era diffusa in tuttaEuropa ma con la riforma protestante e il mancato loro riconoscimentodi importanti solennità tra cui appunto tutti i santi, ritornarono leantiche, pagane, usanze che permangono tuttora.Dunque .... giudicate voi che festa è ....... Un ritorno di satana consette altri spiriti peggiori di lui.<br /></div><div align="justify">Preghiamo<br /></div><div align="justify"><strong><em>Signore sappiamo che queste feste tu non le vuoi , noi lo crediamo ma pergli altri non è chiaro tutto questo; hanno bisogno di segni potenti: mandalio Signore, secondo la tua santa volontà sicché la gente capisca chiaramenteche Halloween così come appare è una festa satanica . Manda quello che tu vuoi, accettiamotutto ma fa capire a tutti, con forza e chiarezza, che Halloween è una festasatanica nella quale si pratica la magia e fa che in Europa e in America si abbandoni questa festa. Te lo chiediamo per la tua dolorosissima Passione. Si compia la tua volontà in tutto Amen<br /></div></em></strong><div align="justify">3 Pater, Ave e Gloria<br />si concluda con<br /></div><div align="justify"><strong><em>San Michele Arcangelo difendici nel combattimento, sii tu la nostra difesacontro la malizia e le insidie del demonio Che Dio eserciti il suo dominiosu di lui, te ne preghiamo supplichevoli; e tu Principe delle miliziecelesti con la potenza divina ricaccia nell'inferno satana e gli altrispiriti maligni che vagano nel mondo per perdere le anime. Amen</em></strong><br /></div><div align="justify"><strong>HALLOWEEN: LE ZUCCHE VUOTE di</strong> <strong><em>Arrigo Muscio</em></strong><br /></div><div align="justify"><strong>SIMBOLISMI ED OCCULTO</strong> - Il 31 ottobre, è una data importante non soltanto nella cultura celtica, ma anche nel satanismo. E' uno dei quattro sabba delle streghe. I primi tre segnavano il tempo per le stagioni "benefiche": il risveglio della terra dopo l'inverno, il tempo della semina, il tempo della messe. Il quarto sabba marcava l'arrivo dell'inverno e la "sconfitta" del sole, freddo fame, morte. La festa cattolica di Tutti i Santi non è legata ad Halloween, è stata instaurala da Papa Gregorio IV nell'anno 840, originariamente si celebrava nel mese di maggio e non il 1° novembre. Fu nel 1048 che Odilo de Cluny decise di spostare la celebrazione cattolica all'inizio di novembre al fine di detronizzare il culto a Samhain. In inglese la vigilia si chiama "All Hallowed Eve", che divenne poi Halloween.<br />"Halloween è un fatto di cultura, è una forma di colonizzazione economica del nostro paese (e di tutti gli altri), è un espediente commerciale, e voglia di divertirsi, è la notte dove tutto è permesso, è un modo per intrattenere i bambini, quindi... HAPPY HALLOWEEN! Con queste espressioni o con chissà quali altree con questo augurio ci si accinge ad addobbare negozi, organizzare feste, insegnare l'inglese ai bambini in mododivertente, o improvvisare qualche mascherata a scuola, o in ufficio". Intanto, "il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza" (Osea 4,6), come accade per la magia e tuttoquanto gli ruota intorno tra cui anche la new e next age (pranoterapia, fiori di bach, piramidi, profumoterapia, musicoterapia, corsi reiky, ecc): la maggior parte delle personeanche cattoliche, non sanno che si viola l'A.B. delle regole fondamentali del rapporto con Dio: il 1° Comandamento: "Non avrai altro Dio all'infuori di me".PRIMA DI AGIRE, CONOSCI!1. IL SIGNIFICATO - Halloween è la forma contratta dell'espressione inglese "All Hallows'Eve day" che letteralmentesignifica vigilia d'Ognissanti.2. LA RICORRENZA - Halloween, nonostante non lo si dica come invece si dovrebbe, e una ricorrenza magica (di fatto, la magia e esercitare potere, in modo occulto, nei confronti di qualcuno). II mondo dell'occulto cosi lo definisce: "E' il giorno più magico dell'anno, e il capodanno di tutto il mondo esoterico, è la festa più importante dell'anno per i seguaci di satana".<br />La Bibbia invece afferma: "Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro"(Isaia 5,20).3. LA LEGGENDA - L'antica leggenda irlandese racconta che Jack, un fabbro malvagio, perverso e tirchio, una notte d'Ognissanti, dopo l'ennesima bevuta viene colto da un attacco mortale di cirrosi epatica. Il diavolo nel reclamare la sua anima viene raggirato da Jack e si trova costretto ad esaudire alcuni suoi desideri, tra i quali di lasciarlo in vita, giungendo al patto di rinunciare all'anima del reprobo. Jack, ignaro dell'effetto della malattia, muore un anno dopo. Rifiutato in Paradiso, Jack non trova posto nemmeno all'inferno a causa del patto con diavolo. A modo di rito il poveraccio intaglia una grossa rapa mettendovi all'interno della brace fiammante a luogo della dannazione eterna. Con questa lanterna, Jack, fantasma, torna nel mondo dei vivi.4. LA TRADIZIONE - Gli irlandesi, colpiti dalla carestia, immigrarono in America verso il 1850. Approdati nel nuovo mondo, trovarono un'enormità di zucche che, a differenza dellepiccole rape indigene, erano sufficientemente grandi da essere intagliate. Così le zucche sostituirono le rape e divennero le Jack o'lantern. Utilizzate la notte d'Ognissanti perchè si pensava di tenere lontani gli spiriti inquieti dei morti che tentavano, come Jack, di tornare a casa. I bambini oggi si travestono da spiriti inquieti, che non trovano "pace" all'interno del Paradiso e fanno visita alle famiglie guidati dalla lanterna zucca e ottengono dolci in cambio della loro "benevolenza ". "Trick-or-treat" è l'usanza del"dolcetto o scherzetto". Trick or treat letteralmente significa:"trucco o divertimento", "stratagemma o piacere", ma che ha il significato originale di "maledizione o sacrificio".5. FATTI STORICI - La cupa leggenda di Jack occulta dei fatti storici e, in modo magico, mira a rievocarli. Alcuni secoli prima di Gesù Cristo, una setta segreta teneva sotto il suo impero il mondo celtico. Ogni anno, il 31 ottobre, giorno di Halloween, questa celebrava, in onore delle sue divinità pagane, un festival della morte. Gli anziani della setta andavano di casa in casa reclamando offerte per il loro dio e capitava che esigessero sacrifici umani. In caso di rifiuto, proferivano delle maledizioni di morte sulla casa, da qui è nato il "trick or treat".6. Considerazioni riguardo la...LEGGENDA: questa è montata sulla duplice menzogna che l'uomo può essere più furbo del diavolo e che le porte degli inferisi chiudono a qualcuno. Inoltre si sviluppa secondo pratiche sataniche: chiedere al diavolo l'esaudimento di desideri, fare unpatto col diavolo, il mandato satanico a manifestarsi agli uomini, ritualità esoterica.TRADIZI0NE: il fenomeno Halloween, nella tradizione, nei costumi e nel commercio, è un insieme di rituali e una pratica di stregoneria sia per chi lo faccia consapevolmente o no.STORIA: la storia rivela come dietro il fenomeno Halloween ci siano stati rituali e sacrifici satanici. Ai nostri giorni sappiamoche i satanici praticano dei sacrifici umani durante questa notte.7. Attenzione: HALLOWEEN E' SOSTANZIALMENTE MAGIA.S'impone un'irremovibile presa di posizione riguardo tutto ciò che ci viene propinato di Halloween e di magico in genere.Consideriamo che le parole che proclamiamo, i gesti che facciamo, gli sguardi che diamo non sono neutri ma significano la realtà spirituale che rappresentano.<br />Genitori, stiamo attenti a permettere che i nostri bambini si abituino, o ancor peggio, si educhino all'occulto.<br />Insegnanti, informiamoci sulle verità nascoste dietro la macabra creatività, potremmo scandalizzare, a nostra e a loro insaputa,gli alunni che ci stanno davanti.Certe filastrocche che i bambini devono imparare sono evocazioni dello spirito di morte.<br />Giovani e meno giovani, siamo accorti a non avvinghiarci al mondo esoterico attraverso i rituali di massa che, nelle feste come quelle dedicate ad Halloween, ci vengono proposti. Alcuni balli di gruppo sono rituali di iniziazione satanica.<br />Commercianti e venditori, abbiamo il coraggio di dire NO a promuovere articoli che, dietro l'apparenza della mascherata,diffondono e creano mentalità esoterica. Molti oggetti venduti tra i prodotti di consumo sono amuleti, o loro riproduzioni, usati nelle pratiche di stregoneria.<br />Cristiani, non lasciamoci fuorviare da apparenti tradizioni e mode, ma teniamo alta la vittoria che ha sconfitto il mondo, la nostra Fede (cfr 1 Giovanni 5,4).Non dimentichiamo che le disastrose conseguenze dell'inalazione magica non sono immediate, ma si manifestano a distanza di anni in depressioni, crisi e violenze.8. I SIMBOLI - Pipistrelli, gatti neri, la luna piena, streghe, fantasmi... questi simboli hanno poco a che vedere con la vigiliadi Samhain. Si tratta però di simboli usati nel mondo dell'occulto che hanno trovato un posto "naturale" alla "festa di Halloween".Le notti di luna piena sono il momento ideale per praticare certi riti occulti. I gatti neri vengono associati alle streghe per superstizione, si credeva infatti che le streghe potessero trasferire il loro spirito in un gatto, e per questo ne avevano sempre uno. Ai pipistrelli vengono attribuite capacità occulteperchè hanno caratteristiche di uccello (che nel mondo occulto sono simbolo dell'anima) e di demonio (perchè vivono nelle tenebre). Nel medioevo si credeva che spesso il diavolo si trasformava in pipistrello. Diviene cosi chiara la ragione per cui il pipistrello è diventato parte di Halloween. Le origini di Halloween sono strettamente connesse alla magia, alla stregoneria e al satanismo. Gli adepti del satanismo e della magia riconoscono nel 31 dicembre uno dei giorni più importanti dell'anno: la vigilia di un nuovo anno per la stregoneria. A causa delle sue radici e del la sua essenza occulta Halloween apre una porta all'influsso occulto nella vita delle persone. L'enfasi di Halloween è sulla paura, sulla morte, sugli spiriti, la stregoneria, la violenza, i demoni. E i bambini sono particolarmente influenzabili in questo campo. Molti simboli sono chiarissimi in diversi prodotti anche alimentari, in questo periodo: svastiche, diavoli, ecc.<br />La Parola di Dio, gli insegnamenti di tutta la Tradizione Cattolica, dalle primecomunità cristiane fino ad oggi sono chiarissimi, 150 sono i passi della Sacra Scrittura che dall'Antico (mai abolito da Gesù Cristo!) al Nuovo Testamento, vietano il ricorso più o meno inconsapevole a pratiche magiche, esoteriche, occultistiche, spiritiche e via dicendo. Ad esempio il Deuteronomio, ai capitolo 18, versetti 9-14 dice: "Quando sarai entrato nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini delle nazioni che vi abitano.Non si trovi in mezzo a te chi immola, facendoli passare per il fuoco, il suo figlio o la sua figlia, né chi faccia incantesimi, né chi consulta gli spiriti e gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore... Tu sarai irreprensibile verso il Signore tuo Dio, perchè le nazioni di cui tu vai ad occupare in paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non cosi ti ha permesso il Signore tuo Dio".In sostanza nella notte di Halloween, chi partecipa ai vari "festeggiamenti" che in un modo o in un altro più o meno inconsapevolmente sono veri e propri riti che mettono in contatto con gli spiriti, che altro non sono che gli angeli decaduti: i demoni. La struttura spirituale che circonda l'uomo, comecreatura, infatti è molto semplice: c'è Dio, il Figlio unigenito Gesù Cristo, lo Spirito Santo (Dio uno e Trino), gli Angeli (nelle varie gerarchie) e gli angeli decaduti, cioè i demoni con il loro capo:Lucifero, poi divenuto satana. Poi ci sono le anime dei Reati-Santi; purganti e quelle dannate, all'inferno. L'uomo e uno spirito incarnato, composto da tre componenti distinte: anima, corpo e spirito.9. LA SPERANZA - Nonostante l'amara realtà di fenomeni come quello di Halloween, dobbiamo dire della grande speranza cheviene dalla Fede cristiana: la sua Chiesa articolata in tante realtà anche nuove ed emergenti, lo Spirito Santo sta anche suscitando la nascita, la formazione e la crescita di comunità cristiane in seno alla Chiesa Cattolica. Comunità che collaborano con Parrocchie portando nuova vitalità evangelica.Sempre più giovani, anche se questo i notiziari non lo dicono, ma www.papaboys.it si, stanno scoprendo e accogliendo Gesù, Signore Salvatore e Messia e vogliono dedicare a Lui la loro vita.Sempre più famiglie, dopo aver fatto esperienza dello Spirito Santo, desiderano vivere esperienze dove trovare nutrimento allafame di comunione che oggi, il mondo denuncia.<br />La Fede è necessaria per vivere l'Amore di Dio ma non è sufficiente, ci vuole la Comunità, la Chiesa nelle sue articolazioni e varietà dicarismi e chiamate."Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, piuttosto denunciatele apertamente". I papaboys vogliono fare la volontà di Dio e quindi fanno questa opera di informazione, doverosa, e crediamo utile, anche per le strutture stesse della Chiesa,spesso ignare di quanto sopra illustrato. Anche diversi vescovi nelle Diocesi italiane stanno diffondendo le informazioniriportate.Molti gruppi, movimenti, associazioni cattoliche, la notte del 31 ottobre si riuniranno in preghiera o organizzeranno feste cristiane alternative con la partecipazione di gruppi, cantanti o cantautori della musica cristiana contemporanea dei vari generi musicali e particolarmente, in quella occasione, di Lode e Adorazione contemporanea.<br /><br />Halloween come la costituzione Ue (<a href="http://www.votamauro.it/related_dett.asp?ContID=287" target="_blank">Mario Mauro Vice Presidente del Parlamento Europeo</a>)<br />Il Giornale, edizione Liguria, 06 novembre 2005, p.2Nella sua omelia per la solennità di Tutti Santi il Cardinale Tarcisio Bertone ha saggiamente evidenziato il ruolo esagerato che viene dato alla cosiddetta festa di Halloween. È davvero deplorevole che anche le istituzioni pubbliche, come il Comune di Genova e la Circoscrizione Centro Est, abbiano favorito un tale evento, effimero e meramente commerciale. Questo spunto ci fornisce un importante spunto di riflessione sui compiti delle istituzioni e sull’importanza delle nostre radici. Guardiamo alla Costituzione europea. Il problema del nostro continente è il cemento su cui costruire l'integrazione europea. Il problema è una costituzione figlia di una generazione di politici che temono tutto e il contrario di tutto, perché piegati alla logica del consenso e dell'esercizio del potere fine a se stesso, privo di grandi ideali. Segno evidente del fatto che il problema più grande consiste nell'incapacità di restituire dignità all'Europa dei popoli. Per troppo tempo tutto è stato sacrificato all'Europa di burocrazie molto più diffuse e pervasive che non la sola burocrazia di Bruxelles. Burocrazie inguaribilmente nemici dei propri popoli, tanto da tollerarne la desertificazione culturale e morale. Per le istituzioni, ad ogni livello di governo, si ripropone imperativamente il dovere di rispondere alla domanda «in cosa crede l'Europa?». L'Europa non è un continente pienamente afferrabile in termini geografici, ma un concetto culturale e storico. L'uomo deve prendere coscienza sul senso ultimo delle cose. Si tratta di una battaglia di libertà, della battaglia del nostro tempo per fare della nostra società una società libera rispetto ai modelli fondamentalisti e relativisti verso cui ci stiamo pericolosamente avvicinando.06/11/2005 </div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-24735791145589103902007-10-20T23:50:00.000+02:002007-10-21T19:44:17.977+02:00Conferenza venerdì 26 ottobre a Roma :Maschera e volto del Risorgimento Italiano<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMJjRgTMTAxJxjC1849uDRyOn1leuVC2ZqnkRtK1dFos_O5jQ9zN97HgcRokkYpZIT4H50li_4NkcA83Bu9oSYEQ1BbMcfEqC1_ctD08p_zB5-s3bHDaFCHhywCOp9GCnG6VmSPkzLgEKI/s1600-h/dominata_08_01.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5123539867858904706" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMJjRgTMTAxJxjC1849uDRyOn1leuVC2ZqnkRtK1dFos_O5jQ9zN97HgcRokkYpZIT4H50li_4NkcA83Bu9oSYEQ1BbMcfEqC1_ctD08p_zB5-s3bHDaFCHhywCOp9GCnG6VmSPkzLgEKI/s320/dominata_08_01.jpg" border="0" /></a><br /><div>Il Risorgimento è un momento fondamentale della storia del nostro paese. Ma dietro la facciata delle celebrazioni e delle rievocazioni un'altra storia si nasconde: una storia fatta di ambiguità, una storia scomoda e poco conosciuta dominata da poteri occulti e da ideologie.</div><div></div><div></div><div><strong>Interviene Paolo Gulisano ( storico e saggista) </strong></div><div><strong>Venerdì 26 ottobre</strong></div><div><strong>Presso la parrocchia di S. Martino Papa</strong></div><div><strong>Via Veio, 37 ( S. Giovanni) Roma</strong></div><div><strong></strong></div><div><strong>Info: 349/0707557</strong> </div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-34041202305969974802007-10-15T11:07:00.000+02:002007-10-15T15:14:35.954+02:00LA CULTURA DOMINATA. LA MODERNITA' E L'ATTUALITA', ALLA LUCE DELL'EVENTO CRISTIANO<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF7DjvlKKowjGmDt_LFDNxx9mu-IKkuPh6GkW3hb-qSpVHnfQ4X8_s_rFKWNlojg5f15zKXR5fTWOIHFEbbJVuAJqc9JgU04eZTIMRJb853KJ2mN_utGb_zuIZG76HjoztMOTWoSDoj8Bx/s1600-h/dominata08_01.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5121489403227154034" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF7DjvlKKowjGmDt_LFDNxx9mu-IKkuPh6GkW3hb-qSpVHnfQ4X8_s_rFKWNlojg5f15zKXR5fTWOIHFEbbJVuAJqc9JgU04eZTIMRJb853KJ2mN_utGb_zuIZG76HjoztMOTWoSDoj8Bx/s320/dominata08_01.jpg" border="0" /></a><br /><div>Ciclo di incontri:"<strong>LA CULTURA DOMINATA</strong>". Secondo anno,2007-2008 "<strong>La modernità e l'attualità alla luce dell'evento cristiano</strong>".</div><div>Link:<a href="http://www.identitaeuropea.org/iniziative/dominata08.html">http://www.identitaeuropea.org/iniziative/dominata08.html</a> </div><div></div><div>Per il secondo anno consecutivo, "<strong><em>La Cultura Dominata</em></strong>" propone un percorsoattraverso i temi e le problematiche più attuali e affascinanti, inun'otticarealmente alternativa alla cultura dominante". Luogo e orario degli incontri:- Tutti gli incontri si terranno alle ore 21.00; presso la chiesa di S.Martino I Papa, Via Veio n.37 - (zona S.Giovanni), Roma.</div><br /><div></div><br /><div>- La partecipazione prevede un contributo libero perle spese d'organizzazione- Per ulteriori informazioni contattare ilnumero: 3490707557</div><br /><div></div><br /><div>Calendario degli incontri: </div><br /><div>Venerdì 26 Ottobre2007: <strong>MASCHERA E VOLTO DEL RISORGIMENTO ITALIANO</strong> (<em>Paolo Gulisano,storico esaggista</em>)- </div><br /><div></div><br /><div>Venerdì 30 Novembre 2007: <strong>LE IDEOLOGIE DEL NOVECENTO E LE LORO RADICI ANTICRISTIANE</strong> (<em>Adolfo Morganti, storico esaggista</em>)- </div><br /><div></div><br /><div>Venerdì 25 Gennaio 2008: <strong>L'ALTRA FACCIA DELLA MODERNITA: L'OCCULTISMO DALLA MASSONERIA ALLA NEW AGE </strong>(<em>Gianluca Marletta, storicoe saggista</em>)- </div><br /><div></div><br /><div>Venerdì 29 Febbraio 2008: <strong>IL DARWINISMO: DAL FALLIMENTO SCIENTIFICO AL SUCCESSO IDEOLOGICO</strong>(<em>Giovanni Monastra, Biologo</em>)-</div><br /><div></div><br /><div>Venerdì 28 Marzo 2008: <strong>OGNI IMPULSO E' UN DIRITTO? L'IDEOLOGIALIBERTINA DAL MARCHESE DE SADE AL GAY PRIDE</strong> (<em>Adolfo Morganti,psicologo</em>)- </div><br /><div></div><br /><div>Venerdì 18 Aprile: <strong>FONDAMENTALISMI: PARODIE MODERNE DELLA RELIGIONE </strong>(<em>Luigi Copertino, giornalista e saggista</em>)- </div><br /><div></div><br /><div>Venerdì 9Maggio: <strong>INFORMAZIONE O MANIPOLAZIONE? I MASS-MEDIA E LA COSCIENZA DI MASSA </strong>(<em>Mauro Mazza, Direttore del Tg2</em>)</div><br /><div></div><br /><div>A cura di:- Ass. Cult."Identità Europea area Lazio" (<a href="http://www.identitaeuropea.org/">http://www.identitaeuropea.org/</a>)-</div><br /><div>Casa Editrice"Il Cerchio" (<a href="http://www.ilcerchio.it/">http://www.ilcerchio.it/</a>)- </div><br /><div>Libreria Caffè Letterario"Aquisgrana" (www.aquisgrana.org)</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-88744053194654144812007-10-07T13:07:00.000+02:002007-10-07T13:39:25.111+02:00Fede cattolica, laicità e laicismo (adversus G. Zagrebelsky)<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEis-VvmhoXziOyxjuh1QkIgQG0ZRikUou6o5_FV230lhd9p3n_PDdyCceH42TMk8lc_8qBjoUbkrGrpkNYydfWfnpC3RuEqSBiTf1vpS8XugCxsYCmBGpNrwUpYzyEGZJ5Wqtw2T9VIxcBW/s1600-h/image566023x.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5118552180255083762" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEis-VvmhoXziOyxjuh1QkIgQG0ZRikUou6o5_FV230lhd9p3n_PDdyCceH42TMk8lc_8qBjoUbkrGrpkNYydfWfnpC3RuEqSBiTf1vpS8XugCxsYCmBGpNrwUpYzyEGZJ5Wqtw2T9VIxcBW/s320/image566023x.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify"><strong>Di Cosmo Intini</strong></div><div align="justify"><strong>(Terza parte)</strong></div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">La peggiore blasfemia del laicismo consiste forse proprio in questo: nel negare alla Chiesa di operare nella verità “del nome di”, e quindi “della fede per” Cristo Gesù! Ecco come Essa viene ancora criticata: “Se i suoi uomini (della Chiesa) si attribuiscono il pieno possesso dello spirito confondendolo così con quel mondo che essi sono, come potrà non valere anche per la Chiesa la legge inesorabile di tutte le istituzioni ‘secolarizzate’ che si insudiciano della corruzione dei loro membri e, alla fine, ne sono travolte? All’inizio del terzo Millennio, il papa Giovanni Paolo II ha ritenuto necessario chiedere perdono a Dio per un’impressionante sequela di misfatti della Chiesa cattolica, tutti dovuti a commistioni di fede e di potenza mondana. E’ stata un’ammissione di colpa rivolta al passato ma nulla impedisce di ipotizzare che altre ammissioni domani dovranno ripetersi con riguardo al nostro presente, quando sarà anch’esso passato”.[I]<br />Introdurre riflessioni concernenti il senso precipuo con cui intendere la “Giornata del perdono”, voluta espressamente da Giovanni Paolo II e celebrata il 12 marzo 2000, ci costringerebbe ad inopportune ed eccessive divagazioni: pertanto ce ne esimiamo! Ma non possiamo tuttavia sottacere la distorsione e la tendenziosità con cui l’argomento viene qui introdotto da Zagrebelsky. Questa richiesta di perdono viene infatti riletta strumentalmente dal laicismo ed assunta come alibi per giustificare il proprio anticlericalismo, in quanto evidente prova tanto della “fallibilità” della Chiesa cattolica, quanto della “scelleratezza” della Sua gerarchia, generalmente incline a collusioni di comodo con i potentati politici! “La Chiesa di Cristo ridotta al tavolo d’una partita”,[II] dirà altrove con il tono scandalizzato di un benpensante!<br />Ma le cose non stanno così, poiché il perdono non è stato invocato dalla Chiesa per Sé stessa come Istituto, ma per l’insieme dei propri figli; né tanto meno per avallare una sorta di “revisionismo storico”, ma per una purificazione della memoria; e nemmeno per giudicare singoli responsabili, ma per ribadire la propria generale fede nella Misericordia di Dio.<br />Dopo aver così cercato in vario modo di negare alla Chiesa l’effettivo e legittimo possesso dei Suoi attributi di “unità, santità, cattolicità e apostolicità”, proprio allora Zagrebelsky getta definitivamente la maschera svelando quale sia il reale scopo dell’accanimento laicista contro la gerarchia cattolica: la delegittimazione, attraverso essa, della Chiesa in toto. Dice infatti subito di seguito: “…possiamo dire che…la riduzione del Cristianesimo a Chiesa è un peccato (sic!) contro lo spirito”.[III]<br />Siamo comunque alle solite opportunistiche contraddizioni! Il Cristianesimo non può esser ridotto a Chiesa, eppure, quando fa comodo, Le si riconosce un certo credito in rapporto a quello: “…(il Cristianesimo) ha causato nei secoli momenti di terribile sopraffazione, ora condannati dalla Chiesa stessa”![IV] Sicché, con “liberale magnanimità”, Le si concede almeno il contentino: “Che ne viene allora? Allora…riconosciamo alla Chiesa il pieno diritto di partecipare, insieme agli altri, alla definizione delle nostre identità collettive, ma in parità morale con ogni interlocutore, senza che il nome cristiano giustifichi una pretesa d’incontestabilità”.[V]<br />Nonostante la “pruderie” mostrata in più di un’occasione da Zagrebelsky - ad esempio lì dove afferma di preoccuparsi di fornire “un solido terreno per fondare quella concordia tra credenti e non credenti che andiamo cercando”,[VI] o anche più avanti dove riconosce “aperto il campo di una vasta cooperazione…(al cui) compito sono chiamati, allo stesso tempo e con la medesima responsabilità verso la convivenza democratica, sia i laici che i credenti”[VII] - se di pretesa bisogna parlare essa è quella con cui il laicismo agogna di sottoporre la Chiesa cattolica al compromesso, in nome di un “dialogo” che è in realtà faziosamente posto soltanto sulle basi proprie del relativismo. Dato che non potrà mai esserci alcun dialogo tra due interlocutori ma solo sterili monologhi, a meno che non si decida preventivamente almeno di donare il medesimo significato alla terminologia da adoperare e di riconoscere il medesimo valore ai concetti che si metteranno in campo, ebbene, a ben guardare è proprio la democrazia laicista a costituirsi quale atteggiamento dal carattere aprioristicamente “anti-dialogo”, perché concede a tutti già in partenza la “babelica” legittimità di basarsi ognuno sui propri linguaggi! Chiedere insomma alla Chiesa di rinunciare alla propria incontestabilità spirituale in nome di un così “snaturato” dialogo, è non solo emblematico nella sua offensività e nella sua arroganza, ma è pure indice di un consapevole sotterfugio: quello che è volto cioè , con l’inganno, a farLa tacere per sempre sommergendoLa nel “chiassoso” disordine del relativismo!<br />E’ soltanto in questa ottica, e non altrimenti, che si può e si deve leggere infatti la condivisione entusiastica che Zagrebelsky mostra per le idee del teologo protestante D.Bonhoeffer, allorché questi “…abbozza il progetto di una teologia ‘senza Dio’ o, più precisamente, di una teologia che abbandona il Dio della religione, impersonata dalle chiese storiche…: una teologia che si rende possibile anche se, anzi proprio perché il Dio della religione non esiste (più). Nella ‘maggior età del mondo’, di un mondo che ‘basta a sé stesso’ e ‘funziona anche senza Dio’, e non meno bene di prima grazie allo straordinario sviluppo delle conoscenze scientifiche, etiche ed artistiche che riescono perfino a esorcizzare l’estremo terrore della morte tramite trattamenti della psiche (sic!) - dice Bonhoeffer - non c’è più posto per il deus ex machina della religione…poiché è venuto meno questo Dio che proclama la Verità dall’alto della croce, trono del mondo, si apre il tempo della fede nel Dio sofferente ‘che si lasci cacciare fuori dal mondo’ (sic!) e che possiamo conoscere gratuitamente e problematicamente nella fede purificata, disinteressata e ‘demitizzata’ ”.[VIII]<br />Dato per assodato che il “trono di Cristo nel mondo” è il “soglio di Pietro”, ebbene “cacciare Dio fuori dal mondo” equivale appunto ad “annullare la Chiesa cattolica”! Parole di una tale “mostruosità” non possono insomma essere pronunciate se non da chi intenda sostituire Cristo Gesù con quel noto “principe” che è signore di “questo mondo”!<br /><br />Contrabbandare tutto ciò dietro un paravento pretestuoso quale possa essere il “dialogo” tra credenti e non credenti vuol dire travisare il reale e più corretto significato che in tale termine è implicito! La questione ci invita insomma ad una necessaria precisazione alla luce del fatto che esso “dialogo”, la cui attuazione è comunque pur sempre auspicata proprio dalla stessa Chiesa, troppo spesso si costituisce come uno dei più equivoci argomenti su cui il laicismo fonda le proprie demagogiche pretese.<br />In questo caso la demagogia consiste nel cavalcare l’errato presupposto secondo cui il “dialogo”, in ossequio al principio di “egualitarismo e libertinismo” - spacciati per “uguaglianza e libertà” -, rappresenti il democraticistico “processo di discussione con cui due contrari si sviluppano unitariamente risolvendosi in un superiore momento di sintesi”! Tuttavia va eccepito che tale definizione compete in realtà più al termine “dialettica” che non a quello di “dialogo”, il quale comporta invece col proprio etimo ben altra accezione e pregnanza!<br />Vi è da dire innanzitutto che la pretesa dei “non credenti laicisti”, montata sulla scia delle dichiarazioni conciliari, di dover usufruire per diritto di un dialogo con la Chiesa cattolica alla pari di un qualunque “dialogo interreligioso” - atteggiamento quest’ultimo che è d’altra parte sempre più specificatamente accolto dalla stessa Chiesa, per l’appunto dopo il Vaticano II, in quanto imprescindibile segno di doverosa disponibilità cattolica verso i credenti di altre religioni alla luce del riconoscimento anche in queste ultime dell’effettiva presenza di “elementi di verità e di bontà”-, nel postularsi tramite una illegittima sovrapposizione di contesti fra loro affatto differenti (religioni e sistemi culturali) tradisce, una volta di più, il perpetrarsi dell’inconfessata mistificazione, a cui si è già accennato precedentemente, operata da una concezione idolatrica della democrazia. Ma a parte ciò, se è vero come è vero che “il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa, proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis humanae, si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza fra le religioni e tra i sistemi culturali umani”,[IX] ebbene né le dottrine religiose non cattoliche né tanto meno quelle culturali, peraltro erronee, possiedono allora per il Concilio un medesimo valore. Al contrario, “l’affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non contraddice affatto la condanna dell’indifferentismo e del relativismo religioso da parte della dottrina cattolica, anzi con essa è pienamente coerente”.[X]<br />Qual’è dunque il senso col quale intendere l’auspicio, da parte della Chiesa cattolica, di instaurare un “dialogo” con coloro ai quali il proprio Magistero nulla può concedere che possa comportare la seppur minima rinuncia alla centralità sia di Gesù Cristo che di Sé stessa, in quanto Sua vera ed unica Chiesa? Forse mai come in questo caso risulta illuminante considerare il termine secondo l’etimologia che ad esso pertiene in maniera più immediata!<br />Ebbene, derivando dal greco dia-logos, “dialogo” significa letteralmente “per mezzo, attraverso, a causa della parola”. Pertanto, trattandosi nella fattispecie della parola che è pronunciata dallo Spirito di Verità attraverso la Chiesa di Cristo, essa coincide allora proprio con ciò che usualmente si esprime alla greca con il termine “Logos”: ossia, il Verbo, la Parola assoluta, il Cristo stesso. Tale Parola non è quindi proposta dalla Chiesa cattolica per essere “dialetticamente” inserita in una discussione, ma molto più precisamente per essere “annunciata”: ed è ciò che costituisce davvero il “dialogo per eccellenza”! Del resto il verbo greco dialegomai, da cui il sostantivo dialogos trae origine, traduce appunto “converso, parlo, ragiono, spiego”; mentre da parte sua lo stesso sostantivo dialogos traduce, in una delle sue più antiche accezioni, persino “udienza”! Dal che si desume in definitiva che se al concetto più proprio di “dialogo” non concerne affatto alcun senso di “imposizione”, nondimeno esso non implica nemmeno alcun senso di “opinabilità”!<br />Nel Catechismo si afferma che la convinzione della Chiesa di poter e dover operare il dialogo con le altre religioni, e con i non credenti, trova la sua base nella convinzione del fatto che la ragione umana “può e deve conoscere Dio”.[XI] Ed inoltre vi si dice: “L’attività missionaria (a cui può essere aggiunta senz’altro anche quella pura e semplice di testimonianza, N.d.A.) implica un dialogo rispettoso con coloro che non accettano ancora il Vangelo…Se infatti (i credenti) annunziano la Buona Novella a coloro che la ignorano, è per consolidare, completare ed elevare la verità e il bene che Dio ha diffuso tra gli uomini e i popoli, e per purificarli dall’errore e dal male”.[XII]<br />Quando il laicismo (e attraverso di esso il democraticismo) erge il principio del dialogo a propria precipua virtù, accusando peraltro la Chiesa cattolica di difettarne, compie insomma una triplice anticristica mistificazione: si appropria di un valore che in senso assoluto appartiene soltanto alla Chiesa del Logos; sovverte tale valore rivestendolo di un significato contingente che non è più quello reale; lo “rispedisce al mittente”, per così dire, avvalendosene come strumento di rivalsa e di rivolta. Ecco infatti cosa pensa Zagrebelsky: “La democrazia della possibilità, della ricerca deve mobilitarsi contro chi rifiuta il dialogo, nega la tolleranza, ricerca soltanto il potere, crede di avere sempre ragione. Della democrazia critica, la mitezza - come atteggiamento dello spirito aperto al discorso comune, che aspira non a vincere ma a convincere ed è disposto a farsi convincere - è certamente la virtù cardinale. Ma solo il figlio di dio poté essere mite come l’agnello. Nella politica, la mitezza, per non farsi irridere come imbecillità, deve essere una virtù reciproca. Se non lo è, ad un certo punto prima della fine, bisogna rompere il silenzio e cessare di subire”.[XIII]<br />Da quanto osservato deriva insomma tutta l’“inaffidabilità” del sistema laicistico-democratico a costituirsi, con positiva disponibilità, quale fruitore di un dialogo con la Chiesa cattolica; e ciò vistane appunto l’indole scevra, per sua stessa ammissione, di ogni ritegno a formulare le proprie istanze se non alla luce del risentimento e della ribellione! Al di là dell’apparente pacatezza di quelle sue parole che inneggiano alla mitezza, l’ambiguità in cui cade Zagrebelsky allorché si dichiara democraticamente “disposto a farsi convincere”, manifesta in verità una palese ipocrisia. Innanzitutto perché non è né operabile né tanto meno opportuna l’equiparazione tra un fin troppo agevole atteggiamento che sia “disponibile al mutamento d’opinione” - privo cioè di un reale sforzo di abdicazione, operato da parte di chi, come lui, crede appunto relativisticamente in una pari validità delle diversificate “possibilità” -, con l’impossibilità ontologica per la Chiesa di “farsi convincere”, di mutare cioè il proprio credo su questioni contrarie alla Verità. E poi perché ciò sancisce in maniera chiara la differenza che è da porsi tra la cosiddetta “mitezza” vantata dal laicismo - peraltro da lui indebitamente assurta al ruolo di una “virtù cardinale”, essa che è in realtà e più precisamente uno dei dodici frutti dello Spirito Santo (cfr. Gal 5,22-23 vulg.) - e la “mansuetudine” cristiana: quella è infatti relativizzata (una volta di più) dal poter e voler sussistere solo nella reciprocità; questa è assoluta per il proprio sussistere sempre, fin’anche nel martirio!<br />Il ventilato bisogno-dovere della cosiddetta “mitezza democratica” di finalmente mobilitarsi per “rompere il silenzio e cessare di subire”, con il suo orgoglioso convincimento di non dover mai accondiscendere per non incorrere nell’umiliante pericolo di essere scambiata per “debolezza” (la quale costituisce propriamente la vera accezione del termine “imbecillità”), tradisce piuttosto la malcelata sussistenza di una vocazione a volersi imporre per l’appunto con la “forza”. E non conta nulla l’incidentale specificazione secondo cui tutto ciò varrebbe in un ambito più specificatamente “politico”! Infatti, l’irriverente e non casuale citazione riguardante la mitezza del “figlio di dio” (scritto emblematicamente tutto in minuscolo), nella sua sottile ironia che la pone ai limiti della bestemmia conferma che, per Zagrebelsky, la tanto auspicata remissività alle regole laiciste deve essere recepita ed assunta anche da coloro che si ostinassero a voler riconoscere Cristo come proprio modello: a cominciare quindi dalla gerarchia! E che tutto ciò sia un esplicito riferimento proprio alla Chiesa, viene del resto confermato dalle ulteriori sue seguenti affermazioni: “La Chiesa vuole essere ‘dialogante’. Purtroppo però, adottato un atteggiamento esteriore amichevole, non sembra mutato quello interiore. Gli interlocutori continuano ad essere considerati non come dei diversi, ma come degli inferiori, sul piano morale e razionale”.[XIV]<br />Per Zagrebelsky è pertanto la Chiesa che “rifiuta il dialogo, nega la tolleranza, ricerca soltanto il potere, crede di avere sempre ragione”: “…l’interlocutore non cattolico, per la Chiesa, è uno che, in moralità e razionalità, vale poco o niente; è uno che le circostanze inducono a tollerare (sic!), ma di cui si farebbe volentieri a meno…Il dialogo non è questione di convinzione, ma di opportunismo dettato da forza maggiore o da ragioni tattiche”.[XV] Di conseguenza, a parte la contraddittoria questione sull’effettiva tolleranza o meno della Chiesa, a coloro che sono da Essa con arroganza oppressi non resta altro di legittimo che la “ribellione”!<br />Vogliamo osservare a tal proposito, e verrebbe da leggere ciò proprio alla luce di un conclamato caso di nomen omen, che la suddetta indole incline alla “rivolta” contro la gerarchia cattolica, più volte palesata da Zagrebelsky, ritrovi curiosamente concorde riflesso appunto nel fatto che dalla scomposizione del suo cognome venga fuori la locuzione “rebel-sky”, che in inglese traduce “ribelle al cielo”! Mentre “zag-”, da parte sua, trova significativa attinenza col tedesco “zach”, che traduce “cosa a punta”; nonchè con lo spagnolo “zaga”, “parte posteriore, coda”. Del resto, lo “zig-zag” indica il “serpeggiare” ed il russo “zagovor” traduce “cospirazione”, ma anche “esorcismo”!<br />Vogliamo forse con questo indire un qualche processo, e poi pure emettere qualche sentenza? Assolutamente no; perché non è nelle nostre intenzioni giudicare, ma solo esprimere delle contingenze oggettive ancorché singolari. Oltretutto, anche perché il laicismo positivista e materialista non potrebbe mai accondiscendere a ritenere tali operazioni semantiche niente più che giochetti privi di alcun senso scientifico e quindi concreto!<br />Nondimeno, in maniera sorprendente proprio Zagrebelsky si lascia andare ad una riflessione di tal genere: “Accade però talvolta…che da parte cattolica, anche altolocata, si ricorra ancora oggi a denunce di collusioni demoniache, non solo per modo di dire (la riduzione delle figure della fede a simboli è condannata) onde, anche chi scrive questo articolo potrebbe essere un adepto, nel migliore dei casi incosciente, di Satana”.[XVI]<br />Il discorso qui risulta inserito nel più grande contesto della “questione morale”; la quale per Zagrebelsky non deve porsi “…nei termini triviali di una graduatoria di meriti e demeriti. Nessuno dovrebbe arrischiarsi a rivendicare un primato di questo genere. Non può esserci una competizione come questa, da cui tutti rischierebbero di uscire malconci”.[XVII] In altre parole, secondo Zagrebelsky la gerarchia cattolica (la parte cattolica “altolocata”), vittima già di suo di una eccepibilità morale, non può con supponenza riconoscere la superiorità appunto morale del Cristianesimo - né tanto meno la propria – sul laicismo; tacciando peraltro quest’ultimo, nei casi limite, addirittura di esplicita collusione con il male! E per avvalorare la propria tesi conclude: “Postulare una morale esterna, dispensata da un’autorità, sia pure paterna come la Provvidenza divina, significa, nel grande colloquio sulla libertà che occupa un celeberrimo capitolo (II, 5, 5) dei Karamazov, dare ragione all’Inquisitore e torto al Cristo”.[XVIII]<br />Non scenderemo nei dettagli di un’analisi del tanto qui decantato, “celeberrimo capitolo” del romanzo di Dostoevskij, né in un contraddittorio con le numerosissime voci laiciste che, cavalcando i contenuti della nota “Leggenda del Grande Inquisitore” a cui qui si allude, li adoperano per stabilire e poi anche confermare la (per loro) reale sussistenza di una frattura tra Cristo e la gerarchia della Sua Chiesa (nella fattispecie impersonata appunto dall’Inquisitore); Chiesa pertanto accusata di detenere, proprio Essa, un’identità “anticristica”. Per una confutazione immediata di tali calunniose prese di posizione, contro qualunque tentazione che pretenda di riconoscere e decretare alcun contenuto di verità al testo in oggetto ci basta solamente osservare che esso non è, né si può pretendere che esso sia più di quel che gli compete essere: un testo letterario e non sacro; una rappresentazione realizzata da invenzione umana e non certamente una scrittura ascrivibile ad una rivelazione divina!<br />A Zagrebelsky piace però convincersi della quasi “sacrale” autorità di tale testo, tanto da citarlo a modello in più di un’occasione[XIX] e dedicandogli addirittura la pubblicazione di un intero saggio, forgiandosi così una “verità” ad hoc e pretendendo pure che essa venga accolta dai cattolici medesimi come quella per essi più consona!<br />La confusione tra verità e verosimiglianza, la quale ultima è l’unica qualità che può concedersi ad un romanzo, sia pur esso d’argomento filosofico-religioso, procede di pari passo con la confusione reiteratamente perpetrata tra “moralità” dell’individuo e “legge morale” a lui esterna! Se la prima è indicativa della libertà goduta dalla persona umana in quanto tale, padrona cioè di agire secondo un giudizio di coscienza che può suggerirgli, in virtù di maggiore o minore ragione, atti “buoni o cattivi”; la seconda invece è “opera della Sapienza divina,…un insegnamento paterno, una pedagogia di Dio”,[XX] la quale viene ratificata, ossia “emanata dall’autorità competente in vista del bene comune…Suppone l’ordine razionale stabilito tra le creature…E’ dichiarata e stabilita dalla ragione come una partecipazione alla provvidenza del Dio vivente, Creatore e Redentore di tutti. L’ordinamento della ragione (del Logos, N.d.A.), ecco ciò che si chiama la legge”.[XXI] Ciò ribadisce insomma l’autonomia, la libertà, ma non certo l’indipendenza della moralità rispetto alla legge morale; e tale specificazione vale come risposta a tutti gli interrogativi ed ai dubbi sollevati in maniera puramente artistico-filosofica, e non punto dottrinale-teologica, dal romanzo di Dostoevskij, nel quale l’Inquisitore rappresenta, ma non è certamente la Chiesa, ed il Prigioniero rappresenta, ma non è certamente Gesù!<br /><br />Anche la “moralità” delle persone umane che compongono la gerarchia non può sottrarsi agli obblighi di “dipendenza” dalla “legge morale”: è ovvio! Ma la pretesa di rinfacciar loro la legittimità di parlare “in nome” della legge morale e pertanto di effettivamente ratificarne i principi, pur nell’imperfezione morale della loro natura umana, ebbene ciò significa voler, in maniera subdola, rigettare la divinità di Cristo Gesù concedendoGli solamente la Sua umanità! Ma il Mistero è tutto qui: Cristo è Dio nel mentre è uomo! E secondo entrambe le persone, umana e divina, rimarrà sempre accanto alla Chiesa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt 28,20)! E’ solo il “grande tentatore” che può sedurre con la menzogna; è solo il “grande mistificatore” che può istillare il dubbio; è solo il “grande ribelle” che può istigare alla rivolta!<br />Certamente, alla fine di tutta questa disamina contro la tentazione, la mistificazione, la ribellione laicista, non vogliamo nascondere la crisi di moralità e di autorevolezza patita in questi tempi dalla gerarchia. Ma se sono in crisi la Sua moralità, ossia la capacità di aderire alla legge morale, e la Sua autorevolezza, ossia la capacità di guadagnarsi la considerazione popolare, tuttavia non può essere messa in discussione la Sua autorità nel dispensare realmente la legge morale.<br />D’altronde non è nemmeno di questo che deve preoccuparsi il fedele laico; anche perché “…quel servo che, conoscendo la volontà del padrone, non dispone e non fa secondo il volere di lui, sarà aspramente flagellato, mentre colui che non la conosce, ma opera in modo da meritare delle percosse, ne riceverà di meno. Molto sarà richiesto a colui che molto ha ricevuto, e più si esigerà da colui al quale molto è stato affidato” (Lc 12, 47-48). Il che rappresenta un chiaro monito verso i “pastori” alla cui guida è stato “affidato il gregge” di Cristo! Monito il quale, se non assolve il gregge, perlomeno lo esonera da molte responsabilità!<br />D’altro canto, in maniera in certo qual modo “speculare”, merita pure che qui si faccia menzione di quel passo della Gaudium et spes in cui si riconosce che “…la potenza di Dio molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni” (IV, 76)! Il che rappresenta questa volta un “incoraggiamento” all’indirizzo di tutti i credenti affinché non disperino, pur non esonerandoli dalle rispettive responsabilità.<br />In quanto fedeli e pertanto unici e veri “laici”, proprio perchè desiderosi di non essere confusi con gli atei “laicisti”, non possiamo e non dobbiamo cadere nella trappola di operare il medesimo loro “delegittimante” gioco anticristico: quello cioè secondo cui sussisterebbe un problema che sarebbe da ricondursi alle responsabilità esclusive della gerarchia. Valgono piuttosto i reiterati inviti che con sempre maggior insistenza (se non supplica) provengono da una certa parte della gerarchia stessa, a ché si ponga rimedio alla mancanza di un’efficace presenza di una forte e determinata proposta che sia appunto “puramente e legittimamente laicale”, e che miri pertanto alla “tutela” della Chiesa: nel mondo e dal mondo. Tale è difatti la funzione precipua dei laici, il “ministero” che è ad essi pertinente!<br />Val bene per l’appunto ricordare quanto opportunamente scriveva Attilio Mordini:<br />“Dicendo questo non intendiamo affatto muovere un processo al clero. Il problema concerne solo il laicato; e le cause del fenomeno sono da ricercarsi nell’affermazione del guelfismo. Da parte del clero, anzi, si sono avuti molti lodevoli tentativi di mutare in meglio la situazione, ma tutto è inutile se non si risale decisamente alle cause prime…Rispondere alle esigenze del proprio tempo significava, nell’era del cristianesimo equestre e veramente militante, combattere di secolo in secolo, e con la medesima tenacia, le eresie tipiche del momento, e quindi instaurare un ordinamento civile atto alla difesa delle istituzioni e delle anime dal morbo che di volta in volta s’avventava sulla Chiesa. Invece nel tempo moderno, vivere il proprio tempo significa, in pratica, accondiscendere alle eresie del secolo cercando un modus vivendi con quelle, purché sia salva la possibilità di ottemperare ai precetti della Chiesa. Da lungo tempo, le organizzazioni del laicato cattolico non sono più state all’altezza dell’avventarsi continuo dei nemici del Cristianesimo e della civiltà; in una parola, i cattolici non sono più stati capaci di combattere”.[XXII]<br />Concludiamo, dunque, sintetizzando il pensiero: oggi manca quella Cavalleria che possa ergersi quale baluardo difensivo contro le insidie anticristiche che mirano a demolire il castrum della Chiesa cattolica, l’aedificium del Corpo mistico di Cristo; quelle insidie di cui il laicismo democraticistico costituisce per l’appunto l’ariete di sfondamento e di cui Zagrebelsky ha dimostrato d’essere uno dei più pericolosi alfieri!<br /><br />29 settembre 2007 (nella festa di S.Michele Arcangelo, patrono della Cavalleria)<br /><br /><strong>Cosmo Intini<br />Assoc. Studi Cavallereschi “S.Giuseppe da Leonessa”</strong><br /><br /><br /><br /><br />[I] Idem, pg.87.<br />[II] Idem, pg.159.<br />[III] Idem, pg.87.<br />[IV] Idem, pg.48.<br />[V] Idem, pg.87.<br />[VI] Idem, pg.17.<br />[VII] Idem, pg.23.<br />[VIII] Idem, pg.18.<br />[IX] Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede del 24/11/2002.<br />[X] Ibidem.<br />[XI] Cfr. Catechismo della C.C., 39.<br />[XII] Idem, 856.<br />[XIII] G.Zagrebelsky, Il crucifige e la democrazia, Einaudi, Torino 1995.<br />[XIV] Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.146.<br />[XV] Idem, pg.148.<br />[XVI] Idem, pg.146.<br />[XVII] Ibidem.<br />[XVIII] Idem, pg.147.<br />[XIX] Cfr. idem, pgg.23, 118, 146, 147.<br />[XX] Catechismo della C.C., 1950.<br />[XXI] Idem, 1951.<br />[XXII] A.Mordini, Il tempio del Cristianesimo. Per una retorica della storia, Il Cerchio, Rimini 2006, p.139. </div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-44497478996930177402007-10-06T12:49:00.000+02:002007-10-07T13:39:02.317+02:00Fede cattolica, laicità e laicismo (adversus G.Zagrebelsky)<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1gZ0PX3GR2PPYcP2e3d96_GkdPicJiZhXTKldBFqPmQyvv2b-O025fL5Vw2TiXmD-e6p49w0aMn379qJPnqcLE_NVoqSYQpdYQ1ZemecdOcvN6f_49Q5xggIl8CADXfkczgiGSYtHtOPa/s1600-h/image566023x.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5118175541486186258" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1gZ0PX3GR2PPYcP2e3d96_GkdPicJiZhXTKldBFqPmQyvv2b-O025fL5Vw2TiXmD-e6p49w0aMn379qJPnqcLE_NVoqSYQpdYQ1ZemecdOcvN6f_49Q5xggIl8CADXfkczgiGSYtHtOPa/s320/image566023x.jpg" border="0" /></a><br /><div><strong>Di Cosmo Intini</strong></div><div><strong>(Seconda Parte)</strong></div><br /><div></div><br /><div align="justify">Così come delineata, quindi, la “sfiduciosa” prospettiva esistenziale laicista, proprio in quanto “priva di affidamento e di sicurezza” (in una parola: in quanto “priva di fede”), si rivela evidentemente, e “disperatamente”, subordinata oltre che all’“ingegno” anche alla “sorte” ed alla “necessità”. E difatti, ammette Zagrebelsky: “Nessuno di noi, comuni mortali, potrà mai aspirare …a scrollarci di dosso il nostro mondo per indossarne un altro. Nessuno di noi potrà mai pensare di dare un senso, una direzione alla sua e alle altrui vite per trasformarle in qualcosa di totalmente altro”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn1" name="_ednref1">[i]</a><br />Del tutto aliena dalla concezione cristiana che riconosce in una “cooperazione” tra libero arbitrio umano ed intervento “giustificativo” della grazia divina la via per la realizzazione della “vocazione” dell’uomo al proprio “trascendimento”, tale visione morbosamente aderente ai presupposti laicistici mostra tutta la sua “antiumanità” nella reazione cui dà luogo. Infatti, l’evidente mortificazione di tale fondamentale, e tutt’affatto “naturale”, anelito umano al “superamento qualitativo” dei propri limiti, nel momento in cui comporta da una parte la sfiducia in una risoluzione “operata dall’esterno” (da ciò che è di “qualità ontologica” differente e superiore) dall’altra non può evitare di provocare contemporaneamente un “autodivinizzazione”, una “mitizzazione idolatrica” dei propri valori “quantitativi”; proprio perché si esige una compensazione all’innaturalità della mortificazione suddetta. Dato che, ovviamente, anche l’uomo-laicista aspira al “meglio”: “…il senso della vita…è lavorare insieme,…affinché la condizione del labirinto, che è la condizione umana, sia progressivamente resa più sopportabile, più umana, meno ingiusta”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn2" name="_ednref2">[ii]</a> ebbene, con un sovvertimento ontologico gli “ipervalori” vengono elevati sino a confondersi con i “metavalori”. Si parla di “salvezza”, ma solo di quella che “verrà da noi stessi”! Si parla di “virtù”, ma solo di quelle che “l’uomo si propone come tali”! I “valori democratici” diventano “metavalori”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn3" name="_ednref3">[iii]</a> E così via dicendo!<br />La grande confusione perpetrata da Zagrebelsky si incentra sulla pretesa di ridurre la fede cristiana a “morale umana”, relativa alla “vita immortale dell’al di là”; laddove, parallelamente, i principi democratico-laicisti sono i “fondamenti della vita morale nell’al di qua”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn4" name="_ednref4">[iv]</a> In tal modo, la fede viene ad essere “snaturata” e “relativizzata”; tant’è che egli aggiunge: “…non si considera la possibilità che qui, nella libertà, ci possa essere una ricerca morale…degna almeno quanto la fede in promesse di ricompense e punizioni”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn5" name="_ednref5">[v]</a> Eccoci giunti pertanto alla riduttiva umanizzazione anche della terza virtù teologale, in maniera tale che la “fede” rimane sì concepibile, ma solo in quanto opzione ontologico-morale! E a tal proposito, nel ricordare l’“ammonimento profetico di Solov’ev”, ecco cosa ha avuto modo di far osservare S.E. il cardinale Giacomo Biffi: “…Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità, scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn6" name="_ednref6">[vi]</a><br />Peraltro, immediata conseguenza di tutto ciò è che diviene possibile operare anche in maniera inversa; di modo che anche la “morale nell’al di qua” la si può in certo qual modo concepire quale “fede”, oltre che quale “carità e speranza”: ossia come qualcosa che si trasfiguri, liberandosi della sua precipua dimensione “profana”! Osserva difatti Zagrebelsky che la democrazia “…è sempre disposta a correggersi,…(fatti salvi) i suoi presupposti procedurali…e sostanziali…consacrati (sic!) in norme intangibili della Costituzione”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn7" name="_ednref7">[vii]</a> E’ proprio alla luce di tale ribaltamento che egli definisce riduttivamente la “fede” quale “elemento concreto”, mentre esalta la “democrazia quale “valore astratto”: salvo poi ritenerla, con ennesima opportunistica acrobazia retorica, essa stessa una “fede”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn8" name="_ednref8">[viii]</a> Comunque sia, ecco insomma gettate le basi per l’idolatrica sostituzione, al culto di Cristo, del “sacrale” culto di un sistema politico totalitaristico (ossia “non limitato, né limitabile da alcunché”): il “regno” appunto democratico-laicista!<br /><br />E’ stato giustamente detto che “attualmente…tutto è stato inglobato sotto il manto della democrazia: è come un’atmosfera che abbraccia tutto e tutto contiene e fuori dalla quale vi è soltanto il nulla…In questo modo la natura, le cose, la realtà passano in secondo piano davanti alla nuova divinità, sul cui altare, se è necessario, devono essere sacrificate…La parola democrazia viene usata come un talismano legittimatore…La democrazia moderna si presenta come una vera e propria religione, anche se atea; infatti…‘la democrazia è per essenza religiosa, poiché ogni religione si fonda sul dogma e sul rito’: 1 ) il dogma è che il potere deriva dal popolo; 2) il rito consiste nella designazione di coloro che esercitano il potere attraverso l’elezione. E’ un dogma che bisogna credere perché il suo rifiuto comporta l’anatema e perfino la persecuzione degli ‘eretici politici’, per usare l’espressione di J.Maritain. In questo modo si instaurerà una nuova era di giustizia e di benessere, che sarà la conseguenza normale e immancabile dello sviluppo democratico: è l’eresia del Plus Grand Sillon, condannata da S.Pio X, che subordinando il cristianesimo alle esigenze della democrazia moderna, di fatto lo abbandonava, proclamando l’autonomia dell’uomo rispetto all’ordine naturale voluto da Dio; è l’eresia della religione democratica, secondo cui non si tratta più di convertire gli uomini al cattolicesimo, ma di convertire il cattolicesimo alle idee moderne. In questo senso si deve parlare della democrazia come di una religione”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn9" name="_ednref9">[ix]</a><br />In più di un’occasione Zagrebelsky avanza l’“insinuazione” che la Chiesa cattolica nasconda la (per lui) riprovevole ed inconfessabile avversione per la democrazia. Anzi, senza usare mezzi termini, spesso addirittura sancisce egli stesso la loro quasi incompatibilità: “Fede religiosa, tanto più se organizzata in chiese strutturate gerarchicamente, e fede democratica costituiscono un connubio difficile, non privo di momenti drammatici”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn10" name="_ednref10">[x]</a> Ma che bella scoperta! Come può pretendersi che la Chiesa accetti di farsi sopraffare da quella degenerazione idolatrica che abbiamo definito essere la “religione democraticista”, la quale anticristicamente mira ad appropriarsi della Sua precipua natura di “confessione di culto”, per poi sostituirsi ad Essa con un atteggiamento di vero e proprio “scimmiottamento”!?<br />Il problema, a nostro modo di vedere, non è se la Chiesa sia “incompatibile” con la formula democratica, ma piuttosto se la laicistica religione democraticista odierna sia compatibile con la Chiesa. Questa infatti non nega affatto il pluralismo in sé, bensì non lo può condividere qualora esso sia concepito in chiave, appunto, di relativismo etico! Se Zagrebelsky, con ennesima ambiguità, da una parte dichiara di condividere l’inaccettabilità del relativismo affermando: “Ciò…non significa affatto…che la democrazia assuma il relativismo come suo sostrato etico”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn11" name="_ednref11">[xi]</a> ovvero pure che: “La democrazia non presuppone affatto quel relativismo etico che il magistero della Chiesa giustamente condanna”;<a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn12" name="_ednref12">[xii]</a> d’altra parte, immediatamente dopo svela invece la propria reale posizione proclamando che la democrazia “…si basa non solo su di un ethos pubblico preciso: l’apertura al possibile, come diritto di farsi valere riconosciuto a tutte le forze e le concezioni politiche che rispettano l’uguale diritto altrui; ma presuppone anche diverse concezioni private del bene comune”;<a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn13" name="_ednref13">[xiii]</a> ovvero pure che “la democrazia è per l’appunto il regime delle possibilità da esplorare, attraverso discussione e confronto e secondo la logica del male minore o del bene maggiore nelle condizioni date”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn14" name="_ednref14">[xiv]</a> E a completamento delle ammissioni secondo cui la “democrazia” è una vera e propria “religione” relativistica, non solo scrive un “decalogo (sic!) per imparare la democrazia”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn15" name="_ednref15">[xv]</a> ma oltretutto afferma: “Io, un po’ per provocazione, direi che noi, in quanto credenti (sic!) nella democrazia, dobbiamo rivendicare il relativismo come il grande pregio della democrazia stessa”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn16" name="_ednref16">[xvi]</a><br />Le sue perplessità, a riguardo di una presunta “incompatibilità” della Chiesa con la democrazia, nascono pertanto da una illegittima sovrapposizione di significati in realtà differenti; e celano oltre tutto la subdola pretesa che sempre la Chiesa, in nome della propria sincera approvazione di un’assoluta “uguaglianza etica” degli individui, ratifichi quel surrogato che è rappresentato da un del tutto relativistico “egualitarismo” tra i singoli! In altre parole, si tratta della differenza che in filosofia occorre tra la cosiddetta “eguaglianza come fatto” e la cosiddetta “eguaglianza come valore”: nel primo caso l’uguaglianza si viene a dedurre in base al semplice “fatto” che “tutti sono fratelli, in quanto tutti sono figli di Dio”; mentre nel secondo caso l’uguaglianza deriva dalla prescrizione laicista di un precipuo “valore”, quello secondo cui “tutti devono essere uguali” giuridicamente e politicamente (eguaglianza formale) nonché socialmente ed economicamente (eguaglianza sostanziale)!<br />Come è possibile comprendere subito, questa differenziazione interpretativa dell’“uguaglianza” comporta insomma una differente concezione del modo di intendere l’identità personale, cioè a dire la “persona”: se nel primo caso l’uomo è infatti percepito come costituito anche di una sostanza spirituale, nel secondo caso invece egli è considerato soltanto come una pura e semplice collezione di stati d’animo. Da tale discordanza deriva quindi pure una differente concezione dell’etica, in quanto il cattolico informa i suoi comportamenti alla luce della consapevolezza secondo cui la propria identità biologico-sociologica confluisce e si giustifica in una superiore identità teologica - il che costituisce la tesi tomistica dell’“unità sostanziale della persona umana” -; mentre il laicista, da parte sua, si rifiuta di superare il primo stadio e ritiene l’etica svincolata da qualsiasi precetto dogmatico. Ora, Zagrebelsky afferma in maniera del tutto fuorviante che “…nella relazione che il teologo della Casa pontificia, Wojciech Giertych, ha recentemente tenuto (12 febbraio 2007, N.d.A.) al Congresso internazionale sul diritto naturale…, si riconosce che la natura umana non è un concetto biologico o sociologico bensì, con Tommaso d’Aquino, teologico“.<a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn17" name="_ednref17">[xvii]</a> La tattica laicista ribadisce così la propria sottile indole “disgregativa” (dia-ballica), nel falsare la precisione dei fatti e ribaltarne le conseguenze in maniera che risultino per sé più convenienti! Infatti, se fosse come Zagrebelsky afferma, la concezione cristiana ammetterebbe allora come “operabile” una “bipartizione” della “natura umana”, una sua “scindibilità” in componente “fisica e psichica”, da una parte, e componente “spirituale”, dall’altra; ed inoltre auspicherebbe pure la “negazione” della prima a fronte di una esclusiva “esaltazione” della seconda. Ebbene, se così fosse, il risultato sarebbe molto simile a quello dell’eresia monofisita!<br />Evidentemente, da parte laicista, qui non si vuole solamente difendere una propria posizione invocando il legittimo “diritto alla libertà di opinione”, ma si tende illegittimamente ad inoculare prospettive distorte da poter subito riconvertire in altrettanti “arieti da sfondamento”! Quando S.Tommaso afferma che ‘principium quo primum intelligimus, sive dicatur intellectus sive anima intellectiva, est forma corporis’,<a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn18" name="_ednref18">[xviii]</a> ciò significa che “…l’io che si coglie come corporeo negli stati affettivi (in certi stati affettivi) è lo stesso io che, riflettendo, ha coscienza di conoscere, di contemplare la bellezza, di fare metafisica…L’uomo si coglie come uno”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn19" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn19" name="_ednref19">[xix]</a> Ed aggiunge: ‘ipse idem homo est qui percepit se et intelligere et sentire’<a title="" style="mso-endnote-id: edn20" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn20" name="_ednref20">[xx]</a>. Per dirla con Mons. Carlo Caffarra, “…dunque, la tesi dell’unità sostanziale intende descrivere in primo luogo un’esperienza fondamentale dell’uomo: l’esperienza dell’unità del proprio io nella pluralità specifica delle sue operazioni”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn21" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn21" name="_ednref21">[xxi]</a> Per S.Tommaso, quindi, la natura umana non è un concetto “soltanto” biologico e sociologico, ma “anche” teologico!<br />Zagrebelsky tenta invece di dimostrare che la “realtà naturale” in senso lato - inclusiva cioè in senso particolare anche della “natura umana” - costituisca, così come viene concepita dalla visione cattolica, un concetto “innaturale”; e con ironica perplessità pertanto si chiede: “Che cosa è l’essere umano dovrebbe comprendersi considerando il suo rapporto con Dio. I precetti fondamentali del diritto naturale sarebbero percepibili solo per mezzo di un’intuizione metafisica delle finalità dell’esistenza, un’intuizione di fede…Fides et gratia, dunque, come presupposto per il discorso cristiano sulla natura: che cosa c’è di più ‘innaturale’ di questa visione della natura, dal punto di vista di chi - legittimamente, si presume ancora - non è credente? Ecco come la natura può diventare una maschera della sopraffazione”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn22" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn22" name="_ednref22">[xxii]</a><br />L’“errore” laicista consiste qui nuovamente nel pretendere che la Chiesa dia per scontato quanto per Essa invece non lo è affatto: una netta “separabilità” logica tra il visibile e l’invisibile, una “irriducibilità” ontologica tra il corpo e lo spirito, una “fratturazione” etica tra ambito socio-politico ed ambito religioso! Anche in questo si coglie il tipico operare proprio del “dia-ballo”!<br /><br />E’ evidente che a questo punto il discorso esiga però la precisazione di quello che è il significato precipuo con cui intendere il termine “natura”, posto come esso è alla base dei fondamentali concetti di “mondo naturale”, di “natura umana” e di “diritto naturale”!<br />Anche a questo proposito Zagrebelsky procede in maniera mistificante, in quanto prima assegna arbitrariamente alla Chiesa l’adesione ad una mentalità che molto semplicisticamente si conformerebbe ad un “vecchio pregiudizio” che porrebbe come base, nella scelta delle norme etiche, il binomio “natura-artificio” così impropriamente impostato: “…la struttura mentale originaria, che condiziona il rapporto tra noi e il mondo, è la contrapposizione tra ciò che è naturale e sta fuori di noi, e ciò che è artificiale e procede da dentro di noi”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn23" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn23" name="_ednref23">[xxiii]</a> Dopo di che passa alla delegittimazione di tale “ormai sorpassato modo di vedere” che lui stesso ha preteso di affibbiare alla Chiesa, per delegittimare la Chiesa stessa: “…è il tempo attuale, il tempo in cui perfino la ‘natura’ dell’essere umano può essere il prodotto del suo ‘artificio’ - potenza della genetica -; il tempo in cui il dentro e il fuori di noi, il soggetto e l’oggetto che siamo diventati si confondono, a rendere vana quella distinzione…<a title="" style="mso-endnote-id: edn24" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn24" name="_ednref24">[xxiv]</a> Non stupisce dunque affatto che proprio quando è diventato insostenibile, il binomio natura-artificio sia stato riscoperto, per trovare in esso la norma delle azioni umane, una norma che assegna al naturale il primato sull’artificiale, sinonimo di inganno, abuso, adulterazione…Così si fa da parte della Chiesa cattolica, per opporsi ai cambiamenti in tema di unioni tra persone, eutanasia, sperimentazione scientifica, genetica, ecc.; e per ritornare all’antico, in tema di famiglia, contraccezione, aborto, ecc.”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn25" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn25" name="_ednref25">[xxv]</a><br />La falsificazione dei termini del discorso, così operata dal laicismo, non riesce ad occultare la matrice da cui essa origina: la confusione! Lo stesso Zagrebelsky se lo lascia sfuggire quando afferma trionfalmente che oggigiorno il soggetto-persona e l’oggetto-persona, il dentro e il fuori dell’uomo, “si confondono”! Niente più rimane insomma al proprio posto: né logicamente, né ontologicamente, né eticamente!<br />Se è da ritenersi errata la distinzione secondo cui sussisterebbe una soluzione di continuità tra il dentro ed il fuori dell’uomo - così come tra il visibile e l’invisibile, tra il corpo e lo spirito, tra l’ambito socio-politico e quello religioso -, ciò non può essere tuttavia nemmeno inteso nel senso che si venga ad attuare tra i due elementi delle suddette endiadi una casuale e disordinata “confusione”. Piuttosto, si attuerà tra di essi un’“organica unità”; o per meglio dire: un reciproco “soggettivarsi” (che è altra cosa rispetto al “relativizzarsi”) il quale viene reso possibile sempre e soltanto alla luce di un identico, oggettivo ed assoluto comune denominatore: Dio Creatore! Secondo la concezione cattolica la “natura umana”, “…creata a immagine di Dio, è un essere insieme corporeo e spirituale. Il racconto biblico esprime questa realtà con un linguaggio simbolico, quando dice: ‘Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente’ (Gn 2,7). L’uomo tutto intero è quindi voluto da Dio…<a title="" style="mso-endnote-id: edn26" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn26" name="_ednref26">[xxvi]</a> L’unità dell’anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l’anima come la ‘forma’ del corpo; ciò significa che grazie all’anima spirituale il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell’uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un’unica natura”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn27" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn27" name="_ednref27">[xxvii]</a> In virtù di tale “unità” tra anima e corpo, “…l’uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi, attraverso di lui, toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Allora non è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn28" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn28" name="_ednref28">[xxviii]</a><br />Concepita in tal modo, quindi, la questione non può essere banalmente ridotta ad una dicotomia natura-artificio! Dato che “il termine anima…designa anche tutto ciò che nell’uomo vi è di più intimo e di maggior valore, ciò per cui più particolarmente egli è immagine di Dio”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn29" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn29" name="_ednref29">[xxix]</a> ebbene la Chiesa cattolica non “demonizza” affatto ciò che “procede da dentro l’uomo”, in quanto esso si presenta come il libero frutto dell’arbitrio dell’anima e rimane pertanto, proprio per questo, “parte integrante della stessa natura umana”. Del resto, sempre Mons. Caffarra ha avuto modo di esprimere ciò, dicendo: “Il corpo è la trasparenza della persona umana, l’unica creatura in cui è visibile l’invisibile”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn30" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn30" name="_ednref30">[xxx]</a><br />Non sussistendo dunque, nella natura umana, alcuna soluzione di continuità tra la sua componente interiore-spirituale e quella esteriore-corporea, e non essendovi soluzione nemmeno tra tale sua componente corporale ed il mondo naturale a sé esterno - in virtù di quel suo già menzionato costituirsi, per volontà divina, quale sintesi suprema del mondo naturale stesso -, ebbene risulta del tutto paradossale e risibile accusare la Chiesa di “innaturalità” a motivo dell’opposizione da Essa esercitata contro il relativismo etico; in quanto tale opposizione si basa sulla semplicissima consapevolezza che tutto ciò che dalla persona umana procede “contro natura”, procede altresì “contro la natura umana medesima”!<br />Ma la tendenziosità di Zagrebelsky, posta in atto nel suo scoperto tentativo di difendere il relativismo etico, non si ferma certo qui! Per disconoscere infatti il carattere di assolutezza del “naturale”, e quindi la sua superiorità etica rispetto all’“artificiale”, passa a specificare quale sia la propria posizione in merito al concetto giuridico del “diritto”. E così la formula: “Nel campo della giustizia, la contrapposizione si traduce nella tensione tra diritto di natura e diritto positivo, cioè legislazione. La giustizia nella polis è di due specie - diceva già Aristotele -, quella naturale e quella legale; la giustizia naturale vale dovunque allo stesso modo e non dipende dal fatto che sia riconosciuta o no. La giustizia legale, invece, è quella che riguarda ciò che, in origine, è indifferente e può variare secondo i luoghi e i tempi”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn31" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn31" name="_ednref31">[xxxi]</a> Zagrebelsky in pratica qui cita, “quasi” integralmente, il passo del V libro dell’Etica Nicomachea (V,1134b 18-24) là dove viene sancita la tradizionale distinzione tra diritto naturale e positivo (o legale). Esposta così, sembrerebbe quasi che in base a tale distinzione Aristotele non solo ponga i due diritti su di uno stesso piano, ma che addirittura, in barba a tutta le conclusioni cui è pervenuta unanimemente la critica aristotelica, implicitamente riconosca al diritto legale una certa qual giustificabile preferenza. A Zagrebelsky è bastato infatti “omettere” la continuazione del pensiero aristotelico - il quale, dopo “…ciò che, in origine, è indifferente” così proseguiva: “… ma che non è indifferente una volta che sia stato stabilito” - per suggestionare ad una lettura che si lasci percepire quasi come se lo Stagirita, senza operare alcun distinguo, avallasse il relativismo di un diritto che “permane sempre indifferente ed oltretutto varia secondo luoghi e tempi”! In verità, non solo Aristotele non perde mai occasione per ribadire la superiorità del “naturale” rispetto al “legale”, così come dell’“universale” rispetto al “particolare”, ma oltretutto, nel prosieguo sempre del V libro introduce l’importantissimo concetto di “equità” - di cui Zagrebelsky non fa ovviamente alcuna menzione -, con cui intende: “la rettificazione della legge positiva là dove si rivela insufficiente per il suo carattere universale”, ovverosia “la correzione effettuata dal diritto naturale della legge positiva nei casi in cui sarebbe ingiusto applicare quest'ultima” (cfr. Etica Nicomachea, V,1137b 26-27). L'importanza del concetto di “equità” deriva insomma dal fatto che essa è preposta a regolare ciò che viene ritenuto giusto per legge con ciò che è ritenuto giusto per natura. “L’equità riafferma la giustizia laddove l’universale è inadeguato per il particolare. Il presupposto, dunque, è l’inadeguatezza dell’universale rispetto al particolare…Ma la composizione di universale (diritto naturale) e particolare (diritto legale, positivo) operata dall’equità è solo apparente, in quanto, in realtà, particolarizza l’universale. E ciò non per il semplice autonomizzarsi del particolare rispetto all’universale ovvero per ipotetica esenzione del particolare dal dominio dell’universale, quanto, al contrario, per l’omogeneità di giustizia universale e equità particolare…Per Aristotele l’equità è una forma speciale di giustizia e non una disposizione di genere diverso (cfr.V, 1138a 2-3)…L’omogeneità tra giustizia universale ed equità particolare rinvia quindi ad una giustizia ulteriore di cui non solo l’equità particolare, ma la stessa giustizia universale è un caso particolare. Tale giustizia ulteriore che particolarizza la stessa giustizia universale è chiamata da Aristotele ‘giustizia in senso primo’ e ‘giustizia in senso assoluto’ ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn32" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn32" name="_ednref32">[xxxii]</a><br />Dunque, riassumendo: secondo Aristotele la legge positiva può essere soggetta all’errore laddove non risulti sufficientemente adeguata alla legge naturale; mentre l’equo, da parte sua, “è giusto, ed è migliore di un certo tipo di giusto, non del giusto in assoluto, ma di quell’errore che ha come causa la formulazione assoluta” (E.N. , V,1137b 24-25). Proprio con questo riconoscere l’esistenza di ciò che lui definisce “giusto primo, ovvero giusto in senso assoluto”, Aristotele fa insomma riferimento ad un qualcosa che è addirittura “anteriore ad ogni espressione sotto forma di legge”; e con ciò non solo non concede in maniera definitiva il seppur minimo spazio ad alcuna tentazione interpretativa di tipo positivo-relativistica, ma dimostra pure di aver considerato da un punto di vista per così dire “teologico” oltre che gli ambiti della fisica e della metafisica, giustappunto anche quello dell’etica!<a title="" style="mso-endnote-id: edn33" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn33" name="_ednref33">[xxxiii]</a><br />Per tornare al rapporto tra diritto naturale e positivo, è dunque giusto osservare che la giustizia “…non si esaurisce nella positività della legge. È noto come poneva il problema Aristotele…(Il suo) modo di porre il problema ha il merito di evidenziare che la giustizia naturale non è un corpo legale astratto, astorico e separato dal giusto politico, ma una componente o uno strato di questo. Il giusto naturale è lo strato fondamentale e originante della giustizia, il fondamento ultimo della legittimità politica, ma è tuttavia insufficiente da solo per ordinare la vita sociale. Perciò deve essere concretizzato, determinato e sviluppato in funzione del bene comune politico di ogni popolo dal giusto per convenzione di legge, vale a dire, dalla parte del diritto politico che qui chiamiamo diritto positivo”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn34" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn34" name="_ednref34">[xxxiv]</a><br />Eppure Zagrebelsky, nonostante tutto, continua ad eccepire che “…il diritto naturale non è affatto il terreno del consenso che abbraccia l’umanità intera in nome di una giustizia universalmente riconosciuta. Al contrario è il terreno dei più radicali conflitti. Innanzitutto, che cosa è la ‘natura’ alla quale ci appelliamo? Se ci volgiamo al passato, vediamo una grande confusione. Per qualcuno, i cristiani ad esempio, è opera di Dio; ma per altri, gli gnostici, è opera del demonio…Indipendentemente da Dio e dal demonio, poi, per alcuni la natura è madre benefica e per altri, matrigna malefica ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn35" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn35" name="_ednref35">[xxxv]</a> E così conclude: “…non esiste una natura da tutti riconoscibile. Si può parlare di natura, e quindi di legge naturale, solo dall’interno di un sistema di pensiero, di una visione del mondo, ma i sistemi e le visioni appartengono alle culture, non alla natura”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn36" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn36" name="_ednref36">[xxxvi]</a><br />L’errore madornale in cui cade questa impostazione, frutto di chiarissimo “relativismo etico” - atteggiamento, quindi, che solo in apparenza viene altrove sconfessato da Zagrebelsky -, è quello di supporre di poter (e quindi di dover) riconoscere una “superiorità ontologica” alla “natura”, e pertanto al “diritto naturale”, solo in base ad un mutuo e totale consenso! Se così fosse - se cioè si potesse operare un simile giudizio in base ad un semplice criterio d’opinione, di sistema di pensiero, di visione del mondo -, per formulare tale “superiorità” non basterebbe allora, in ossequio allo spirito democratico, anche solo una “maggioranza”? Ed in effetti noi potremmo dire allora che fu proprio ciò che si sarebbe già verificato nel passato, quando lo gnosticismo manicheistico, quel pensiero che sulla base di una concezione “dualistica” riteneva il mondo naturale appunto “opera del demonio”, non si costituì mai in seno alla cultura europeo-cristiana più di una “minoritaria” visione, settaria ed eretica.<a title="" style="mso-endnote-id: edn37" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn37" name="_ednref37">[xxxvii]</a> Mentre, d’altra parte, l’adesione “pressoché generale” al diritto naturale nel senso classico del suo valore, sarebbe stato allora ciò che lo avrebbe sostanzialmente legittimato come eticamente superiore! D’altro canto, ancor meno reggerebbe un’impostazione basata su di un giudizio che vorrebbe tener conto di dati emotivo-sentimentali i quali, proprio in quanto tali, si costituiscono come puramente soggettivi ed inevitabilmente “parziali”! La stessa “visione” razionalistica impone, ai propri cultori, che si eviti di indulgere in posizioni che ingenuamente valutino la “natura” sulla base di parametri del tipo “benignità o malignità”!<br />In definitiva, se c’è qualcuno che cade nell’erronea pretesa di emettere un qualsivoglia giudizio sulla natura in base ad un’impostazione relativisticamente “culturale”, ebbene quello è proprio Zagrebelsky! I presupposti della Chiesa cattolica sono invece ben altri, in quanto essi si incentrano sulla “ragione naturale” intesa quale dote “assoluta”, e non meramente accidentale, dell’essere umano. Attraverso la ragione, “naturalmente” conferitagli ab initio da Dio, l’uomo assume infatti la propria dignità, la propria libertà, il proprio arbitrio e potere: ed è in ciò che egli è reso “simile” a Dio stesso, verso cui la stessa ragione risulta ordinata! “La legge naturale è iscritta e scolpita nell’anima di tutti i singoli uomini; essa infatti è la ragione umana che impone di agire bene e proibisce il peccato…Questa prescrizione dell’umana ragione, però, non è in grado di avere forza di legge, se non è la voce e l’interprete di una ragione più alta, alla quale il nostro spirito e la nostra libertà devono essere sottomessi”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn38" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn38" name="_ednref38">[xxxviii]</a> Ed inoltre: “La legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura in cui si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae la sua forza dalla Legge eterna. Nella misura in cui si allontana dalla ragione, la si deve dichiarare ingiusta, perché non realizza il concetto di legge: è piuttosto una forma di violenza”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn39" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn39" name="_ednref39">[xxxix]</a> In altre parole, la legge divina e naturale è così chiamata “…non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn40" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn40" name="_ednref40">[xl]</a><br />Checché ne dica Zagrebelsky è in realtà fuor di dubbio che il “diritto naturale”, oltre a non essere stato affatto cagione di confusioni, sia invece rimasto sostanzialmente inalterato attraverso la storia, rappresentando anzi un fattore decisivo nello sviluppo civile dei popoli e delle culture: lo abbiamo visto con Aristotele nel mondo ellenico, ma lo possiamo riconoscere anche nell’antica Roma con il basilare concetto dello ius gentium, così come fu posto a tutela del buon governo e della giustizia.<a title="" style="mso-endnote-id: edn41" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn41" name="_ednref41">[xli]</a> E come fu per Aristotele (parlavamo prima della sua teologia dell’etica), ancor più per il mondo romano il diritto naturale, lo ius , instaurava intime relazioni metafisiche con il divino! Lo si può constatare per il fatto che “…ius (dall’ i.e. *YOUS), ancor prima di costituire un termine del lessico giuridico, indica ‘lo stato di regolarità, di normalità, richiesto dalle regole rituali’ e prescrive quello a cui ci si deve attenere. Il diritto romano è fondato sulla norma assoluta: lo ius procede dal Fas al quale è indissolubilmente legato come l’effetto alla causa e nel quale ha la sua giustificazione”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn42" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn42" name="_ednref42">[xlii]</a> Il Fas (dall’i.e. *BHA-), da parte sua indicava “la parola vivente in sé”: da cui Fatum, ossia “la parola manifesta, la volontà divina che diviene norma e legge per gli uomini e gli dèi”, e Fastus ossia “ciò che è conforme al diritto divino e lo realizza nel mondo”! Cicerone d’altronde insegnava che “…certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall'errore…E’ un delitto sostituirla con una legge contraria; è proibito non praticarne una sola disposizione; nessuno poi ha la possibilità di abrogarla completamente”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn43" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn43" name="_ednref43">[xliii]</a><br />Come è emblematicamente dimostrato dal fatto che nelle più antiche fonti compare spesso la significativa frase: jure romano vivit Ecclesia (la Chiesa vive secondo il diritto romano), la Chiesa affonda dunque le proprie radici giuridiche in questo complesso humus, che sarebbe del tutto riduttivo voler definire soltanto un occasionale “sistema di pensiero”. Il riconoscimento mostrato da parte di tutte le più importanti civiltà antiche a riguardo della necessità di “conformarsi alla legge naturale” (e non di “darne consenso”, come dice Zagrebelsky), esprime infatti chiaramente l’innata consapevolezza umana del fondamento intrinseco di tale legge, atto a stabilire i giusti confini entro cui mantenere l’ordinamento sociale: prova ne sia l’immutabilità con cui tale consapevolezza ha attraversato ed accompagnato i pur diversificati sistemi politici ed i differenti credi religiosi che hanno scandito i vari momenti storici delle singole civiltà stesse!<br />Il laicismo che si scaglia contro la Chiesa, accusandola di voler scalzare la visione etico-relativista per sostituirla con quella naturale, compie pertanto una doppia mistificazione! Quando Zagrebelsky dice: “…si ragiona come se le nostre società fossero prive di identità, avendola perduta o distrutta, e si discute perciò di come darne una nuova o di come ripristinare l’antica. La riscoperta delle ‘radici cristiane’ è il punto d’arrivo di questi ragionamenti. Poiché in apparenza si tratta di colmare un’assenza, i promotori d’identità…agiscono non per riempire vuoti ma per avviare sostituzioni…essi combattono una battaglia di egemonia culturale che non è solo per, ma innanzitutto contro. Non sono benefattori ma conquistatori”;<a title="" style="mso-endnote-id: edn44" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn44" name="_ednref44">[xliv]</a> ebbene non solo ciò costituisce l’ennesima occasione in cui “il bue dice cornuto all’asino”, in quanto è la visione laicista che ritiene legittimo il “sostituire” quella che per innumerevoli secoli ha invece costituito, pur nelle diverse realtà sociali e politiche, la “giusta e naturale” comune norma etica; ma oltretutto qui si nega il senso spirituale, “di rivelazione divina”, che è il vero e proprio presupposto della “legge naturale”, per “sostituirlo” sovvertendolo con qualcosa di meramente “umano”. Se il Magistero cattolico afferma che “la legge naturale offre alla Legge rivelata e alla grazia un fondamento preparato da Dio e in piena armonia con l’opera dello Spirito”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn45" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn45" name="_ednref45">[xlv]</a> da parte sua invece, Zagrebelsky ritiene che “la base della società e del governo è l’essere umano come tale, né più né meno. L’origine spirituale (sic!) di questa rivoluzione è l’Umanesimo; il compimento, il razionalismo sei-settecentesco, sfociato nella Rivoluzione francese. Il prodotto costituzionale di questa emancipazione è lo Stato laico”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn46" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn46" name="_ednref46">[xlvi]</a><br />Questo vero e proprio “atto di ribellione”, perpetrato dall’uomo laicista contro l’ordine stabilito da Dio, si palesa in maniera ancor più eclatante allorché Zagrebelsky distingue: “In origine, c’è l’invito di S.Paolo ai cristiani di Roma affinché ubbidiscano all’autorità, perché voluta da Dio: nulla potestas nisi a Deo (‘nessun potere se non da Dio’, N.d.A.)…<a title="" style="mso-endnote-id: edn47" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn47" name="_ednref47">[xlvii]</a> Volendo ancora ricorrere, nell’epoca presente, al motto paolino lo si dovrebbe rovesciare (sic!): nulla potestas nisi a hominibus (‘nessun potere se non dagli uomini’, N.d.A.). Gli uomini stanno insieme e obbediscono all’autorità in nome non del Dio comune ma dei propri diritti”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn48" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn48" name="_ednref48">[xlviii]</a> Tutto ciò contiene dei presupposto molto ambigui e pericolosi, poiché in tal modo il concetto di “giustizia” viene ad essere scisso da quello di “libertà”, in maniera tale che il giusto perde ogni carattere di assolutezza ! E’ proprio quello che sostiene lo stesso Zagrebelsky: “…la dottrina (sic!) laica dei diritti non è quella cattolica, come risulta da un punto cruciale: per la prima, il limite dei diritti è l’uguale diritto altrui; per la seconda, l’ordine naturale giusto. La differenza è capitale. La prima dottrina mira alla libertà; la seconda alla giustizia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn49" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn49" name="_ednref49">[xlix]</a><br />Uno dei più abusati “cavalli di battaglia” laicisti - per avvalorare la tesi secondo cui la Chiesa compia un’illecita e mistificante ingerenza a riguardo del “potere civile” in quanto espressione di “autorità”, anche solo concependolo come necessariamente “derivante da Dio” - è la citazione del famoso passo evangelico riguardante la problematica del “tributo a Cesare” e dei rapporti di questo con Dio (Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25). Nell’introduzione del libretto di cui ci stiamo occupando, scritta dal direttore E.Mauro, leggiamo infatti che “…Cesare non può diventare, duemila anni dopo, unità di misura di Cristo, dopo che il Vangelo li aveva separati come autorità distinte, ciascuna con il suo carico di obbligazioni per l’uomo-cittadino, dividendone i regni e i mondi”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn50" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn50" name="_ednref50">[l]</a> Da parte sua, in maniera subdola ed in completa malafede, Zagrebelsky cerca poi di accaparrarsi addirittura una propria (presunta) conformità al vero spirito di Cristo, affermando che Gesù risulta tradito allorché, nonostante l’esplicito Suo dettato di “rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, la Sua Chiesa pretende invece (così lui dice) di costituire il Cattolicesimo quale “religione civile”: “…per i vantaggi materiali immediati che ne possono derivare, sia agli uomini di chiesa che a quelli di stato. Questa idea politica della religione cristiana, pur ben radicata nella storia…sembrerebbe essere una bestemmia (sic!) dal punto di vista del messaggio di Gesù di Nazareth, ridotto a strumento di governo o a ideologia. In ogni caso è un’aberrazione dal punto di vista di quel supremo principio di laicità che sta scritto nella Costituzione”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn51" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn51" name="_ednref51">[li]</a><br />Ma le cose non stanno affatto così! Evidentemente a Zagrebelsky, al quale è pur piaciuto evocare in altri contesti il dialogo tra Gesù e Pilato, non piace invece tener conto di tutte le parole pronunciate dal Cristo in quello stesso frangente, quando inequivocabilmente rammenta come ogni “autorità”, e pertanto anche quella civile, “venga dall’alto” (cfr. Gv 19,11). Va detto peraltro che spacciare Cesare, il sacrale Imperatore Romano, il rex et sacerdos pontifex maximus, per un qualunque moderno (e laicista) presidente di repubblica o di parlamento, carico cioè soltanto “di obbligazioni per l’uomo-cittadino” e non anche in primis “per le divinità tutelari di Roma”, costituisce non solo una distorsione storica, ma pure una falsificazione della teologia inerente al potere civile romano che certamente Pilato non avrebbe potuto mai nemmeno lontanamente concepire. Il che rende assolutamente fuor di luogo far assurgere la figura di Cesare a paradigmatico antesignano della “laicità” dello Stato! Ma oltre a ciò, il dettato di Gesù di “rendere a Cesare…etc.” sta principalmente a significare che “bisogna restituire al proprietario ciò che a lui legittimamente già appartiene”. Ora, mentre nell’episodio del “tributo a Cesare” viene chiaramente specificato che esso è legittimo in quanto in tal modo si “restituisce” il denaro che egli ha coniato, non viene invece esplicitamente detto che cosa sia legittimo “restituire” a Dio! Gesù lo dirà effettivamente in seguito, allorché dinanzi a Pilato, durante il Suo processo, lascerà con chiarezza appunto intuire che, tra le altre cose, anche l’autorità di Cesare va “restituita” a Dio!<br /><br />Quando il Magistero della Chiesa cattolica afferma che “la comunità politica e l’autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e perciò appartengono all’ordine stabilito da Dio”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn52" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn52" name="_ednref52">[lii]</a> e poi specifica pure che “se l’autorità rimanda ad un ordine prestabilito da Dio, la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini. La diversità dei regimi politici è moralmente ammissibile, purché essi concorrano al bene legittimo delle comunità che li adottano. I regimi la cui natura è contraria alla legge naturale…non possono realizzare il bene comune delle nazioni alle quali essi si sono imposti”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn53" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn53" name="_ednref53">[liii]</a> ebbene la Chiesa non dimostra quindi quella tanto paventata “inconciliabilità” con il sistema pluralistico-democratico, ma piuttosto solo con quella forma esasperata di “democrazia totalitaristica” che è costituita dal laicismo.<br />Partendo sempre dal dialogo tra Gesù e Pilato, scrive ancora S.E. il cardinale Juliàn Herranz: “Meditando sullo stesso drammatico processo di Gesù, Giovanni Paolo II ha scritto: ‘Così, dunque, la condanna di Dio da parte dell'uomo non si basa sulla verità, ma sulla prepotenza, sulla subdola congiura. Non è proprio questa la verità della storia dell'uomo, la verità del nostro secolo? Ai nostri giorni tale condanna è stata ripetuta in numerosi tribunali nell'ambito dei regimi di sopraffazione totalitaria. E non la si ripete anche nei parlamenti democratici, quando, per esempio, mediante una legge regolarmente emanata, si condanna a morte l'uomo non ancora nato?’. Bisogna, perciò, affermare chiaramente e con forza - per difendere il diritto inalienabile alla vita, ma anche per prevenire le intelligenze oneste contro i sofismi dei falsi democratici - che questa riduzione meramente soggettivista e agnostica della libertà e del diritto è contraria non soltanto alla dottrina sociale cristiana ma anche al concetto tradizionale e sano di democrazia. È stato, infatti, rilevato da filosofi come Maritain, Del Noce o Possenti e da giuristi come Cotta, Hervada, Finnis o Waldstein, ma sono solo alcuni nomi, che gli autori classici anteriori al dilagare dogmatico dell'ideologia liberal-agnostica hanno interpretato sempre la democrazia come un ordinamento sociale di libertà avente confini naturali. Non con dei limiti esterni, imposti autoritariamente dal di fuori (tendenza totalitaria) oppure imposti tramite un semplice e onnicomprensivo accordo pattizio (tendenza liberal-radicale), ma con dei confini aventi un fondamento intrinseco: la legge naturale, il diritto naturale o ius gentium. Purtroppo, l'ideologia liberal-radicale, fondata sull'agnosticismo religioso e il relativismo morale, nel togliere alla democrazia il suo fondamento di principi e di valori oggettivi, ha reso pericolosamente incerti i limiti della razionalità e della legittimità della norma. Ciò ha indebolito profondamente l'ordinamento giuridico democratico di fronte alla tentazione di una libertà denaturalizzata: di una libertà, cioè, senza i limiti veramente liberatori della verità oggettiva sulla natura e la dignità dell'uomo e della vita umana”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn54" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn54" name="_ednref54">[liv]</a><br />Stando così le cose, viene allora da chiedersi: perché tanto accanimento laicista contro tale presunta “antidemocraticità” della Chiesa? Quale può essere la “questione pregiudiziale” che impedisce di riconoscere piuttosto nella Chiesa cattolica l’Istituzione storica che, per Sua natura precipua, più di qualunque altra è garante per l’uomo di “libertà e diritto”?! Per provare a darci una risposta bisogna però procedere con ordine!<br />Ecco innanzitutto cosa viene detto da Zagrebelsky: “Diverso era lo spirito del dialogo che anima molte pagine, aperte alla speranza, del Concilio Vaticano II, nelle quali il ‘mondo moderno’ è assunto come interlocutore positivo…diversa era la concezione del rapporto tra fede e ragione, tra fede e attività dei cristiani nel mondo…Ma (oggi) è ancora così?”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn55" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn55" name="_ednref55">[lv]</a> E poi altrove aggiunge: “Ma chi oserebbe negare che nei secoli la Chiesa abbia invece piuttosto avversato la democrazia e appoggiato ogni sorta di autocrazia, che abbia praticato più l’imposizione che il rispetto delle coscienze? Chi potrebbe dimenticare la violenza di cui è stata dispensatrice in nome della fede che custodiva? Chi può avere la memoria così breve da ignorare che l’unica ‘libertà’ riconosciuta è stata quella di aderire alla vera religione e che ogni rivendicazione di libertà diversamente indirizzata è stata oggetto di dure condanne?”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn56" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn56" name="_ednref56">[lvi]</a><br />Ora, alla luce di ciò, ci insorge subito il sospetto che più di una “pregiudiziale” da risolvere qui si tratti in realtà di un “pregiudizio” che si vuole arrecare alla Chiesa! Né può essere diversamente se, in maniera evidentemente opportunistica, da una parte si vuole lodare il Concilio Vaticano II sulla base di un suo “presunto” accoglimento delle istanze modernistico-liberal-laiciste, mentre dall’altra parte si addita con spregio un’altrettanto “presunta” inveterata disposizione autocratica della Chiesa. Oltretutto, tale contraddizione viene pure macchiata dall’incongruenza secondo cui la Chiesa medesima, nei duemila anni della Sua storia, avrebbe avversato la democrazia per “secoli”, quasi che questa forma di governo non si sia affermata non molto più tardi di appena due secoli fa! Ma contraddizioni ed incongruenze non giocano a favore di affermazioni che aspirino a costituirsi come probanti, né tanto meno forniscono garanzia di sincerità! Lo si capisce meglio nel prosieguo, là dove Zagrebelsky dice ancora: “Le guerre civili di religione sono di fronte a noi, a insegnare che cosa produce l’intreccio tra politica e religione quando non è data unità di fede. Incrinata l’unità dei cristiani dai movimenti ereticali a partire dal XII secolo, rotta poi dalla riforma luterana e dallo scisma anglicano, quell’intreccio ha alimentato solo divisioni e sopraffazioni. L’Europa cristiana divisa divenne campo di battaglia, con faide crudelissime tra cristiani di diverse confessioni, inquisizioni, cacce alle streghe, roghi di eretici e pogrom di ebrei. Eserciti di Stati scesero in campo in nome delle diverse professioni religiose. La religione, una volta rotta la sua unità, non era più assicurazione di alcuna ‘premessa normativa’. Anzi: era diventata endemico fattore di sovversione, odio, miseria, ostilità. Se ne uscì non con vincitori e vinti ma con una soluzione costituzionale: l’emancipazione dello Stato, la sua distinzione dalla religione e la regolamentazione di questa come elemento della coscienza individuale e sociale, e non più come elemento direttamente politico”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn57" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn57" name="_ednref57">[lvii]</a><br />Ma come! Pur di dimostrare un’indole della Chiesa cattolica adusa alla sopraffazione, alla prepotenza, alla soverchieria, qui si concede addirittura, in contraddizione piena rispetto a tante altre occasioni, che l’Europa sia stata in origine effettivamente cristiana e cattolica nella sua comune identità?! “La riduzione della storia europea a storia cristiana è un falso storico”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn58" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn58" name="_ednref58">[lviii]</a> sostiene infatti altrove Zagrebelsky! E si concede pure che tale sua originaria comune identità cattolica sia stata messa in crisi dalla perdita dell’“unità di fede”?! Ma allora, il nocciolo della questione non è tanto rappresentato dall’“intreccio etico-morale tra politica e religione”, né da una del tutto fittizia “antidemocraticità” della Chiesa; quanto piuttosto, ed è proprio quello che va affermando da sempre il Magistero cattolico, dalla perdita e quindi dalla mancanza di “unità di fede” nell’unica Chiesa di Cristo Gesù! Dice il Catechismo: “L’unità che Cristo ha donato alla sua Chiesa fin dall’inizio…noi crediamo che sussista, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno di più sino alla fine dei secoli…La Chiesa deve sempre pregare e impegnarsi per custodire, rafforzare e perfezionare l’unità che Cristo vuole per lei…Il desiderio di ritrovare l’unità di tutti i cristiani è un dono di Cristo e un appello dello Spirito Santo”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn59" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn59" name="_ednref59">[lix]</a><br />Tuttavia, pur di evitare ogni concessione al valore storico del Cattolicesimo, la suddetta inderogabile unità è ritenuta da Zagrebelsky una “condizione impossibile”, perlomeno da ripristinare;<a title="" style="mso-endnote-id: edn60" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn60" name="_ednref60">[lx]</a> e peraltro un’“insuperabile difficoltà” sussiste nei confronti dei non credenti, visto che “…in che consista l’essere e l’agire conformemente a quel che l’esistenza di Dio richiede, il laico non sa e gli uomini di fede si sono combattuti per mill’anni ciascuno ritenendo di saperlo meglio degli altri. Occorre un’autorità riconosciuta ed è sottinteso che sia il magistero cattolico. Ma come può chiedersi a un non credente di contraddire così profondamente sé stesso, al punto di affidarsi a ciò che gli si dice a proposito di un Dio che non conosce? Il consiglio che la Chiesa rivolge così al non credente (ossia di indirizzare la propria vita ‘veluti si Deus daretur’, ‘come se Dio ci fosse’, N.d.A.) ha un solo contradditorio significato: seguimi, per atto di fede”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn61" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn61" name="_ednref61">[lxi]</a><br />Ma in tal modo la contraddizione non è in realtà patita dalla Chiesa, bensì dal “serpente che si morde la coda”! Così come prospettati da Zagrebelsky, infatti, i termini della questione sono invertiti nella loro logica successione, in quanto è ovvio che il “non-credente” non conosca Dio: se lo conoscesse, allora crederebbe! E poi la Chiesa non pretende affatto, bensì soltanto consiglia (come del resto riconosce lui stesso, seppur ironicamente): non pretende cioè di “esser seguita per fede”, ma consiglia “di aver fede per poterLa così seguire”! Se volessimo spiegarci da un punto di vista della sintassi, quel “per atto di fede” non è insomma un complemento “di limitazione”, ma “di modo”. E pur nella sua sottigliezza ciò non costituisce una ininfluente sfumatura!<br />Se infatti il processo di “divisione della fede cristiana”, l’azione del dia-ballo operato dall’anticristicità prima attraverso i movimenti ereticali, poi con gli scissionisti protestanti e adesso col laicismo liberal-massonico, ha causato nei secoli la progressiva alienazione dello Stato dalla Chiesa, dell’etica socio-politica dalla religione, nonché, in fase terminale, ha comportato l’inevitabile perdita della “conoscenza di Dio” da parte di tanti cristiani - cioè a dire la perdita appunto della loro fede -, ebbene come sarà mai possibile “conoscere Dio” senza quella stessa fede che si è rigettata e smarrita? Dice il Magistero: “La fede cerca di comprendere: è caratteristico della fede che il credente desideri conoscere meglio colui nel quale ha posto la sua fede, e comprendere meglio ciò che egli ha rivelato; una conoscenza più penetrante richiederà a sua volta una fede più grande. La grazia della fede apre ‘gli occhi della mente’ (Ef 1,18)…Così, secondo il detto di S.Agostino: ‘Credi per comprendere: comprendi per credere’ ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn62" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn62" name="_ednref62">[lxii]</a><br />Non è quindi lecito per il laicismo concludere che la Chiesa voglia imporre “antidemocraticamente” la Sua verità, se per democratico bisogna intendere “ciò che permette la libera scelta alla luce di un diritto”; proprio perchè la fede implica, accanto all’intervento della grazia divina, la cooperazione dell’intelligenza e della volontà umane. Per giungere alla fede, ossia alla conoscenza di Dio - il che è un diritto che Dio stesso ha concesso all’uomo -, è necessario insomma il “libero consenso” intellettuale dell’individuo!<br />Ma tale consenso che conduce alla conoscenza, non può passare che attraverso l’esclusiva fedeltà alla Chiesa apostolica di Cristo Gesù! Ricorda in proposito il Catechismo: “La fede dei fedeli è la fede della Chiesa ricevuta dagli Apostoli, tesoro di vita che si accresce mentre viene condiviso”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn63" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn63" name="_ednref63">[lxiii]</a> Tutto ciò che è stato insegnato dal Cristo agli Apostoli è stato ritrasmesso da Essi alla Chiesa, che continua a parlare e ad agire “nel Suo nome” affinché “Egli sia conosciuto”! Si pensi ad esempio alla preghiera del Pater Noster: “Quando Gesù confida apertamente ai suoi discepoli il mistero della preghiera del Padre, svela ad essi quale dovrà essere la loro preghiera, e la nostra…La novità…è di ‘chiedere nel suo nome’ (cfr. Gv 14,13). La fede in lui introduce i discepoli nella conoscenza del Padre, perché Gesù è ‘la via, la verità e la vita’ (Gv 14,6)”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn64" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn64" name="_ednref64">[lxiv]</a> Quanta mistificazione dunque nelle ipocrite parole di Zagrebelsky, allorché sminuisce tale stessa preghiera bollandola, con sentimentalismo, come “…il testo dove più facilmente avrebbe potuto annidarsi (sic!) un discorso teologico sulla verità, (ma che) è al contrario (soltanto) una commovente espressione di spirito filiale”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn65" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn65" name="_ednref65">[lxv]</a> <strong>Continua...</strong><br /></div><br /><div></div><br /><div><a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref1" name="_edn1">[i]</a> Idem, pg.136.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref2" name="_edn2">[ii]</a> Ibidem, sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref3" name="_edn3">[iii]</a> Cfr. Idem, pg.108.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref4" name="_edn4">[iv]</a> Cfr. Idem, pg.147.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref5" name="_edn5">[v]</a> Ibidem.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref6" name="_edn6">[vi]</a> G.Biffi, Attenti all’Anticristo! L’ammonimento profetico di V.Solov’ev, Piemme, Casale Monferrato 1991.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref7" name="_edn7">[vii]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.20.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref8" name="_edn8">[viii]</a> Cfr. Idem, pg.47.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref9" name="_edn9">[ix]</a> Estanislao Cantero Nùnez, Evoluzione del concetto di democrazia, in Quaderni di Cristianità, anno I, n. 3, 1985.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref10" name="_edn10">[x]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.47.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref11" name="_edn11">[xi]</a> Idem, pg.21.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref12" name="_edn12">[xii]</a> Idem, pg.46.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref13" name="_edn13">[xiii]</a> Idem, pg.21.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref14" name="_edn14">[xiv]</a> Idem, pg.125 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref15" name="_edn15">[xv]</a> Cfr. supra, nota 56.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref16" name="_edn16">[xvi]</a> Non possumus: la Chiesa divide la società?, cit.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref17" name="_edn17">[xvii]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.170.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref18" name="_edn18">[xviii]</a> S.Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q.76, a.I.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn19" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref19" name="_edn19">[xix]</a> S. Vanni-Rovighi in A. Ales Bello e F. Brezzo (a cura di), Il filo(sofare) di Arianna. Percorsi del pensiero femminile nel Novecento, ed. Mimesis, Milano 2001, pg.55.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn20" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref20" name="_edn20">[xx]</a> S.Tommaso d’Aquino, ibidem nota 115.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn21" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref21" name="_edn21">[xxi]</a> Mons. Carlo Caffarra, “Corpore et anima unus”: la rilevanza etica dell’unità sostanziale dell’uomo all’inizio del terzo millennio, Congresso Tomista Internazionale, Roma 24 / 9 / 2003.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn22" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref22" name="_edn22">[xxii]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.170.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn23" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref23" name="_edn23">[xxiii]</a> Idem, pg.165.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn24" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref24" name="_edn24">[xxiv]</a> Ibidem.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn25" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref25" name="_edn25">[xxv]</a> Idem, pg.166.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn26" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref26" name="_edn26">[xxvi]</a> Catechismo della C.C., 362.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn27" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref27" name="_edn27">[xxvii]</a> Idem, 365.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn28" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref28" name="_edn28">[xxviii]</a> Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 14.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn29" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref29" name="_edn29">[xxix]</a> Catechismo della C.C., 363.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn30" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref30" name="_edn30">[xxx]</a> “Corpore et anima unus”, op.cit.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn31" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref31" name="_edn31">[xxxi]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.166.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn32" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref32" name="_edn32">[xxxii]</a> Giampaolo Azzoni, L’idea di giustizia tra universale e particolare, Relazione al XXII Congresso Nazionale della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica, Macerata 2-5 ottobre 2002.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn33" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref33" name="_edn33">[xxxiii]</a> Cfr. in proposito John Dudley, Dio e contemplazione in Aristotele. Il fondamento metafisico dell’Etica Nicomachea, Vita e Pensiero, Milano 1999.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn34" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref34" name="_edn34">[xxxiv]</a> Angel Rodriguez Nuno, Diritto positivo, diritto naturale e giustizia oggi, in «Nuntium» VII/19 (2003), pp. 45-50.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn35" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref35" name="_edn35">[xxxv]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.167.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn36" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref36" name="_edn36">[xxxvi]</a> Idem, pg.168.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn37" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref37" name="_edn37">[xxxvii]</a> La contraddittorietà logica ed ontologica di una visione “dualistica” del mondo, di stampo gnostico-manicheo, fu confutata già da S.Agostino con la sua dottrina riguardante la spiegazione dell’esistenza del “male”! Ricordiamo come tale dottrina insegni che il male non può considerarsi né come “essere” (perché in tal caso esso sarebbe positivo) né tanto meno come “non-essere” (perché semplicemente non sarebbe), ma piuttosto come “privazione, assenza di essere”. Pertanto, non essendo un principio che abbia consistenza in sé stesso, il demonio non può nemmeno assumersi quale “creatore” di alcunché, ma solo come sintomo di “degradazione”!<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn38" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref38" name="_edn38">[xxxviii]</a> Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimus; Leonis XIII Acta 8, 219. Cfr. Catechismo della C.C., 1954.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn39" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref39" name="_edn39">[xxxix]</a> S.Tommaso D’Aquino, Summa theologiae, I-II, q.93, a.3, ad 2. Cfr. Catechismo della C.C., 1902.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn40" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref40" name="_edn40">[xl]</a> Catechismo della C.C., 1955.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn41" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref41" name="_edn41">[xli]</a> Cfr, per esempio Gaio, Institutiones I, 1.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn42" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref42" name="_edn42">[xlii]</a> M.Polia, Imperium, Ed. Il Cerchio, Rimini 2001, pg.20.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn43" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref43" name="_edn43">[xliii]</a> Cicerone, De re publica, 3, 22, 33.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn44" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref44" name="_edn44">[xliv]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.105 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn45" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref45" name="_edn45">[xlv]</a> Catechismo della C.C., 1960.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn46" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref46" name="_edn46">[xlvi]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.55.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn47" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref47" name="_edn47">[xlvii]</a> Cfr. Rm 13,1-2.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn48" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref48" name="_edn48">[xlviii]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.54 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn49" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref49" name="_edn49">[xlix]</a> Idem, pg.85.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn50" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref50" name="_edn50">[l]</a> Idem, pg.5.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn51" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref51" name="_edn51">[li]</a> Idem, pg.99.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn52" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref52" name="_edn52">[lii]</a> Catechismo della C.C., 1920.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn53" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref53" name="_edn53">[liii]</a> Idem, 1901.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn54" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref54" name="_edn54">[liv]</a> L’umanità è al bivio, op.cit.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn55" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref55" name="_edn55">[lv]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.149.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn56" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref56" name="_edn56">[lvi]</a> Idem, pg.83.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn57" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref57" name="_edn57">[lvii]</a> Idem, pg.56.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn58" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref58" name="_edn58">[lviii]</a> Idem, pg.87.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn59" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref59" name="_edn59">[lix]</a> Catechismo della C.C., 820.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn60" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref60" name="_edn60">[lx]</a> Cfr. Lo Stato e La Chiesa, op.cit.,pg.57.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn61" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref61" name="_edn61">[lxi]</a> Idem, pg.58.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn62" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref62" name="_edn62">[lxii]</a> Catechismo della C.C., 158.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn63" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref63" name="_edn63">[lxiii]</a> Idem, 949.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn64" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref64" name="_edn64">[lxiv]</a> Idem, 2614.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn65" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref65" name="_edn65">[lxv]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.120.</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-88548273614029771022007-10-06T12:24:00.000+02:002007-10-07T13:38:33.521+02:00Fede cattolica, laicità e laicismo (adversus G.Zagrebelsky)<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnzwP3YaJgYsPEbmBCtdu8wU9E6PE5HGfpRK8W8lwPw3t6l8KPXAhKHhrAgY3i82RBepG5t5EDOD9BYOx7mzMVYrBVoJJGJRlhXHUizH2Od11UyfWI0MY1tps8AusyL8T9X3uwpE8COO4G/s1600-h/image566023x.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5118172844246724354" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnzwP3YaJgYsPEbmBCtdu8wU9E6PE5HGfpRK8W8lwPw3t6l8KPXAhKHhrAgY3i82RBepG5t5EDOD9BYOx7mzMVYrBVoJJGJRlhXHUizH2Od11UyfWI0MY1tps8AusyL8T9X3uwpE8COO4G/s320/image566023x.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify"><strong>Di Cosmo Intini</strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>(Prima Parte)</strong></div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">E’ apparso recentemente in edicola, con il quotidiano La Repubblica, un volumetto dal titolo Lo Stato e La Chiesa:<a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn1" name="_ednref1">[i]</a> una raccolta di tredici articoli firmati dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, tutti già in precedenza pubblicati singolarmente, nel corso di alcuni anni, ed incentrati sul controverso tema dei rapporti tra laicità e fede cattolica.<br />La riproposizione assembrata di tali articoli, in maniera segnatamente sincronica con la “Giornata della Famiglia” (12 maggio 2007) e, più in generale, con la discussione politica in atto sulla legge riguardante i cosiddetti “Dico”, ha manifestato una volta di più, con puntuale evidenza, l’usuale intento laicista di inserirsi nel dibattito tra le parti adottando quale univoca strategia la “delegittimazione della gerarchia ecclesiastica”. Che è come dire: ammantare di legittimo diritto di opinione quella che è in realtà un’illegittima (perché mirante a sovvertire l’autorità della Chiesa cattolica) manifestazione di intolleranza anticlericale!<br />Aver riconosciuto da parte nostra l’opportunità di parlarne non deriva quindi tanto dalla novità (né tanto meno da una seppur minima validità) delle argomentazioni propugnate da Zagrebelsky, quanto piuttosto dal ritrovare in tale pubblicazione de La Repubblica una sintesi pressoché compiuta di tutti i “cavalli di battaglia” su cui il laicismo fonda la sua sempre maggiore aggressività. Consapevoli infatti che l’intimidazione in atto contro il Vaticano celi al suo interno un ben più ampio ed articolato progetto anticattolico (checché ne dica Zagrebelsky), sulla cui consapevole metodicità non vi è oramai più ombra di dubbio e che pertanto non si fa fatica a definire pure “anticristico”, ebbene ringraziamo allora il direttore Ezio Mauro per l’occasione propiziataci con il riunirci, in un comodo unico colpo d’occhio, quanto è necessario confutare in maniera altrettanto consapevolmente metodica!!<br />D’altra parte, riteniamo pure che tali confutazioni non siano sufficienti ad esaurire la complessità dei punti inerenti a siffatte problematiche, ma che sussista la necessità di ben più larghe riflessioni! Necessità che insorge per noi in maniera ancor più stringente allorquando osserviamo infatti che alcune obiezioni alla Chiesa cattolica - quelle rivolte in special modo alle persone della Sua gerarchia - vengono oramai mosse sempre più frequentemente anche da parecchi degli stessi cattolici laici; e ciò conseguentemente ad alcune prese di posizione o ad alcuni atteggiamenti assunti dalla gerarchia, che a volte viene stimata come “moralmente poco esemplare” se non addirittura, diciamo così, “poco in sintonia con la dottrina stessa”.<br /><br />Ma vediamo di puntualizzare alcuni fondamenti su cui costruire un discorso!<br />Vi sono tre motivi che, in vario modo, possono spingere ad opporsi all’Autorità gerarchica sacerdotale, venendo meno per questo a quella “obbedienza della fede” evocata dall’Apostolo delle genti (cfr. Rm 1,5; 16,26): essi sono il dubbio, l’incredulità e la malafede. Un caso a parte è costituito, invece, intanto dai cristiani ortodossi, che in certo qual modo si oppongono solo parzialmente alla gerarchia vaticana - cioè solo per quel che riguarda ad esempio il “primato” del suo primo Vescovo: il Papa -, in nome questa volta di una “interpretazione dottrinale della fede” più che per “disobbedienza”. E poi va citato pure tutto quel tradizionalismo cattolico che, sempre senza rinnegare l’“obbedienza della fede”, ad ogni modo critica fortemente la gerarchia accusandola di “clericalizzazione” o di eccessivo “ecumenismo”. Questi ultimi due casi non costituiranno però, per questa volta, l’oggetto delle nostre riflessioni!<br />Comunque sia, pur partendo da presupposti chiaramente irriducibili fra loro, tutti quanti giungono paradossalmente a conclusioni simili nella sostanza: il “disaccordo” - più o meno parziale quando non proprio assoluto -, l’“insofferenza” - più o meno blanda quando non proprio rancorosa - con la gerarchia vaticana!<br />Volendoci dunque soffermare soltanto sui primi tre casi, possiamo dire che alla prima condizione sono da ricondurre tutti coloro che pur riconoscendo, in quanto fedeli battezzati, le “basilari verità di fede” tuttavia giungono ad “ignorarle”, ossia a trascurarle (volontariamente o involontariamente), perché colti dal dubbio ed essendo oltretutto incapaci, appunto per “ignoranza”, di superarlo. Alla seconda, invece, appartengono tutti coloro i quali, misconoscendo le “basilari verità di fede”, si rifiutano di concedere ad esse il proprio assenso. Nella terza, infine, ravvisiamo quanti falsano consapevolmente il significato delle “basilari verità fede”, tentando addirittura di sovvertirne l’essenza e di sostituirle falsificandole con surrogati e pseudotipi.<br />Se la malafede è già per definizione ciò che è contrario alla “verità”, e se l’incredulità è ciò che è contrario alla “fede”, da parte sua il dubbio è ciò che è contrario alla “fede vera” quand’anche spesso venga accompagnata dalla cosiddetta “buona fede”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn2" name="_ednref2">[ii]</a> Molti cattolici (o pseudo tali) sono infatti ingenuamente convinti - perché portati ad esserlo dall’“errore” - di possedere la libertà ed il diritto di adattare a sé stessi le “verità di fede”, rimodellandole e accomodandole alle proprie convinzioni, oltre che a proprio piacimento e convenienza. In tutti e tre i casi, ed in maniera analoga, seppur con diverso grado ci troviamo sempre e comunque al cospetto di un servigio reso non a Cristo Gesù, ma piuttosto al Suo nemico! Non ha forse Egli detto: “Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me. Chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10,16)?<br /><br />Ma quali sono le “basilari verità di fede” a cui abbiamo sin qui alluso? Pur essendo esse note, è evidentemente necessario ed utile ribadirle: repetita juvant!<br />La prima a rivestire un ruolo fondamentale, nel contesto del discorso che ci siamo qui proposti di effettuare sui rapporti tra fede cattolica, laicità e laicismo, è quella verità secondo cui la S.Chiesa romana e cattolica, la Chiesa di Pietro, detiene un “primato” che ha ricevuto direttamente da Cristo Gesù; e ciò nella persona del Vescovo di Roma, il Sommo Pontefice: Suo Vicario nonché Successore di Pietro (cfr. Mt 16,18-19; Gv 21,15-17).<br />La seconda verità è che la medesima Chiesa, attraverso l’amministrazione dei sacramenti svolta da parte dei Suoi ministri, è costantemente edificata, animata e santificata dallo Spirito Santo.<a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn3" name="_ednref3">[iii]</a><br />La terza verità è che sempre la stessa Chiesa, in conformità con quanto affermato nel Simbolo niceno-costantinopolitano, è “una, santa, cattolica ed apostolica”: attributi questi che Essa non si concede da sé, ma che Le sono conferiti ancora una volta direttamente da Cristo Gesù e sempre per mezzo dello Spirito Santo.<br />Da questi tratti essenziali si desume l’“ineluttabilità” per la Chiesa di ritrovarsi costituita quale “unico” spazio in cui la “santità” della comunione con Dio può avvenire “cattolicamente”, ossia “universalmente ed in maniera eguale” per tutti quanti gli uomini (purché aderiscano ad Essa), in forza e virtù della Sua missionarietà “apostolica” che si basa sulla testimonianza e trasmissione del Vangelo. La condicio sine qua non che convalida tali attributi in maniera permanente è l’amministrazione dei sacramenti da parte dei Suoi “ministri” (nonché ovviamente la partecipazione ad essi da parte dei fedeli), con la particolare e fondamentale convergenza nell’Eucaristia!<br />Un altro aspetto che consegue al sussistere di tali basilari verità di fede (ed il non riconoscerlo, il non adeguarvisi implica la mancanza della fede stessa) consiste nel fatto che la Chiesa non può essere considerata alla stregua di una pura e semplice associazione di persone unite fra loro da comuni obiettivi, da medesimi strumenti e mezzi adatti al loro conseguimento, da affinità comportamentali di ordine morale, intellettuale e pratico. In una parola: solamente una struttura visibile, collocabile indifferentemente fra molte altre!<br />Per il fedele cattolico è irrinunciabile il cogliere nella Chiesa, accanto ad una realtà “visibile”, anche quella “invisibile e spirituale” imbevuta della vivente presenza cristica! Per maggior precisione, proprio alla luce di tale Sua duplice natura ontologica, peraltro solo apparentemente dicotomica, la Chiesa non va tanto confusa con la “salvezza” in sé stessa, ma piuttosto va considerata come lo spazio necessario, solamente entro il quale la salvezza è realizzabile. “Nel Simbolo…professiamo di credere la Santa Chiesa (Credo Ecclesiam) e non nella Chiesa, per non confondere Dio con le Sue opere e per attribuire chiaramente alla bontà di Dio tutti i doni che Egli ha riversato nella Sua Chiesa”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn4" name="_ednref4">[iv]</a><br />Seppur oppressa nei Suoi membri - compresi i ministri - da tentazioni ed afflizioni e pur abbracciando nel proprio seno dei peccatori, la vita della Chiesa è in effetti quella della grazia: ed è questo ciò che La rende “comunque santa”! Tale verità, alla luce della quale Essa risulta essere “senza peccato, fatta di peccatori”, è pertanto ciò che rende inammissibile qualunque delegittimazione che tenda a rompere la coincidenza tra le suddette due realtà visibile ed invisibile, umana e divina. “O umiltà! O sublimità! Tabernacolo di Cedar, santuario di Dio; abitazione terrena, celeste reggia; dimore di fango, sala regale; corpo di morte, tempio di luce; infine, rifiuto per i superbi, ma sposa di Cristo! Bruna sei, ma bella, o figlia di Gerusalemme: se anche la fatica ed il dolore del lungo esilio ti sfigurano, ti adorna tuttavia la bellezza celeste”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn5" name="_ednref5">[v]</a><br /><br />Agli imprescindibili punti fermi appena ricordati vanno aggiunte ancora due preventive precisazioni terminologiche. Per prima cosa, bisogna dire che con il termine “laici” sono da intendersi inequivocabilmente “tutti i fedeli a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto dalla Chiesa, i fedeli cioè che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti popolo di Dio,…compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano. L’indole secolare è propria e peculiare dei laici”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn6" name="_ednref6">[vi]</a> La parola “laico”, derivando etimologicamente dal greco “laos”, significa per l’appunto “ciò che è del popolo”. Tanto nella traduzione dei Settanta dell’A.T. quanto nel N.T., con questo termine greco si è sempre inteso indicare, in senso particolare, “i cristiani che non facevano parte del clero, della classe sacerdotale”, ovvero pure, questa volta in senso lato, “coloro che non erano pagani: ossia i fedeli di Cristo”. Del resto, il termine “laico” compare nell’uso cristiano per la prima volta nel 96 d.C. con Clemente Romano, per qualificare appunto il semplice fedele, a differenza del diacono e del presbitero. Tutto ciò basta insomma a far comprendere non solo quanto sia errato l’uso dell’attributo “laico” ponendolo in opposizione o quantomeno in alternativa a “cattolico”, così come oggi avviene invece per prassi diffusa persino tra i cattolici stessi; ma anche quanto il reale significato di tale termine sia stato letteralmente ed in maniera subdola sovvertito, andando sempre più a riferirlo a qualcosa che sia avulso, che prescinda dalla religione cristiana in senso lato! Anche questo fa parte certamente del maligno processo di “degerarchizzazione” che, innescato dalla Riforma protestante e proseguito con la democraticizzazione massonica della società, oggi risulta in piena spinta iconoclastica, ed il cui scopo è sintetizzabile nella massima anticristica: “appropriarsi, sovvertire, sostituirsi”!<br />Un ulteriore tipico esempio di tutto ciò - grazie a cui ci è permesso peraltro di operare l’annunciata seconda puntualizzazione terminologica - è costituito proprio dal termine “gerarchia”; il quale ha subìto dal ‘500 ad oggi, non senza la solita colpevole responsabilità protestante e massonica, un progressivo processo di secolarizzazione, di modernizzazione, che ha portato a distorcerne il senso vero, proprio ed originale. L’opinione comune pertanto, sempre meno attenta a cogliere le falsificazioni ideologiche metodicamente operate ai danni della Chiesa cattolica - falsificazioni che del resto sono ancora in corso d’opera -, è stata condotta a convincersi della presenza, nel concetto di “gerarchia”, di una sfumatura peggiorativa che l’ha ridotta a sinonimo di dispotismo, totalitarismo, autoritarismo. Si sa bene, invece, che con “gerarchia” (dal gr.“hiera-archeia”) si traduce propriamente “corpo, assemblea, collegio, autorità di chi è a capo delle funzioni sacre”! Il termine, inusitato nell’antichità, fu introdotto in ambito cristiano soltanto nel VI sec. dallo Pseudo-Dionigi l’Areopagita, che lo innestò sul preesistente concetto neoplatonico di “ordine” (taxis). Secondo la definizione operata da tale importante Padre della Chiesa, la “gerarchia ecclesiastica” è insomma una strutturazione che non dipende da una ‘diversità di natura’, ma è piuttosto connessa alle funzioni ‘per il posto, il grado di conoscenza e l’azione che si esercita’. Essa indica oltretutto non già una semplice organizzazione, un insieme di ordini e funzioni solamente obiettivi ed esteriori, ma è manifestazione ‘graduale’ del divino, a sua volta generatrice di conoscenza e santità, un ‘movimento’ divinizzatore caratterizzato soteriologicamente. Lo Pseudo-Dionigi specifica infatti, ripreso in questo anche da S.Tommaso, che “i Vescovi manifestano in modo unico e dottrinale tutto ciò che Dio ha detto, fatto e svelato, ogni detto e azione santa. Infatti il Vescovo imitatore di Dio non solo è illuminato nella scienza vera tramandata da Dio, ma anche le tramanda lui stesso agli altri”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn7" name="_ednref7">[vii]</a><br />La gerarchia non gode quindi di “egemonia” - da cui scaturirebbe l’altrui “subordinazione” - bensì di “preminenza ed eccellenza”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn8" name="_ednref8">[viii]</a> E su tale medesima linea si pongono del resto coerentemente gli assunti del Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove si afferma che tra “gerarchia, laici e stato di vita consacrata” - il cui insieme costituisce la tripartita suddivisione dei fedeli in Cristo – “…in forza della loro rigenerazione in Cristo sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno…C’è nella Chiesa diversità di ministeri, ma unità di missione”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn9" name="_ednref9">[ix]</a><br /><br />Stabilite così queste doverose premesse, diviene allora più semplice evidenziare la pretestuosità delle posizioni laiciste, così come riassunte e al meglio rappresentate dagli articoli di Zagrebelsky!<br />E’ facile notare innanzitutto quanto l’artata, nonché del tutto impropria e gratuita differenziazione ontologica operata tra “laici e credenti”, che egli dà invece per assiomatica,<a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn10" name="_ednref10">[x]</a> non tenda ad altro che proprio a delegittimare la Chiesa; con lo scopo, per contro, di legittimare, ossia di far assurgere a norma e quindi a normalità, quanto per la Chiesa dei fedeli in Cristo rappresenta in realtà piuttosto un’“eccezione”: la “mancanza della fede”! In quanto obbediente al tipico modus operandi anticristico il “laicista”, dopo essersi appropriato dell’attributo di “laico”, lo sovverte per usarlo come grimaldello con cui scardinare quello che da sempre si costituisce come il naturale rapporto tra gerarchia e “legittimo laicato”. Zagrebelsky infatti si appella furbescamente alla Gaudium et Spes (II,IV,76) del Concilio Vaticano II ed alla Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede sul tema dell’“impegno e del comportamento dei cattolici nella vita politica” (24/11/2002), proprio per affermare come venga riconosciuta anche dalla Chiesa l’assoluta “autonomia e indipendenza” dello Stato rispetto ad Essa.<a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn11" name="_ednref11">[xi]</a> Ne deriverebbe pertanto che la gerarchia pecchi di arrogante autoritarismo, oltre che di contraddizione, ogni qual volta intervenga a far valere il peso del proprio giudizio morale sull’articolazione pratica delle scelte politiche dei laici.<br />Orbene, se è effettivamente vero che la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes riconosca che “…la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo”; è altrettanto vero che essa aggiunga come, per la Chiesa, “…sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l'ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime”(II,IV,76). Zagrebelsky, non fosse altro che per mostrare la propria coerenza con l’ideale democratico di cui è fervente assertore, non si azzarda certo a negare alla Chiesa il diritto di intervenire per “ricordare la dottrina ai suoi credenti”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn12" name="_ednref12">[xii]</a> Eppure, egli cade in contraddizione già quando, dopo aver mostrato risentimento per il fatto che la CEI abbia rivolto ai cattolici l’invito ad astenersi dal partecipare al referendum riguardante la “procreazione medicalmente assistita” (giugno 2005), accusi pertanto la stessa CEI di dubbia “moralità politica”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn13" name="_ednref13">[xiii]</a> Secondo lui, infatti, quest’invito all’astensione assume una connotazione appunto politica, un’arma attraverso cui viene consumata un’ingerenza illegittima che lede l’autonomia della sfera civile e politica rispetto a quella religiosa ed ecclesiastica. In realtà, ciò di cui egli ipocritamente non tiene conto (tant’è che si guarda sempre bene dal citarlo) è quanto affermato in un altro capitolo dalla medesima Gaudium et Spes, laddove è specificato: “…molti nostri contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle società, delle scienze. Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore…Se invece con l'espressione ‘autonomia delle realtà temporali’ si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni” (I,III,36). Qui si parla insomma di “autonomia politica” da una parte, ma non di “indipendenza morale” dall’altra! Né vi è pertanto “contraddizione” nel comportamento della gerarchia!<br />In altre parole, Zagrebelsky - e qui siamo al palesarsi del terzo stadio del modus operandi anticristico - pretenderebbe di sostituire i contenuti dei normali rapporti gerarchia-laicato con quelli stabiliti invece dal laicismo, con il pretesto di un’autonomia e di un’indipendenza reciproche che però non corrispondono affatto a quelle pur tuttavia riconosciute dalla Chiesa allo Stato. La perfidia sottile di questo gioco affiora d’altro canto laddove egli arriva a stabilire una preconcetta divisione, una fratturazione dei credenti laici, per la qual cosa (egli suggerisce o auspica?) essi possano essere scindibili in cosiddetti “cattolici clericali e cattolici democratici”!!<a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn14" name="_ednref14">[xiv]</a> Con ciò, insomma, non soltanto risulta perpetrata la totale confusione tra “autonomia ed indipendenza politica” da una parte, e “autonomia ed indipendenza morale” dall’altra, ma viene pure rinforzato il sospetto che tale confusione operata dai laicisti non insorga del tutto inconsapevolmente, in quanto essa pare farsi implicita promotrice del tentativo di “dividere” i cattolici! La suadente affermazione, infatti, secondo cui il credente-clericale sia intellettualmente “immaturo”, mentre il credente-democratico sia intellettualmente “adulto”, contiene la lusinga secondo la quale il maggior merito consiste nel difendere la loro propria dignità “…di soggetti, non di oggetti, come si dice, ‘in re’ ”<a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn15" name="_ednref15">[xv]</a>, dalle ingerenze gerarchiche. A parte la del tutto gratuita impostazione nel distinguere tali due categorie (cattolici lo si è per fede nella realtà spirituale e invisibile della Chiesa, e non solo per appartenenza ideologico-confessionale alla Sua realtà storica e visibile!), non è nemmeno concedibile in alcun modo voler creare un assioma secondo cui il cosiddetto cattolico-democratico sia qualitativamente “più laico” di un cosiddetto cattolico-clericale. E’ il Magistero stesso che insegna l’unitarietà e l’integralità della coscienza e della morale dei fedeli laici:”…non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cosiddetta ‘spirituale’…e dall’altra la vita cosiddetta ‘secolare’…Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto…sono occasioni provvidenziali per un ‘continuo esercizio della fede, della speranza e della carità’ ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn16" name="_ednref16">[xvi]</a><br />Ma il tentativo di “dividere” non si limita a venir effettuato nei confronti solo dei rapporti interlaicali! Zagrebelsky, difatti, intanto comincia con il tessere i laicistici elogi della spinta “modernista” che gli pare di poter scorgere nella “grande riflessione del Concilio Vaticano II che tanta speranza aveva suscitato”:<a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn17" name="_ednref17">[xvii]</a> quel Concilio che ha riconosciuto ai laici appunto la “dignità di soggetti”<a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn18" name="_ednref18">[xviii]</a> ed era stato “salutato come un segno provvidenziale che riconduceva la Chiesa alla sua funzione evangelizzatrice e l’alleggeriva delle compromissioni col potere politico che, per non dire di più, l’hanno appesantita e intorpidita nel corso di duemila anni della sua storia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn19" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn19" name="_ednref19">[xix]</a> Dopodichè, lasciando intendere più o meno esplicitamente la delusione per la presunta “dimenticanza” in cui sarebbero caduti oggi i “buoni propositi conciliari” della Chiesa,<a title="" style="mso-endnote-id: edn20" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn20" name="_ednref20">[xx]</a> egli, nel corso di un incontro recentemente tenuto a Torino sul tema “Non possumus: la Chiesa divide la società?”, così tiene a precisare: “…quando si parla di Chiesa, purtroppo, si semplifica troppo. La Chiesa è per fortuna fatta di tante cose,…(e proprio per questo) io mi permetterei di chiedere al mondo cattolico che in queste posizioni (ossia, quelle più radicali della Chiesa, N.d.A.) non si riconosce, di non tacere e di venire fuori con una voce più chiara ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn21" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn21" name="_ednref21">[xxi]</a><br />Mentre incidentalmente non possiamo non notare quanto quest’accusa di “difetto di modernismo” vada curiosamente in senso diametralmente opposto a quella contemporaneamente formulata invece da certi “tradizionalismi”, i cui fautori tacciano al contrario la gerarchia postconciliare di “eccessivo modernismo”, vogliamo piuttosto rimarcare quale logica si delinei in definitiva nelle parole di Zagrebelsky: un chiaro invito rivolto ai cattolici laici a disobbedire all’autorità della propria gerarchia! D’altro canto, tale invito ricompare anche altrove, e nemmeno più tanto velato; laddove egli afferma ad esempio esplicitamente che “le libertà provengono piuttosto dalla contestazione dell’autorità della Chiesa”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn22" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn22" name="_ednref22">[xxii]</a> O dove ironizza, sminuendo l’odierna concezione laica dei cattolici col definirla una “…nota nostalgica per un’epoca forte e sana in cui i vincoli morali di appartenenza e obbedienza…erano dati a priori”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn23" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn23" name="_ednref23">[xxiii]</a> In ogni caso, con un’ennesima forzosa parificazione di cittadini-laici e cittadini-laicisti, auspica che “…ci sono questioni sulle quali anche da parte dello Stato democratico dovrebbero essere detti dei ‘non possumus’. Ci sono principi irrinunciabili di laicità e democraticità delle istituzioni che sono non negoziabili”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn24" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn24" name="_ednref24">[xxiv]</a> E poi sarebbero i “non possumus” della Chiesa a voler sovversivamente “dividere” la società, istigando i cristiani alla “disobbedienza civile”!!<a title="" style="mso-endnote-id: edn25" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn25" name="_ednref25">[xxv]</a><br />E’ quasi pleonastico ricordare che aspirare alla “divisione” è un sintomo di carattere “maligno” (il verbo greco “dia-ballo”, che traduce “disunire, metter male tra due, calunniare, screditare, rendere odioso”, è proprio quello da cui deriva il sostantivo “diabolus”): ancor più, poi, quando la “divisione” subdolamente aspiri alla “mutilazione” del Corpo mistico del Cristo, facendo addirittura leva, in maniera blasfema, sulla Sacra Scrittura! Citando infatti la parabola del “giovane ricco” e poi l’episodio delle “tentazioni di Gesù nel deserto”, Zagrebelsky insinua che “lo spirito evangelico dell’uguale dignità dei figli di Dio” possa dar adito a legittime aspirazioni di rivolta all’autorità da lui definita “autocratica” della gerarchia. Secondo lui, la verità è che “…il Cristo non obbliga nessuno…Nessuna sanzione colpisce chi rifiuta la chiamata, se non un poco di tristezza (Mt 19,23; Mc 10,22; Lc 18,23). La conversione è, per antonomasia, l’atto di libertà della coscienza…Nella grande tentazione satanica del deserto (Mt 4,1-11; Lc 4,1-13), egli (Gesù) rifiuta la coercizione delle coscienze: rifiuta il comando che costringe, il miracolo che seduce, i beni materiali che corrompono” .<a title="" style="mso-endnote-id: edn26" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn26" name="_ednref26">[xxvi]</a> A tutto ciò è giusto rispondere che è certamente vero che l’uomo gode di quella libertà donatagli da Dio, denominata facoltà del “libero arbitrio”! Tuttavia l’avvertimento di Cristo Gesù è chiaro:”Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a lui solo” (Mt 4,10; Lc 4,8). Il che significa che diventa il proprio “signore” colui al quale si sceglie “liberamente” di obbedire: se non si obbedisce alla Chiesa del Signore, si diviene automaticamente servitori del “principe di questo mondo”! Ed oltretutto, infatti, “nessun uomo può servire a due padroni…Non potete servire a Dio ed a mammona” (Lc 16,13).<br />La Chiesa non obbliga nessuno: ma non può nemmeno acconsentire a chi voglia obbligare Lei. E’ del tutto calunnioso ed in malafede accusarLa di rimaner vittima delle medesime suddette tentazioni sataniche,<a title="" style="mso-endnote-id: edn27" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn27" name="_ednref27">[xxvii]</a> quando non addirittura costituire proprio Lei “una bestemmia dal punto di vista del messaggio di Gesù di Nazareth”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn28" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn28" name="_ednref28">[xxviii]</a> ogniqualvolta Essa mostri di rimanere coerente con la propria identità cattolico-apostolica - da Zagrebelsky confusa con qualcosa che ama denominare “religione civile” -, e che oltretutto Essa inviti ad aderire a tale Sua “identità”. Soprattutto, poi, perché Zagrebelsky mostra di essere consapevole del fatto che “…il Cristianesimo non è solo istituzione mondana”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn29" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn29" name="_ednref29">[xxix]</a> Eppure l’errore nasce dal fatto che egli “separa, divide” (una volta di più!) la realtà invisibile della Chiesa da quella visibile: “…la riduzione dell’uno (Cristianesimo) all’altra (istituzione mondana) ucciderebbe lo spirito cristiano, espressione della parola divina trascendente ogni concretizzazione storica. Lo spirito cristiano non è una cultura dominante, una scala di valori temporali definita o una forma politico-culturale realizzata. Addirittura non può nemmeno mai identificarsi pienamente con un’organizzazione confessionale, una chiesa o una ‘comunuione di santi’ storicamente determinate. Sarebbe comunque riduzione mondana, culturale, etica, politica o chiesastica, nella quale il finito pretenderebbe di costringere l’infinito. Una tale riduzione ucciderebbe la speranza nello spirito e la Chiesa…Il Cristianesimo è ‘spada che divide’ il mondo (Mt 10,34-35; Lc 12,51-53); è ‘dal mondo’ ma non ‘del mondo’ (Gv 15,19). Il Cristianesimo come ‘religione civile’ sarebbe una confusione letteralmente anti-cristiana. Il messaggio di Gesù Cristo diventerebbe un’ideologia come un’altra, un collante sociale ambiguo e mellifluo, al servizio di ordinamenti costituiti”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn30" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn30" name="_ednref30">[xxx]</a><br /><br />Qui si apre insomma tutta una riflessione sul concetto di “identità”, sul suo reale significato e sulle sue dirette implicazioni con i concetti di “libertà” e di “verità”!<br />Intanto va subito smontata l’apparente contraddizione che sussisterebbe con quanto detto poc’anzi a proposito della “diabolicità di ciò che divide”. Riferendosi infatti al Cristo “venuto sulla terra a dividere”, i verbi greci usati da Mt (10,35) e da Lc (12,51-53) per designare tale Sua azione sono rispettivamente “dichazo” e “diamerizo”. In maniera concettualmente analoga il primo traduce “dividere in parti, spartire, distribuire”, mentre il secondo traduce “dividere in due metà”. In altre parole - al di là del senso più immediato alluso nei passi evangelici citati, secondo cui la sequela di Cristo Gesù comporta la rinuncia a questo mondo - il salvifico messaggio evangelico non “divide”, ma più propriamente “distingue”: distingue tra la Verità e l’errore, tra il Bene ed il male, tra l’amore e l’odio. In base a tale constatazione è del tutto errato quindi considerare il cristianesimo, o per meglio dire quanto di “infinito” è insito nel messaggio di Cristo, in alterità o addirittura in opposizione con quanto di “finito” è proprio dell’Istituto storico della Chiesa. In realtà entrambi, messaggio di Cristo ed Istituto storico della Chiesa, si costituiscono come “due metà”, fra loro compenetrate, di una medesima realtà! E ciò per il medesimo “mistero” che è alla base del fatto che “Dio si è fatto uomo”! Altra cosa è in definitiva l’azione del “diaballein”, che è quanto vorrebbe proporre invece Zagrebelsky - e che tanto gli piacerebbe fosse vero - allorché afferma essere la Chiesa soggetta ad una “dualità”, rinnegando la cui evidenza Essa compirebbe un “peccato contro lo spirito”!!<a title="" style="mso-endnote-id: edn31" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn31" name="_ednref31">[xxxi]</a><br />Cosa si riduce ad essere dunque, per il laicista, l’“identità” cristiana?<br />Come dicevamo, il subdolo tentativo insito nella pretesa di scindere il messaggio di Cristo Gesù dalla realtà storica della Sua Chiesa, tenta in ultima analisi di insidiare la stessa verità secondo la quale “Dio si è fatto uomo ed è sceso nella storia”. Ora, il Magistero insegna come niente sia più anticattolico del concetto per cui “si deve negare ogni azione di Dio sugli uomini e sul mondo”;<a title="" style="mso-endnote-id: edn32" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn32" name="_ednref32">[xxxii]</a> e pertanto la “storia” non può essere concepita come un qualcosa di assolutamente “indipendente” da Dio. Tuttavia, per cautelarsi da una possibile caduta in fallaci posizioni di tipo “immanentistico, panteistico” o tanto meno “naturalistico, razionalistico”, la lettura di fede più opportuna afferma che certamente “Dio trascende il mondo e la storia”<a title="" style="mso-endnote-id: edn33" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn33" name="_ednref33">[xxxiii]</a>, ma che ad ogni modo Egli è pure “Signore del mondo e della storia”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn34" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn34" name="_ednref34">[xxxiv]</a> e che attraverso la concreta ed immediata sollecitudine della divina Provvidenza Egli “…si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia…(esercitando) la sovranità assoluta sul corso degli avvenimenti”:<a title="" style="mso-endnote-id: edn35" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn35" name="_ednref35">[xxxv]</a> persino l’azione malvagia di satana è in certo qual modo “permessa” dalla divina Provvidenza, la quale “…guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero, ma ‘noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio’ (Rm 8,28)”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn36" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn36" name="_ednref36">[xxxvi]</a><br />La storia del mondo come “esplicazione” del progetto di Dio, che è ciò che pone al suo culmine l’“Incarnazione del Verbo” cronologicamente centrata tra i due estremi costituiti da “Creazione e Parusia”, alla luce della fede non può pertanto considerarsi alienabile dall’identità stessa dei cristiani: pretenderlo da essi è volerli forzare a rinnegarsi! Eppure è proprio questa la pretesa laicista allorché contesta l’identità cristiana dell’Europa; insinuando per di più che la gerarchia, attraverso il forzoso comune riconoscimento di tale concetto, si proponga in realtà di incoraggiare velleità di nazionalismo etico,<a title="" style="mso-endnote-id: edn37" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn37" name="_ednref37">[xxxvii]</a> o addirittura pensi ad un “…Cristianesimo come religione civile, come strumento di governo”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn38" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn38" name="_ednref38">[xxxviii]</a><br />Il fatto che l’Europa abbia “tralignato” sempre più dalle proprie radici, non significa certo che tali stesse radici non rimangano ancora e sempre, nonostante tutto, quelle sue proprie! Zagrebelsky non può infatti negare che ancora oggi la peculiarità dell’identità europea debba riconoscersi come proveniente sia dal concetto “sociale e politico” della polis del mondo greco, sia dal concetto “giuridico” del mondo romano, sia, finalmente, dal concetto concernente i “rapporti fra persona e realtà”, stabiliti nel corso dei mille anni dell’era medievale sulla base del fondamento metafisico della persona stessa e quindi della sua unicità e della sua libertà, che proprio il Cristianesimo ha definito nella “Dottrina sociale” quale riepilogativa elaborazione di un “distillato” di valori, tratti dalle originali intuizioni della civiltà appunto greco-latina! E’ pertanto assolutamente falso quello che Zagrebelsky afferma quando vorrebbe pretendere che, “se volessimo cercare una radice della cultura europea alla quale tenerci stretti, la troveremmo probabilmente non nel Cristianesimo come tale,…ma nella sua dualità rispetto all’autorità civile”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn39" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn39" name="_ednref39">[xxxix]</a> Ciò è falso e tendenzioso, insomma, non solo perché dimostra di volutamente ignorare il carattere sacrale palesemente posseduto dal Sacro Romano Impero e dalla regalità cristiano-medievale in genere, ma anche in quanto costituisce ancora una volta il tentativo di insinuare la sussistenza di una “fratturazione”, di un antagonismo, di un “dualismo” piuttosto che di una “complementarietà”!<br />Nel momento in cui poi Zagrebelsky si domanda retoricamente “…se l’identità sia un fatto oppure…un’elezione”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn40" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn40" name="_ednref40">[xl]</a> ed eccepisce ironicamente che,”…come se non potesse essere altrimenti, la si assume come fatto o, meglio, insieme di fatti, cioè storia”, ebbene egli dimentica che l’“identità” non è solamente, come lui dice, “un modo per dire ‘carattere essenziale’ ”<a title="" style="mso-endnote-id: edn41" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn41" name="_ednref41">[xli]</a>. L’“identità”, a meno di limitarne clamorosamente la completezza dei precipui significati, comporta infatti, anche e soprattutto, l’“uguaglianza completa ed assoluta”; essendo essa il “principio logico in base al quale ogni concetto risulta essere identico a sé stesso”! Di modo che, quando egli afferma che “…per la tradizione moderna, che inizia col Rinascimento, la prospettiva si rovescia”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn42" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn42" name="_ednref42">[xlii]</a> e che pertanto “…tutto può sempre essere rimesso in discussione”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn43" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn43" name="_ednref43">[xliii]</a> ebbene egli non pone tanto un’obiezione al riconoscimento di un’identità cristiana dell’Europa, ma, facendo “di tutte le erbe un fascio”, piuttosto prospetta come auspicabile l’annichilimento di un qualsiasi vero “senso di identità”, di qualunque legittimo “saldo punto di riferimento” posto - una volta per tutte, uguale per sempre - quale base ontologica di una qualsivoglia personale “identità”! E con questa rinuncia alla facoltà ed alla capacità di “identificarsi”, cioè alla prerogativa di “poter riconoscersi e farsi riconoscere”, egli si fa il più efficace cooperatore di quelle ideologie globalizzanti che sovvertono il senso dell’“identità” così come la si è sin qui delineata, portandola a degradarsi da proficua “uguaglianza nelle personali, comuni specificità” a perverso “appiattimento nelle spersonalizzate, private varietà”!<br /><br />Ebbene, risulta chiara a questo punto la possibilità di porre tutto ciò in relazione anche con il concetto di “libertà”!<br />Zagrebelsky male interpreta quella che, prima ancora che essere una legittima vocazione, è l’ovvia e naturale “disposizione di identità” della Chiesa a svolgere il proprio intrinseco compito cattolico-apostolico: e ciò non solo verso il laico, ma appunto pure verso il laicista e chiunque altro, in quanto parimenti esseri umani e, pertanto, parimenti dotati della naturale dignità ontologica che li qualifica come “persona”! Egli afferma infatti che la democrazia, “orgoglio dell’Occidente”, la quale rappresenta per lui la più ovvia ed alta garanzia di libertà, “…è inconciliabile con la pretesa di una parte, quale che essa sia, di possedere la verità e di imporla a chi non vi si riconosce. Questa pretesa sarebbe non democrazia ma autocrazia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn44" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn44" name="_ednref44">[xliv]</a> Ed inoltre, pur “concedendo” il suo democratico riconoscimento al diritto-dovere della Chiesa di pronunciarsi su materie rientranti nella giurisdizione dello Stato per enunciare i pertinenti principi cristiani, tuttavia tiene a precisare che “…queste pronunce sono destinate alla coscienza dei credenti e, in genere, a coloro che liberamente riconoscono alla Chiesa un’autorità morale”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn45" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn45" name="_ednref45">[xlv]</a> Qui comincia insomma a delinearsi tutta l’ambiguità di un discorso sul concetto di “libertà” che non procede introducendo però, di pari passo, i diretti riferimenti al concetto di “verità” cui esso inevitabilmente dà luogo!<br />Rimandando al prosieguo una riflessione più diretta su quale sia il rapporto Chiesa-democrazia, qui non possiamo tuttavia tacere almeno la contraddittorietà e la presunzione dell’ideologia laicistico-democraticistica che, mentre da una parte nega l’assolutezza di una qualunque verità retrocedendola “…in un campo che, per sua natura, non è quello delle certezze assolute e necessarie, ma quello delle possibilità…Nessuno può pretendere di possedere la verità. Anzi, l’idea stessa di verità non ha luogo”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn46" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn46" name="_ednref46">[xlvi]</a> d’altro canto è proprio essa che impone assiomaticamente, “totalitaristicamente”, quello che è il proprio modo di vedere, costituendosi quale unico, lecito, più opportuno “regime”: il “…regime delle possibilità sempre aperte”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn47" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn47" name="_ednref47">[xlvii]</a> il “…regime in prima persona, non per interposta persona”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn48" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn48" name="_ednref48">[xlviii]</a> il “…regime delle possibilità da esplorare”<a title="" style="mso-endnote-id: edn49" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn49" name="_ednref49">[xlix]</a>; un “regime” peraltro fondamentalisticamente considerato “…un modo d’essere irrinunciabile…un insieme di istituzioni necessarie”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn50" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn50" name="_ednref50">[l]</a> E peraltro ciò implica pure la denuncia di tutto quello che a tale “regime” intenda eccepire: “…Non dunque la fede come tale, ma la servitù al dogma religioso, che della fede è la degenerazione, crea problemi per la democrazia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn51" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn51" name="_ednref51">[li]</a> A tal proposito, è stato felicemente osservato che “…qui siamo nell’assurdo o nel giochetto dei Quattro cantoni per dire ‘Io ho comunque ragione (ho la verità della verità che non esiste) e tu hai torto perché affermi che la verità che hai esiste, mentre deve solo esistere la verità che non esiste verità’ ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn52" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn52" name="_ednref52">[lii]</a> E del resto è lo stesso Zagrebelsky ad affermare: “La democrazia implica la rivedibilità di ogni decisione (sempre esclusa quella sulla democrazia stessa)”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn53" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn53" name="_ednref53">[liii]</a> Se questo non è “totalitarismo”!!<br />In effetti siamo nuovamente al cospetto di un tentativo di fomentare una “ribellione” alla gerarchia, instillando surrettiziamente nei laici la suadente e menzognera convinzione della liceità di una “fede” che possa essere contemporaneamente “incertezza, dubbio”: senza peraltro curarsi della contraddizione in termini a cui questo anomalo connubio “fede-dubbio” darebbe luogo! Dice infatti Zagrebelsky, convincendoci peraltro definitivamente del senso non solo “giuridico”, ma altresì chiaramente “politico” con cui egli intende quel “regime” a cui ha in precedenza reiteratamente alluso: “Di una democrazia come regno (sic!) delle possibilità, il dubbio è la forza efficiente…E qui occorre sfatare il luogo comune. Il dubbio non è condizione esistenziale esclusiva del laico (= laicista, N.D.A.). Chi ha detto che il laico viva di soli dubbi e il credente di sole certezze?”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn54" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn54" name="_ednref54">[liv]</a> Quello a cui Zagrebelsky sta realmente puntando si mostra qui, insomma, ancor più allo scoperto: se la “libertà” è “…non assoggettarsi ciecamente al dogma ecclesiastico”<a title="" style="mso-endnote-id: edn55" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn55" name="_ednref55">[lv]</a> (primo errore: il dogma non è primariamente ecclesiastico, ma è verità contenuta nella rivelazione divina che il Magistero ecclesiastico semmai riceve e ritrasmette),<a title="" style="mso-endnote-id: edn56" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn56" name="_ednref56">[lvi]</a> e se, anzi, “…il dubbio è la condizione esistenziale (anche) di chi vive nella fede”<a title="" style="mso-endnote-id: edn57" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn57" name="_ednref57">[lvii]</a> (secondo errore: il dubbio, sia volontario che involontario, è un peccato contro la fede),<a title="" style="mso-endnote-id: edn58" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn58" name="_ednref58">[lviii]</a> ebbene, si concluderà logicamente (ma forse è meglio dire “ereticamente”) che esiste una “fede libera” grazie a cui si potrebbe anche non accogliere la “Verità” di Cristo Gesù come certezza (terzo errore, al di là dell’eresia prospettata: la fede non è “libera”, ma è “assenso libero” a tutta la Verità che Dio ha rivelato)!!<a title="" style="mso-endnote-id: edn59" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn59" name="_ednref59">[lix]</a><br />Questa anticristica posizione laicista, del resto, al laico non viene solamente proposta, ma viene anche pretesa da lui in nome di una presunta maggior “ortodossa” cristianità! Zagrebelsky cita infatti il Salmo (61,12)<a title="" style="mso-endnote-id: edn60" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn60" name="_ednref60">[lx]</a> in cui si dice: “Una parola ha detto Dio, due ne ho udite”, per sostenere abbastanza forzatamente la sua affermazione secondo cui possa sussistere una fede basata sul dubbio.<a title="" style="mso-endnote-id: edn61" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn61" name="_ednref61">[lxi]</a> Per la qual cosa, “…la pretesa dell’uomo, quale sia il posto occupato nella società dei credenti, di ostentare una verità, sostituendo la propria unica parola a quella duplice sussurrata da Dio, può apparire persino blasfema; e l’obbedienza passiva che a essa viene prestata, addirittura idolatra”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn62" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn62" name="_ednref62">[lxii]</a> E a definitivo sostegno di tale autentico sovvertimento di significato e di valore delle parole pure e semplici - ad un certo punto invoca, per esempio, un’inverosimile “coincidenza degli opposti” sussistente tra “dogma e schepsi”<a title="" style="mso-endnote-id: edn63" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn63" name="_ednref63">[lxiii]</a> -, giunge in conclusione a citare, e qui sì con evidente blasfemia, l’episodio evangelico del dialogo tra Gesù e Pilato (Gv 18,37-38) per assoggettarlo alle proprie posizioni anticristiche ed antiecclesiali: “Come insuperabilmente ha mostrato il giurista e filosofo politico Hans Kelsen, nel commentare il dialogo tra Gesù e Pilato sulla verità…il dogma, piuttosto, è il fondamento dell’autocrazia, mentre la pluralità dei dogmi non è immaginabile che come premessa dell’autocrazia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn64" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn64" name="_ednref64">[lxiv]</a><br />Andiamo per ordine! Innanzitutto è solo la “diabolicità” (=dia-ballo) a voler pretendere di ridurre artatamente la parola di Dio a “duplicità”, addebitandole una caratteristica che è piuttosto propria della “doppiezza” del nemico di Dio! Il passo del Salmo citato, preso nella sua completezza, infatti così prosegue: “Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: il potere appartiene a Dio, tua, Signore, è la grazia; secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo” (61,12-13). Il tema del Salmo, guarda caso, è proprio la “fiducia” e quindi la “fede” in Dio; e i versi in questione, che si pongono proprio alla conclusione di esso, sottolineano i principi che, lungo la storia di Antico e Nuovo Testamento, hanno guidato i comportamenti di Dio: la potenza e l’amore, cioè a dire la giustizia e la misericordia! Il concetto esposto (ripreso poi peraltro anche da Mt 16,27) è insomma quello del giudizio divino che sarà perentoriamente informato a quanta maggiore o quanta minore “fede” la persona umana avrà avuto in Dio! Non scorgiamo pertanto alcuna traccia di quel “duplice” senso sotto il quale l’uomo, come è nelle intenzioni di Zagrebelsky, possa permettersi di “relativizzare” la Parola di Dio. “Giustizia e Misericordia, Potere e Grazia”, non sono altro che le due facce di una sola e medesima medaglia! Altro che “dubbi”, altro che “…(ascoltare) nell’esperienza della vita la parola di Dio, col tremore di chi teme di non udirla o, avendola udita, col timore di fraintenderne il significato, sapendo comunque misurare l’incommensurabilità della fonte”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn65" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn65" name="_ednref65">[lxv]</a> L’incarnazione del Verbo, del Logos, che è la Parola (scritto con la maiuscola) di Dio, ha già offerto all’uomo la risposta inequivocabile a riguardo di quale sia la “Verità”! Come ponte tra il “commensurabile” e l’“eternità” (più che “incommensurabilità”, non essendo qui questione di grandezze quantitative) il Padre ha posto il Figlio, che è “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6)! E allora: quale alternativa è mai proponibile a ciò che si porge a noi già come assolutezza? Chi o che cosa sia la “Verità” non lo dice Pilato o la turba invocante il “crucifige”; né tanto meno lo stabilisce Zagrebelsky o Hans Kelsen: ma lo afferma Gesù stesso, con il Suo “soltanto apparente” silenzio! Né poteva essere altrimenti!<br />Nonostante quanto affermato dal costituzionalista, poi, la sua posizione non coincide nemmeno con quella di Kelsen! Ma a che gioco vuol dunque giocare Zagrebelsky?<br />Osserva infatti S.E. il cardinale Juliàn Herranz, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi: “Non a caso il massimo esponente del positivismo giuridico, Hans Kelsen, commentando la domanda evangelica di Pilato a Gesù: ‘Cos'è la verità?’ (Gv 18, 38), scriveva che in realtà questa domanda del pragmatico uomo politico conteneva in sé stessa la risposta: la verità è irraggiungibile, perciò Pilato, senza attendere la risposta di Gesù si rivolse alla folla e domanda: ‘Volete che liberi il re dei giudei?’. Agendo così - conclude Kelsen - Pilato si comporta da perfetto democratico: affida cioè il problema di stabilire il vero e il giusto all'opinione della maggioranza, benché egli fosse convinto della completa innocenza del Nazareno”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn66" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn66" name="_ednref66">[lxvi]</a><br />D’altro canto, Massimo Adinolfi fa invece notare che: “Nel suo ‘Il crucifige e la democrazia’, Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, riprendeva pagine famose di Hans Kelsen, che vale la pena ricordare. C’è Gesù, e c’è Pilato, procuratore romano della Giudea, che lo interroga. Pilato è un relativista scettico abbastanza annoiato, ma anche abbastanza gentile da lasciarsi istruire da Gesù: ‘Quid est veritas?’, gli chiede perciò. Purtroppo Gesù non gli risponde chiaro e tondo. Anzi, non gli risponde affatto. E Pilato, in mancanza della verità, ricorre ad una procedura formalmente democratica: rimette la decisione al voto popolare. Lascia cioè che sia il popolo a decidere quale detenuto rimettere in libertà, com’era usanza, secondo Marco, nei giorni della Pasqua. A quel che dicono i Vangeli, il popolo scelse per acclamazione: ‘Barabba! Barabba!’. Gesù fu così messo a morte. E Kelsen chiosa: questo grido popolare è un forte argomento contro la democrazia. Ma a una condizione: di essere così sicuri della verità da essere pronti a imporla contro il parere popolare. In verità Kelsen scrive: a condizione di essere così sicuri della verità ‘come lo era, della sua, il Figlio di Dio’. Ma quanto Gesù ne fosse sicuro – o quanto pensasse, pur essendone sicuro, che fosse buona cosa imporre la verità – è assai difficile dire, visto che rimase in silenzio. Non entro in dispute esegetiche o teologiche e non dubito che il silenzio di Gesù si ritrovi perfettamente nel modo in cui la Chiesa interpreta ancora oggi il dovere di dire la verità alle pilatesche autorità del nostro tempo. Ma la chiosa di Zagrebelsky al passo evangelico è appunto questa: il vero amico della democrazia non è Pilato, come riteneva Kelsen, ma proprio Gesù. Pilato è solo un opportunista che si appella demagogicamente al popolo, anzi alla folla, per rimanere in sella senza troppe grane. È uno scettico, non crede a nulla e quindi nemmeno nella democrazia, ma sa come servirsene. Gesù ha invece una verità assoluta, ma accetta di tacere per far posto alla parola dell’altro e rendere possibile il dialogo. Gesù dimostra così che fede e democrazia sono compatibili. Che in democrazia non ci sia posto per verità assolute, non significa infatti rinunciare alla propria personale verità, ma essere disponibile a proporla in uno spazio pubblico di civile e reciproco confronto, senza violenza o sopraffazione. Su questi temi Zagrebelsky è tornato nell’incontro organizzato da Libertà e Giustizia all’Unione culturale di Torino (ne ha riferito l’Unità del 21 marzo). Nell’occasione, Zagrebelsky s’è spiegato così: un conto è non credere a nulla, come Pilato, un altro è dare spazio alle credenze di tutti. La democrazia ‘non chiede a nessuno [tantomeno a Gesù] di rinunciare alle proprie convinzioni. Ma partendo da queste, richiede che nel dibattito pubblico i dogmi non vengano fatti valere come tali perché altrimenti le regole della democrazia si inceppano’. Un conto insomma è essere relativista, un altro è che relativiste siano le istituzioni. Per le istituzioni, essere relativiste è un pregio, non un difetto. Col suo silenzio, le accettò persino il Figlio di Dio”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn67" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn67" name="_ednref67">[lxvii]</a><br />Dunque, non solo si “tira per capelli” Pilato, procuratore dell’Impero Romano, rendendolo dotato di tanto illegittime - visto il suo incarico - quanto anacronistiche sensibilità democratiche, ma ancor peggio si osa degradare Gesù da Re dei Re a “presidente del consiglio”; e la Sua affermazione “Io sono la Via, Verità e Vita” liquidata quale l’equivalente di un qualunque “programma di governo”! Sbaglia Kelsen affermando che “la verità è irraggiungibile”; sbaglia Adinolfi perché crede che Gesù, con il proprio silenzio, non dia alcuna risposta, ma soprattutto sbaglia nel proferire la bestemmia secondo cui è legittimo dubitare che Gesù non fosse affatto sicuro di incarnare Lui stesso la “Verità”; sbaglia infine Zagrebelsky ritenendo il silenzio (apparente) di Gesù quale Sua apertura al contraddittorio democratico, al relativistico dibattito tra opinionisti!<br />Colui che invece non sbaglia è S.Agostino! Ricolmo di Spirito, fu lui infatti a “comprendere” che, alla domanda di Pilato “Quid est veritas?” (“Cosa è la verità?”), Gesù non rispose perché la risposta era già implicita nella domanda sottoforma di anagramma: “Est vir qui adest!” (“E’ l’uomo qui presente!). Nell’episodio evangelico in questione assistiamo ad un vero e proprio climax: alle tre domande che Gli pone Pilato, Cristo non dà mai risposte dirette, ma lascia progressivamente intendere che esse siano già comunque contenute nelle parole del procuratore romano! In una sorta di divina “coincidentia oppositorum” – e questa volta lo è per davvero - la domanda è insomma già latrice della risposta; fino al punto che la semplice, limitata e partigiana “parola umana” lascia il posto al silenzio, affinché possa in esso risuonare direttamente l’assoluta, eterna ed universale “Parola di Dio”, nei Suoi modi e secondo le Sue intenzioni. Quale abisso separa questa manifestazione di assoluta Verità, dalla grottesca riduzione di quel “presunto silenzio” ad accettazione di “relativismo”! E’ vero: Gesù non pensa di “imporre” la Verità; ma è per lasciare all’uomo la “libertà” di scegliere tra la “Verità” e l’“errore”. Tace non certamente perché si sottopone al “dialogo”, all’“opinione”, alla “messa in discussione”; ma semplicemente perché Egli ha già detto tutto, ed a quel punto non Gli resta altro che affrontare l’estremo sacrificio redentivo del Calvario! Nulla risponde a Pilato perché lascia ormai a noi la scelta se “rispondere o meno alla Sua chiamata”!<br />Questa “libertà di scelta”, peraltro, non è ancora la “piena libertà”, ma ne è solamente il presupposto. Come insegna il Magistero “non esiste autentica libertà senza la verità”: “Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn68" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn68" name="_ednref68">[lxviii]</a> E’ solo il coniugarsi con Cristo-Verità ciò che dà senso alla propria libertà di scelta; tale “comunione” con Cristo è ciò che la giustifica (= la rende “giusta e legittima”) e perciò la nobilita: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32)! “Queste parole racchiudono una fondamentale esigenza ed insieme un ammonimento: l’esigenza di un rapporto onesto nei riguardi della verità, come condizione di autentica libertà; e l’ammonimento, altresì, perché sia evitata qualsiasi libertà apparente, ogni libertà superficiale ed unilaterale, ogni verità che non penetri tutta la verità sull’uomo e sul mondo. Anche oggi, dopo duemila anni, il Cristo appare a noi come Colui che porta all’uomo la libertà basata sulla verità, come Colui che libera l’uomo da ciò che limita, menoma o quasi spezza alle radici stesse, nell’anima dell’uomo, nel suo cuore, nella sua coscienza, questa libertà”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn69" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn69" name="_ednref69">[lxix]</a><br />Alla luce di ciò, risulta quindi lampante quanto sia pretestuosa la laicistica accusa, così formulata da Zagrebelsky, di una Chiesa assolutista ed autoritaria in materia di “verità”: “…il relativismo è malattia terminale della nostra società: così dice la Chiesa cattolica, forte della sua verità e della sua autorità. Verità e autorità sono ovviamente incompatibili con dialogo e libertà. Relativisti e assolutisti possono solo combattersi”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn70" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn70" name="_ednref70">[lxx]</a> Ed oltretutto si può cogliere una volta di più il sovvertimento anticristico perseguito dal laicismo che consapevolmente “confonde”, per poi rigirare a proprio vantaggio, il carattere spirituale della “libertà Cristica”, riducendola propriamente a puro e semplice “libertinismo umano”! Tant’è che si taccia di “privilegio particolaristico” quella che è la cattolicità, l’universalità della libertà proveniente da Gesù: “…la…libertà…da privilegio di pochi si trasforma in diritto di tutti, generando così uguaglianza. E dall’uguaglianza, democrazia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn71" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn71" name="_ednref71">[lxxi]</a><br /><br />Questo tentativo di ridurre a livello esclusivamente “umano, concreto, materiale” la componente eminentemente “spirituale” della Chiesa, tentativo nel quale si cela il chiaro scopo di giungere alla completa Sua delegittimazione e, conseguentemente, alla Sua distruzione, traspare altresì nell’uso improprio del concetto di “carità” portato avanti da Zagrebelsky! Egli così la definisce: “La differenza tra etica della carità ed etica della verità è irriducibile e capitale. La carità è un concreto rapporto di dedizione che coinvolge e si esprime in concreti atteggiamenti, azioni e rapporti di compassione (nel senso proprio di passione in comune). La verità è un insieme di proposizioni dottrinali che si esprime in codici di credenze e comportamenti astratti…La carità è vissuta; la verità, conosciuta. La carità agisce dall’interno delle coscienze; la verità, dall’esterno”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn72" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn72" name="_ednref72">[lxxii]</a> Proseguendo su questa semplicistica falsariga Zagrebelsky, con vera e propria malizia, tira ancora una volta in ballo Cristo Gesù; ma non per esaltarLo, bensì solamente per affermare quanto la propria concezione della carità sia più aderente, in confronto a quello della Chiesa cattolica, al carattere originale che Cristo stesso ha impresso con i propri atteggiamenti al concetto di “carità”: “L’etica cristiana è etica della carità o della verità? Per Gesù di Nazareth, non c’è dubbio, la carità predomina. La sua predicazione è l’amore concreto. Non risulta che egli (scritto minuscolo, N.d.A.) abbia mai parlato dell’umanità, né che, in campo etico, abbia mai fatto uso di verità generali e astratte. Il suo atteggiamento è tutto compreso nel volgersi ai tormenti da malattie e dolori…Le sue parabole parlano tutte di esseri umani, in carne e ossa,, con i quali si è in rapporto…In effetti Gesù parla bensì talora di verità. Ma questa verità…non è un corpo di dottrine teologiche, filosofiche o sociali. E’ il Cristo stesso…, si è nella verità quando si aderisce fedelmente a lui, perché la verità, in senso evangelico, è la vita secondo il Cristo veritiero, è imitatio Christi…E la Chiesa cattolica?…La fedeltà della Chiesa e della sua azione all’annuncio del fondatore non può sottrarsi a questa verifica”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn73" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn73" name="_ednref73">[lxxiii]</a><br />Tali ben congegnati ragionamenti sono in realtà viziati da un disinvolto abuso terminologico e logico, tramite il quale si nega in realtà, già alla base, il senso precipuo affidato da Gesù alla “carità” (e, in sintonia con Lui, anche dalla Sua Chiesa)! La “carità” è notoriamente infatti una delle tre virtù teologali: anzi è “di tutte la più grande”, ricorda S.Paolo (cfr. 1 Cor 13,13). Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, “la carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per sé stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn74" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn74" name="_ednref74">[lxxiv]</a> In maniera tra loro conforme, tutte e tre le virtù teologali si riferiscono insomma direttamente a Dio; ossia dispongono l’uomo a vivere più idoneamente in relazione con la Santissima Trinità: “Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn75" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn75" name="_ednref75">[lxxv]</a> La “carità” (dal gr. charis), non va insomma confusa né con la pura e semplice “compassione o benevolenza”, né tanto meno con la “filantropia o beneficenza”, ma è primariamente “amore per Dio in quanto Verità suprema”: solo come conseguenza di ciò è anche “amore per ogni Sua creatura”. Gesù è chiarissimo su questo: basterebbe soltanto ricordare il passo di Mt 22,37-40! Trascurando di riferirla a Dio, è la “carità” a venir ridotta da Zagrebelsky a “concetto astratto”, cioè a concetto “separato, distinto, che prescinde”: astratto da Dio, appunto!<br />La poco chiara e discutibile distinzione tra “astrattezza della verità” che si oppone a “concretezza della carità”, intesa questa come sinonimo di “realtà”, deriva invece dalla pretesa tutta laicista di circoscrivere la “carità cristiana” a “virtù umana” e la “verità di Cristo” a “precettistica”: in ogni caso entrambe rimangono erroneamente limitate alla dimensione umana! Dice infatti Zagrebelsky: “La carità si incarna negli esseri umani; la verità tende a stabilizzarsi in istituzioni…La carità sprona alla vita buona, ma rifugge dalle condanne, perdona e riconcilia; la verità, al contrario, formula precetti, commina sanzioni e separa gli eletti dai reprobi…(La carità) ama il ‘prossimo’,…(la verità) ama il ‘popolo’, gli ‘uomini deboli’, ‘l’umanità’; il primo modo di amare è - letteralmente - compassione e compatimento, il secondo è filantropia. L’amore per il prossimo…è rapporto caldo, dedizione vitale; l’amore per l’umanità, atteggiamento freddo, attaccamento a un’idea dominante”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn76" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn76" name="_ednref76">[lxxvi]</a> La confusione di Zagrebelsky è totale! E tale confusione gli deriva non solo dal suo completo “ignorare” quale sia - come abbiamo appena ricordato - l’effettiva posizione del Magistero a proposito della virtù teologale della “carità”; ma oltretutto anche dalla sua artificiosa costruzione teorica che, nell’invocare un supposto “oblìo dello spirito originario evangelico”<a title="" style="mso-endnote-id: edn77" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn77" name="_ednref77">[lxxvii]</a> patito dall’odierna gerarchia a riguardo di tali tematiche, lo fa giungere ad arguire in maniera contraddittoria: “All’imponente edificio (dottrinale della Chiesa) dà oggi nuovo impulso la rinnovata alleanza fede-ragione, riproposta in termini inversi rispetto a quelli d’un tempo: non più la ragione e, al di là dei suoi limiti, la fede, ma prima la fede e poi la ragione che, sulle verità di fede, costruisce e costruisce ancora, deduttivamente e induttivamente, con pretese di validità razionale generale”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn78" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn78" name="_ednref78">[lxxviii]</a><br />Sorvolando sui dettagli troppo facilmente opinabili, a questo punto invece ci chiediamo: ma se così fosse, Zagrebelsky non dovrebbe essere allora in sintonia con la Chiesa? Se, laicisticamente parlando, la “carità” è concretezza e la “verità” è astrattezza, quindi la prima è sintomo di “ragione”, mentre la seconda lo è di “fede”: ne consegue che è la verità a subire in tal caso le limitazioni sancite, “deduttivamente e induttivamente”, da una tirannica pseudocarità che pretende di relativizzarla! Se, come si è già visto, non vi è libertà senza verità, ebbene ne consegue che una carità senza verità è una carità senza libertà: ossia appunto una pseudocarità! E difatti è proprio questo il caso denunciato da Gesù quando si scagliò contro i “sepolcri imbiancati” (Mt 23,27)! Caso che, per contro, viene invece auspicato dal laicismo democratico, buonista e pure filantropico (checché ne dica Zagrebelsky), che con tanta ostentazione erge la pseudocarità a paravento delle proprie ipocrisie!<br />In realtà il gioco è ancora una volta lo stesso: appropriarsi di un valore cattolico, svuotarlo e sostituirlo con uno pseudotipo! A tal proposito ricordiamo quanto affermato dal Catechismo: “La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. Egli non sta davanti a Dio come uno schiavo, nel timore servile, né come il mercenario in cerca del salario, ma come un figlio che corrisponde all’amore di colui che ‘ci ha amati per primo’ (1 Gv 4,19)”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn79" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn79" name="_ednref79">[lxxix]</a> Dunque la “carità cristiana”, nella quale si riconosce la gratuita disposizione d’amore dei figli verso il Padre che, sempre per gratuito Amore, ci raccomanda di obbedire, differisce assolutamente dal laicistico “umanitarismo”; il quale è invece l’atteggiamento proprio del “mercenario”: di colui cioè che si “lascia prendere dall’attrattiva della ricompensa”! Dice infatti Zagrebelsky a proposito di quelli che sono i “valori-chiave” del laicismo: “…tolleranza, uguaglianza, diritti, democrazia, ecc. non possono vivere se non sono accettati in una rete di rapporti in cui ciascuno è disposto a dare agli altri quel che pretende per se stesso”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn80" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn80" name="_ednref80">[lxxx]</a> Quanta differenza tra il dettato evangelico di “fare agli altri quel bene che si vuole venga fatto a sé stessi” (cfr. Mt 7,12; Lc 6,31) - in quanto consapevoli che il proprio bene passa in maniera comune attraverso quello altrui - e questa “pretesa che esige”, che mira a garantire piuttosto che l’altrui bene quello proprio personale! Al di là dunque delle belle parole e dei bei proclami, come ben si sa non c’è insomma da fidarsi dei “mercanti” allorché cercano di installarsi nella “casa di preghiera” (cfr. Mt 21,12-13; Mc 11,15-17; Lc 19,45-46)!<br /><br />Al di là delle opinabilissime argomentazioni contro la gerarchia, frutto evidente di inveterati pregiudizi, una ulteriore dimostrazione del fatto di trovarci al cospetto di vuoti e contraddittori sofismi ci giunge allorché Zagrebelsky, in un altro contesto, con clamorosa incoerenza tesse questa volta l’elogio proprio dell’astrattezza sulla concretezza: ennesimo ossequio insomma alla morale opportunistica del perseguire “ciceronianamente” soltanto il “pro domo sua”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn81" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn81" name="_ednref81">[lxxxi]</a> Oltretutto la circostanza ribadisce palesemente quale sia la tecnica luciferina adottata dal laicismo nel tentativo di delegittimare la Chiesa cattolica: quella cioè di fare come il “bue che dice cornuto all’asino”! E difatti è proprio da ciò che si riconosce da che parte stiano veramente le “corna”!<br />Sempre per contrapporsi ai fautori del riconoscimento storico dell’identità cristiana dell’Europa, in quanto ritenuto valore imprescindibile, Zagrebelsky avanza la tesi dell’odierna esistenza di una società che non ha certamente bisogno di “ripristinare le antiche egemonie culturali”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn82" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn82" name="_ednref82">[lxxxii]</a> poichè già in possesso di identità e valori sufficienti a garantirne una valida qualità morale. Tali valori sono quegli “apporti ideali che hanno plasmato la nostra vita collettiva assieme ad altrettante conquiste politiche, sociali e culturali: tolleranza nei confronti delle fedi di tutti, laicità, libertà e socialità, razionalismo, pluralismo, uguaglianza, diritti umani, costituzionalismo, democrazia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn83" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn83" name="_ednref83">[lxxxiii]</a> Facendosi peraltro portavoce di una inopinata preoccupazione laicista a riguardo della salvaguardia della “dignità della persona umana” - non ci spiega però come possa essa conciliarsi con la pretesa, sempre laicista, della liceità della “sperimentazione medica sulle cellule staminali embrionali”, dell’“aborto” o dell’“eutanasia” - così prosegue: “Alla base c’è la persona umana come tale e la sua dignità, in quanto appartenente al genere umano e indipendente dalla appartenenza a questa o quella fede, religione, stirpe, comunità politica. Tutto questo, indubitabilmente, è identità. Essa, a differenza di quella dei procacciatori di identità perdute, non poggia su elementi concreti del tipo: una fede, una religione, una tradizione, una ideologia o una mitologia, una storia, una terra, una stirpe, ecc. Non poggia su unità pre-date perché la democrazia pluralista, per condurre a una vita comune le sue tante componenti, senza far uso di violenza, deve far leva soprattutto su valori astratti, non concreti; formali o procedurali, non materiali. La tolleranza, per esempio, dice che dobbiamo riconoscerci e rispettarci nelle nostre diversità; non dice nulla, invece, sul contenuto di queste diversità e sul modo concreto di farle convivere (sic!). La democrazia promette procedure amichevoli per dare soluzioni ai conflitti politici, ma è un metodo, non il contenuto di una decisione (sic!). Per quanto astratti e formali, tuttavia, questi non sono ‘meno valori’ di quelli materiali e concreti”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn84" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn84" name="_ednref84">[lxxxiv]</a> Sorvolando sulla clamorosa contraddizione con quanto egli stesso proclama, allorché dice: “…l’atteggiamento etico che si richiede non è quello rigidamente deduttivo da astratti principi di verità”<a title="" style="mso-endnote-id: edn85" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn85" name="_ednref85">[lxxxv]</a>, vogliamo invece soffermarci sulle sue disarmanti ammissioni riguardanti le “incertezze” insite nel sistema democratico: incertezze le quali, proprio in quanto tali, non garantiscono né fanno sperare nulla di durevole. Viene da chiedersi insomma, perchè mai si dovrebbe preferire “scommettere” sugli astratti valori laicisti i quali, se tutto andasse per il meglio, potrebbero risultare suscettibili di garantire tutt’al più una “effimera, serena convivenza delle diversità”; mentre viene rigettata la trascendente verità di Cristo Gesù che invece promette e garantisce una “eterna, felice unificazione delle diversità”! Ancora una volta si professa come più auspicabile il mantenimento delle “divisioni” (dia-ballo), ossia il mantenimento forzato della “distanza tra le differenze”, che non la ricerca del “superamento di ogni differenza” proprio alla luce della sussistenza di una dignità comune: quella appunto secondo cui l’essere umano è “fatto ad immagine e somiglianza di Dio”. Solamente ponendosi in maniera ordinata alla medesima distanza rispetto ad un “punto centrale”, che è Gesù Cristo, infiniti punti giungeranno infatti a “identificarsi” tutti assieme come parte ordinata della “circonferenza”! Tale è la vera “identità”, cioè quella vera “uguaglianza e fraternità dell’uomo (rispetto a Dio-Verità)” che dà vita alla sua vera “libertà (rispetto al peccato-errore)”! Altro che mistificanti “liberté, fraternité, égalité”!<br />A questo punto Zagrebelsky prefigura un pericolo: quello cioè che una mancata accettazione delle premesse laiciste conduca verso uno “scontro sociale o di civiltà”: ipotesi che lo convince così profondamente dal ribadirla molto di sovente.<a title="" style="mso-endnote-id: edn86" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn86" name="_ednref86">[lxxxvi]</a> Ad esempio, in occasione del referendum del 12-13 giugno 2005, quando presagiva “ombre durature sul futuro della convivenza civile nel nostro Paese”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn87" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn87" name="_ednref87">[lxxxvii]</a> Tuttavia, dando erroneamente per scontato che la “gente comune” non aspettasse altro che lo scontro sociale o di civiltà, come era ovvio egli si è invece dimostrato un “falso profeta”! Ma non solo! A ben vedere è in realtà lui stesso che ama continuare a tirare in ballo il fantasma del “nemico” con l’evocarne uno, teoricamente ed in maniera preventiva, per la Chiesa: cioè a dire l’uomo del “dubbio”! Scrive infatti: “Per la mentalità dogmatica, l’avversario è il nemico, il miscredente, se non il folle…Uomini del dogma:…i loro naturali nemici sono gli uomini del dubbio”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn88" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn88" name="_ednref88">[lxxxviii]</a> Si direbbe che l’artata assegnazione di un nemico alla Chiesa voglia servire in realtà a scaricare su di Essa l’esclusiva responsabilità per l’insorgere di eventuali diatribe! Ma il clamoroso fraintendimento è che se il “nemico” è colui che “non è amico”, ed è pertanto “colui che non si ama”, ebbene la Chiesa non può costruirsi “di propria scelta” un “nemico”, in quanto Essa “tutti ama” (cfr. Lc 6,27-38): l’unica persona a “non poter amare” è l’anticristo, in quanto “personificazione” del male, ovvero ciò che si oppone al bene per propria natura ontologica! Evocare una propria posizione personale che sia “al di fuori” dell’amore della Chiesa di Cristo Gesù, come fa il laicista, implica piuttosto la “deliberata scelta di porsi nell’errore”. Se d’altra parte la fedeltà intransigente della Chiesa ai propri principi comporta pure la necessità di difenderli da chi li vorrebbe annientarli, non sussiste insomma nessuna logica giustificazione per chi voglia speculare su questo sacrosanto diritto-dovere della Chiesa medesima, tacciandoLa di aggressività! La Chiesa rifiuta l’“errore”, ma ha misericordia dell’“errante”; ed infatti è stato giustamente osservato che: “La Chiesa è intransigente nei principi, perché crede; tollerante nella pratica perché ama. I nemici della Chiesa sono tolleranti nei principi, perché non credono; intolleranti nella pratica perché non amano ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn89" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn89" name="_ednref89">[lxxxix]</a><br />Questa inidoneità all’“amore”, virtù la cui caratura spirituale si colloca certamente molto al di sopra rispetto a quella della “tolleranza”, è il doloroso frutto che inevitabilmente accompagna chi, come il laicista, difetta di “speranza”. Zagrebelsky, citando Norberto Bobbio e condividendo pienamente con lui l’infelice presunzione dell’uomo che sceglie di vivere “senza Dio”, riporta queste sue parole: “Non ho nessuna speranza. In quanto laico, vivo in un mondo in cui è sconosciuta la dimensione della speranza:…la speranza è una virtù teologica…Le virtù del laico sono altre: il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione, il non prevaricare, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui, virtù mondane, civili…La salvezza, se salvezza ci può essere, non verrà da altri che da noi stessi”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn90" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn90" name="_ednref90">[xc]</a><br />Resosi tuttavia conto che ciò potrebbe dar atto ad una penosa deriva verso la “rassegnazione”, specifica: “C’è qualcosa di simile a una speranza, una speranza laica?…Bobbio è un uomo di ragione e scommette pascalianamente non sulla fede in un Dio trascendente…ma sulla ragione umana. A chi chiedesse quali buone ragioni d’essere vinta ha dalla sua questa scommessa, si dovrebbe rispondere semplicemente: nessuna buona ragione, ma è l’unica speranza per l’essere umano: e più non dimandare”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn91" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn91" name="_ednref91">[xci]</a> E così conclude: “Nel suo (di Bobbio) universo concettuale non esiste un ‘altro mondo’ diverso dal nostro; l’esodo (ossia il ritorno alla vita dopo la morte) è un’immagine consolatoria; il messia, un’illusione pericolosa. Noi siamo e resteremo nel nostro mondo, il mondo che costruiamo con le nostre forze. Siamo e resteremo nel labirinto. Il labirinto non è luogo dal quale si possa uscire e non possiamo attenderci nulla da fuori, meno che mai la nostra ‘salvezza’. …Il senso della vita…è lavorare insieme, nel dialogo e nel rispetto reciproci, nel rigore analitico, nell’assenza di dogmi messianici, affinché la condizione del labirinto, che è la condizione umana, sia progressivamente resa più sopportabile, più umana, meno ingiusta. Tutto il resto non è che teologia politica. Se poi, indipendentemente da noi, ‘alla consumazione dei tempi’ qualcosa (e che cosa) da fuori accadrà, sono solo punti interrogativi”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn92" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn92" name="_ednref92">[xcii]</a> Da questo agghiacciante affresco della “disperazione” emergono nuovamente i caratteri anticristici del laicismo, il quale sovverte ancora una volta in uno pseudotipo il carattere di stabilità e certezza della “speranza” (in quanto sicura attesa della beatitudine eterna e dell’assistenza della grazia per conseguirla), riducendola ad instabile, malsicuro, ambiguo ed incerto “auspicio” di un “non si sa bene che”: una “pseudosperanza” insomma! Per esprimere la propria concezione esistenziale, tanto Bobbio quanto Zagrebelsky scelgono l’immagine dell’“errabondo nel labirinto” - tra le tre che Wittgenstein aveva elevato ad altrettanti paradigmi significativi della vita individuale e collettiva -<a title="" style="mso-endnote-id: edn93" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn93" name="_ednref93">[xciii]</a> e ritengono che tutti gli sforzi applicati, le scelte adottate, i rischi affrontati, gli sbagli commessi da chi stia cercando la “via d’uscita” da tale “labirinto” rimangano atteggiamenti unicamente assoggettabili al controllo della propria ragione: privi cioè della speranza “in un intervento esterno”. Fin qui nulla di nuovo, essendo essi dei convinti pragmatico-razionalisti nonché atei; ma la stonatura insorge quando, in maniera contraddittoria, ci viene ricordato da Zagrebelsky che Bobbio aveva altresì affermato: “Come ho detto tante volte, la storia umana, tra salvezza e perdizione, è ambigua. Non sappiamo neppure se siamo noi i padroni del nostro destino”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn94" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn94" name="_ednref94">[xciv]</a> Per di più entrambi alla fine mostrano addirittura incertezza sulla reale esistenza di una “via d’uscita” da tale labirinto: “…Non sappiamo se c’è l’uscita ma…dobbiamo sperare che ci sia e operare quindi come se ci sia e su questo esile filo costruire la nostra speranza, la speranza degli uomini di ragione e non di fede”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn95" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn95" name="_ednref95">[xcv]</a> In altre parole, tanto Bobbio quanto Zagrebelsky si costruiscono un “labirinto” che a ben vedere partecipa anche delle caratteristiche delle due ulteriori immagini paradigmatiche teorizzate da Wittgenstein: “la mosca nella bottiglia” ed “il pesce nella rete”. Volendo uscire dalla propria trappola la mosca è soggetta alla “ buona sorte” (trovare l’apertura non tappata), il pesce rimane invece vittima della “necessità” (più si dibatte nella rete, più vi si impiglia). <strong><em>Continua...<br /></em></strong><br /><br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref1" name="_edn1">[i]</a> Per la serie La biblioteca di Repubblica – Idee, 9 maggio 2007.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref2" name="_edn2">[ii]</a> Che la “buona fede” (lat. bona fides) non possa rappresentare un presupposto di “verità”, ma piuttosto di “ingenuo relativismo” e che quindi non costituisca nemmeno una scusante, lo dimostra già soltanto la distinzione presente in campo giuridico tra le figure di “buona fede soggettiva” e “buona fede oggettiva”. Oltretutto, a monte di questo, è praticamente riconosciuta in maniera unanime dai giuristi un’inattendibilità delle definizioni univoche di “buona fede”, a motivo di una sua peculiare indeterminatezza di contenuto che fa preferire ad essa piuttosto l’uso di sinonimi o perifrasi. Ma a parte ciò: al cattolico è stata richiesta non tanto la “buona fede” quanto la “buona volontà”!<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref3" name="_edn3">[iii]</a> Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “organizzata, nutrita e guarita” (cfr.739).<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref4" name="_edn4">[iv]</a> Catechismo della C.C., 750.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref5" name="_edn5">[v]</a> S.Bernardo di Chiaravalle, In canticum sermo, 27, 7, 14: Opera, ed. J.Leclerq-C.H.Talbot-H.Rochais, v.1, Roma 1957, pg.191.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref6" name="_edn6">[vi]</a> Concilio Vaticano II, Cost.dogm. Lumen Gentium, 31.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref7" name="_edn7">[vii]</a> Cfr. De ecclesiastica hierarchia, V,III,7: PL 3,513.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref8" name="_edn8">[viii]</a> Cfr. il classico principio canonista: “utique maioritatem tribuit et exceilentiam sed non superioritatem”. Del resto, “Eminenza ed Eccellenza” sono proprio i titoli pertinenti all’Alto clero.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref9" name="_edn9">[ix]</a> Catechismo della C.C., 895-896.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref10" name="_edn10">[x]</a> Cfr. Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.23, pg.79.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref11" name="_edn11">[xi]</a> Cfr.Idem, pg.45 seg.; pg.94 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref12" name="_edn12">[xii]</a> Cfr.Idem, pg.45; pg.87; pg.96 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref13" name="_edn13">[xiii]</a> Cfr.Idem, pg.43 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref14" name="_edn14">[xiv]</a> Cfr.Idem, pg.46.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref15" name="_edn15">[xv]</a> Idem, pg.159.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref16" name="_edn16">[xvi]</a> Giovanni Paolo II, Christifideles laici, n.59.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref17" name="_edn17">[xvii]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.94.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref18" name="_edn18">[xviii]</a> Idem, pg.159.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn19" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref19" name="_edn19">[xix]</a> Idem, pg.95.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn20" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref20" name="_edn20">[xx]</a> Cfr.Idem, pg.91 sgg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn21" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref21" name="_edn21">[xxi]</a> Non possumus: la Chiesa divide la società?, Intervento di G.Zagrebelsky all’incontro organizzato da “Libertà e Giustizia” presso l’Unione Culturale di Torino, 21/3/2007.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn22" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref22" name="_edn22">[xxii]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.83.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn23" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref23" name="_edn23">[xxiii]</a> Idem, pg.54.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn24" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref24" name="_edn24">[xxiv]</a> Idem, pg.158.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn25" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref25" name="_edn25">[xxv]</a> Non possumus: la Chiesa divide la società?, cit.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn26" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref26" name="_edn26">[xxvi]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.83.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn27" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref27" name="_edn27">[xxvii]</a> Cfr. Idem, pg.111.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn28" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref28" name="_edn28">[xxviii]</a> Idem, pg.99.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn29" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref29" name="_edn29">[xxix]</a> Idem, pg.85.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn30" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref30" name="_edn30">[xxx]</a> Ibidem, sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn31" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref31" name="_edn31">[xxxi]</a> Cfr. Idem, pg.87.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn32" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref32" name="_edn32">[xxxii]</a> Concetto condannato nella Alloc. Maxima quidam, 9 giugno 1862 e nel Syllabus di Pio IX.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn33" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref33" name="_edn33">[xxxiii]</a> Catechismo della C.C., 212.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn34" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref34" name="_edn34">[xxxiv]</a> Idem, 314.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn35" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref35" name="_edn35">[xxxv]</a> Idem, 303.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn36" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref36" name="_edn36">[xxxvi]</a> Idem, 395.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn37" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref37" name="_edn37">[xxxvii]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.82.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn38" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref38" name="_edn38">[xxxviii]</a> Idem, pg.80.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn39" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref39" name="_edn39">[xxxix]</a> Idem, pg.48.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn40" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref40" name="_edn40">[xl]</a> Idem, pg.81.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn41" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref41" name="_edn41">[xli]</a> Ibidem.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn42" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref42" name="_edn42">[xlii]</a> Idem, pg.84.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn43" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref43" name="_edn43">[xliii]</a> Idem, pg.20.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn44" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref44" name="_edn44">[xliv]</a> Idem, pg.125.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn45" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref45" name="_edn45">[xlv]</a> Idem, pg.96.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn46" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref46" name="_edn46">[xlvi]</a> Idem, pg.125 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn47" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref47" name="_edn47">[xlvii]</a> Idem, pg.20.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn48" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref48" name="_edn48">[xlviii]</a> Idem, pg.47.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn49" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref49" name="_edn49">[xlix]</a> Idem, pg.125.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn50" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref50" name="_edn50">[l]</a> Idem, pg.22.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn51" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref51" name="_edn51">[li]</a> Idem, pg.23.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn52" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref52" name="_edn52">[lii]</a> Luigi Capozza, Verità, Carità e Chiesa secondo G.Zagrebelsky, in <a href="http://www.arealocale.com/">http://www.arealocale.com/</a>, 26/7/2006.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn53" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref53" name="_edn53">[liii]</a> G. Zagrebelsky, Un decalogo contro l’apatia politica, Relazione tenuta al convegno nazionale del Cidi, 4 / 3 / 2005. Vd. pure Imparare la democrazia, Einaudi, Torino 2007.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn54" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref54" name="_edn54">[liv]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.22.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn55" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref55" name="_edn55">[lv]</a> Ibidem.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn56" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref56" name="_edn56">[lvi]</a> Cfr. Catechismo della C.C., 86 e 88.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn57" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref57" name="_edn57">[lvii]</a> Idem, pg.19.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn58" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref58" name="_edn58">[lviii]</a> Cfr. Catechismo della C.C., 2088.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn59" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref59" name="_edn59">[lix]</a> Cfr. idem, 150.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn60" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref60" name="_edn60">[lx]</a> Zagrebelsky lo cita in realtà come Salmo 62, seguendo la numerazione ebraica piuttosto che quella latina!<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn61" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref61" name="_edn61">[lxi]</a> Cfr. Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.19.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn62" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref62" name="_edn62">[lxii]</a> Ibidem.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn63" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref63" name="_edn63">[lxiii]</a> Cfr. Idem, pg.21.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn64" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref64" name="_edn64">[lxiv]</a> Idem, pg.20 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn65" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref65" name="_edn65">[lxv]</a> Idem, pg.22.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn66" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref66" name="_edn66">[lxvi]</a> S.E. Cardinal Juliàn Herranz, L’umanità è al bivio, in L’Osservatore Romano, 15 novembre 2000.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn67" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref67" name="_edn67">[lxvii]</a> M.Adinolfi, Gli apprensivi amanti della democrazia, <a href="http://www.leftwing.it/">http://www.leftwing.it/</a>, 26/3/2007.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn68" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref68" name="_edn68">[lxviii]</a> Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, n.90.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn69" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref69" name="_edn69">[lxix]</a> Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n.12.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn70" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref70" name="_edn70">[lxx]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.53.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn71" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref71" name="_edn71">[lxxi]</a> Idem, pg.66.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn72" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref72" name="_edn72">[lxxii]</a> Idem, pg.118.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn73" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref73" name="_edn73">[lxxiii]</a> Idem, pg.119 sgg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn74" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref74" name="_edn74">[lxxiv]</a> Catechismo della C.C., 1822.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn75" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref75" name="_edn75">[lxxv]</a> Idem, 1812.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn76" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref76" name="_edn76">[lxxvi]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.118 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn77" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref77" name="_edn77">[lxxvii]</a> Idem, pg.121.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn78" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref78" name="_edn78">[lxxviii]</a> Ibidem.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn79" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref79" name="_edn79">[lxxix]</a> Catechismo della C.C., 1828.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn80" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref80" name="_edn80">[lxxx]</a> Lo Stato e La Chiesa, pg.109.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn81" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref81" name="_edn81">[lxxxi]</a> “Ciò che conviene a sé stessi”.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn82" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref82" name="_edn82">[lxxxii]</a> Cfr. Lo Stato e La Chiesa, op.cit.,pg.105 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn83" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref83" name="_edn83">[lxxxiii]</a> Cfr. Idem, pg.107 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn84" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref84" name="_edn84">[lxxxiv]</a> Idem, pg.108.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn85" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref85" name="_edn85">[lxxxv]</a> Idem, pg.125.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn86" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref86" name="_edn86">[lxxxvi]</a> Cfr. Idem, pg.37; pg.43; pg.53; pg.108 sg. Cfr. pure Non possumus: la Chiesa divide la società?, op.cit.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn87" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref87" name="_edn87">[lxxxvii]</a> Idem, pg.43.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn88" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref88" name="_edn88">[lxxxviii]</a> Idem, pg.21 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn89" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref89" name="_edn89">[lxxxix]</a> Garrigou-Lagrange, O.P., Dieu, Son Existence et Sa Nature, Ed. Beauchesne, Paris 1950, vol II, pg.725.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn90" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref90" name="_edn90">[xc]</a> Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pgg. 131-134.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn91" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref91" name="_edn91">[xci]</a> Ibidem.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn92" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref92" name="_edn92">[xcii]</a> Idem, pg.136 sg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn93" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref93" name="_edn93">[xciii]</a> Cfr. Lo Stato e La Chiesa, op.cit., pg.132 sgg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn94" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref94" name="_edn94">[xciv]</a> Idem, pg.134.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn95" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref95" name="_edn95">[xcv]</a> Ibidem.</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-13012771875660669162007-10-02T15:59:00.000+02:002007-10-02T16:06:48.875+02:00Agorà dei giovani. Fra il Cristo presenza e il cristo umanitarismo<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwivpP0hdPdWqLWY99OR0j0IQJUS3tuvdipg6rW58lG_jsMha7NXWkzICN0o8Fbv7G2qRDWU242eJC8P8pFIb6IZdBRuD3uUoVPdYw6WNpVBLLWC4uADvwcR43SNg-V3eMEwu8Bn2l0-2q/s1600-h/simbolo+strano+Agorà .jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5116739527760703218" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwivpP0hdPdWqLWY99OR0j0IQJUS3tuvdipg6rW58lG_jsMha7NXWkzICN0o8Fbv7G2qRDWU242eJC8P8pFIb6IZdBRuD3uUoVPdYw6WNpVBLLWC4uADvwcR43SNg-V3eMEwu8Bn2l0-2q/s320/simbolo+strano+Agor%C3%A0.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify">Lo scorso 1 e 2 settembre, vi è stato il grande raduno dei giovani nella piana di Montorso presso Loreto: l’agorà dei giovani. Si attende l’incontro con il Papa. Una presenza a quanto pare non scontata quella del Pontefice fino alla Sua conferma avvenuta durante l'Angelus del 29 ottobre 2006. Una piazza di giovani cattolici aperta al mondo; un’ occasione in più per contribuire a portare il messaggio e la Presenza di Cristo verso una gioventù, come è quella di oggi, veramente messa alla prova ed in forte difficoltà. Avvolta in un vero e proprio sbando esistenziale. C’è molta gente nella piana, e ve ne si trovano di tutte le età. Fra questi c’è chi già con fermezza segue Cristo, chi lo cerca, chi ancora tiepido, chi è venuto solo per curiosità. Il palco a detta del suo architetto Roberto Malfatto “è stato progettato in continuità con il percorso iconografico iniziato a Loreto nel 2004 e proseguito a Bari nel 2006. Nel primo, l'ispirazione venne dalla centralità della croce e nel secondo dalla capacità di sintesi dell'ellisse. Quest'anno è l'arco, il ponte, ad essere il cardine del progetto. Nella costruzione architettonica dello spazio, insieme alla forma circolare ci sono poi altri due richiami fondamentali: l'acqua, segno chiave di tutto l'incontro, e l'ottagono, simbolo del fonte battesimale”. Al centro invece del palco mi si fa notare una cosa alquanto ambigua. Un pentagono superato da una specie di fiammella o ricciolo che sembra quasi sostituire sia la presenza sia la centralità fisica-dottrinale della croce, solo tranne quando c’è il Papa sul palco; ciò dovuto anche ad una esagerata a mio parere grandezza che porta di conseguenza a vedere il crocifisso come secondario. L’effetto complessivo è quello di un enorme occhio sui fedeli. Sia chiaro subito una cosa. Non si sta parlando qui di un complotto, ne di una particolare responsabilità umana, ma sicuramente si vuole evidenziare una certa influenza soprattutto filosofico-culturale che non è assolutamente della Chiesa. Sono tempi molto carichi e di prova per la Santa Chiesa ed a ciò sicuramente valgono le profetiche parole di Paolo VI riferite da Jean Guitton nel suo libro “Paolo VI segreto”: “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non-cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo sia”. Il pentagono infatti, simbolicamente, riassume l’armonia universale come equilibrio umano. Il simbolo di per sé nella sua funzione convenzionale o analogica evoca e veicola sempre un concetto, un’idea, fino a trasformare e plasmare il reale. Il simbolismo religioso per esempio è il mezzo che permette di unire l’umano al divino. Questa funzione è insita nella sua valenza etimologica ( dal grec. sym-ballo= unire, mettere insieme due parti distinte; contrario al dia-ballo da cui diavolo= mettere male tra due, disunire). Di conseguenza, giusto per dare a ciascuno la sua parte, rappresentazioni che trasfigurano e uniscono l’umano al divino “rivelato”: è simbolo; rappresentazioni, invece, che portano l’uomo all’umano, alla materia corruttibile, al mondo diviso da Dio: è diavolo. E credo che non bisogna sottovalutare questa sfumatura etimologica che ci può permettere di riflettere sul costante bombardamento di immagini pseudo-religiose e dissolutive proposte da questa nostra post-modernità. Fu Jung a dire che: “il simbolo può trasformare la natura stessa dell’uomo”. Alle tante e bellissime testimonianze forgianti di giovani in un forte cammino di fede che l’Agorà ha proposto non si è potuto non notare al contrario l’impossibilità di raggiungere Loreto e pregare al Santuario davanti alla Madonna, l’assenza della Croce tranne quando c’è il Papa, l’assoluta inopportunità di far cantare Baglioni e compagnia briscola in una notte che era di veglia e di preghiera; trasformando il tutto nell’Agorà Jammin Festival. Ma soprattutto ciò ha fatto risultare in secondo piano l’importanza della preghiera del Santo Padre al Santuario di Loreto. Il Cristo quella sera di conseguenza diviene un cristo umanitarista del “volemose bene”, svuotato della Sua Viva e Vera presenza, diviene un cristo ecologista che vive per la raccolta differenziata, diviene il cristo della “notte magica” e dei “cuori che battono” nella nuova liturgia fra i neo sacerdoti e predicatori di sentimentalismi d’accatto televisivi. I vari Baglioni e Vibrazioni. Insomma diviene il cristo sentimento che può facilmente confondersi con i vari Sanremo-Festivalbar. Che differenza c’è? Diviene il cristo di Maria De Filippi e delle televisioni, diviene il cristo di MTV, diviene il cristo dei vari messaggi pseudo-politici, nuove liturgie della religione civile, diviene il cristo panteista e new age quando tra la folla dell’Agorà girano palloni gonfiabili che rappresentano la Terra con un volto. E’ il cristo che piace agli show Mediaset e a tutti coloro i quali oggi rinnegano la vera Presenza di Cristo volgendo il volto del risorto in un volto umanitario-moralistico. E’ l’utopia seduttrice che sembra riecheggiare in tanto politicame oggi che si dichiara difensore della cristianità. Il Gesù campagna elettorale: il cristo fast food dei “catto- comunisti atei devoti adulti” di sinistra e i “catto-d’accatto moralisti umanitari progressisti capitalisti” di destra. Don Giussani in questo caso parlerebbe di greggismo, o meglio collettivismo o associazionismo poiché si è rinnegata la Viva Presenza del Risorto. Ne rimane al contrario un’idea astratta e filosofica carente della vera autorità; (1) e che culmina nel gran calderone sincretico relativista. Tutto ciò è anti-Cristo! Non per nulla lontano dalla fisionomia profetica di Vladimir Soloviev: “Cosciente di possedere in sé una grande forza spirituale, era sempre stato un convinto spiritualista e la sua vivida intelligenza gli aveva sempre indicato la verità di ciò a cui si deve credere: il bene, Dio, il Messia. Egli credeva in ciò ma non amava che se stesso. (…) Se gli si rinfacciava di essere così in abbondanza fornito di doni divini, egli ivi scorgeva i segni particolari di una eccezionale benevolenza dall’alto verso di lui e si considerava come secondo dopo Dio, il figlio di Dio, unico nel suo genere. In una parola egli riconosceva in sé quelle che erano le caratteristiche del Cristo. (…) Non aveva per Cristo una ostilità di principio. Gli riconosceva l’importanza e la dignità di Messia; però con tutta sincerità vedeva in lui soltanto il suo augusto precursore. Per quella mente ottenebrata dall’amor proprio erano inconcepibili l’azione morale del Cristo e la Sua assoluta unicità. Egli ragionava così: ‘ Cristo è venuto prima di me; io mi manifesto per secondo; ma ciò che viene dopo in ordine di tempo, in natura è primo. Io giungo ultimo alla fine della storia precisamente perché sono il salvatore perfetto, definitivo. Quel Cristo è il mio precursore. La sua missione era di precedere e preparare la mia apparizione’. (…) ‘Il Cristo è stato il riformatore dell’umanità, predicando e manifestando il bene morale nella sua vita, io invece sono chiamato ad essere il benefattore di questa umanità, in parte emendata e in parte incorreggibile. Il Cristo, come moralista ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi’. (…) Era anzitutto un filantropo, pieno di compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a severa sorveglianza; le società protettrici degli animali furono da lui incoraggiate in tutti i modi. La più importante di queste opere fu la solida instaurazione in tutta l’umanità dell’uguaglianza che risulta essere la più essenziale: l’uguaglianza della sazietà generale. Questo evento si compì ne secondo anno del suo regno. La questione sociale, economica, fu definitivamente risolta.” (2) Insomma l’anticristo di Soloviev sembra avere la fisionomia di un grande umanitarista morale che usa la figura del Cristo con caratteri gnostico-filosofico a scopo politico utilitaristico senza mai ammettere la Resurrezione. In effetti l’uomo post-moderno incarna proprio questa figura. Quella del “salottiero spiritualista tuttologo”. Importante quindi difendere la nostra memoria. La nostra tradizione cristiana sotto l’ala protetta della Chiesa di Roma. A questo punto è anche interessante rileggere ciò che Renè Guenon scrisse sull’anti-Cristo inteso come individuo o come collettività appunto come greggismo-associazionismo: “Questi…sia che lo si concepisca come un individuo o come una collettività, sintetizzerà in se stesso tutte le potenze della 'contro-iniziazione'. E potrebbe essere a un tempo l' uno e l'altra, in quanto dovrà esistere una collettività che rappresenti l'esteriorizzazione della contro-iniziazione, e dovrà esistere altresì un personaggio che, posto a capo di quella collettività, ne sia come l' incarnazione, non fosse altro che a titolo di supporto di tutte le influenze malefiche (…) Sarà un 'impostore' e il suo regno non sarà altro che la 'grande parodia' per eccellenza, l'imitazione caricaturale e 'satanica' della tradizione e della spiritualità vere; e tuttavia la sua costituzione sarà tale, da essergli veramente impossibile non svolgere tale funzione (…) Questo essere, se apparirà sotto forma di un personaggio determinato, sarà più un simbolo che un individuo (…); egli dovrà essere, per così dire, completamente 'falsato' da tutti i punti di vista…sicchè la sua individualità (…) si può dire già quasi annichilita, tanto da realizzare la confusione nel 'caos' anziché la fusione nell' 'unità principale' (…) Sarà paragonabile all'automatismo di 'cadaveri psichici', animati artificialmente e momentaneamente”. (3) Tutto questo è importante tenerlo a mente, come le tante belle testimonianze di giovani dell’Agorà in un vero cammino di fede. A ciò valgono anche le bellissime e forti parole del Santo Padre il quale si è rivolto quei giorni ai partecipanti con queste parole: “Di quanti messaggi, che vi giungono soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti! Siate critici! (…) Non andate dietro all’onda prodotta da questa potente azione di persuasione.” Ed ancora: “Andate controcorrente: non ascoltate le voci interessate e suadenti che oggi da molte parti propagandano modelli di vita improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere”. La sovversione più subdola, ed i media in questo caso ne sono i veri maestri ed artefici, è proprio rendere il messaggio cristiano e quindi la presenza di Cristo in un vuoto collettivismo ad immagine di questa società idolatra e perversa. “La continuità è nella funzione e non nell’aspetto che essa assume”. Questo ci viene sbandierato oggi da molte parti. Questo è il relativismo e la sua tirannica presenza. Perciò domani sarà lo stesso considerato un pontefice degno di rispetto chiunque nel proprio giardino di casa, dopo essersi auto-eletto guida spirituale del quartiere, si sappia costruire la sua chiesa umanitaria e i suoi dogmi fai da te. Già ci pensa la religione laicista e la religione civile! Tutto questo giochetto non è una novità; già i giri di prova si ebbero anche in Messico quando il massone Calles incominciando la sua persecuzione verso i cattolici fondò “ La Chiesa Apostolica messicana” imponendola ai fedeli obbedienti alla sola Chiesa di Roma. Era il 21 febbraio 1925. E bisognerebbe incominciare a discernere dove questa “ libera società umanitarista” ci sta portando. Dice il catechismo (675) in proposito: “ Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il mistero d’iniquità sotto la forma di un impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo messia venuto nella carne.” All’Agorà quella sera la croce diviene secondaria rispetto al pentagono, la conversione battesimale che doveva scaturire dalla Presenza diviene una forma ambigua di illuminazione risvegliata da un ricordo “gnosticheggiante” con la scritta sui foulard: “Ricordati del giorno in cui sei stato illuminato”, la veglia notturna di preghiera, che doveva essere in sintonia con quella del Pontefice al Santuario di Loreto, invece diviene un concerto; in una notte in cui Maria avrebbe dovuto parlare nel silenzio dei nostri cuori di come si segue la Via di Gesù. Anche la preghiera del Papa in collegamento dal Santuario di Loreto viene subito dopo resa alla pari, con la preghiera per seguire la via di Baglioni: “ Strada facendo…!!!” In questo cocktail che richiama l’attenzione e discernimento verso i segni dei tempi che ci troviamo a vivere, una cosa è certa: “Portae inferi non prevalebunt”; e durante la notte nell’Agorà quando la voce si era sparsa molti giovani hanno saputo riconoscere la sfumatura subdola contro la Chiesa a prova che Cristo ha sempre un Suo piano. La Chiesa siamo noi tutti battezzati! Il porre sullo stesso piano la città di Dio con la città dell’uomo idolatra facendo di Cristo Risorto e presente un vuoto sentimentalismo psicologico non lontano da certi raduni politico-musicali è decisamente fuorviante. Il fumo della secolarizzazione entra in casa nostra con il tentativo, questa volta di far diventare la Chiesa un partito politico, un pretesto per alimentare odi fra le genti di diversa tradizione, una bella filosofia di vita (anche un po’ yoga ecologista freak se volete!!!), un pensiero come tanti altri, una bella leggenda e ripeto bella ed affascinante leggenda di un dio fatto uomo e risorto. Un inutile greggismo collettivo dove fra poco vi saranno le tessere d’iscrizione al posto del battesimo. Non fa differenza se seguire o meno il Cristo. Si può andare al Festivalbar è lo stesso! O ai raduni ecologici intitolati: “ Amatevi e rispetterete il mistero della natura”! Nella notte, a me e ad altri resici consapevoli di questo ci è suonata questa frase: “…sappiano che in questo paese esiste un angolo dove, ogni ora del giorno e della notte, una guardia veglia, con la faccia rivolta al nemico.” (3) Il punto è questo chi è il “nemico” che ha veramente complottato e complotta contro la Chiesa? Cercate dai frutti!!! Sentirete una gran puzza di zolfo!!! Ed oggi l’aria incomincia ad essere veramente irrespirabile.<br /><br /><br />Preghiamo che al Santo Padre non manchi mai il coraggio di fronte ai lupi. Preghiamo veramente affinchè rimaniamo anche noi saldi nella fede ed alla Chiesa di Roma. Maria, Madonna di Loreto, Aiuto dei Cristiani, Madre della Chiesa prega per noi e per i nemici di Cristo tuo Figlio Gesù Nostro Signore.<br /><br />Federico Intini<br /><br /><br />1) Cito questo splendida intuizione di Don Giussani presente nel libro: “ Dall’utopia alla presenza (1975-1978) Bur 2006,pag. 118: “…La caratteristica dell’autorità in senso stretto è quello di essere -come coscienza, sentimento e concezione di sé- funzione dell’unità del movimento; il personaggio invece è funzione del proprio pensiero, della propria diagnosi, della propria proposta, del proprio oggetto. L’autorità come funzione del movimento ha come contenuto di ricchezza, o come metodologia che gli assicura la ricchezza, l’esperienza della tradizione nell’unità del movimento, mentre il personaggio ha come genesi della propria ricchezza la parzialità della sua visuale, la sua interpretazione. c) Così invece che sequela, e perciò verifica, si ha il greggismo, o meglio il collettivismo o associazionismo. E’ la caratteristica visibilmente documentata della gente che segue un ‘personaggio’ e non un’autorità. Chi segue l’autorità vive con l’autorità; coloro che seguono un personaggio sono succubi di esso, sono dei militanti, massa o singolo che segue, ma non segue veramente, perché la sequela è propria della persona, cioè della dignitosa coscienza d’essere funzione per il tutto.” Bisognerebbe dirlo ai famosi politicanti-personaggi difensori del Cristianesimo che Cristo è una Presenza, un avvenimento reale della storia e non un pensiero morale-intellettuale-volitivo di tradizione utopico ideologica. Per questo oggi la politica, l’umano, si sta poggiando sul greggismo-collettivismo-associazionismo facendo intendere la Santa Chiesa un pensiero morale come tanti altri. Questo è frutto del “nemico” distruggere il concetto ed il ruolo di autorità come servizio.<br />2) Vladimir Soloviev, I tre dialoghi e il racconto dell’anticristo, Marietti I Rombi, 2006, p. 168, 169-170, 178<br />3) René Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, Torino, 1969, pagine 324-326, capitolo: “La grande parodia o la spiritualità a rovescio”.<br />4) Corneliu Z. Codreanu, Per i legionari. Guardia di ferro, Ed. di Ar, 2005, p.187</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-34849004507449220542007-09-16T18:47:00.000+02:002007-09-16T19:49:38.636+02:00Cristeros. Martiri dell'odio di loggia<div align="left"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzNfSETBTB5j9Ymodj8DsqEsXBtnkQ6TQNVgjk1mKAUVthvXyLc7StvqzriugD304aPiU6GcPyNlcdcEK8fbNz9Gm7d0HckBwvXvoWUAMuSTSvGXIv7B2Ypar3B0ZdQLIvO-GCmXGmGgOC/s1600-h/cristeros.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5110847406488841330" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzNfSETBTB5j9Ymodj8DsqEsXBtnkQ6TQNVgjk1mKAUVthvXyLc7StvqzriugD304aPiU6GcPyNlcdcEK8fbNz9Gm7d0HckBwvXvoWUAMuSTSvGXIv7B2Ypar3B0ZdQLIvO-GCmXGmGgOC/s320/cristeros.jpg" border="0" /></a> Stiamo assistendo oggi sempre più ad una sorta di " <em>dialettica della persecuzione</em>" nei confronti della Chiesa e della fede del popolo di Cristo Gesù. Una fede che fino a prova contraria è qui con noi da due millenni. E' questa lenta sostituzione per cosa? In Italia il laicismo mostra il suo infame volto luciferino dell'anticristo sia dichiarandosi apertamente ostile alla Rivelazione cristiana in nome di una religione scientista, di una religione comunista, di una religione ecologista, di una religione " cristiana adulta", ecc. ecc. sia dichiarandosi subdolamente ed ipocritamente non ostile a Cristo e quindi alla Chiesa, ma trasformando la Viva Presenza di Cristo in un cristo moralista umanitario, che non esito a definire il cristo del <em>volemose bene,</em> il cristo <em>campagna elettorale </em>(che schifezza!!!). Il "<em>Gesù fast food"</em> delle nuove ideologie politiche utopiche. <strong>Chi oggi sta macchinando simili discorsi è nemico del popolo italiano!!! Chi oggi sta lavorando per cancellare la memoria dei nostri padri è nemico del popolo italiano!!! Chi oggi sta contribuendo a distruggere la tradizione cristiana sopravvissuta due millenni su questo suolo italiano è nemico di queste genti e tradisce i nostri antenati!!!</strong> In messico il governo massonico laicista, con forti influenze ( ahimè!!!) statunitensi, lavorò pian piano all'inizio e poi sempre più accanitamente per cancellare la fede cristiana del popolo ma ne ottenne invece una eroica e radicale resistenza. Resistenza di mite militanza fino al martirio. Quello che colpisce nei combattenti Cristeros è la Presenza viva e costante di Cristo. Non un cristo ideologia. Ma un Cristo morto risorto e presente, anche nei momenti di forte prova. Un'ostinata obbedienza alla gerarchia ecclesiastica anche di fronte ad errori umani eclatanti, e la costante recita del Rosario come arma essenziale fu la fisionomia di questa lotta. Il messico di quegli anni deve giungere a noi oggi come esempio e monito affinchè quotidianamente possiamo combattere per difendere la fede in noi e poi verso i più deboli i quali si vedono bersagliati anche oggi dai nemici di sempre. Difendiamo la fede del popolo! Custodiamo la presenza del Vivo Amore di Cristo in mezzo a noi. Non dimentichiamo la nostra tradizione. O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi e per quanti a Voi non ricorrono! In particolar modo per i nemici della Santa Chiesa e per quelli che Vi sono raccomandati!</div><div align="left"></div><div align="left">Federico Intini</div><div align="left">Ass. Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa<br /></div><div align="justify"><br /><strong>I martiri del Messico</strong><a href="http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&new_topic=76"></a></div><div align="justify"><em>di Paolo Giulisano</em></div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"><em><strong>Un frutto dell’odio ideologico del ‘900: la persecuzione del governo massonico e laicista messicano contro la Chiesa. La resistenza popolare, l’insurrezione dei Cristeros, i tanti martiri. E le tre encicliche di Papa XI. </strong>[</em>Da «Il Timone» n. 57, novembre 2006]</div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify">Nel corso del Novecento, do­lorosamente percorso da im­mani tragedie conseguenza soprattutto del clima ideolo­gico segnato dall’odio anticristiano, si è verificato anche un episodio ancor oggi poco conosciuto di martirio. Si trattò di una tremenda persecuzione, che si tra­scinò poi ancora per moltissimo tempo dopo il triennio cruento (1926-1929), lasciando effetti duraturi sulla struttura politica e sociale del Messico, determi­nando in maniera irreversibile il destino forse anche dell’intero sub-continente latino-americano. Fu un conflitto sca­tenato contro una società contadina, tradizionale, cattolica, un’aggressio­ne perpetrata da uno Stato autoritario uscito da un processo rivoluzionario. Sarà papa Giovanni Paolo II (1978-2005) ad elevare agli onori degli altari alcuni martiri della persecuzione messi­cana: sacerdoti e laici, militanti delle or­ganizzazioni cattoliche, tra cui Manuel Morales, presidente della Lega Nazio­nale per la difesa della libertà religio­sa. Uomini e donne che testimoniaro­no con coraggio la loro fede contro un governo che nella propria Costituzione affermava, tra l’altro, che «L’esistenza di qualsiasi ordine e congregazione re­ligiosa resta proibito» (art. 5); «ogni cul­to è proibito fuori delle chiese, e nelle chiese il culto sarà sempre sottomes­so all’ispezione dell’autorità civile» (art. 24); «le chiese sono proprietà dello Sta­to. Tutte le associazioni religiose sono incapaci di acquistare, possedere o amministrare beni immobili». L’epopea della Cristiada annovera co­me suoi protomartiri Joaquim Silva e Manuel Melgarejo, il primo di 27 anni, il secondo di soli 17, entrambi mlitanti della Gioventù cattolica. Dopo il prov­vedimento della sospensione del culto pubblico voluto dai vescovi messicani per protestare contro le misure del go­verno, Silva aveva cominciato, insieme all’amico, a percorrere il paese e a tene­re conferenze nelle quali, grazie ad una solida cultura, una fede appassionata e una concezione della vita come milizia, sapeva accendere gli animi dell’udito­rio e spronarlo alla lotta. Domenica 12 settembre 1925, mentre si dirigevano in treno a Zamora per tenervi uno di questi incontri, vennero arrestati e condanna­ti a morte senza nemmeno un proces­so. Inutilmente Silva chiese che almeno l’amico minorenne fosse risparmiato. Entrambi furono condotti al muro, dove i soldati non riuscirono a strappare dalle loro mani le corone del Rosario. Di fron­te al plotone d’esecuzione Joaquim Sil­va tenne un discorso talmente toccante per sentimenti religiosi e patriottici, che gli stessi soldati ne furono commossi. Uno di essi si rifiutò di prender parte al­l’esecuzione, così che venne a sua volta arrestato e passato per le armi il giorno seguente. Joaquim disse con fermez­za al comandante: «Non siamo dei cri­minali, né abbiamo paura della morte. lo stesso vi darò il segnale di sparare, quando griderò viva Cristo Re, viva la Vergine di Guadalupe». Così avvenne: al grido di battaglia e di vittoria lanciato dai due giovani partì la scarica di fucile­ria che li abbattè. I corpi dei due eroi furono esposti più tardi nel cimitero: stringevano ancora tra le mani i rosari, e furono rivestiti di bianche vesti, dopo che i loro abiti in­sanguinati erano stati divisi in frammen­ti, come reliquie, tra i fedeli del paese. Tra i martiri si poterono annoverare an­che amministratori pubblici, come Luis Navarro Origel, il sindaco terziario fran­cescano della città di Peniamo, fonda­tore nella sua regione dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, di società di mu­tuo soccorso, casse rurali, sezioni del­la Gioventù Cattolica, circoli culturali, scuole di catechismo, propagatore in­stancabile dell’adorazione eucaristica notturna. Dopo quattro anni di ammini­strazione corretta e vantaggiosa per la popolazione, venne destituito di forza dal governo, prima di essere assassi­nato. Un’altra figura commovente della persecuzione fu Tomàs de la Mora, di Colima, un ragazzo di soli sedici anni, uno dei più attivi membri del locale Circolo Cattolico, che svolgeva l’attività di ca­techista tra i bambini più poveri. Il 15 agosto 1927 fu arrestato per il semplice motivo che portava uno scapolare, os­sia un pezzo di stoffa con una immagine sacra, simbolo di una confraternita reli­giosa. Il comandante della caserma gli domandò se avesse rapporti con "i fa­natici", ovvero preti, frati, cattolici e bri­ganti. «Non fanatici - rispose il ragazzo - ma liberatori della Chiesa e della Pa­tria dai tiranni». Tomàs fu allora frustato, affinchè fornisse informazioni sui ribelli, ma fu tutto inutile. Il comandante ordi­nò allora che venisse impiccato all’Albero della libertà che era stato eretto, cupo retaggio della Rivolu­zione Francese, nella piazza princi­pale della città. Un esempio di eroismo femminile è quello di Eleonora Garduno, ar­restata per complicità coi ribelli. Interrogata dal generale Ortiz, uno dei principali collaboratori di Calles, che aveva per motto "il mio dio è il diavolo", la cui figura portava tatuata sul petto, ricevette dal militare l’offerta della scarcerazione, in cambio di una docile collaborazione. La ragazza rispose: «Lei mi chiede una cosa impossibile: io con­tinuerò a lavorare finché questo governo cadrà». Anche lei finì davanti al plotone d’esecuzione. Quando portarono alla moglie dell’av­vocato Gonzales, una delle guide dell’insurrezione, il cadavere straziato del marito, la donna chiamò vicino i figli e disse: «Guardatelo, è vostro padre. È un martire della Fede. Promettetegli che anche voi sarete degni figli e continuere­te un giorno la sua opera». Accanto a questi uomini, donne e ra­gazzi, occorre ricordare il tanto sangue sacerdotale versato. Furono centinaia i sacerdoti uccisi: poveri parroci di villag­gio, giovani strappati dal seminario (con l’intenzione di "liberarli"!) monaci uccisi nei loro conventi. Fra di essi il più cele­bre è senz’altro padre Miguel Augustin Pro, gesuita, di Guadalupe, assassina­to a soli trentasette anni nel 1927, rico­nosciuto come martire dalla Chiesa il 25 settembre 1988. Ma non solo lui. Padre Elia Nieves, agostiniano: nonostante il divieto, continuò a esercitare il suo ministero, recandosi ovunque era necessario confortare, aiu­tare, amministrare i sacramenti. La poli­zia, venuta a conoscenza dei fatti, lo fe­ce pedinare e arrestare mentre, in una soffitta, celebrava la Messa. Condan­nato a morte, venne condotto sul luogo dell’esecuzione. Dopo essersi inginocchiato a pregare, si rivolse ai soldati del plotone di esecuzione: «In ginocchio, fi­gli miei. Prima di morire voglio darvi la mia benedizione». I soldati obbedirono e si inchinarono riverenti al gesto del sa­cerdote. Mentre padre Nieves tracciava il segno di croce, l’ufficiale che coman­dava il picchetto, infuriato, gli sparò al petto, uccidendolo mentre ancora benediva. A volte gli aguzzini si divertivano a infie­rire sui sacerdoti senza ucciderli; veni­vano loro tagliate le braccia per impe­dire che in futuro potessero celebrare la Messa. Don Pablo Garcia subì una sorte atroce: parroco zelante, anch’egli sfida­va le leggi e ogni pericolo. Volle celebra­re con grande solennità la festa nazio­nale di Nostra Signora di Guadalupe e il 12 dicembre raccolse il suo popolo in un luogo solitario sulla montagna di S. Juan de los Lagos. Scoperto, arrestato, venne orribilmente torturato per giorni. «La morte, ma mai tradire» ripeteva il sacer­dote, finché fu finito a colpi di pistola. Padre Davide Uribe, annoverato nel gruppo di martiri beatificati da papa Gio­vanni Paolo II, fu strappato al suo greg­ge, dopo essere stato rinchiuso in un campo di concentramento. Riuscì tutta­via ad evadere e tornò alla sua parroc­chia di Iguala, continuando ad esercita­re, in forma clandestina, il suo ministero. Finì per essere nuovamente arrestato. Il generale governativo Castrejon propose ai parrocchiani di riscattare il sacerdo­te consegnando tremila pesos. Furono raccolti immediatamente, a costo anche di enormi sacrifici, ma il parroco non fu rilasciato: si pretendeva da lui un pub­blico atto di apostasia e di adesione alla scismatica chiesa patriottica. Pabre Uri­be rifiutò decisamente e fu allora sotto­posto a lunghe torture, tra le quali il sup­plizio della graticola. La Domenica delle Palme del 1927 spirò dopo i terribili tor­menti subiti. Le sue ultime parole furono: «la morte piuttosto che rinnegare il Vicario di Cristo, lo amo il Papa! Viva il Papa!». Il suo corpo, gettato per strada, venne raccolto e gli fu data sepoltura con grandi onori. Bibliografia Papa Pio XI ha dedicato alla vicenda messi­cana tre encicliche, Iniquis afflictisque, del 18 novembre 1926, Acerba animi, del 29 settembre 1932, Firmissimam constantia, del 28 marzo 1937: cfr. Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, a.c. di Ugo Bellocchi, voli. IX e X, LEV, 2002. Jean Meyer, La Cristiada, Mexico-Madrid-Buenos Aires 1973 (3 voli.) Paolo Gulisano, «Viva Cristo Re», Il Cer­chio, 1998.</div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"><br /><strong>I martiri di Cristo Re</strong><a href="http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&new_topic=76"></a> <em></em></div><div align="justify"><em>di Paolo Gulisano</em> </div><br /><br /><div align="justify"><strong><em></em></strong></div><br /><br /><div align="justify"><strong><em>Sono i Cristeros, cattolici perseguitati che per affermare il loro diritto di vivere la fede si trovarono costretti a prendere le armi. Al grido di Viva Cristo Rey. In Messico, negli anni Venti del secolo scorso. Dominato dalla Massoneria.</em></strong> [Da "Il Timone" n. 14 Luglio/Agosto 2001] </div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify">Tra gli eventi che nel XX hanno visto per protagonisti quelli che Giovanni Paolo II chiama "i nuovi martiri", uno era finora sfuggito all’attenzione del grande pubblico: il martirio subito dalla Chiesa in Messico. Raccontiamo questa storia dimenticata, che diffficilmente si trova nei libri di storia, quella di una rivolta di coraggiosi, di contadini, maestri, impiegati, madri di famiglia, che insorsero in difesa della libertà concrete (di fede, di diritto ad un insegnamento libero, ad una socialità non soffocata dallo Stato), che combatterono contro il genocidio culturale: l’epopea dei Cristeros. Prima della celeberrima rivoluzione avvenuta agli inizi del XX secolo, il Messico aveva conosciuto, nello spazio di cinquant’anni, settantadue colpi di stato e trentasei costituzioni: la corsa al potere era continua e avveniva nel crepitio delle fucilate. Tra i vari litiganti chi seppe trarre profitto fu l’Amministrazione Statunitense, appoggiando di volta in volta gli ambiziosi contendenti e soffiando sul fuoco della discordia. Fin dai primi anni della loro indipendenza gli Stati Uniti rivolsero particolare attenzione alle ricchezze dell’ex-colonia spagnola. Ai primi dell’Ottocento incorporarono la Louisiana e la Florida, e oltre ai commerci vi impiantarono ben presto un’aggressiva attività missionaria protestante, allo scopo di "delatinizzare" quelle regioni la cui popolazione era quasi interamente cattolica. A metà del secolo, gli USA crearono un incidente diplomatico col Messico, a cui fece seguito una breve ed intensa guerra di annessione: a bandiera a stelle e strisce sventolò così in tre nuovi stati - il Texas, la California, il New Mexico - un territorio enorme e dalle immense risorse naturali. Fu sempre Washington ad appoggiare le rivolte che servivano a sbarazzarsi di uomini divenuti non graditi, sostituendoli con personaggi più malleabili, che appena giunti al potere si affrettavano a rilasciare concessioni minerarie a importanti compagnie americane per lo sfruttamento di oro, platino, mercurio, rame, ferro, carbone e argento. Per lo più, alla vigilia della prima Guerra Mondiale, una nuova scoperta, quella del petrolio, accentuò l’interesse nord-americano per i territori al di là del Rio Grande. Scoppiata la Rivoluzione nel 1910, una serie di ditattori si susseguì al potere: dapprima Carranza, autore nel 1917 di una Costituzione ferocemente anti-cattolica, e quindi Obregone Callas, eletti coi voti del 2% della popolazione. La Rivoluzione, inizialmente sostenuta dalla sollevazione dei peones, che sognavano una più equa riforma agraria e che erano animati da un profondo sentimento religioso, finì in realtà per porre a capo della nazione messicana una classe dirigente massonica che diede il via ad una massiccia opera di scristianizzazione della società. Il generale Plutarco Calles fu il principale protagonista dell’opera di persecuzione. Nato negli USA, fu l’esponente di quell’ideologia apparentemente contradditoria - un misto di liberismo e leninismo, di giacobinismo e autoritarismo pragmatico - che diede i fondamenti ideologici e pratici al "Partido Revolucionario lnstitutional". Il collante di tale composita ideologia fu l’appartenenza massonica dei suoi seguaci e un nemico da abbattere con odio determinato: la Cbiesa Cattolica. La persecuzione religiosa raggiunse il suo vertice con la "Legge Calles" del 14 giugno 1926, con la quale la Chiesa Cattolica, che rappresentava non solo la religione del popolo messicano, ma la sua stessa anima e identità culturale e nazionale, tu privata di tutti i diritti. I vescovi messicani, sostenuti da Papa Pio Xl, ordinarono di chiudere al culto le chiese, dal momento che ne andava della vita stessa dei sacerdoti e della libertà del popolo di Dio. Cominciò a scorrere il sangue dei martiri, I cattolici perseguitati trovarono il coraggio di manifestare pubblicamente la propria fede, affrontando dapprima la repressione poliziesca e quindi quella militare. Calles impose aqli impiegati cattolici una scelta: rinunciare a Cristo o perdere il posto. Su 400 maestri di Guadalajara, ben 389 preferirono essere destituiti piuttosto che rinnegare la fede. Mentre le prigioni andavano riempiendosi sempre più, i cattolici costituitisi nella "Lega per la difesa della libertà religiosa", continuarono la battaglia civile e non violenta con il boicottaggio nei confronti dello Stato: acquistare solo lo stretto necessario, disertare teatri e luoghi di divertimento, rinunciare a viaggi, ritirare i depositi dalle banche. Il boicottaggio venne propagandato dai giovani attivisti in vari modi e in ogni parte del paese e la risposta violentissima del regime non si fece attendere: le detenzioni vennero sostituite dalle esecuzioni sommarie. Il generale Gonzales, comandante delle truppe della regione di Michoacan, emise questo decreto in data 23 dicembre 1927: "Chiunque farà battezzare i propri figli, o farà matrimonio religioso, o si confesserà, sarà trattato da ribelle e fucilato". A Citta del Messico, in tutta risposta, convennero folle di pellegrini da ogni parte della nazione, a ricordo del primo Congresso Eucaristico Nazionale, tenutasi nel 1924 con grande successo, nonostante le restrizioni governative, e sulla cima del Cubilete, centro geografico della nazione, per la prima volta venne lanciato il grido fatidico, segnale di riscossa e di insorgenza, che doveva diventare il grido dei martiri davanti ai plotoni di esecuzione o alle forche di questa nuova Vandea: "Viva Cristo Re!". Ma dì fronte agli arresti, alle confische, ai campi di concentramento, agli stupri e agli eccidi, consumati nell’indifferenza internazionale, rotta solo dalle vibranti proteste del Vaticano, i cattolici si trovarono senza altra alternativa, dopo la testimonianza, il boicottaggio e la resistenza passiva, che prendere le armi: divennero soldati, soldati di Cristo Re o, come venivano sprezzantemente definiti dai nemici, "Cristeros". L’11 gennaio 1927 fu proclamato il Manifesto alla nazione detto "de los Altos" e nacque l’Esercito Nazionale dei Liberatori. Il programma politico prevedeva la restaurazione di tutte le libertà soppresse. L’esercito si organizzò disponendo unicamente del sostegno dei volontari e della popolazione civile. Le colonne si spostavano continuamente in una tattica di guerriglia. L’armata era composta di giovani, contadini e operai, studenti e impiegati, animati e uniti da uno spirito ammirevole: alla sera, prima di addormentarsi, i Cristeros cantavano l’inno "Tropas de Maria". Quando era possibile si conservava il Santissimo, e i soldati si davano il cambio ogni quarto d’ora per L’adorazione. I capi portavano la croce sul petto e i soldati l’immagine della Vergine di Guadalupe; prima di dare battaglia, tutti si facevano il segno della croce e poi si battevano al grido di "Viva Cristo Re". Lo spazio non ci consente di elencare i tanti protagonisti dell’eroica insurrezione, i valorosi e i martiri, alcuni dei quali, sotto il pontficato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Padre Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo. Fu una Vandea, abbiamo detto, ma con una conclusione diversa: il desiderio di vedere cessare definitivamente le sofferenze del popolo messicano portò l’Episcopato a siglare accordi con il governo. Il 29 giugno 1929, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, le chiese del Messico si riaprirono al culto, e le campane tornarono a suonare nel paese: vennero celebrate Messe ovunque, tra l’entusiasmo della popolazione. I Cristeros deposero le armi: discesero dai monti, sciolsero i battaglioni che per tre anni avevano tenuto testa alle truppe governative, e tornarono ai loro villaggi e alle loro città. La gioia per il ritorno della pace si accompagnò però nei loro cuori all’amarezza per la mancata vittoria: i nemici di sempre rimanevano ai loro posti di comando e la tregua, così frettolosamente raggiunta. sapeva di compromesso. Molti esponenti dei Cristeros si sentirono traditi: non era stato firmato un accordo, ma una resa. Numerosi membri del clero e laici noti per il loro impegno antigovernativo vennero esiliati e molti Cristeros, appena deposte le armi, furono arrestati e fucilati. Non pochi paesi che avevano dato loro ospitalità vennero saccheggiati e i sacerdoti ritornati nelle loro parrocchie divennero bersagli dell’ostilità governativa. Prese il via un’opera più raffinata e meno cruenta di marginalizzazione dell’identità religiosa e culturale del popolo messicano. Secondo il filosofo argentino Alberto Caturelli, "il popolo messicano è il prototipo di una comunità martire, della cui testimonianza partecipano tutti i popoli della iberoamerica. Popolo di Cristo Re la cui epopea cristiana ha consacrato tanti messicani come testimoni del Testimone". Impossibile immaginare una gloria maggiore: a noi il dovere dl. non soccombere alla maledizione della dimenticanza. </div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify">Bibliografia Paolo Gulisano, Viva Cristo Re! Cristeros: il martirio del Messico 1926-29. Il Cerchio, Rimini 1999. L. Zilliani, Messico Martire, Soc. Ed. S. Alessandrino, Bergamo 1935. Vandea e Messico, Edizioni Centro Grafico Stampa, Bergamo 1993. </div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"><strong><em>Cronologia</em></strong> · Dicembre 1916: attraverso elezioni manipolate, Carranza diventa Presidente del Messico. Egli si appoggia al liberalismo giacobino, al protestantesimo nordamericano e alla massoneria. Sì inaugura la serie di governi anticattolici che domineranno il Messico per tuffo il secolo XX. · 5 febbraio 1917: viene approvata la nuova Costituzione massonica. La Costituzione proibisce l’insegnamento religioso, spoglia la Chiesa di tutti i suoi beni, limita il numero dei sacerdoti e l’esercizio del loro ministero, nega alla Chiesa personalità giuridica, vieta ai sacerdoti di avere proprietà, di votare, ereditare, ma li obbliga al servizio militare. Nel biennio successivo, undici tra arcivescovi e vescovi vengono esiliati negli USA, due a Cuba, altri in Europa. Centinaia di sacerdoti e religiosi vengono cacciati e duemila scuole cattoliche vengono chiuse. · 1920: un colpo di Stato militare depone Carranza. lì generale Alvaro Obregòn (1880-1928) è il nuovo presidente. · 1924: Scaduto il mandato presidenziale di Obregòn, inizia la "staffetta" con Plutarco Elias Calles. · 21 aprile 1926: una lettera pastorale dei vescovi messicani accusa il governo di voler "annichilire il cattolicesimo", aprire le porte ai Protestanti e favorire la Massoneria. · 14 giugno 1926: viene emanata la "legge Calles", che restringe ancor di più la libertà religiosa. · 31 luglio 1926: per la prima volta, dopo più di 400 anni, i vescovi decidono di sospendere il culto pubblico in tutte le chiese del Messico. Si vive come in un lutto nazionale. · Agosto 1926: si contano sei rivolte in diverse zone del Paese e numerose proteste di piazza. La rivolta dei Cristeros è iniziata. Dopo un anno, i Cristeros in armi sono circa 25.000. · 18 novembre 1926: nell’Enciclica Iniquis afflictisque, Papa Pio Xl richiama l’attenzione della Chiesa universale sulla "paurosa situazione" dei cattolici messicani. · 21 giugno 1929: i vescovi Ruiz Flòres e Pascual Diaz firmano con il Presidente ad interim Emilio Portes Gil un modus vivendi che pone fine agli scontri. lì 29 giugno si riaprono le chiese. Ma la persecuzione continua. Nel 1935 si contano in Messico poco più di 300 sacerdoti, sugli oltre 4.000 presenti all’inizio della rivolta. In 17 Stati non si tollera la presenza di alcun sacerdote. La cristiada era costata la morte di 30.000 cristeros a cui vanno aggiunti 150.000 morti tra il popolo e quasi 40.000 caduti dell’esercito governativo. </div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"><br /><strong>Cristeros</strong><a href="http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&new_topic=76"></a> </div><div align="justify"><em>di Vittorio Messori</em> [Da "Le cose della vita", San Paolo, Milano 1995] </div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify">Se ne leggono (e se ne sentono) di tutti i colori sui cinquecento anni dalla scoperta dell’America. La ricorrenza ha generato un fiume di parole, dove si mescolano verità e leggende, intuizioni profonde e slogan superficiali. Ciò che più rattrista è l’atteggiamento di certi religiosi - soprattutto dell’emisfero Nord, europeo e americano - che, pur spiazzati dal crollo subitaneo di quel marxismo che avevano abbracciato con entusiasmo di convertiti, continuano ad applicarne le fallaci quanto disastrose categorie interpretative. Ci sono addirittura frati e suore che pubblicamente deprecano che i missionari cristiani abbiano "rovinato" quelle belle idolatrie precolombiane, quei feticismi feroci che - come nel caso degli Aztechi - avevano a base indispensabile il sacrificio umano di massa. Stando a questi religiosi, molto meglio se quei popoli non fossero entrati in contatto con la pericolosa mania dei loro confratelli di un tempo di considerare importante l’annuncio di Cristo e del vangelo. Ma, nella massa dello sciocco, del falso, del noncristiano (anche se sostenuto da chi come "cristiano" si presenta: e più di ogni altro, in quanto presunto "difensore degli oppressi"), si distinguono alcune pubblicazioni che meritano attenzione. Tra le altre, la traduzione, edita dalla Ares, dell’opera di Alberto Caturelli, prestigioso docente di filosofia nell’università argentina di Cordoba. Il libro - dal titolo Il nuovo mondo riscoperto - è uno straordinario impasto di metafisica, di storia e di teologia; ne è uscita una riflessione felice e illuminante, perché guarda a ciò che avvenne nelle Americhe nella linea di una "teologia della storia" che ormai da troppo tempo manca ai credenti, con il risultato di renderli insignificanti. È una sorte alla quale cerca di reagire anche Jean Dumont, con il suo piccolo, denso, nervoso libro provocatoriamente "cattolico" sin dal titolo: Il vangelo nelle Americhe. Dalla barbarie alla civiltà. La traduzione italiana è pubblicata in queste settimane dalle Edizioni Effedieffe, le stesse di cui già parlammo qui (frammento 95) per la coraggiosa traduzione del pamphlet sulla rivoluzione francese dello stesso Dumont e dell’implacabile Il genocidio vandeano di Reynald Secher. È Jean Dumont che ai "nuovi" cattolici in vena masochistica, a quei credenti che giudicano l’epopea dell’annuncio della fede nelle terre americane solo come una guerra di massacro e di conquista travestita da pseudo-evangelizzazione, è Dumont, dunque, che ricorda il caso troppo spesso dimenticato del Messico. Sono avvenimenti di pochi decenni fa, eppure sembrano sepolti da una cortina di oblio e di silenzio. Ecco tanti preti e frati ripeterci per l’ennesima volta le atrocità, vere o presunte che siano, dei Conquistadores del XVI secolo e tacere ostinatamente, al contempo, sui Cristeros del XX secolo. Un silenzio non casuale, perché proprio i Cristeros, con quella loro folla di martiri indigeni, sono una smentita dello schema che vorrebbe forzata e superficiale l’evangelizzazione nella Ibero-America. Vediamo, dunque, di rinfrescarci un poco la memoria. Come già ricordammo in "puntate" che dedicammo alla "leggenda nera" antispagnola, all’inizio dell’Ottocento la borghesia "creola", quella cioè di origine europea, combatté per liberarsi dalla Corona di Spagna e dalla Chiesa e per avere così mano libera nello sfruttamento degli indios, senza più l’impaccio dei governatori di Madrid e dei religiosi. È un "movimento di liberazione" (ma solo per i privilegiati bianchi) che si raccoglie attorno alle logge massoniche locali, aiutate dai "fratelli libero-muratori" di quel Nord America anglosassone che proprio in questo modo comincia il suo spietato processo di colonizzazione del Sud "latino". *Le nuove caste al potere nelle antiche province spagnole mettono in atto una legislazione anticattolica, scontrandosi con la resistenza popolare, costituita in maggioranza proprio da quegli indios o da quei meticci che - secondo lo schema attuale sarebbero stati battezzati a forza e non vedrebbero l’ora dì tornare ai loro culti sanguinari. Per stare al Messico, le leggi "giacobine" e la prima insurrezione "cattolica" si verificano tra il 1858 e il 1862. All’inizio del nostro secolo, poi, il giacobinismo liberale si allea al socialismo e al marxismo locali, tanto che "tra il 1914 e il 1915 i vescovi furono arrestati o espulsi, tutti i sacerdoti furono imprigionati, le suore cacciate dai conventi, il culto religioso proibito, le scuole religiose chiuse, le proprietà ecclesiastiche confiscate. La costituzione del 1917 legalizzò l’attacco alla Chiesa e la radicalizzò in modo intollerabile" (Felix Zubillaga). È da notare che quella costituzione (ancora oggi in vigore, almeno formalmente: nei suoi viaggi in Messico Giovanni Paolo II fu chiamato dalle autorità sempre e solo señor Wojtyla) non fu sottoposta all’approvazione del popolo. Il quale non solamente non l’avrebbe approvata, ma dimostrò subito come la pensasse: prima con la resistenza passiva e poi prendendo le armi, in nomedella dottrina cattolica tradizionale che riconosce lecito resistere con la forza a una tirannia insopportabile. Cominciava l’epopea dei Cristeros, detti così con spregio perché, davanti ai plotoni di esecuzione, morivano gridando: ¡Viva Cristo Rey! ¡Viva Cristo y Nuestra Señora de Guadalupe! Gli insorti che (come i loro fratelli vandeani) militavano sotto le bandiere col Sacro Cuore, giunsero a schierare 200.000 uomini armati, appoggiati dalle Brigadas Bonitas, le brigate femminili per la sanità, la sussistenza, le comunicazioni. La guerra divampò tra il 1926 e il 1929, e se il governo fu costretto alla fine a un compromesso (e se i bandoleros cattolici dovettero, malgrado i successi, obbedire a malincuore all’ordine della Santa Sede di deporre le armi), lo si deve al fatto che la resistenza alla scristianizzazione aveva coinvolto in profondo tutte le classi sociali: dagli studenti agli operai, dalle casalinghe ai contadini. Anzi, per dirla con uno storico imparziale, "non ci fu un solo campesino che, direttamente o indirettamente, non appoggiasse i Cristeros". A differenza delle rivoluzioni marxiste, che in nessuna parte del mondo e mai neppure in America Latina - riuscirono a coinvolgere davvero il popolo (lo si vide, tra l’altro, in Nicaragua, quando al popolo si diede voce), la Cristiada messicana fu un movimento profondamente, autenticamente popolate. Uomini e donne di ogni ceto si fecero massacrare, a centinaia, pur di non rinunciare al Cristo Rey e alla devozione per la gloriosa Madonna di Guadalupe, madre di tutta l’America iberica. Cadde fucilato, tra gli altri, quel padre Miguel Agustin Pro che il papa ha beatificato nel 1988. La più eroica delle resistenze fu proprio quella degli indios del Messico centrale che era stato la culla degli Aztechi e dei loro foschi culti; mentre la casta dei sin Diòs i "senza Dio" al governo venivano dalle regioni del Nord, scarsamente cristianizzate a causa della soppressione, nel Settecento, delle missioni dei gesuiti. Questa lotta dei Cristeros a difesa della loro fede fu tra le più coraggiose della storia ed è continuata, anche se in forme meno cruente, sino ai giorni nostri. Malgrado dal 1917 viga in Messico la costituzione "atea", forse in nessun altro luogo Giovanni Paolo II ha avuto accoglienze di massa più sinceramente festose. E nessun santuario al mondo è più affollato di quello di Guadalupe. Come spiegano questa fedeltà coloro che ci vorrebbero convincere di una evangelizzazione forzata, di una fede imposta usando il crocifisso come una clava? </div><br /><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify">* Cfr. Pensare la storia, pp. 658ss. </div><br /><br /><div align="justify"></div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-3673350580127180462007-08-18T11:26:00.000+02:002007-08-18T12:44:50.348+02:00Carlo d'Asburgo: l'ultimo Imperatore Santo. Esempio per chi ha responsabilità politiche in Europa<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgym8prOkP8Pl6Q9caWocffYFb-VFSfmmHLmKdLvv2w0smGoOJ1VAaaHMtt5HQa1Xiqfg6PhpVwdEcWHwhUOAEkTKTkcpY1a_OutGHwgF7WJ1faRTXfDQLGNR_OSkeseQMVPfQ3NXDahT2E/s1600-h/Carlo+d"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5099970530687729650" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgym8prOkP8Pl6Q9caWocffYFb-VFSfmmHLmKdLvv2w0smGoOJ1VAaaHMtt5HQa1Xiqfg6PhpVwdEcWHwhUOAEkTKTkcpY1a_OutGHwgF7WJ1faRTXfDQLGNR_OSkeseQMVPfQ3NXDahT2E/s320/Carlo+d%27Asburgo+Spada.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"></div><div align="justify"><em>Pubblichiamo alcuni articoli su Carlo d'Asburgo, ultimo imperatore austro-ungarico beatificato da Giovanni Paolo II. Nel Corso dell'omelia di beatificazione, 3 ottobre 2004, il Santo Pontefice lo definì «un esempio per chi ha responsabilità politiche in Europa». Questo esempio viene seguito oggi dai nostri politicanti? I cosiddetti cattolici di destra e sinistra? Gli Asburgo e la figura del Beato Carlo vengono oggi ridicolizzati e sottovalutati, perchè veri governanti cattolici, da tanta stampa liberal-massonica; quella stessa massoneria che si adoperò per la distruzione dell'ultimo impero cattolico (cfr. "Avvenire", 1° ottobre 2004, p. 19) con la prima e disastrosa guerra mondiale e che oggi imperversa nella nostra società. Carlo si oppose invano alla guerra."Un esempio per chi ha responsabilità politiche in Europa" e questo vale tanto al laicismo degli "atei devoti" quanto al capital-comunismo globale. In una società da vitello d'oro, in cui satana sciolto dalle catene pretenderà sempre più diritto, con il suo falso potere, sulle anime e la libertà dei popoli ricordiamoci quanto detto da Don Ivo Cisar durante la predica-panegirico alla messa in onore del beato Carlo d'Asburgo, Lucinico-Gorizia, 23 ottobre 2004 sulla monarchia cristiana: "</em> <em>Se si intende la democrazia falsamente come un potere residente nel popolo che lo delega ai governanti, questi vengono autorizzati a fare quel che "piace al popolo" e la politica finisce in corruzione; ma la democrazia è solo un modo di designare il soggetto del potere che proviene da Dio (Rm 13,1), e quindi deve essere esercitato secondo la legge divina. Pertanto il sistema politico migliore non è una "democrazia" in cui il popolo corrotto elegge governanti corrotti che assecondano demagogicamente le sue voglie, ma la monarchia cristiana che osservando le leggi di Dio persegue il vero bene comune di tutti." Chi vuole intendere intenda! Noi preghiamo il Beato Carlo d'Asburgo e la Vergine Maria affinchè veglino e ci aiutino in questo momento decisivo della storia del mondo e dell'Europa.</em></div><div align="justify"><em></em></div><div align="justify"><em></em></div><div align="justify"><em>Federico Intini</em></div><div align="justify"><em>Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa</em></div><div align="justify"></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>Carlo d'Asburgo. L'ultimo Imperatore cattolico</strong></div><div align="justify"></div><div align="justify"><br /><em>A Carlo d’Asburgo imperatore d’Austria e re d’Ungheria sono state riconosciute le virtù eroiche. Regnò negli anni della Grande Guerra, l’inutile strage che Carlo cercò di fermare senza successo e che portò al tramonto definitivo di quel che restava del Sacrum Imperium</em><br /></div><div align="justify">di <em>Paolo Mattei</em></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify">È un giorno di primavera del 1922 a Funchal, sull’isola portoghese di Madeira. Nella cattedrale di Nossa Senhora do Monte 30mila persone assistono al funerale di un re trentaquattrenne. L’uomo, che era stato imperatore tra le prime macerie fumanti del secolo scorso, era morto povero ed esule in quell’isola dell’Atlantico tra le braccia dell’imperatrice sua moglie, il 1 aprile di quell’anno. La folla che si assiepa fuori e dentro la chiesa e la maggior parte degli isolani lo considerano un santo. Il suo nome era Carlo, Carlo I, imperatore d’Austria e re d’Ungheria. Nelle ultime ore, ai dottori che tentavano invano di curargli la grave polmonite, chiedeva scherzando: "Comment allez-vous? Moi je vais bien!". Ha il volto sereno, l’illustre ospite dell’isola, e la gente è là per salutare un’ultima volta l’uomo che per cinque mesi ha confortato con la sua presenza le loro vite. Il vescovo di Funchal dirà qualche tempo dopo a un prete austriaco: "Nessuna missione ha concorso così efficacemente a ravvivare la fede nella mia diocesi quanto l’esempio che diede il suo imperatore nella sua infermità e nella sua morte". Lo scorso aprile, ottantuno anni dopo quel giorno di primavera, alla presenza del Papa, gli sono state riconosciute le "virtù eroiche", primo passo sulla via della beatificazione. Nella notte prima di morire, Carlo aveva sussurrato alla moglie: "Tutta la mia aspirazione è sempre di conoscere il più chiaramente possibile in tutte le cose la volontà di Dio e di eseguirla, e precisamente nella maniera più perfetta". Era un’aspirazione che lo aveva accompagnato durante tutti i giorni della sua vita. La carriera di un imperatore Nato a Persenbeug sul Danubio, nella Bassa Austria, il 17 agosto 1887, Carlo era il primogenito dell’arciduca d’Austria Ottone Francesco — nipote di sua altezza imperiale e reale Francesco Giuseppe — e di Maria Giuseppina, nata principessa di Sassonia. Come ogni rampollo della sua stirpe, fu indirizzato all’apprendimento delle varie lingue parlate nell’Impero, allo studio della musica, ai corsi ginnasiali e liceali, presso l’abbazia benedettina degli "Schotten" a Vienna, e agli studi universitari, con indirizzo giuridico, a Praga. Nel 1911 sposò Zita dei Borboni di Parma. Il matrimonio fu benedetto da papa Pio X il quale, in un’udienza privata a Zita, preconizzò per il consorte il futuro di imperatore e le rivelò che le virtù cristiane di Carlo sarebbero state un esempio per tutti i popoli. Dal matrimonio nacquero 8 figli, l’ultimo dei quali venne alla luce dopo la morte di Carlo. La carriera militare prese il via nel 1903 e terminò nel 1916, quando salì al trono. Carlo era infatti diventato principe ereditario alla morte dello zio Francesco Ferdinando, il cui omicidio, scintilla della grande deflagrazione bellica, si consumò il 28 giugno 1914. Pio X, subito dopo l’assassinio dell’arciduca a Sarajevo, inviò a Carlo, attraverso un alto funzionario vaticano, una lettera in cui lo pregava di far presente a Francesco Giuseppe il pericolo di una guerra che avrebbe portato immane sventura sull’Austria e su tutta Europa. Ma il contenuto dell’epistola venne conosciuto da chi brigava per favorire gli eventi bellici, e il funzionario vaticano fu bloccato alla frontiera italiana. Carlo si vide recapitare la missiva molto tempo dopo, in pieno conflitto, quando era ormai troppo tardi per scongiurarlo. Due anni dopo l’inizio delle ostilità, alla morte del prozio Francesco Giuseppe, Carlo divenne imperatore col nome di Carlo I: era il 21 novembre 1916. Il successivo 30 dicembre fu incoronato nella chiesa di Santo Stefano, cattedrale di Budapest, re apostolico d’Ungheria col nome di Carlo IV: la dualità della monarchia austroungarica risaliva al 1867, allorché, col riconoscimento dell’autonomia ungherese, i territori dell’Impero furono divisi in due blocchi: la Cisleitania, sotto l’amministrazione austriaca, e la Transleitania, sotto l’amministrazione ungherese. Le Costituzioni, i governi e i presidenti dei Consigli erano distinti, mentre le due parti conservavano in comune l’imperatore — imperatore d’Austria e re d’Ungheria — e i Ministeri degli Esteri, delle Finanze e della Guerra. Carlo ereditava una potenza in crisi e in declino: l’Austria-Ungheria era infatti già provata dall’espansione della Germania e dalle sconfitte subite da parte dell’Italia nel corso delle guerre d’indipendenza, e ora si vedeva minacciata anche nei suoi territori balcanici. Inoltre, dopo le prime vittoriose battaglie, le truppe imperiali erano malmesse. Se per quanto riguarda l’inizio del conflitto è vero quel che annota lo storico Victor Tapié (Monarchia e popoli del Danubio, Torino 1993), cioè che "l’esercito austroungarico si batté con un’energia costante e che, qualunque fosse la sua origine etnica, il soldato, legato da un sentimento personale di fedeltà, che non prendeva alla leggera, diede prova di sopportazione e di coraggio", è anche vero che già alla fine del 1915 la stanchezza e le perdite di vite umane avevano quasi preso il sopravvento. Metà dell’esercito regolare — male equipaggiato, tecnologicamente arretrato, insufficientemente finanziato — fu eliminata già nei combattimenti del 1914. Le sorti della guerra per gli austroungarici dipendevano interamente dalla potenza alleata tedesca. Carlo giunse al fronte il 10 settembre 1914, in Galizia, e chiese subito di poter visitare, a nome dell’imperatore, le truppe in prima linea. Si recava a trovare i soldati in tutti i settori dei vari fronti, decorava gli ufficiali meritevoli e forniva a Francesco Giuseppe rapporti non falsati sulla situazione militare, non nascondendogli che il conflitto, col passare dei mesi, si andava trasformando in una carneficina senza precedenti. I fanti erano mandati al massacro con la folle tattica degli attacchi frontali all’arma bianca. Carlo assunse il comando del XX Corpo nel 1916, l’anno degli eccidi di Verdun, della Somme e delle prime nove battaglie dell’Isonzo; l’anno della comparsa sui campi di battaglia dei carri armati inglesi. Il suo operato fu decisivo per sconfiggere la Romania e per arrestare l’avanzata, sul fronte orientale, dei russi comandati dal generale Brusilov. Intraprese l’offensiva sul fronte italiano che culminò con la vittoria di Folgaria. Ma le macerie e gli stermini di quei vittoriosi scontri gli erano insopportabili. I tentativi attuati da Carlo per avviare trattative di pace ebbero inizio proprio nel momento in cui l’Alleanza austrotedesca raccoglieva i successi più significativi. Parlando al ministro degli Esteri austriaco, conte Berchtold, gli disse che non capiva come si potesse continuare "a non fare ancora nessun programma per la pace. In ogni caso, sia che, se Dio vuole, si vinca, sia che si vada verso la sconfitta, bisogna fissarlo con i diversi alleati. Io non posso e non voglio essere pessimista". Da allora, per trovare una soluzione pacifica a quella tragica guerra, il futuro imperatore non fece altro che battere tutte le possibili strade diplomatiche. E continuò a percorrere pure quelle vere, che si inerpicavano tra le trincee delle prime linee. Nella Positio super virtutibus sono raccolte le testimonianze su piccoli episodi accaduti in questi frangenti. Si legge che "logorò totalmente, recitandolo in segretezza, il rosario d’oro che portava sempre con sé, così che in seguito la giovane arciduchessa dovette procurargliene uno nuovo". È raccontato di quando salvò la vita ad un suo sottoposto che stava per annegare nell’Isonzo in piena. È registrata la deposizione del cappellano Rodolfo Spitzl che, lungo la strada della val d’Astico verso Arsiero, durante una marcia forzata della truppa, vide il futuro imperatore occuparsi personalmente di un soldato il quale, per le piaghe, non riusciva più a camminare: "Non credo", disse Carlo all’ufficiale medico, "che lei ed io avremmo marciato con simili piedi così a lungo come quest’uomo. Provveda al più presto ch’egli parta per un convalescenziario". Padre Spitzl racconta di come lo vide tranquillizzato quando seppe "che nel reggimento si dava poca importanza alle "funzioni religiose di parata" e che si cercava innanzitutto di procurare almeno una volta al mese ad ogni suddivisione — anche in posto di combattimento — l’occasione di ascoltare la santa messa e ricevere i santi sacramenti". Sono anche questi piccoli episodi a dare un’idea della fede di Carlo. E del carattere fermo con cui si faceva obbedire. Ad esempio quando si oppose all’uso dei gas letali contro il nemico, contestando l’ordine del capo di Stato maggiore tedesco Hans von Seeckt che li voleva adoperare sul fronte orientale. Oppure quando si batté contro l’impiego dei sottomarini per colpire le città nemiche che si affacciavano sull’Adriatico, in primo luogo Venezia. <strong><br /></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>Dalla "guerra di potenza" alla "guerra metafisica"</strong> </div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify">Da imperatore, Carlo assunse automaticamente il comando supremo di tutte le sue truppe. Tra le sue prime decisioni, ci fu il trasferimento della sede del comando supremo da Teschen a Baden, vicino a Vienna, così che gli sarebbe stato più facile esercitare i compiti politici e militari. Ma trascorse più giorni al fronte che a Baden perché partecipava alla vita delle truppe recandosi continuamente nelle prime linee per le ispezioni; riceveva rapporti diretti da tutti i comandanti, che conosceva personalmente; si trovò ripetutamente sotto la grandine degli shrapnel dei campi di battaglia. E tra il 1916 e il 1918 mise in atto con ancor più ostinazione tentativi per far cessare le ostilità, tanto che i tedeschi lo accusarono di viltà, perché conoscevano solo una "pace vittoriosa". Proprio per attuare la sua politica, Carlo nominò nuovi ministri scegliendoli tra le persone che non avevano tramato per favorire la guerra. L’imperatore sapeva anche che la pace sociale del suo Paese era condizione fondamentale e necessaria per giungere alla pace mondiale. Per questo istituì un Ministero per l’Assistenza sociale e uno per la Salute pubblica, abolì la pratica del duello e concesse nel 1917 l’amnistia generale. Anche la questione dei nazionalismi che infiammavano il Regno metteva a rischio la pace interna e allontanava quella internazionale. Ecco perché progettò uno Stato su base federalistica, volendo realizzare il proposito di Francesco Ferdinando. François Fejtó´ nel libro Requiem per un impero defunto (Milano 1990), spiega che, come immaginato da Francesco Ferdinando, Carlo "avrebbe voluto eliminare dalla Costituzione ungherese tutto quel che avrebbe potuto frapporsi come ostacolo a eventuali concessioni ai serbi e a tentativi di trasformare il dualismo. Si proponeva anche di dare soddisfazione agli autonomisti cechi, che, come altri slavi e, in generale, tutte le forze pacifiste della monarchia — in particolare i socialisti —, erano stati incoraggiati dai segni precursori della rivoluzione russa del febbraio 1917". Ma una prospettiva federalista, con annesso suffragio universale, non poteva piacere all’aristocrazia magiara al potere in Ungheria. Leo Valiani, nel libro La dissoluzione dell’Austria-Ungheria (Milano 1966), spiega che alle "riforme democratiche, che avrebbero dovuto garantire la monarchia dallo sfacelo, nel caso di una pace che avrebbe comunque significato una confessione di sconfitta militare, si opponevano a priori sia la maggioranza del Parlamento ungherese, sia i partiti austrotedeschi del Reichsrat, ad eccezione dei soli socialdemocratici". In sede internazionale Carlo vedeva nelle relazioni con la Francia la possibilità più concreta per accordarsi sulla pace. Così scrisse al presidente della Repubblica Poincaré, il 24 marzo 1917, in una missiva segreta: "Sono particolarmente felice di constatare che, benché ci si trovi attualmente in campi avversi, nessuna fondamentale differenza di prospettiva o di aspirazioni divide il mio Impero dalla Francia; credo di essere in diritto di sperare che la viva simpatia che nutro per la Francia, sostenuta dall’affetto che essa ispira a tutta la monarchia, impedirà per sempre il ritorno a uno stato di guerra, per il quale declino ogni personale responsabilità". Grazie a questa vicinanza, nel 1917 il principe Sisto di Borbone — cognato di Carlo, discendente dei re francesi, decorato da Poincaré con la croce di guerra al valore — iniziò a condurre assieme a Carlo una trattativa diplomatica tra Francia e Impero. Trattativa che doveva essere mantenuta segreta per non destare sospetti tra i tedeschi. Carlo naturalmente aveva a cuore una pace da raggiungersi assieme alla Germania, ma non escludeva che, se il Kaiser non avesse accettato una eventuale positiva via d’uscita dal conflitto (che aveva come condicio sine qua non la restituzione alla Francia dell’Alsazia-Lorena e la libertà dei Paesi invasi), l’Austria avrebbe fatto parte a sé, staccandosi dall’Alleanza e firmando una pace separata. Questo esperimento andò a monte, oltre che per la difficoltà a trovare un accordo definitivo sui territori rivendicati dall’Italia, soprattutto per l’atteggiamento irresponsabile del ministro degli Esteri austriaco Ottokar Czernin. Lo storico Gordon Brook-Shepherd nel libro La tragedia degli ultimi Asburgo (Milano 1974) individua nella nomina del ministro degli Esteri un errore fondamentale compiuto da Carlo, perché Czernin non aveva mai cercato la pace, ed era un amico incondizionato di quei tedeschi desiderosi che la guerra non terminasse se non dopo la loro vittoria totale. Infatti, Czernin, nel 1918, fece in modo che il presidente del Consiglio francese Clemenceau rivelasse al mondo il segreto negoziato imperiale sulla pace separata, mettendo così a rischio la vita dell’imperatore e la sicurezza dell’Austria nei confronti della Germania. Carlo fu costretto ad una pubblica marcia indietro. Era la vittoria di coloro che, spiega Fejtó´, avevano "l’ossessione di una vittoria totale […]. Nel corso della guerra — che si impantanò più di una volta su dei punti morti, dai quali si usciva tradizionalmente con il negoziato o il compromesso — si presentò un’idea inedita: quella della vittoria totale, a tutti i costi. Si trattava non più di costringere il nemico a cedere, a indietreggiare, ma di infliggergli delle piaghe incurabili; non più di umiliarlo, ma di distruggerlo. Questo concetto della vittoria totale condannava a priori al fallimento qualunque ragionevole tentativo di mettere fine, con un compromesso, a un inutile massacro. Cambiò la guerra non soltanto "quantitativamente", ma anche, per adoperare il concetto hegeliano, qualitativamente. L’idea non era nata soltanto per l’esasperazione dei capi militari di fronte al fallimento o alla paralisi di battaglie che essi avevano ritenuto decisive. Né proveniva dai gabinetti dei diplomatici, dalle cancellerie. Sembrava levarsi dalle profondità popolari. Aveva un accento quasi mistico. Era ideologica. Consisteva nel demonizzare il nemico, fare della guerra di potenza una guerra metafisica, una lotta fra il Bene e il Male, una crociata". La vittoria di questa idea fu così ricordata da Augusto Del Noce in un appunto inedito: "Il rifiuto della complicità con il male coincise per me con la "fuga senza fine" davanti a quel che mi appariva il male, la progressiva distruzione di quanto restava del Sacrum Imperium. La fedeltà all’impegno dell’agosto 1916, prima che per me iniziasse la scuola". Pensando anni dopo a tutto questo, il socialista radicale francese Anatole France disse di Carlo: "È l’unico uomo decente, emerso durante la guerra, ad un posto direttivo; ma non lo si ascoltò. Egli ha desiderato sinceramente la pace, e perciò viene disprezzato da tutto il mondo. Si è trascurata una splendida occasione".<br /><br /><strong>Il pianto per l’inutile strage</strong> </div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify">La guerra continuava e l’imperatore Carlo I viveva, coi soldati di tutte le nazioni coinvolte, tra le macerie e la morte delle trincee. Erano gli anni delle "notti violentate", vissute in dormiveglia, dall’altra parte della barricata, dal milite Ungaretti: "L’aria è crivellata / come una trina / dalle schioppettate / degli uomini / ritratti / nelle trincee / come le lumache nel loro guscio". Nell’agosto del 1917, al termine dell’undicesima battaglia dell’Isonzo, il fotografo di corte Schumann vide Carlo piangere davanti ai cadaveri carbonizzati e dilaniati, e lo sentì sussurrare: "Nessun uomo può più rispondere di questo davanti a Dio. Io faccio punto, quanto prima possibile". In Austria — e dovunque in quasi tutta Europa — c’era penuria di viveri; la povertà, la fame e la morte erano le vere vincitrici di quel conflitto. Carlo lo sapeva, e ridusse al minimo il tenore di vita nella sua casa, dove lui e la sua famiglia si nutrivano con le razioni di guerra. Al comando supremo di Baden, Carlo rifiutò il pane bianco facendolo distribuire tra i malati e i feriti e, davanti ai suoi ufficiali confusi, mangiava tranquillamente pane nero. Organizzò cucine di guerra, impiegò i cavalli di corte per l’approvvigionamento del carbone a Vienna, regalò ed elargì più di quanto si potesse permettere. Intanto l’alleato tedesco pensava di ricorrere ad armi più distruttive. Durante un pranzo con il grande ammiraglio Alfred von Tirpitz, il quale lo voleva convincere a bombardare, con aeroplani e sottomarini, le città italiane, Carlo rifiutò e lasciò la tavola. Era, oltre che il disastro veduto ogni giorno, anche l’intelligenza politica che gli suggeriva di evitare i bombardamenti. Sapeva che questo avrebbe accelerato l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America e che ciò sarebbe risultato esiziale per il suo Paese. Ma in Germania non gli diedero ascolto. Nel febbraio del ’17 il kaiser Guglielmo II ordinò di praticare senza alcuna forma di tolleranza la guerra sottomarina e di affondare qualunque naviglio transitasse sulle rotte atlantiche. Fu il grande errore degli Imperi Centrali, perché Wilson ruppe gli indugi ed entrò in guerra a fianco dell’Intesa, prendendo, in pratica, il posto della Russia che, a ottobre dello stesso anno, sarà travolta dalla rivoluzione, e a dicembre firmerà con la Germania l’armistizio di Brest-Litovsk. Nonostante tutti i tentativi di Carlo, la pace non fu raggiunta con le armi della diplomazia, ma con quelle da fuoco. Il 1918 fu l’anno della capitolazione. Sul Piave, sulla Marna, ad Amiens, a Vittorio Veneto e dovunque, il destino della Germania e dell’Impero austroungarico era segnato. Wilson enunciò i suoi "14 punti" per il mantenimento della pace mondiale. La Romania firmò il trattato di pace con l’Intesa, la Bulgaria si arrese, la Cecoslovacchia e la Polonia dichiararono la loro indipendenza, la Turchia sottoscrisse l’armistizio e il Kaiser abdicò permettendo la nascita, l’anno successivo, della debole Repubblica di Weimar. Durante il precipitare degli eventi, Carlo si trovò isolato mentre le strade di Vienna andavano riempiendosi di folle tumultuanti. L’11 novembre firmò un manifesto in cui dichiarava: "Riconosco a priori ciò che l’Austria tedesca deciderà in merito alla sua scelta della futura sua forma di Stato. Il popolo ha assunto il proprio governo per mezzo dei suoi rappresentanti. Io rinuncio a qualsiasi partecipazione al governo dello Stato. Contemporaneamente esonero dal suo mandato il mio governo austriaco". Fidandosi di alcuni uomini politici che gli garantivano il mantenimento della dinastia se lui avesse pubblicamente lasciato al popolo la libertà di decidere sul futuro assetto dello Stato, Carlo firmò questo manifesto consapevole che non era un’abdicazione, che lui non avrebbe mai sottoscritto per non venire meno al giuramento fatto davanti a Dio quando divenne imperatore. La sua intenzione era quella di ritirarsi momentaneamente dagli uffici pubblici per assecondare l’insistenza con cui glielo chiedevano gli uomini di governo e per evitare un inutile spargimento di sangue. Ma il 12 novembre fu proclamata la caduta della monarchia e la sera stessa Carlo si vide costretto a lasciare Vienna per il suo castello di caccia a Eckarstau, a venti chilometri dalla capitale. Intanto l’Ungheria era in piena rivolta e il primo ministro Tisza veniva assassinato dai rivoluzionari. Nella Postio super virtutibus si legge che "malgrado tutta questa situazione il Servo di Dio continuò ogni sera a dire il Te Deum, e lo fece cantare il 31 dicembre 1918 in ringraziamento di tutto ciò che aveva apportato l’anno che spirava. Gli era stato proposto di tralasciarlo, egli però rispose che in quell’anno vi erano state troppe grazie per le quali doveva ringraziare". E a quanti gli chiedevano perplessi quali fossero queste grazie, Carlo rispondeva: "Se quest’anno è stato duro, poteva essere ben più tragico per tutti noi. Se si è disposti a prendere dalla mano di Dio ciò che è buono, bisogna anche essere disposti ad accettare con riconoscenza tutto ciò che può essere difficile e doloroso. Del resto, quest’anno ha visto la tanto sospirata fine della guerra, e per il bene della pace vale qualsiasi sacrificio e qualsiasi rinuncia". E Carlo dovette rinunciare anche alla sua permanenza in Austria, dove la situazione si faceva sempre più pericolosa per la sua vita e per quella dei suoi familiari. Il 23 marzo del 1919 la famiglia imperiale lasciò il Paese per la Svizzera e il 3 aprile il governo austriaco sanciva ufficialmente l’esilio del sovrano e la confisca dei suoi beni. Ed è dalla Svizzera che Carlo tentò due volte di tornare in Ungheria per restaurare il Regno. Su insistenza di numerosi uomini politici, militari e semplici cittadini, ma soprattutto di Benedetto XV, il quale, secondo la testimonianza dell’ultimo capo di gabinetto dell’imperatore, "si espresse ripetutamente circa la necessità di una restaurazione in Ungheria", Carlo intraprese due tentativi fallimentari di tornare sul trono, a marzo e a ottobre del 1921. Così non gli restò che la via dell’esilio. A quanti in quei momenti gli furono accanto, ripeteva: "Anche se tutto è andato a monte, dobbiamo ringraziare Dio, giacché le sue vie non sono le nostre vie". </div><div align="justify"></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong>"Gesù"</strong> </div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify">"Il 19 novembre 1921, festa di santa Elisabetta, ecco apparire l’isola dell’esilio […]. L’imperatore scorge le due torri mozze di una chiesa. "Quale nostalgia risveglia in me quella chiesa!" esclama. "E come mi ricorda le chiese del mio paese! È certamente una chiesa dedicata alla Madonna: andiamola subito a visitare". Era Nossa Senhora do Monte, Nostra Signora del Monte, la chiesa in cui pochi mesi dopo doveva trovare sepoltura": così Giuseppe Della Torre (Carlo d’Austria. Una testimonianza cristiana, Milano 1972) racconta l’arrivo di Carlo a Madeira. Carlo vivrà per altri cinque mesi, e durante la sua permanenza il popolo si accorse che quell’uomo aveva qualcosa di più importante dello stesso titolo imperiale. "Carlo ebbe l’occasione di avvicinare tante persone; di aprire con tutti un rapporto umano, immediato; di contagiare tutti con gli sprazzi della propria personalità, ricca di sentimenti e di attenzioni per il prossimo. Fu così che la prima simpatia piena di compassione dimostrata dagli abitanti dell’isola nei confronti suoi e della sua consorte, si tramutò ben presto in un manifesto entusiasmo, che divampò negli animi di tutti". Sono quasi tutti là i cittadini di Funchal, quel giorno di primavera del 1922. Vogliono salutare ancora una volta quel loro amico che si era congedato da loro e dalla vita terrena pronunciando come ultima parola un semplice nome: "Gesù". Quel giorno, a Funchal e dovunque, non ci sono più imperi o imperatori a rappresentare il popolo cristiano in Europa e nel mondo. Quell’uomo, quell’imperatore trentaquattrenne, aveva commosso gli abitanti di Madeira per qualcosa che non aveva niente a che fare con il suo titolo regale e con la potenza che tale titolo aveva significato. Forse era l’affetto con cui pronunciava quel semplice nome che li aveva colpiti in quei cinque mesi. La stessa cosa che, forse, aveva commosso tutti coloro che lo avevano conosciuto, a corte o nelle dolorose trincee di inizio secolo. Forse l’unica difesa per il popolo cristiano era proprio l’affetto per quel semplice nome pronunciato, così tante volte implorato dall’ultimo imperatore.</div><br /><br /><strong>Carlo d'Asburgo l'ultimo Imperatore. Santo </strong><br /><br /><p align="justify">di <em>Francesco Pappalardo</em></p><p align="justify"><em>[Da " il Domenicale", anno III, n. 34, 21 agosto 2004]</em></p><p align="justify">Per chi crede che i re santi siano personaggi da Medioevo, cioè di un periodo storico non ben definito, lontano nel tempo e soprattutto irripetibile nella sua essenza, suonerà senz'altro sorprendente la beatificazione, il 3 ottobre prossimo, dell'imperatore Carlo, morto non nell'anno Mille ma nel 1922. Chi era costui? Carlo I d'Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe (1830-1916), lui sì ben noto agli italiani, magari come Cecco Beppe, è stato l'ultimo sovrano dell'impero austro-ungarico, l'erede di una dinastia che ha guidato il Sacro Romano Impero per oltre cinquecento anni, l'ultimo imperatore europeo.Sulla figura di questo personaggio sorprendente è appena uscito il libro "Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d'Asburgo" (D'Ettoris Edizioni, Crotone 2004, pp. 224 con ill.), scritto a due mani da Oscar Sanguinetti e Ivo Musajo Somma, con un Invito alla lettura di don Luigi Negri, della Fraternità di Comunione e Liberazione, il quale colloca l'esperienza di santità di Carlo d'Asburgo nella grande tradizione cattolica europea, che ha avuto nell'impero asburgico la sua forma più significativa e di cui Carlo è figlio esemplare.Marco Invernizzi, storico del movimento cattolico italiano, nella Prefazione sottolinea che la beatificazione del sovrano tiene conto non solo del suo ruolo di marito e padre esemplare, di cristiano devoto in tutte le circostanze difficili della sua esistenza, ma anche del modo in cui ha esercitato le funzioni inerenti al suo rilevante ruolo pubblico. Invernizzi invita l'Italia che entra in Europa a guardare come a un modello all'«imperatore santo», fautore di un non facile federalismo e sostenitore di una politica dell'integrazione, realistica e anti-ideologica, che non fece in tempo a realizzare. Sanguinetti, direttore dell'Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale (ISIIN), di Milano, spiega nella presentazione, intitolata appunto "Perché un libro su Carlo d'Asburgo", che è intenzione degli autori rinverdire la memoria del santo sovrano nell'anno della beatificazione e proporre una lettura semplice della sua vita.Il volume si compone di due saggi. Il primo, dello stesso Sanguinetti, "Immagini e momenti della vita del beato Carlo d'Asburgo", traccia un breve profilo biografico del protagonista, con l'intento di fare agiografia, ma agiografia «storica», cioè fondata non su leggende ma su fatti accertati e attinti dalle deposizioni rese dagli 86 testimoni ascoltati nelle udienze del processo di beatificazione. I testi delle deposizioni sono raccolti nei due volumi dal titolo "Positio super virtutibus", messi gentilmente a disposizione dall'avvocato Andrea Ambrosi di Roma, ultimo postulatore della causa di Carlo.Nel secondo saggio, "Il beato Carlo d'Asburgo nella «finis Austriae»", Musajo Somma, ricercatore universitario, specializzato in storia del Medioevo, offre una lettura critica -alla luce dei principali studi pubblicati, anche recentemente, in lingua italiana, inglese e tedesca- su Carlo e il suo tempo, inquadrandone la figura nel contesto europeo. Completano il volume un'intervista al postulatore Ambrosi su "L'iter verso la beatificazione e i suoi «nodi»", una cronologia, una bibliografia e un indice dei nomi, curati dall'ISIIN.La narrazione affronta sinteticamente i momenti principali della vita di Carlo: la formazione giovanile del futuro imperatore, nato nel 1887; la carriera militare, come per tutti i potenziali sovrani; il matrimonio, nel 1911, con la principessa italo-francese Zita Maria delle Grazie di Borbone-Parma, che gli darà otto figli; l'assassinio dello zio Francesco Ferdinando a Sarajevo nel luglio 1914, che modifica la linea di successione al trono facendo di Carlo l'erede designato; la partecipazione alla prima guerra mondiale su entrambi i fronti, orientale e occidentale; la morte dell'ottantaseienne Francesco Giuseppe, il 21 novembre 1916, e l'ascesa del giovane pronipote ai troni d'Austria, di Boemia e d'Ungheria. Il suo breve regno è segnato profondamente dalla guerra, che egli vive al fronte e nella capitale con un misto di abnegazione e ardimento, mitezza e sollecitudine per le truppe al fronte, le famiglie a casa e la popolazione civile.Contrario all'impiego di sottomarini su larga scala, perché non facevano distinzione fra militari e civili, porrà limitazioni alla guerra aerea e compirà ogni sforzo per bandire l'uso dei gas asfissianti.Questa idea - un po' medievale e molto cattolica - della guerra limitata, gli alienerà le simpatie dei comandi germanici, influenzati dai circoli militaristici e nazionalistici.Costoro vanificheranno i suoi ripetuti sforzi di pace nel 1917, che saranno osteggiati anche della massoneria, molto influente, soprattutto nei paesi latini, sui parlamenti e sui sovrani.La dinastia asburgica pagava in questo modo la sua opposizione alle logge, che cercavano di portare alle ultime conseguenze la traduzione politica dell'ideologia libertaria e ugualitaristica della Rivoluzione del 1789, trovando un ostacolo non solo nella Chiesa cattolica ma anche negli eredi del Sacro Romano Impero. Dopo la sconfitta, Carlo rifiuterà di abdicare e verrà allontanato da Vienna con la complicità delle potenze vincitrici; falliti due tentativi di restaurazione, subirà, fra gravi disagi, l'esilio finale nell'isola atlantica di Madera, dove si spegnerà il 1° aprile 1922, degno testimone di quelle radici cristiane europee che i suoi nemici di allora e di oggi si ostinano a voler recidere. </p><br /><p align="justify"><strong>Il Papa elegge a modello un re</strong><a href="http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&new_topic=162"></a> </p><p align="justify"><em>di Vittorio Messori</em></p><p align="justify"><em>[Dal "Corriere della Sera", 3 ottobre 2004]</em></p><p align="justify">Tra i cinque nuovi beati proclamati oggi da Giovanni Paolo II, tre rientrano nella «normalità»: due religiosi e una suora, fondatrice di una Congregazione. Gli altri due che giungono agli altari fanno invece parte di quei casi difficili che solo il decisionismo di questo Papa è riuscito a sbloccare dopo traversie, opposizioni tenaci, polemiche. Per Anna Katharina Emmerick i problemi sono stati interni alla Chiesa. Una mistica stigmatizzata, una veggente, una creatura vissuta per 11 anni di sola eucarestia ed acqua. Un personaggio del genere non era di certo congeniale ai teologi e alle alte gerarchie, gruppi umani tra i più tentati dallo scetticismo, magari dal razionalismo. Non a caso la Passione di Gesù, «vista» dalla Emmerick dal suo letto di paralizzata, ha fortemente segnato Mel Gibson: i gruppi cattolici tradizionali, ai quali il regista ed attore è vicino, scorgono in questa straordinaria carismatica un’antidoto al modernismo di cui accusano l’intellighenzia cattolica. Ma lo stesso Sant’Ufficio, almeno un paio di volte, ordinò di archiviare la pratica. L’arrivo in porto, dopo oltre un secolo e mezzo, è una sorta di prova di forza dello stesso Papa che è riuscito a beatificare Pio IX, contro il quale militavano potenti lotti. Difficoltà soprattutto esterne alla Chiesa, invece, per la glorificazione di Carlo I, ultimo imperatore dell’impero austroungarico. Uomo sul quale si appuntarono gli odi convergenti sia della sinistra repubblicana e del liberalismo massonico sia del nazismo. Progressisti e reazionari marciarono uniti contro questo giovane sovrano e la sua memoria. In Hitler, l’avversione per l’ultimo Asburgo, raggiunse picchi patologici, da bava alla bocca. Per quanto riguarda l’Italia, bisogna ricordare che al rovesciamento di alleanze (dalla triplice con l’Austria e Germania, all’Intesa con Francia e Inghilterra) e all’intervento in guerra, nel 1915, parteciparono attivamente gli esponendi del radicalismo democratico e delle Logge. Agiva, in essi, il vecchio desiderio di spazzare via la monarchia austriaca, erede del Sacro Romano Impero, bastione del cattolicesimo, nutrita ancora di tradizioni Ancien Regime. Quell’impero andava distrutto e con esso gli asburgo «papisti». Quanto al nazional socialismo: non a caso l’austriaco Adolf si sottrasse alla chiamata alle armi del suo Paese, che detestava, e si arruolò volontario con le truppe bavaresi. Anche per lui, l’antica monarchia era esecrabile per la fede religiosa che onorava pubblicamente e per la tolleranza verso le otto nazionalità dell’Impero. L’avversione hitleriana ingigantì quando, nel 1916, alla morte di Francesco Giuseppe, salì al trono il giovane Carlo che era noto per il suo cattolicesimo militante e che si rese addirittura colpevole di ciò che per il militarismo tedesco era un tradimento abominevole. La proposta, cioè, di intavolare trattative con il nemico per giungere a una pace equa, senza vinti né vincitori. Se la Grande Guerra non terminò almeno un anno e mezzo prima, risparmiando all’Europa qualche milione di morti (e all’America l’intervento) lo si deve alla rabbiosa opposizione di sinistre e destre, unite, ai tentativi di pace di Carlo I. Il quale, d’accordo con il Papa nel considerare quella lotta una «inutile strage», fu oggetto d’odio di radicali e di nazionalisti, di liberali massoni e di fautori della guerra come igiene del mondo e come volontà di potenza. Personaggio ammirevole, quest’ultimo imperatore morto a 35 anni di stenti, relegato in un’isola dell’Atlantico. In lui, sembrano rivivere le virtù leggendarie dei re medievali. Mentre Cadorna (e, con lui, tutti gli altri Signori della Guerra) invasati dalla mistica dell’assalto in massa, siluravano i generali che non esibissero un alto numero di caduti, Carlo I destituiva i comandanti che registravano perdite troppo alte tra i loro soldati. Mentre i franco-inglesi e i tedeschi cercavano gas sempre più micidiali, il comandante supremo della Duplice Monarchia cedette all’ira, per la prima volta nella sua vita, quando seppe che le divisioni tedesche sfondarono a Caporetto con l’uso massiccio degli asfissianti. Al fronte, dicevano i generali, si mangiava assai meglio che al palazzo di Vienna, dove la famiglia imperiale campava con la tessera alimentare di operai e contadini. All’amore del popolo, faceva contrasto l’odio dei ricchi e dei privilegiati per la sua politica di giustizia sociale secondo gli insegnamenti della Chiesa. Figura poco studiata, questa di Carlo I, perché «politicamente scorretta» per gli ideologi del Novecento. Ma la Chiesa non lo ha dimenticato e, da oggi, lo prega sugli altari e lo propone come esempio ai governanti. </p>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-10799312843671054642007-08-08T10:42:00.000+02:002007-08-09T10:56:24.967+02:00Vieni con me perchè ti conviene combattere da valoroso guerriero<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtr7TEcb0rtsOwtt-YidlzVmky-1OxG8wtMb4xxrfhhF2BjIFBJNczoK2H7qlo0GPJ092G9JfdRDi6XJjYGwqqDycQw9jUGoDvRlc6jSwNVPcMQmQ78aslMYpKL_Hg7drxbCaqAoAjCB32/s1600-h/padre_pio_e_crocifisso.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5096249594249252450" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtr7TEcb0rtsOwtt-YidlzVmky-1OxG8wtMb4xxrfhhF2BjIFBJNczoK2H7qlo0GPJ092G9JfdRDi6XJjYGwqqDycQw9jUGoDvRlc6jSwNVPcMQmQ78aslMYpKL_Hg7drxbCaqAoAjCB32/s320/padre_pio_e_crocifisso.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"></div><div align="justify"><em>L'esperienza di San Pio da Pietralcina ci insegna a vivere la vita cristiana come combattimento spirituale. Cristo ci vuole al Suo seguito come " valorosi guerrieri" che si scagliano senza timore su satana e le sue perverse macchinazioni. La migliore arma, così come la chiamava anche San Pio, da impiegare contro satana in questo tipo di guerra è il Santo Rosario.</em></div><div align="justify"><em></em></div><div align="justify"><em></em></div><div align="justify"><em></em> </div><div align="justify"><em>Federico Intini</em></div><div align="justify"><em>Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa</em></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify">Negli ultimi giorni di dicembre 1902, mentre stava meditando sulla sua vocazione, Francesco ebbe una visione. Ecco come la descrisse, diversi anni dopo, al suo confessore (nella lettera usa la terza persona): "Francesco vide al suo fianco un uomo maestoso di rara bellezza, splendente come il sole, che presolo per la mano lo incoraggiò con il preciso invito: "Vieni con me perché ti conviene combattere da valoroso guerriero". Fu condotto in una spaziosissima campagna, tra una moltitudine di uomini divisa in due gruppi: da una parte uomini dal volto bellissimo e ricoperti di vesti bianche, candide come la neve, dall'altra uomini di orrido aspetto e vestiti di abiti neri a guisa di ombre oscure. Il giovane collocato fra quelle due ali di spettatori, si vide venire incontro un uomo di smisurata altezza da toccare con la fronte le nuvole, con un volto orrido. Il personaggio splendete che aveva al fianco lo esortò a battersi con il personaggio mostruoso. Francesco pregò di venire risparmiato dal furore dello strano personaggio, ma quello luminoso non accettò: "Vana è ogni tua resistenza, con questo conviene azzuffarti". Fatti animo, entra fiducioso nella lotta, avanzati coraggiosamente che io ti sarò dappresso; ti aiuterò e non permetterò che egli ti abbatta". Lo scontro fu accettato e risultò terribile. Con l'aiuto del personaggio luminoso sempre vicino, Francesco ebbe la meglio e vinse. Il personaggio mostruoso, costretto a fuggire, si trascinò dietro quella gran moltitudine di uomini di orrido aspetto, fra urla, imprecazioni e grida da stordire. L'altra moltitudine di uomini dal vaghissimo aspetto, sprigionò voci di plauso e di lodi verso colui che aveva assistito il povero Francesco, in sì aspra battaglia. Il personaggio splendido e luminoso più' del sole, pose sulla testa di Francesco vittorioso una corona di rarissima bellezza, che vano sarebbe descriverla. La corona venne subito ritirata dal personaggio buono il quale precisò: "Un'altra più bella ne tengo per te riservata. Se tu saprai lottare con quel personaggio col quale or ora hai combattuto. Egli tornerà sempre all'assalto... ; combatti da valoroso e non dubitare nel mio aiuto...non ti spaventi la di lui molestia, non paventare della di lui formidabile presenza... . Io ti sarò vicino, io ti aiuterò sempre, affinché tu riesca a prostrarlo". Tale visione fu seguita, poi, da reali scontri col maligno. Padre Pio sostenne infatti numerosi scontri contro il "nemico delle anime" nell'arco della sua vita, con il proposito di strappare le anime dai lacci di satana.</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-86724442300533837962007-08-06T18:33:00.000+02:002007-08-06T18:42:58.695+02:00Il Cingolo antico e lieve. L’Ordine della Cavalleria tra iniziazione sacramentale ed appartenenza onorifica.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEig8cqQwizhJS-yk7KSXRES5LHxUBk-tOyRcp3FIFVN6z7RvKdlXe85TIvPjHpAtlJaEnffaab0xoBr4usY9SFuUizP9OdtAbytlvs2nB6CZToxXULnyMZ-IRMM8uKvPyMBZlXM5-BMf4hb/s1600-h/Sant"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5095627822626527810" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEig8cqQwizhJS-yk7KSXRES5LHxUBk-tOyRcp3FIFVN6z7RvKdlXe85TIvPjHpAtlJaEnffaab0xoBr4usY9SFuUizP9OdtAbytlvs2nB6CZToxXULnyMZ-IRMM8uKvPyMBZlXM5-BMf4hb/s320/Sant'Ale.jpg" border="0" /></a><br /><div>di <em>Adolfo Morganti </em></div><div><em>Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa<br /></div></em><strong></strong><br /><div><strong>Introduzione. Un necessario “Ritorno al reale”.</strong><br /></div><br /><div align="justify">Il nostro argomento richiede una premessa: non avrebbe per noi senso disporsi ad un approfondimento del rapporto tra appartenenza onorifica ed iniziazione sacramentale nell’esperienza cavalleresca se ciò non fosse reso opportuno dalla persistenza di un’esperienza reale e concreta, quella della Cavalleria cristiana europea, e dalla percezione del suo attuale valore storico, culturale e spirituale.<br />Finché vi saranno in Europa persone che sentiranno in sé il fascino dell’archetipo del Cavaliere1, e ancor di più finché qualcuno si sentirà vocato alla Via della Cavalleria (e negli ultimi anni queste sembrano paradossalmente aumentate di numero) grazie a quanto questa Istituzione ha dato alla storia e all’identità del nostro continente, questo interesse profondo, che continuiamo a pensare non ridotto alla ricerca di vuote decorazioni e pompe esteriori, sarà segno di una vitalità spirituale reale e strumento essenziale per la nuova evangelizzazione dell’Europa. E perciò stesso degno di approfondimento e meditazione2.<br />Inoltre, ulteriore constatazione che – sia pure in negativo – comprova la necessità di prendere sul serio il presente argomento, siamo ammorbati oramai da decenni da una pletora pressoché infinita di pseudo-ordini cavallereschi3, frastagliate e litigiose congreghe neotemplari, esoteristi d'accatto in vena di incursioni cavalleresche, legioni di cercatori del Graal usciti dal dopolavoro new age4 e dalle edicole delle stazioni; questo sottobosco di liberi parolieri e di mestatori hanno invaso i media con decine di pseudoricerche infarcite di pseudorivelazioni, utili solamente a deformare la già scarsa e difficile comprensione che l'uomo contemporaneo è in grado di avere - aldilà del fascino che prova per esso - per il mondo spirituale dell'Età di Mezzo in generale, e della Cavalleria in particolare.<br />Per non confondersi – in primo luogo - con questo florido settore del famigerato "supermarket delle religioni", e per opporre alla marea dei deliri pseudostorici e settari un fondamentale rispetto per quanto è stato, per l’oggettiva lezione della storia, è necessario previamente effettuare quello che Gustave Thibon ha definito un “Ritorno al reale”5: aldilà di ogni invenzione e deformazione, cercheremo di procedere dal punto fermo di un assoluto rispetto per l'esperienza storica e spirituale della Cavalleria; in termini antropologici, privilegiando l'autocomprensione dei protagonisti della spiritualità cavalleresca ad ogni tipo di astrazione ed interpretazione successiva, comunque motivata.<br /><br /><br /><strong>La tradizione.</strong><br /><br />Come l’Europa stessa, la Cavalleria si è formata gradualmente, assimilando e fondendo in sé elementi eterogenei sia da un punto di vista culturale che spirituale. In maniera efficace un illustre storico cattolico argentino scrive: «La Cavalleria non è una delle tante istituzioni che sono apparse nel corso della storia, fondate da un Papa o decretate da un Re. Sebbene, col passare del tempo, la cavalleria si trasformò in un’istituzione caratterizzata da uno spirito profondamente cristiano, alle sue origini non presenta alcun elemento che ricordi gli inizi di un ordine religioso»6.<br />Così come l’insieme della cultura e dell’identità europea, la Cavalleria ci appare come una lenta distillazione e fusione di elementi eterogenei e non di rado contraddittori, che nel corso dei secoli si fondono in un insieme organico e vivente grazie ad un reagente comune di tipo prettamente spirituale: la civiltà cristiana. Alla radice di questa lenta fusione di elementi diversi in un medesimo crogiolo traspare la continuità di un dato culturale e religioso di lunghissima durata: la sacralizzazione del guerriero e della sua funzione all’interno della società, parte integrante di una più ampia concezione del mondo che gli storici della religione sono oramai usi definire “tradizionale”, e nella quale il concetto che una qualsiasi attività umana potesse essere abbandonata a sé stessa, ossia all’insignificanza della profanità, era del tutto inconcepibile7.<br />Il lavoro del crogiolo, che fonde elementi iranici, greco-romani, celto-germanici al fuoco della Rivelazione cristiana, raggiunge la condizione di amalgama in coincidenza – affatto casuale – con la pienezza del Medioevo europeo, tra XIII e XV secolo, di cui diviene un aspetto cardinale: ne sia immediata controprova la maturazione della trattatistica sul tema, da Bernardo di Chiaravalle8 a Raimondo Lullo9, e la diffusione capillare in quello stesso periodo della letteratura cortese, in particolare graalico-arturiana10, vero e proprio “manifesto ideologico” della visione del mondo cavalleresca.<br /><br />La Cavalleria acquista quindi, come al termine di un lungo processo di decantazione, una compiuta coscienza di sé al tempo delle Crociate: così Mario Polia, in un ormai celebre saggio, ne tratteggia il cuore: «Il Cavaliere, ossia (...) quella figura di carismatico consacrato che, nella sua realizzazione più alta e ideale, meritò l’epiteto di Miles Christi a significare sia la vocazione al combattimento che la legittimazione e il fine ultimo del medesimo: la difesa del Regno di Dio sulla terra e l’esaltazione della gloria di Cristo Re. Il Miles Christi, infatti, appartiene a Cristo, esercita la sua militia in nome di Cristo ed in Cristo ripone ogni sua speranza. (...)<br />La Cavalleria, dunque, è Via di santificazione mediante l’esercizio della militia e delle virtù militari. Dovuto a questa sua qualità specifica, la Cavalleria si configura giustamente come Ordine.<br />È Ordine perché è stata istituita direttamente da Dio per difendere l’Ordine cristiano ma, come istituzione storica, precede il Cristianesimo.<br />È Ordine perché possiede una propria tradizione e regole proprie, fondate sul Vangelo, attraverso le quali il Miles raggiunge la propria santificazione ed, inoltre, perché attraverso il rito dell’investitura la grazia agisce sulla persona trasformandone la natura, facendo del Cavaliere un combattente di Cristo e dotato dell’assistenza divina necessaria allo svolgimento della sua funzione di Miles.»11.<br />Il Cavaliere sul piano esistenziale percorre quindi una Via di santificazione per mezzo delle pratiche proprie al suo stato, così come nel Medioevo facevano anche il monaco e l’artefice, le tre “figure esemplari” che ressero l’immagine ideale della società degli uomini fino ai tempi della rivoluzione francese12. Ed essendo una Via di santificazione, essa alla sua radice deve sorgere da una vocazione, ossia da una chiamata interiore che non dipende da scelte sociali o individuali, di pari dignità seppur diversa dalla vocazione sacerdotale o monastica: «...all’origine della scelta del Cavaliere vi è una chiamata la quale rivela una vocazione ed un carisma “militare”. Non si entra a far parte della Cavalleria in base a calcoli d’interesse, orgoglio o motivati da spinte emozionali. La militia presuppone, infatti, una vocazione la quale manifesta qualità innate che contraddistinguono un combattente. Queste qualità, quando sono autentiche manifestazioni dell’anima e non velleità della mente, sono doni di Dio, talenti che il cristiano deve mettere a servizio di Dio perché fruttino al meglio. Su queste qualità innate s’innesta feconda la grazia veicolata dal sacramentale dell’investitura, alimentata dalla disciplina e dalla pratica della militia, dalla vita spirituale, dalla preghiera e dal Cibo eucaristico. L’investitura è, tipologicamente, un’iniziazione: è l’iniziazione guerriera cristiana ma, affinché l’iniziazione sia valida e il potere spirituale da essa veicolato possa agire occorre che questo trovi la materia prima su cui agire: la “sposa” cui unirsi per la nuova generazione spirituale.»13.<br />E pur tuttavia la presenza nella persona concreta di questa vocazione, una condizione ovviamente necessaria, non è di per sé sufficiente all’ingresso della persona medesima nella Via della Cavalleria: nella concezione cristiana essendo la vocazione un dato naturale – ossia proprio alla concreta realtà della persona umana - essa deve essere perfezionata da un sigillo spirituale, da una specifica “grazia di stato”, che in quanto tale è Dono divino e pertanto può essere solamente trasmessa per mezzo di un apposito rituale: «...per far parte dell’Ordine della Cavalleria non basta possedere la qualificazione interiore e la volontà poiché occorre essere regolarmente investiti. Il rituale d’investitura cavalleresca, sviluppatosi e modificatosi nei secoli a partire da pratiche rituali militari precristiane (si pensi, ad esempio a quelle romane, germaniche, celtiche) è stato fissato permanentemente, nella sua forma canonica, nel Pontificale Romano di S.S. Pio V. Dopo l’ultimo Concilio il rituale d’investitura, pur essendo considerato desueto e pur non facendo più parte del Novus Ordo, non è stato abolito.<br />Gli elementi costitutivi del rituale d’investitura cavalleresca sono l’accinzione del cingolo, della spada e degli speroni; lo schiaffo (militaris alapa) e la “collata” data con la spada e accompagnata dalla formula d’investitura. Elementi accessori, presenti nell’investitura data dal vescovo secondo il rito del Pontificale Romano, sono la benedizione della spada e la benedizione del nuovo Cavaliere»14.<br /><br /><br /><strong>Il Rituale di investitura cavalleresca nel Pontificale Romano “Tridentino”.</strong><br /><br />Il riferimento a quel cardinale documento che è il Pontificale Romano promulgato da Papa Clemente VIII, successore di San Pio V, nel 1595-1596 si impone quindi nell’orizzonte dei problemi cui abbiamo accennato con tutta l’autorevolezza di un testo canonico e di riferimento anche negli anni presenti. Esso stesso frutto della progressiva decantazione di una tradizione liturgica plurisecolare, all’indomani del Concilio di Trento fissò le forme della trasmissione sacramentale dell’investitura Cavalleresca, assieme ad altre forme liturgiche che per il nostro percorso assumono un valore del tutto peculiare.<br />Non a caso, nell’orizzonte della riscoperta del senso profondo della Tradizione centrale nei Pontificati delle Loro Santità Giovanni Paolo II ed attualmente Benedetto XVI, una particolare attenzione è stata riservata alla riscoperta critica della completezza dei Testi liturgici frutto dell’ampio lavoro del Concilio di Trento. Segno evidentissimo di questa rinnovata attenzione è stato il grande progetto editoriale di riedizione in anastatica dei Monumenta Liturgica Concilii Tridentini promosso dalla Libreria Editrice Vaticana a partire dal 1996, per la cura minuziosa dei Padri Salesiani Manlio Sodi ed Achille Maria Triacca15.<br />La citazione ci consente di eliminare immediatamente un argomento tanto frequentato quanto infondato: come ognun ben sa, nel percorso culminato nel Concilio Vaticano II la riforma dei testi liturgici della Chiesa cattolica ha condotto nel 1961-62 alla stesura di una rinnovata versione del Pontificale Romanum, che rispetto a quello “tridentino” di cui stiamo parlando presenta una serie di cospicue differenze, fra le quali spicca nell’ottica del presente lavoro l’assenza del Rituale di investitura cavalleresca16. Non è ovviamente mancato chi, argomentando sulla base di questa assenza nel nuovo testo, ha preteso di interpretare come “abbandonato” se non addirittura come “anacronistico” il Rituale in oggetto assieme alla figura ed alla funzione del Cavaliere, caso specifico ma cruciale di una diffusa moda culturale all’interno di parte del mondo cattolico degli anni ’70 ed ’80 che vedeva nel Concilio Vaticano II una cesura ed una rivoluzione, operante un taglio netto nei confronti del passato della Chiesa cattolica: per cui tutto ciò che non fosse stato recuperato e reinterpretato dalla nuova Chiesa conciliare avrebbe dovuto appunto essere relegato nel limbo di un passato di cui “purificarsi”. Una siffatta concezione dello sviluppo del corpus liturgico cattolico è evidentemente viziata da uno spiccato pregiudizio ideologico, come è dimostrato nel nostro specifico caso dalla seguente considerazione di Mons. Raffaele Farina, Rettore della Pontificia Università Salesiana al tempo della riedizione: «Accostarsi… ai libri liturgici editi in attuazione delle disposizioni conciliari tridentine è toccare con mano (…) una realtà in sé complessa e quanto mai articolata. Si tratta di una ricchezza di contenuti che ha plasmato la spiritualità cristiana per ben quattro secoli, e continua ancor oggi – in una linea di ininterrotta “tradizione” – a illuminare l’itinerario di fede e vita del popolo cristiano»17. Non di “rivoluzione” o di cesura si deve quindi parlare, ma del cammino nel tempo di una medesima comunità di fede, che riflette nei cambiamenti dei propri Libri liturgici il proprio parlare a tempi ed uomini nuovi, senza assolutamente tagliare le radici della propria storia: una continua ed immensa ricapitolazione18.<br />Non a caso, sul terreno della prassi liturgica e sacramentale cattolica, anche dopo la pubblicazione del Pontificale del 1961-1962 all’interno della Chiesa cattolica sono stati mantenuti precisi spazi di utilizzo pubblico del Rituale di investitura cavalleresca secondo il Pontificale tridentino19.<br /><br />Ciò detto, possiamo entrare molto brevemente all’interno della struttura del Pontificale Romanum tridentino. Esso si presenta suddiviso in tre Parti, la cui prima (pagg. I – 278 dell’edizione originale), composta da 31 Capitoli, contiene a pag. 274 (Capitolo 29) il Rituale dell’investitura cavalleresca, titolato De benedictione novi Militis. Non sarà inutile riportare l’Indice di questa prima parte del testo:<br /><br />De confirmandis.<br />De Ordinibus faciendis.<br />De Clerico facendo.<br />De minoribus Ordinis.<br />De ordinatione Ostiarum.<br />De ordinatione Lectorum.<br />De ordinatione Exorcistarum.<br />De ordinatione Acolitorum.<br />De sacris Ordinibus in genere.<br />De ordinatione Subdiaconi.<br />De ordinatione Diaconi.<br />De ordinatione Presbiteri.<br />De consecratione Electi in Episcopum.<br />Forma iuramenti.<br />Examen.<br />De Pallio.<br />Forma iuramenti.<br />Dies, quibus Pallio ut ipotest Patriarcha, sive Archiepiscopus.<br />De benedictione Abbatis.<br />De benedictione Abbatis auctoritate apostolica.<br />De benedictione Abbatis auctoritate Ordinarii.<br />De benedictione Abbatissae.<br />De benedictione, et consecratione Virginum.<br />Anathema contra molestantes bona monialum, vel eas ad malum inducentes.<br />De benedictione, et coronatione Regis.<br />De benedictione, et coronatione Reginae.<br />De benedictione, et coronatione Reginae ut regni Dominae.<br />De benedictione, et coronatione Regis in consortem electi.<br />De benedictione novi Militis.<br />De benedictione ensis.<br />De creatione Militis regularis.<br /><br />L’impianto stesso di questa successione di Rituale rende evidenti alcune considerazioni:<br />a) Trattasi della parte del Pontificale che in principio racchiude e compendia in sé le diverse applicazioni del Sacramento dell’Ordine sacro in tutti i livelli della Gerarchia sacerdotale (dagli Ordini minori alla dignità di Arcivescovo) e della vita consacrata (Abati ed abbadesse; Vergini consacrate) (capp. 1-24).<br />b) Successivamente, in un’articolazione gerarchica altamente significativa della natura sacramentale dei rituali stessi, vengono elencati e specificati i Rituali di investitura delle Persone Regali (capp. 25-28), e i diversi Rituali relativi alla figura del Cavaliere (capp. 29-31).<br />c) Relativamente a quest’ultimo gruppo di tre rituali specificamente connessi alla figura del Cavaliere, è bene evidenziare che si tratta di rituali fra loro ben diversificati, anch’essi riportati in ordine gerarchico:<br />c1) Il rituale di Investitura cavalleresco vero e proprio (cap. 29).<br />c2) Nel contesto del rituale suddetto, viene sottolineata con uno specifico richiamo nell’Indice l’importanza del rituale della Benedizione della spada del nuovo Cavaliere (cap. 30).<br />c3) Infine, vengono riportate le modalità essenziali relative all’accettazione di un Cavaliere all’interno di un Ordine militare (cap. 31).<br /><br /><br /><strong>La natura sacramentale dell’Ordinazione cavalleresca.<br /></strong><br />Per sottolineare ulteriormente la lucida continuità teologica e sacramentale tra le prescrizioni in ambito di Investitura cavalleresca del Pontificale Romanum tridentino e le attuali prescrizioni canoniche, è bene ora soffermarsi più partitamente sul significato del termine “sacramentale” all’interno della teologia cristiana cattolica contemporanea.<br />Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica promulgato da SS. Benedetto XVI il 28 giugno 2005, alla domanda n° 351. Che cosa sono i sacramentali? risponde con queste poche e precise parole:<br />«Sono segni sacri istituiti dalla Chiesa, per mezzo dei quali vengono santificate alcune circostanze della vita. Essi comportano una preghiera accompagnata dal segno della croce e da altri segni. Fra i Sacramentali, occupano un posto importante le benedizioni, che sono una lode di Dio e una preghiera per ottenere i suoi doni, le consacrazioni di persone e le dedicazioni di cose al culto di Dio»20.<br />Anche la Cavalleria si inserisce, da un punto di vista spirituale e giuridico, fra i sacramentali, essendo appunto una “consacrazione di persone” all’esercizio della Via cavalleresca. «L’investitura cavalleresca è per propria natura un “sacramentale costitutivo”. È un sacramentale perché, pur non avendo la natura e la superiore efficacia del sacramento che innesta direttamente l’uomo sul Corpo Mistico di Cristo, in quanto sacramentale veicola comunque una grazia speciale proveniente da Dio. Questa, tramite il Suo potere, agisce in un duplice modo: trasforma permanentemente la natura della persona consacrandola come Miles Christi e la dota dei mezzi spirituali atti a sostenere la christiana militia.<br />In questo senso, il rituale d’investitura può essere inteso come una riconferma della Cresima poiché come la Cresima consacra il cresimando (maschio o femmina) soldato di Cristo in spiritualibus, l’investitura cavalleresca riconosce valida e consacra la vocazione specifica del Miles autorizzandolo, se le circostanze lo impongono, a difendere anche materialmente a prezzo della propria vita il popolo di Dio. Allo stesso tempo il rituale d’investitura dota il Miles delle grazie necessarie al proprio stato. Queste grazie manifestano l’assistenza divina nei confronti della sua persona e della funzione che questa è chiamata a compiere.<br />Come avviene per i Sacramenti, anche il sacramentale dell’investitura cavalleresca possiede una propria forma e una propria sostanza: la forma è quella fissata dal rito canonico e prevede le operazioni rituali cui abbiamo accennato; la sostanza è la persona stessa del Cavaliere elevato dal rito alla dignità spirituale di Miles Christi.<br />Nella tradizione cavalleresca le uniche persone autorizzate a compiere il rito dell’investitura sono il Vescovo e il Cavaliere regolarmente consacrato da Vescovo, o da altro Cavaliere a sua volta regolarmente investito... Ovviamente, nell’investitura conferita da Cavaliere mancano gli elementi pertinenti alla dignità sacerdotale, come la benedizione della spada e del nuovo Cavaliere.<br />Quando queste condizioni vengano a mancare, o quando la forma del sacramentale risulti incompleta o alterata, il sacramentale cessa di essere tale per cui non si può parlare propriamente di “Cavaliere” né di “rito d’investitura”»21.<br /><br /><br /><strong>L’ingresso del Cavaliere in un Ordine o Organizzazione Cavalleresca.<br /></strong><br />Abbiamo appena sottolineato come all’interno della Prima Parte del Pontificale Romanum tridentino venga nettamente distinto il Rituale di Investitura cavalleresco (capp. 29-30) dalle modalità essenziali relative all’accettazione di un Cavaliere all’interno di un Ordine militare (cap. 31).<br />Il capitolo 31 del Pontificale, assai sintetico, recita così:<br />«De Creatione Militis regularis.<br />Cum summus Pontifex committit alique creari in Militem ordinis militaris, Pontifex, cui creatio huiusmodi commissa est, in primis imponit ei abitum illum, quo Milites illius ordinis, quem intendit profiteri, v(o)ti consueuerunt. Deinde recipit ab eo adhuc genuflexo professionem, per tales emitti solitam votorum, secundum illius ordinis instituta.»22.<br /><br />Le prescrizioni del testo sono chiarissime: qualora un Cavaliere desideri entrare in un Ordine Militare (già evidentemente preesistente e nel contempo posto sotto l’Autorità della Santa Sede, in quanto viene specificato che il coinvolgimento nel Rituale del Romano Pontefice è conseguenza di una specifica commissio), il Pontefice impone al Cavaliere in primo luogo l’abito dell’Ordine in oggetto, e successivamente riceve dal medesimo Cavaliere, genuflesso, i voti secondo gli Statuti dell’Ordine in cui il Cavaliere desidera appunto entrare.<br /><br />La distinzione fra i capp. 29-30 e 31, nell’articolazione rigorosa della Prima Parte del testo del Pontificale, rimanda sia ad una differenza di dignità fra i due rituali che ad una precisa scansione temporale fra gli stessi:<br />a) Appare chiaro al di là di ogni dubbio che l’Investitura alla dignità di Cavaliere rappresenta un Rituale con dignità sacramentale a sé stante (capp. 29-30), distinto e separato dall’appartenenza a qualsiasi Ordine Militare (cap. 31).<br />b) Nel contempo l’ingresso di un Cavaliere all’interno di un Ordine militare è gesto successivo all’acquisizione della dignità Cavalleresca, ed in presenza di una riconosciuta pluralità di Ordini militari la prescrizione liturgica rimanda esplicitamente agli Statuti di ogni Ordine. Non si tratta quindi né di una Benedictio né di una Consecratio, ma della ricezione da parte del Pontifex dei Voti espressi dal Cavaliere – già tale - secondo gli Statuti dell’Ordine in cui Egli desidera entrare.<br />c) Inoltre, è ben noto che l’ingresso in un Ordine Militare può avvenire prescindendo dall’avvenuta Investitura alla dignità cavalleresca, in forma onoraria, secondo una delle diverse formule distillate nei secoli dell’era moderna e contemporanea.<br /><br /><br /><strong>Le aggregazioni dei fedeli all’interno del moderno Codex Juris Canonicis.<br /></strong><br />A questo punto è assai interessante constatare come l’attuale ordinamento giuridico della Chiesa Cattolica mantenga precisi spazi aperti al desiderio dei fedeli di aggregarsi sulla base di una comune vocazione, non esclusa quella cavalleresca. Il nuovo Codice di Diritto Canonico promulgato da Papa Giovanni Paolo II, aprendo il Titolo dedicato a “Le associazioni dei fedeli” ai cann. 298-299 (Capitolo I – Norme comuni), recita:<br />«Can. 298. Nella Chiesa vi sono associazioni, distinte dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica, in cui i fedeli, sia chierici, sia laici, sia chierici e laici insieme, tendono, mediante l’azione comune, all’incremento di una vita più perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali (…) animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristiano. (…)<br />Can. 299. I fedeli hanno il diritto di costituire associazioni, mediante un accordo privato fra loro per conseguire i fini di cui al can. 298, §1… Tali associazioni, anche se lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica, si chiamano associazioni private.»23<br />Beninteso, come specificato al Can. 301, «§2. L’autorità ecclesiastica competente, se lo giudica opportuno, può erigere associazioni di fedeli anche per il conseguimento diretto o indiretto di altre finalità spirituali alle quali non sia stato sufficientemente provveduto mediante iniziative private. § 3. Le associazioni di fedeli erette dall’autorità ecclesiastica si chiamano associazioni pubbliche»24.<br />In entrambi i casi (sia che si tratti di Associazioni di fedeli private che pubbliche), il Can. 307. precisa che «L’accettazione dei membri avvenga a norma del diritto e degli statuti di ciascuna associazione»25.<br />Gli Ordini Cavallereschi riconosciuti dalla Santa Sede rientrano quindi pienamente nei dettami del Can. 301 del CJC, mentre gli altri Ordini dinastici e le Congregazioni cavalleresche appaiono inquadrati giuridicamente nei Cann. 298 e 299, come parte integrante e storicamente gloriosa del millenario movimento di animazione cristiana del mondo che ha visto protagonisti i laici cattolici.<br />Questa constatazione non è affatto priva di conseguenze, in quanto fa uscire la Cavalleria dal novero delle testimonianze del Ben Tempo Andato, e la colloca nel cuore del contemporaneo processo di valorizzazione del contributo laicale al grandioso e cruciale processo della “nuova evangelizzazione”26.<br /><br />Come ha ben sottolineato Mario Polia, «...una volta ricevuta l’investitura, quindi diventato Miles Christi, il Cavaliere è autorizzato a compiere la sua funzione non solo in quanto ha acquisito (come avveniva soprattutto un tempo) uno status sociale ma, innanzitutto, perché ha ormai raggiunto la categoria spirituale di appartenente all’Ordine della Cavalleria avendo ricevuto le grazie necessarie al proprio stato di combattente. La sua funzione, da quel momento, si esplica militarmente mediante il combattimento in difesa dei deboli e degli oppressi, quando ciò è necessario, ma, prima di tutto, si manifesta mediante un’assidua opera di charitas nei confronti della quale le condizioni contingenti di “guerra” o “pace” sono sostituite dalla pratica di una militia permanente, attiva sul piano della testimonianza a favore del prossimo e della lotta spirituale.<br />Per quanto riguarda la condizione del Cavaliere, questi può essere Cavaliere laico, e come tale può possedere dei beni, contrarre matrimonio e divenire padre, oppure può passare alla condizione di “Cavaliere professo” mediante la dichiarazione solenne dei voti di castità, povertà ed obbedienza. In questo caso, di norma, la professione avviene nel seno di uno degli Ordini Militari ancora esistenti. Tuttavia, previa l’autorizzazione dell’autorità religiosa, nulla impedisce che un Cavaliere divenga professo indipendentemente dall’appartenenza ad un Ordine militare perché, in quanto Cavaliere consacrato dal rito d’investitura, appartiene già all’Ordine della Cavalleria. In questo caso, il Cavaliere può aderire, ad esempio, agli statuti di una delle grandi famiglie monastiche derivate dalla Regola di San Benedetto, Regola che influì possentemente sulla struttura spirituale della Cavalleria.»27.<br /><br /><br /><strong>Conclusione: per la “nuova evangelizzazione” dell’Europa la Cavalleria è sempre necessaria.<br /></strong><br />E’ un paradosso interessante constatare come il panorama dei mutamenti della società post-moderna, impregnata di un relativismo aggressivo e dissolutorio, abbia provocato in via riflessa l’accrescersi di una nuova attenzione nei confronti dell’Istituzione Cavalleresca, millenaria creazione del genio europeo a contatto con la Rivelazione cristiana.<br />Nel contempo, il proliferare di falsi Ordini, imitazioni parodistiche e truffaldine dell’Istituzione Cavalleresca, lungi dallo svuotare di senso questa attenzione fascinosa ne sottolinea ancor più il carattere istintivo, sovente irriflesso ed ignorante, ma indubbiamente autentico.<br />Nel contesto della “nuova evangelizzazione” con cui la Chiesa e la cultura cattolica europea, stimolati dalla lezione di Papa Giovanni Paolo II, stanno reagendo alla diffusione di ciò che l’attuale pontefice ha definito «La dittatura del relativismo», la Cavalleria nella sua natura sacramentale, lungi dall’essere una reliquia di tempi andati, dimostra sempre più di possedere non solo una grande vitalità, ma ancor più una propria specifica vocazione:<br />«...il fine primario della Cavalleria cristiana è la santificazione del Cavaliere mediante il servizio prestato al prossimo, specialmente ai poveri e ai bisognosi, ai deboli ed agli oppressi. La militia del Cavaliere non riguardò (come un tempo) né riguarda solo la sua opera in tempo di guerra, se così fosse Cavalleria e militia diverrebbero inutili in tempo di pace mentre il concetto di “combattimento” che informa l’esistenza e l’opera del Cavaliere è un concetto ampio e ubbidisce alla definizione paolina della vita come militia super terram.<br />Si tratta, dunque, di un duplice combattimento quello cui da sempre il Cavaliere cristiano dedica la sua vita: esterno ed interno. Si tratta di un combattimento materiale e spirituale diretto non solo contro i nemici del popolo di Dio ma contro i nemici che s’annidano nel segreto della propria anima. Per questo, San Bernardo da Chiaravalle, supremo ed ultimo rifondatore della Cavalleria, fa questione di una duplice spada impugnata dal Miles: materiale e spirituale. Di esse la spada spirituale è di gran lungi la più importante: senza di essa, infatti, ogni combattimento risulterebbe non solo inutile ma illecito poiché senza la retta conoscenza e la retta intenzione la retta azione non può in alcun modo sussistere.»28.<br /><br />«Oggi, il processo di scristianizzazione dell’Europa, orchestrato da una èlite contraria a Cristo ed alla Chiesa, avanza a grandi passi mentre si sta affermando a scala planetaria un’ideologia bassamente edonista, fondata sul calcolo personale, sul profitto economico di oligarchie internazionali e sugli interessi dei paesi industrializzati asserviti alla logica del denaro. Un’ideologia sostenuta dallo sfruttamento distruttivo degli ecosistemi, forte del potere delle armi e del capillare controllo delle coscienze, oggi si appresta a dirigere le sorti del pianeta, apparentemente senza incontrare ostacoli significativi. Come una diabolica parodia del sogno dell’Impero Universale cristiano.<br />Ed ecco, proprio oggi si aprono al Cavaliere cristiano meravigliose possibilità d’azione che un tempo erano insolite. Oggi, infatti, il concetto di “povertà”, di “bisogno”, di “oppressione” non riguarda più soltanto la sfera materiale e i bisogni materiali ma anche ed innanzitutto la dimensione e le esigenze dello spirito. Mai come oggi la militia deve essere dedicata a combattere alla radice l’errore e le tragiche conseguenze prodotte dall’errore. Il combattimento oggi si fa essenzialmente spirituale e il Cavaliere deve dedicare la sua azione a quanti, vittime dell’ignoranza, sono incapaci di spiegarsi il perché della sofferenza, del male, della solitudine, della morte. Costoro sono stati traditi dal sistema, dalle promesse di un progresso che non tiene conto delle esigenze dell’uomo e della natura, che non sa rispondere a quelle eterne domande se non eludendole, o dando risposte insoddisfacenti ai grandi quesiti che accomunano tutti gli esseri umani indipendentemente dalla latitudine geografica e dalla cultura la cui risoluzione era stata fornita dalla religione.<br />La protezione dei deboli, inoltre, oggi coincide anche con la difesa dell’ambiente e delle specie indifese, minacciate da un progresso cieco ed egoista. L’attuale sistema di produzione e consumo si è trasformato in un mostro spietato che per vivere deve distruggere incessantemente equilibri materiali e spirituali, fagocitando risorse naturali e coscienze, distruggendo ogni salutare diversità culturale e finendo, per ultimo, dopo aver inflitto ad ogni essere senziente incalcolabili sofferenze, per divorare sé stesso.<br />Oggi, in questa drammatica situazione, forse per la prima volta in modo così netto ed urgente, la Cavalleria coincide con la Conoscenza e il suo destino con quello dell’identità dell’Europa cristiana e della cristianità intera. Oggi, forse, ancor più che ai tempi di San Bernardo la Cavalleria terrena, libera da qualsiasi compromesso col potere terreno, libera dagli orpelli dei blasoni e dei titoli, libera dalla servitù delle corti, restituita alla sua nuda semplicità spirituale di testimonianza militante, ha i mezzi e l’occasione propizia per trasformarsi in Cavalleria Celeste»29.<br /><br /><br />Note<br /><br />Una breve meditazione attorno all’archetipo cavalleresco non può che partire dalla riscoperta di uno dei migliori saggi scritti in argomento negli ultimi cento anni: F. Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Firenze 1981, part. pagg. 3 e segg.; dello stesso Autore vedasi inoltre Guerre di primavera. Studi sulla Cavalleria e la tradizione cavalleresca, Firenze 1992, pagg. 13 e segg.<br />Attorno alla contemporanea diffusione del fascino per la Cavalleria e gli Ordini che storicamente ne hanno incarnato le espressioni, vedi A. Saentz, La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della Verità inerme, trad. it., Rimini 2000.<br />Lo studio degli pseudo-ordini cavallereschi oramai esige una bibliografia a sè stante. Per un primo approccio al tema vedi Aa.Vv., “Gli Ordini Cavallereschi”, numero monografico de Religioni e Sette nel Mondo, n° 25, Bologna 2003-2004, e la ricca bibliografia ivi inclusa.<br />Il panorama delle aggregazioni settarie e neo-spiritualiste che prendono come proprio bersaglio la Cavalleria è pressoché infinito: sul tema vedi introduttivamente Aa.Vv., “Gli Ordini Cavallereschi”, cit., part. pagg. 102 e segg.<br />Il riferimento è al noto saggio del Thibon Ritorno al reale, trad. it., Milano 2001.<br />A. Saentz, La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della Verità inerme, cit., pag. 5.<br />Il tema del rapporto fra l’esercizio delle armi e il Sacro è veramente sterminato: per limitarsi al contesto europeo, si parta da: M. Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, tra. It., Torino 1976 e Idem, Il Sacro e il profano, trad. it., Torino 1973; G. Dumézil, L’ideologia tripartita degli Indoeuropei, trad. it., Rimini 2003 ed Idem, Ventura e sventura del guerriero. Aspetti mitici della funzione guerriera presso gli Indoeuropei, trad. it. Torino 1974; Autori Vari, Guerra, num. monografico di Avallon, Rimini 1995; per quanto concerne il tempo del “lungo medioevo”, accanto al già citato saggiodi F. Cardini Alle radici della Cavalleria medievale, vedasi G. Duby, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri, contadini, trad. it., Roma-Bari 1980; D. Tessore, La mistica della guerra. Spiritualità delle armi nel cristianesimo e nell’islam, Roma 2003.<br />S. Bernardo di Chiaravalle, De Laude Novae Militiae, trad. it. a c. di M. Polia, Rimini 2003.<br />Raimondo Lullo, Il Libro dell’Ordine della Cavalleria, trad. it. a c. di G. Allegra, Carmagnola 1983.<br />Attorno alla diffusione ed all’interpretazione della letteratura graalico-arturiana come specchio della visione del mondo cavalleresca, vedi M.Polia, Il Mistero Imperiale del Graal, Rimini 1996, e A. Morganti, Il Mistero del Mago Merlino, Rimini 1997.<br />M. Polia, “Profilo etico e religioso della Cavalleria cristiana e del Miles Christi”, in Religioni e sette nel mondo n°25/2004, pagg. 11-12.<br />Sulla persistenza dell’immagine tripartita della società fino agli albori della modernità vedi O. Niccoli, I Sacerdoti, i guerrieri, i contadini. Storia di un’immagine della società, Torino 1979.<br />M. Polia, “Profilo etico e religioso...”, cit.<br />Idem, pag. 13.<br />Il progetto integrale della ristampa dei Monumenta Liturgica Concilii Tridentini prevede la ristampa in edizione anastatica commentata dei sei volumi costituenti il corpus dei testi liturgici licenziati dal Concilio di Trento dopo il 1568. Per il presente lavoro si è concentrata l’attenzione unicamente sulla riedizione del Pontificale Romanum, edita nel 1997.<br />Per una comparazione fra la struttura contenutistica delle due edizioni del Pontificale Romanum vedi l’Introduzione alla riedizione del Pontificale tridentino, cit., pagg. XVII-XXI.<br />Mons. R. Farina, Presentazione alla riedizione del Pontificale tridentino, cit., pag. V.<br />Sull’evoluzione dei Libri liturgici cattolici in generale, e del Pontificale Romanum in particolare, vedi M. Sodi-A.M. Triacca, Introduzione alla riedizione del Pontificale tridentino, cit., pagg. XII-XIII, e la ricca Bibliografia ivi riportata.<br />Ne sia esempio il caso dei “Cavalieri professi” appartenenti all’Ordine di Malta, ma anche quello certamente meno celebre, ma forse altrettanto significativo, di numerosi cattolici investiti Cavalieri secondo il Rituale “tridentino” negli ultimi trent’anni da parte di svariati Vescovi cattolici, sia Ordinari militari che Vescovi diocesani.<br />Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Roma 2005, pag. 94. I riferimenti al testo completo del Catechismo della Chiesa Cattolica sono i seguenti: 1667-1672; 1677-1678. Abbiamo riportato questa forma sintetica per evidente praticità.<br />M. Polia, cit., pagg. 13-14.<br />M. Sodi-A.M. Triacca (a c.), Pontificale Romanum – Editio Princeps 1595-1596, rist.anast. Roma 1997, pag. 278 dell’edizione originale.<br />Codex Juris Canonicis, pp. 237.<br />Codex Juris Canonicis, pp. 239.<br />Codex Juris Canonicis, pp. 241.<br />Sul tema vedi utilmente la sintesi di p. P. Ferrari da Cassano S.J., “I Movimenti ecclesiali nel diritto della Chiesa”, in La Civiltà Cattolica, n° IV/1997, pagg. 330 e segg.<br />M. Polia, art. cit., pagg. 23-24; vedi anche l’eccellente saggio di C. Alzati, “Prassi sacramentale e Militia Christi”, in Aevum n°2/1993, pagg. 313 e segg.<br />M. Polia, art. cit., pagg. 15-16.<br />M. Polia, art. cit., pagg. 17-18.<br /><br /><br /><br />Bibliografia<br /><br />Autori Vari, Guerra, numero monografico di Avallon, Rimini 1995.<br />S. Bernardo di Chiaravalle, De Laude Novae Militiae, trad. it. a c. di M. Polia, Rimini 2003.<br />F. Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Firenze 1981.<br />F. Cardini, Guerre di primavera. Studi sulla Cavalleria e la tradizione cavalleresca, Firenze 1992.<br />Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Roma 2005.<br />G. Duby, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri, contadini, trad. it., Roma-Bari 1980.<br />O. Niccoli, I Sacerdoti, i guerrieri, i contadini. Storia di un’immagine della società, Torino 1979.<br />M. Polia, “Profilo etico e religioso della Cavalleria cristiana e del Miles Christi”, in Religioni e sette nel mondo n°25/2004.<br />A. Saentz, La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della Verità inerme, trad. it., Rimini 2000.<br />M. Sodi – A.M. Triacca (a c.), Pontificale Romanum – Editio Princeps 1595-1596, rist.anast. Roma 1997.<br />D. Tessore, La mistica della guerra. Spiritualità delle armi nel cristianesimo e nell’islam, Roma 2003.<br /><br /><br />Breve autopresentazione:<br /></div><br /><div>Adolfo Morganti, nato nel 1959, laureato in Psicologia, è Docente di Pedagogia della Religione e Socio fondatore del Centro Studi Nuovo Medioevo della Repubblica di San Marino, presieduto dal prof. Franco Cardini, nonché fondatore e Presidente di Paneuropa San Marino.<br />Dal 2001 è Fondatore e Presidente della Fondazione Istituto di Studi Storici Europei (I.S.S.E.) di Roma; nel dicembre 2002 viene nominato Membro dell’ “Osservatorio per il monitoraggio comparativo dell’attuazione delle direttive comunitarie in Italia” istituito dal Ministero per le Politiche Comunitarie della Repubblica Italiana, e della Commissione Cultura presso il medesimo Ministero.<br />E’ incaricato della Docenza di “Psicologia Dinamica” presso l’Università “Guglielmo Marconi” di Roma, e nel 2004 è insignito dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio con la qualifica di Cavaliere di Merito con placca. Dal luglio 2005, infine, è Fondatore e Presidente dell’Istituto di Studi Storico-Politici Sammarinese (I.S.S.Po.S.).<br />Collabora a numerosi periodici europei.</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-46383137396476258352007-08-06T17:58:00.000+02:002007-08-06T18:04:55.717+02:00Natura e scopi dell'istituzione cavalleresca<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgF53ebzODvHeijwfd-Iht-CaMe-iI91kiaiIRhbKcpoxOuMeNQBNLitC5Y6bf4_G4tNS5ruuxFXRGRHkl_4KiDga8XywaV-cULzwNHQXnsDQfCoDW_ZVEiTm8IhoaZLKbc8ticUBJrKFvc/s1600-h/Hughes1.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5095619054395493970" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgF53ebzODvHeijwfd-Iht-CaMe-iI91kiaiIRhbKcpoxOuMeNQBNLitC5Y6bf4_G4tNS5ruuxFXRGRHkl_4KiDga8XywaV-cULzwNHQXnsDQfCoDW_ZVEiTm8IhoaZLKbc8ticUBJrKFvc/s320/Hughes1.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"><br /><br />La Cavalleria, quale casta privilegiata di combattenti a cavallo, è un'Istituzione assai antica. L'utilizzazione del cavallo a scopi militari ebbe inizio circa 3000 anni prima dell'Era Volgare ad opera delle popolazioni dell'Asia centrale; l'equitazione ebbe però uno sviluppo molto lento. Ittiti, Hurriti, Cassiti, Egizi, Numidi, Sciti e Parti furono i primi popoli a possedere una vera cavalleria costituita da guerrieri cavallo o montati su carri da guerra trainati prima da onagri, poi da cavalli. Dal IX° secolo a.C., figure di cavalieri compaiono su bassorilievi Assiri. In Grecia fa cavalleria nacque nel VII0 secolo a.C- e, nel V° secolo, Atene possedeva 1000 cavalieri comandati da due Ipparchi. Dal V° secolo a.C-, Filippo il Macedone affiancò alla falange la cavalleria (un cavaliere ogni sei fanti), che fu trasformata poi da Alessandro Magno in efficiente e decisivo strumento di guerra. Roma non ebbe numerosa cavalleria (300 cavalieri su 4200 uomini di una legione) fino al II0 secolo d.C., allorché quest'ultima assunse una notevole consistenza numerica (alla fine del III0 secolo d.C.-, sotto Diocleziano, i cavalieri erano 160.000), ma fu irrazionalmente impiegata, disseminata com'era a guardia delle frontiere; per questo, sebbene in seguito fosse stata ulteriormente incrementata nel numero, non seppe far fronte alle invasioni barbariche Momento importante per la Cavalleria fu il contatto con le popolazioni della steppa, soprattutto Unni e Mongoli- Per questi popoli il cavallo era un elemento indispensabile alla sopravvivenza ancor prima che al combattimento- Con essa veniva introdotto l'uso delle staffe, che permettevano dì mantenere l'equilibrio e quindi facilitavano enormemente l'uso dell'arco e della spada. Gli Unni non hanno rivali nella razzia e nel combattimento a cavallo, ma non sono cavalieri: l'Orda vive in totale promiscuità con la bestia, gli uomini mangiano, dormono, vivono in sella, tanto che un cronista dell'epoca li scambiò per centauri.. Per Bisanzio l'adozione di nuove tecniche determina una vera e propria rivoluziona nell'arte militare. Gli Arabi ignorarono l'equitazione sino al VI0 secolo d.C., ma, in seguito, conferirono alla cavalleria un ruolo primario nei loro schieramenti divenendo ottimi cavalieri. Con concezione totalmente diversa, in Oriente, verso la fine de! XII° secolo, Gengis Khan creò, nelle pianure della Mongolia, una cavalleria forte di 700,000 uomini. Questi, esperti nel cavalcare, guerrieri per natura, tenuti uniti da una disciplina di ferro, seguiti da numerosi carri e da grandi mandrie, conquistarono il nord e l'est dell'Asia e, nel 1235, invasero l'Europa con una forza di 150.000 cavalieri. Cario Magno, obbligato ad agire senza soste da un'estremità all'altra del suo vasto Impero, diede notevole importanza alla cavalleria che, con ['impiego dei ferri agii zoccoli, delle staffe e del morso di briglia, potè essere usata in qualsiasi circostanza e, dal IX° secolo, divenne l'arma preminente del combattimento. Franchi e Longobardi in questo modo cominciarono quindi a proporre sulla scena della Storia l'immagine - non l'idea, solo l'immagine - del Cavaliere, Si fa avanti con essi un indefinibile guerriero che, oltre ad essere una temibile unità da guerra, è tale in ragione di certe regole inviolabili, dalle quali non può derogare. La sua intera esistenza ne è condizionata. Questo nuovo strano soldato, che affiora da brume protostorìche, è rozzo e violento, idealmente confuso da un paganesimo ormai logoro, eppure consapevole dell'uso cui è destinata la propria spada in quanto vincolato da un rapporto di totale fedeltà verso il signore al quale deve l'investitura delle armi; al punto che si diceva non esservi nulla di più spregevole che sopravvivere al proprio capo caduto in battaglia. Il valore è stimato in ogni età e paese, e quanto più rudi sono il periodo ed il luogo, tanto più vengono rispettati l'audacia dell'impresa ed il successo in battaglia. Ma mescolare il valore militare con le più forti passioni che muovono la mente umana, come i sentimenti di devozione e quelli d'amore, questo fu peculiare dell'Istituzione della Cavalleria. La lealtà al sovrano era certo anch'essa un dovere cui questi guerrieri erano tenuti; ma benché si trattasse di una molla potente, da cui essi appaiono spesso fortemente spinti, tuttavia non fu una delle componenti del principio cavalleresco allo stesso titolo delle due cause precedenti. L'amore per la libertà personale, e l'obbligo di sostenerla e difenderla nell'altrui come nella propria persona, costituiva un dovere al quale erano particolarmente tenuti coloro che raggiungevano l'onore della Cavalleria. Generosità, valore, cortesia e reputazione cristallina erano ingredienti non meno necessari per il carattere di un perfetto cavaliere. La religione cristiana venne utilizzata dai suoi ministri come ulteriore sprone per l'indole del valoroso; vittoria e gloria sulla terra, ed una felice eternità dopo la morte, venivano promesse a quei campioni che si fossero distinti in battaglia contro gli infedeli. L'ammissione del giovane nobile alla pratica delle armi non fu più una cerimonia laica, ma divenne un rito religioso, santificato dalle formalità di quella Chiesa che in futuro avrebbe dovuto difendere. L'aspirante cavaliere iniziava il suo apprendistato in giovane età, tra i sette ed i dieci anni. I genitori lo mandavano nel castello di un'altra nobile famiglia ed il ragazzo iniziava a sbrigare piccole incombenze per i padroni di casa, come portare i'acqua e la legna, fare commissioni per la castellana e le sue dame, rimanere accanto al suo signore ed ai suoi ospiti in occasione dei banchetti, per rifornire la tavola di acqua fresca o vino o porgere panni per pulirsi le mani. Se è bello e di carattere amabile, la padrona di casa e le sue ancelle lo prendono maternamente sotto la loro protezione e gli insegnano ad usare uno strumento come la viola, il flauto o il liuto o a giocare a scacchi, così da utilizzarlo come piacevole compagnia nelle lunghe giornate di noia, quando il feudatario ed i suoi uomini sono assenti per i loro impegni, come la caccia o la guerra. L'istruzione del futuro cavaliere consiste in un po' di latino e qualche nozione di religione e cultura generale, sotto la guida de! cappellano, mentre ciambellani e balivi gli spiegano, per sommi capi, come si amministra un feudo. Ma, la sua vera educazione, si svolge all'aperto, in mezzo ai cavalli. Sotto la guida di un garzone di scuderia esperto, impara a curare e strigliare i focosi destrieri da combattimento, lustrare gli scudi e gli elmi, affilare le spade, togliere la ruggine alle cotte di maglia di ferro. Da donzello e valletto, come viene chiamato all'inizio dell'apprendistato, il ragazzo viene nominato, con il tempo, scudiere, e questa carica gli da il diritto di accompagnare il suo signore nei tornei e seguirlo nelle sue imprese. Per irrobustire il corpo e la mente ed imparare ad essere coraggioso, continua ad allenarsi nella corsa, nella lotta a mani nude e nella scherma. In occasione dei tornei, grande divertimento dell'epoca, corre la quintana. vale a dire galoppa a briglia sciolta contro un fantoccio di legno montato su un perno girevole e, armato di bastone, cerca di colpirlo tra gli occhi. Se non ci riesce al primo tentativo, il bastone si abbatte con violenza sulla sua schiena. Anche questo non è che un "assaggio" dei tormenti che dovrà patire in futuro, combattendo contro i nemici. Verso i vent'anni, a volte anche prima, arriva per il giovane scudiere il sospirato momento dell'investitura a cavaliere, che gli viene conferita dal signore del castello dove si è svolto il suo apprendistato. La cerimonia avviene, di solito, in occasione delle grandi solennità religiose, come Pasqua o Pentecoste. Dopo una notte trascorsa in preghiera nella cappella della nobile dimora, l'aspirante cavaliere indossa un abito di velluto ricamato, calza speroni dorati e "cinge la spada" inginocchiato ai piedi del suo signore, pronunciando i voti solenni del cavalierato. Si impegna cioè ad essere coraggioso e generoso, a rifuggire il tradimento, a proteggere le vedove e gli orfani, a servire lealmente il suo signore e la Chiesa. Il momento culminante del rituale è la "collata", consistente in uno schiaffetto che il feudatario gli da con la mano aperta o con il piatto della spada e che rappresenta, simbolicamente, l'ultima offesa che il giovane deve lasciare invendicata. Il resto della giornata trascorre in festeggiamenti. A partire dall'investitura, il neo cavaliere ha diritto di possedere un destriere ed armi personali, e può aspirare ad avere un feudo suo (il che spesso è ottenuto con un vantaggioso matrimonio). Alcuni di loro, nei paesi a feudo franco, dove il dominio feudale passava per intero al primogenito, erano cavalieri "senza terra", cadetti cioè che si erano trovati a disporre di una ricchezza appena sufficiente ad equipaggiarsi ed a militare a cavallo. Se la fortuna non sorrideva loro, potevano rimanere al servizio del signore, ricompensandolo con valorose imprese per tutto il denaro e le fatiche spese per averli fatti cavalieri "senza macchia e senza paura". Il cavaliere, la cui professione era la guerra, dopo essere stato solennemente arruolato al servizio del Vangelo della pace, considerava infedeli ed eretici di ogni sorta come nemici che, in qualità di soldato di Dio, era tenuto ad attaccare ed uccidere ovunque li potesse incontrare, senza richiedere od attendere altra causa di contesa che la differenza di fede religiosa. I doveri della moralità gli erano stati, invero, formalmente imposti dal giuramento dell'ordine, al pari di quello di difendere la Chiesa ed estirpare l'eresia e la miscredenza. Ma, in tutti i tempi, gli uomini hanno usato regolare i debiti che essi contraggono con la propria coscienza quando infrangono il codice morale della religione; nel Medioevo la Chiesa riconosceva ad un'impresa compiuta contro gli infedeli un merito che poteva nascondere la colpa dei più atroci crimini. L'ovvio pericolo dell'insegnare ai mèmbri di un corpo militare a considerarsi dei missionari di una religione, tenuti a diffonderne le dottrine, è che essi useranno certamente al suo servizio le loro spade e le loro lance. Si riterrà che il fine santifichi i mezzi, ed il massacro di migliaia di infedeli verrà ritenuto azione rilevante e perfino positiva, solo che produca la conversione dei superstiti o ne popoli le terre con uomini che professano una fede più pura. A questo proposito, si ricordi il termine "malicidio", coniato da San Bernardo, per definire l'uccisione di infedeli, fossero anche donne e bambini, e la risposta di un vescovo che, alla domanda di un soldato su come avrebbero potuto distinguere gli eretici dai buoni cristiani poco prima dell'assalto ad un villaggio dove vi erano dei catari, rispose: "voi uccideteli tutti, Dio, poi, riconoscerà i suoi". Ma benché, come accidentalmente avviene nelle istituzioni umane, la mescolanza di devozione e carattere militare degenerasse in pratica in brutale intolleranza e superstizione, nulla poteva essere più bello e degno di lode della teoria sulla quale era basata. Che il soldato sguainasse la spada in difesa del suo paese e delle sue libertà, o dell'innocenza oppressa di damigelle, vedove ed orfani, o a sostegno dei diritti religiosi per i quali i detentori non potevano, per professione, combattere di persona; che unisse a tutti i sentimenti che questi uffici ispiravano un profondo senso di devozione che lo innalzava al di sopra dei vantaggi ed anche della fama che gli poteva derivare dalla vittoria, trasformando la sconfitta stessa in lezione di castigo ed umiliazione divina; che il cavaliere, sul cui valore dovevano contare i suoi compatrioti in caso di pericolo, desse loro l'esempio osservando i doveri ed i precetti della religione, tutte queste circostanze erano tanto adatte ad ingentilire ed a dare dignità e grazia alla professione delle armi, che non si può fare a meno di deplorarne la tendenza a degenerare in una feroce propensione alla bigotteria, alla persecuzione ed all'intolleranza. La seconda componente dello spirito cavalleresco, inferiore come forza soltanto allo zelo religioso di chi la professava, e spesso predominante su di esso, era una devozione per il sesso femminile - e particolarmente per colei che ogni cavaliere aveva scelto come oggetto principale della propria passione - di natura tanto stravagante ed illimitata da rasentare l'idolatria. La difesa del sesso femminile, la considerazione dovuta all'onore delle donne, la sottomissione con cui si obbediva ai loro comandi, il timore reverenziale e la cortesia che proibivano, in loro presenza, ogni parola o azione indecorosa, erano a tal punto parte dell'Istituzione della Cavalleria da costituirne l'essenza stessa. Per il cavaliere era essenziale scegliere una dama per fame la stella polare dei suoi pensieri, la signora dei suoi affetti e la guida direttrice delle sue azioni. Era per servire lei che egli doveva essere: leale, fedele, segreto e riverente. Il mondo inferiore del cavaliere era, in misura determinante, riflesso del rapporto che egli era riuscito ad instaurare con la sua dama. Tale rapporto, sovente reale ma assai spesso anche solo virtuale perché basato su sogni o desideri, fantasie sviluppate circa una dama facente parte dell'ambiente del diretto superiore del giovane stesso che arrivava alla propria realizzazione attraverso il legame per una idolatrata figura femminile, tale rapporto era il magnete che generava le energie necessarie a superare le più crude avversità, trasformando gradualmente il precario ferro dell'anima in acciaio ben temprato. In un testo del XII0 secolo, strutturato come una "disputatio" tra cuore e corpo, il cuore palesa al corpo la celebre "allegoria delle erbe" nella quale è fatta menzione delle "erbe" (se. virtù) necessarie a preparare la pozione salvifica che procura al cavaliere salvezza in cielo e felicità in terra. La fonte d'ispirazione dell'allegoria è da ricercarsi soprattutto nel passo del giardino del Cantico dei cantici ed in quello della Armatura dei (Efes. 6, 11-17). Così si legge nell' "Allegoria delle erbe": Corpo, ora devi prestarmi attenzione: nessuno ne avrà maggior vantaggio di tè. Se mai vuoi procacciarti salvezza o anche un po' d'amore, impara dunque una magica arte che, in verità, è buona. Se saprai farti padrone di ciò che a tale riguardo è necessario, riuscirai: la portai dalla Francia. Attento a tenere il segreto, ma non mi darà pena se lo divulgherai. In tal guisa stanno le cose, che chi vuoi mettersi all'opera nel modo giusto deve possedere tré erbe, che lo rendono amabile e caro. Ma non devi aspettarti di trovarle nel giardino di nessuno, ne alcuno le trova da comprare. A meno che uno non abbia la fortuna di ottenerle con retto intendimento da Colui che le ha in Suo potere; altrimenti non c'è consiglio che giovi, egli deve sempre star lontano da loro. Dio è il giardiniere, Lui solo ne ha cura. Incontaminata è la sua camera di provviste: dalla quale da a chi vuole, e quegli ne ha sempre gran beneficio. Le erbe ti sono sconosciute; così sono chiamate: liberalità, finezza d'educazione, umiltà. Nessun'erba è altrettanto buona: il fortunato che può mescolare le tré erbe come si conviene, compie il vero incantesimo. Ma occorrono anche altre erbe prima di compier bene l'opera, fedeltà e costanza: chi non avesse anche queste dovrebbe abbandonare l'arte; e inoltre devi mescolarne ancora due: castità e verecondia; oltre a queste v'è il nome di un'erba: fidato valore; così l'incantesimo è davvero pronto. A chi dunque riesce di aver tutte le erbe, quegli le deve mettere in un recipiente, che è un cuore privo di odio: là dentro egli le deve portare; e voglio dirti in verità che pronta è per lui la beatitudine finché egli le porta con sé. Se potessi disporre delle erbe delle quali, corpo, ti ho parlato prima, guarda, il recipiente tè lo dò io, che lo riconosco in me. Nei loro confronti sei molto manchevole. Ma se puoi averne sempre di più, corpo, fallo, poiché tè lo consiglio, e non fartelo pesare: che se sempre ti dovrà andar bene con le donne dovrai avere questo incantesimo. Ed è anche per certo bene che chi lo fa sia senza vizi e senza gravi peccati. Beato chi ha notizia di loro! Nel mondo è una fortuna, e non dispiace a Dio; da entrambe le parti è un guadagno; Dio e il mondo lo amano: chi possiede quest'arte magica è nel mondo un uomo felice. Negli ottonari a rima baciata appena letti si condensa il codice di comportamento del cavaliere medioevale, indicando i principi etici ai quali conformare il proprio agire. Studiosi assai perspicaci e molto profondi hanno avanzato l'interessante ipotesi che vede nel cavaliere l'Io individuale, nella sua dama il Sé, e nel cavallo l'energia vitale necessaria al cavaliere per il suo peregrinare. Cavalieri particolarmente avventurosi cercavano di distinguersi in fatti d'arme singolari e non comuni in onore della toro dama. Affrontare forze esageratamente impari, combattere in mezzo a cavalieri armati facendo a meno di qualche parte essenziale dell'armatura, compiere qualche impresa di audace valore di fronte ad amici e nemici, erano i servigi coi quali i cavalieri si sforzavano di segnalarsi, o che le loro signore imponevano come prova della saldezza del vincolo. Dopo che all'amor di Dio e della propria dama, il prode cavaliere doveva essere guidato da quello per la fama e per la gloria. Il suo voto lo necessitava ad affrontare avventure rischiose e pericolose, ed a non astenersi mai dalla ricerca intrapresa, per quanto inaspettatamente impari potesse rivelarsi l'opposizione incontrata. Il genio della Cavalleria non richiedeva invero ai suoi seguaci il sobrio e regolato esercizio del valore, ma il fanatismo. Le imprese con cui un avventuroso cavaliere sceglieva di distinguersi erano le più stravaganti e difficili a concepirsi, e le più inutili da compiersi. V'erano anche solenni occasioni in cui queste dimostrazioni di entusiasmo cavalleresco erano, in special modo, attese e richieste. Basti ricordare i tornei, affrontati solo per divertimento e per sete d'onore (che per lungo tempo furono combattuti con armi normali e non "cortesi" e quindi furono causa di morti e feriti), le singolar tenzoni ed i banchetti solenni in cui i voti di Cavalleria venivano usualmente formulati e proclamati. L'ideale della Cavalleria proponeva perfezione cristiana nella vita guerriera e, soprattutto, l'obbligo di combattere per la fede, il che diede ben presto origine alla fondazione degli Ordini Cavallereschi. I privilegi di cui essi godevano e, al tempo stesso, l'esaurirsi della loro funzione di difensori della cristianità in Oriente, in seguito al consolidarsi della potenza turca, portarono gradualmente ad una decadenza dei valori ideali di cui la Cavalleria era depositarla. Quando nei secoli XIV° e XV°, con l'avvento degli Stati regionali e nazionali, le condizioni che avevano determinato il sorgere della Cavalleria mutarono profondamente, il titolo di cavaliere assunse un significato puramente onorifico o nobiliare, e l'Istituzione si svuotò completamente del valore e dello spirito originari. In contrasto con la borghesia mercantile, che veniva sempre più affermando i suoi diritti, quella dei cavalieri tendeva ormai ad essere una casta sempre più chiusa, incapace di assolvere le funzioni per cui era nata la Cavalleria. Non esiste, come è noto, una Storia oggettiva. Lo storico, nonostante le buone intenzioni, quando sono tali, resta condizionato dalla propria formazione culturale, dall'epoca in cui vive, dall'influenza delle dottrine dominanti. I Cavalieri sono, nella concezione popolare, gli uomini che rappresentano l'eroismo al servizio della giustizia. E' cavaliere chi assume le difese del debole contro il forte. Ciò rende prestigiosa la figura del cavaliere e la pone al vertice della gerarchia dei tipi umani. La leggenda e la storia, il poema ed il romanzo si sono associati per costruire un piedistallo da cui essa domini, nell'irradiazione di una gloria misteriosa. Nel corso dei secoli, l'immaginazione si è lasciata incantare dai racconti delle loro imprese favolose, delle toro eroiche avventure. Le donne, che tengono nelle loro mani i serti della vittoria, hanno riservato a questi eroi romanzeschi, nel segreto del cuore, una palpitante emozione. Consideriamo che il cavaliere, da noi abitualmente definito come una creatura del Medioevo, se allarghiamo i nostri orizzonti, è sempre esistito, in tutte le nazioni nobili. Venendo, gerarchicamente, dopo il rè e la regina, egli è la guardia a cavallo che manterrà la pace nel governo regale: è il sale della terra. Deriva il proprio nome dal cavallo; è a tal punto legato a questo animale, che, se per disgrazia decade, viene proclamato indegno di montarlo; in tal caso, nel corso di una solenne cerimonia di degradazione, i supporti degli speroni d'oro gli vengono segati vicino al calcagno. Il cavaliere è in così stretto rapporto con la sua cavalcatura, che condivide con essa gloria e pericoli. E il cavallo? E' solo "la più nobile conquista che l'uomo abbia mai fatto" Victor Hugo disse che "gli animali non sono altro che le figure dei nostri vizi e delle nostre virtù, che errano davanti ai nostri occhi". Il simbolismo attribuisce al cavallo il potere della mediazione, tra la terra ed il desiderio di ascendere. Il cavaliere , pur essendo molto legato al suo cavallo, è profondamente diverso dal centauro che è tutt'uno con la propria parte animale. Nello Zohar è scritto che il mondo è stabile solo in virtù del segreto. Esso diventerebbe instabile se il segreto venisse divulgato; pensiamo a quanti grandi uomini furono colpiti, nel corso dei secoli, a causa della loro imprudente divulgazione (Socrate, Giordano Bruno, ecc). Il segreto non sarà mai divulgato; non lo può essere ma, dappertutto, è rivelato. I costruttori di Cattedrali hanno iscritto l'eco della Parola perduta nel silenzio secolare della pietra, affinchè i predestinati la ascoltino. Soltanto i Maestri possono farlo. La società Medioevale, come quella Antica, è costruita sulla conoscenza iniziatica: il segreto palpita entro le forme simboliche che vengono offerte agli sguardi dall'arte e dalla leggenda, dalla storia e dalle istituzioni sociali. Quanto al segreto della Cavalleria, cerchiamolo nella Cavalleria leggendaria, poiché è questa la prefigurazione di quella reale, siccome si svolge su un piano ideale e non è quindi macchiata dalle debolezze inerenti alle realizzazioni umane. Il suo sangue è più generoso, perché è vivificato da una respirazione più vicina all'archetipo. Non si dice, d'altronde, che la Gerusalemme celeste deve discendere dal cielo alla terra? La Cavalleria leggendaria si muove intorno al ciclo della Tavola Rotonda. In esso si cristallizza la tradizione celtica. La civiltà druidica, così venerata nell'antichità, ha conservato il suo influsso anche dopo aver adottato la formula cristiana. Il mago Merlino, figlio di una vergine e di un dèmone, ha formulato le regole di quest'Ordine che riunisce, intorno ad una tavola rotonda costruita secondo il suo progetto, cinquanta cavalieri (sette al quadrato più l'Unità) che giurano di consacrare le loro forze ad un'impresa misteriosa: la cerca del Santo Graal. Cinquanta? Quarantanove, per essere esatti. Intorno alla Tavola Rotonda c'erano sì cinquanta seggi, ma uno di essi, quello alla destra del rè Artù, era vuoto. Esso era riservato al cavaliere perfetto che avrebbe conquistato il sublime vaso e l'avrebbe, trionfalmente, recato sulla Tavola. Questi fu Galaad. Questa Cavalleria si ricollega, da una parte, alla Cavalleria Druidica e, dall'altra, ad una Cavalleria fiorita nei primi anni del Cristianesimo e che ha, per Maestro, Giuseppe d'Arimatea. Tutte le mitologie, tutte le tradizioni religiose hanno il loro Vaso Sacro. Tutte parlano di una coppa da cui i predestinati, e solo loro, attingono la bevanda dell'iniziazione. Il Graal guarisce le ferite mortali e risuscita i morti, ma il risuscitato torna in vita muto, e per sempre. I segreti del vaso miracoloso, infatti, non devono essere profanati dalla divulgazione. Gli Eletti, ammessi ai suoi misteri, sono votati al silenzio. Il Graal, del resto, non è esattamente un oggetto su cui mettere le mani ma, piuttosto, uno stato di coscienza, un'illuminazione da raggiungere, comprendere e completare. Un famoso poeta ha detto che: "La scienza del passato non è nulla, se davanti a noi non evoca tutto quanto l'avvenire". In virtù della sua leggenda e del suo esempio, la Cavalleria non ha cessato di partecipare alla direzione del mondo, un mondo che può rimanere stabile solo in virtù del segreto<br /><br />AURO CAPONE<br /></div><br /><div><em>Presidente Associazione per lo Studio degli Ordini Cavllereschi A.S.O.C.</em> </div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-53093234747840674152007-08-06T17:51:00.000+02:002007-08-06T17:54:22.713+02:00Il Codice d'onore del Cavaliere<div align="justify"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3t8A9IgA-q7d6qvLXKt-W-AqclSR7CkejS64ET5I4SzsMgT4BXOgDZuWFBxeXn5d2KB4de0qkFi_gEb2OZ_PyMGUxblxj9mvAmP0SOW3KJyo63IQqN-UoaMV95ZETSb3hcJof9CrIF9-x/s1600-h/purity.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5095616288436555330" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3t8A9IgA-q7d6qvLXKt-W-AqclSR7CkejS64ET5I4SzsMgT4BXOgDZuWFBxeXn5d2KB4de0qkFi_gEb2OZ_PyMGUxblxj9mvAmP0SOW3KJyo63IQqN-UoaMV95ZETSb3hcJof9CrIF9-x/s320/purity.jpg" border="0" /></a><br /></div><div align="justify">Un codice d'onore della cavalleria in quanto istituzione cristiana non risulta sia mai stato redatto.È ben vero che noi potremmo compulsare la Sacra Bibbia, gli scritti dei Padri della Chiesa, le regole di quelli che chiamiamo comunemente ordini cavallereschi mentre meglio dovremmo parlare di religioni militari del medioevo precrociato e crociato. Attraverso la collazione dei molteplici elementi di tale complesso normativo potremmo delineare una sorta di testo unico; ma una elencazione organica dei princìpi di fede e di morale, dei diritti e dei doveri del cavaliere cristiano in tempo di pace e di guerra, sarebbe oggi, con tutta probabilità, null'altro che un monumento storico assai poco illuminante.Per ogni appassionato di storia sarebbe stato un vantaggio il possedere uno scritto organico, razionale nelle sue articolazioni, dettagliato nell'esposizione della normativa, esauriente e magari più completo dei testi unici e dei regolamenti che fanno da piattaforma ad una qualsiasi branca della vita sociale. .Codici del genere hanno impreziosito la cavalleria islamica e persino la classe dei samurai giapponesi, per non parlare delle allegorie degli esseni quali sono delineate nei testi qumranici. Ma la cavalleria cristiana dell'Europa medievale nulla o quasi pare avere lasciato. Eppure erano i tempi delle crociate antiislamiche in Terra Santa, della Reconquista nella penisola iberica da una parte, della lotta dei germanici cristiani contro i russi ortodossi, oltre che contro i tàtari musulmani. Tra quell'epoca convulsa da una parte, e dall'altra il nostro Novecento declinante, si è avuta una fioritura letteraria impreziosita da Torquato Tasso e da Matteo Maria Boiardo prima di cadere nelle astrusità di Jacopo Gelli e dei suoi epigoni, fatte giustamente bersaglio della satira impietosa di quel cavaliere autentico, seppure disarmato, che fu Alessandro Manzoni. Conosciamo abbastanza bene, anche perché ne esiste una traduzione italiana, il Kitab af-Futuwah (Libro della Cavalleria), un trattato di Abu 'Abd ar-Rahman ibn al-Husayn as-Sulami, un dotto arabo vissuto tra il 932 e il 1021. Assai meno noto è il Dokukodo (Camminare soli sulla strada) di Miwamoto Musachi, un samurai giapponese del XVII secolo. Pure, se cerchiamo un eauivalente europeo dei due testi, dobbiamo rassegnarci, per quanto stupefatti d'una lacuna del genere nella letteratura neolatina, romanza, nei cui contesto brillano i poemi del ciclo carolingio e di quello bretone, con alla testa la Chanson de Roland. Se taluni hanno scritto dei libri che saremmo tentati di tenere per fonti, lo hanno fatto quando la cavalleria in quanto istituzione viva e operante, se non era già tramontata, andava per lomeno percorrendo la fase terminale e la meno genuina della propria esistenza. Si sogliono citare il Libre del Orde de Ccivayleria del beato Ramón Llull, una "regola" scritta dal Vescovo di Cambrai, ed il Magmim Beigli Chronicon che riferisce l'incoronazione di Guglielmo d'Olanda a rè dei Romani; però il libro del Doctor illuminatus, come lo hanno chiamato il filosofo e mistico catalano, risale al 1275, il secondo documento è del 1330 e il terzo testo è stato scritto nel Quattrocento, quindi due secoli dopo l'incoronazione, avvenuta nel 1247, di colui che sarebbe succeduto a Federico II quale sovrano del Sacro Romano Impero. Più utile potrebbe essere il Liber de vita Christìana di Bonizone vescovo di Sutri, un cremonese nato nel 1045 e linciato a Piacenza nel 1091, che alla personalità del cavaliere dedica un capitolo intero. Ma tale libro non l'ho reperito. La lacuna nel complesso degli scritti normativi è lo stesso punto dolente che hanno riscontrato gli studiosi in un passato ancora prossimo come nell'epoca a noi contemporanea, tutti alla ricerca d'un qualche documento che permettesse qualche cosa di più dell'annaspare nel mare, magnum della poesia e del romanzo. Quando Leon Gautier, nel 1894, diede alle stampe il suo La Chevalerie, non potè che affidarsi all'estro degli scrittori medievali; nel secondo dopoguerra, Gustavo Cohen nella sua Histoire de la chevalerie en Franco au Moyen Age (1949) non riuscì a andare più lontano. Rassegnati dunque a rinunciare a un "manuale del perfetto cavaliere", cercheremo di enucleare qualcuna delle qualità più appariscenti che hanno connotato la dignità cavalieresca, e lo faremo ricorrendo a testi che, se nulla hanno di normativo, se non potrebbero essere intesi come strumenti giuridici, pure possono rendersi, per noi, fortemente illuminanti.In primo luogo vediamo il menzionato Magnum Beigli Chronicon, redatto in occasione dell'incoronazione di Guglielmo d'Olanda a rè dei Romani, nel quale si legge: Regala Militaris Ordinis prcescripta Wilhelmo, cum in Regem Romanorum eligeretur a Principibus Imperi] in Cominjs Coloniensibus. Anno Domini MCCXLVII. Dominus autem Cardinalis in Pontìfìcalibus assistens omamenns eidem Armigero dixit, secundum Etymologiam nominis, quodMiles esse debeat.-Magnanimus in adversitate.- Ingenuus in consanguineitate.- Largifluus in benestate.- Egregius in Curialitate.- Strenuus in virili peditate.Sed antequam votimi luce professionis facias cum matura deliberatìone, lugum Regulce prius audias. Ista est Regula Militaris Ordinis.I. Inprimis cum devota recordatione Dominicoe passionisMfssam quotiate audire.II. Pro fide Catholica corpus audacter exponere. III. Sanctam Ecclesiam cum ministris eius a quibusdam grassatoribus liberare.IV. Viduas, pupillos, ac orphanos in eorum necessitate protegere.V. Iniusta bella vitare.VI. Iniqua stipendia renuere.VII. Pro liberatìone cuiuslibet innocentis duellum mire.VIII. imperatori Romanorum, seu eius patrocinio reverenter in temporalibus obedire.IX. Rempublicam illibatam in vigore suo permittere.X. Bona Feudalia Regni, ve!Imperi}nequaquam alienare. XI. Ac irreprehensibiliter apudDeum, et homines in hocMundo vivere.Regola dell'Ordine Militare prescritta da Guglielmo quando fa eletto Rè dei Romani dai Prìncipi dell'Impero nel congresso di Colonia nell'anno del Signore 1247. Il Signor Cardinale, che assisteva in paramenti pontificali, disse a colui che secondo l'etimologia del nome si chiama l'Armigero, come debba essere il Cavaliere:- magnanimo nelle avversità,- generoso con la parentela,- abbondante di onorabilità,- distinto tra le autorità, - coraggioso nella milizia.Precisando: Prima che tu, con matura deliberazione, emetta il voto della tua professione, ascolta il giogo della regola. Questa è la regola dell'Ordine Militare: I. Innanzitutto ascoltare devotamente, ogni giorno, la Messa memoriale della Passione del Signore.II. Esporre audacemente il corpo per la fede cattolica.III. Liberare la Santa Chiesa con i suoi ministri da qualsiasi brigante.IV. Proteggere nelle loro necessità le vedove, i fanciulli, gli orfani.V. Evitare le guerre ingiuste.VI. Rifiutare le ricompense ingiuste. VII. Battersi in duello per la liberazione di qualsiasi innocente.VIII. Obbedire rispettosamente, negli affari temporali, sia all'Imperatore dei Romani, sia alla sua autorità.IX. Conservare lo Stato integro nel suo vigore.X. Non alienare mai i beni feudali del Regno o dell'Impero.XI. Vivere in questo mondo in modo irreprensibile al cospetto di Dio e degli uomini..La Regula di Guglielmo, come gli altri scritti, certo non può soddisfare il nostro desiderio tutto moderno, tutto cartesiano se vogliamo, di vedere illustrata compiutamente la figura del cavaliere in ogni suo dettaglio, ponendole basi per orientarsi in un'eventuale casistica- Emergono da essa, nondimeno, i lineamenti d'un carattere che ben si addicono al cavaliere di ogni epoca come di ogni professione ideologica. Anche se la cavalleria è aperta a tutti, il cavaliere è innanzitutto un "chiamato": è colui che risponde ad una "vocazione" in perfetta sintonia con Colui che "chiama": lo si dica Dio o Allah o s'impieghi qualsiasi altro termine. È un credente pronto ad esporre la propria vita per la fede, ad affrontare il pericolo senza mai indietreggiare, senza debolezze, senza rassegnazione, bensì con l'audacia dei generosi, ogni qualvolta ravvisi il profilarsi d'un pericolo per la giustizia. È un alleato degl'inermi, degl'indifesi, pronto a battersi per loro, rifiutando se del caso i vantaggi derivanti dal servire i potenti, e più sovente ancora, i prepotenti. È fedele al suo dovere, e se il desiderio tutto umano, e dunque perfettamente comprensibile, del guadagno può agire da molla in tante evenienze, pure teme il disonore più della morte. Non per nulla un cavaliere modello è stato Baiardo, il cavaliere senza macchia e senza paura. La Regula di Guglielmo può essere illuminante; però vanno debitamente considerati i libri liturgici, nei quali si hanno parole interessanti. Il Pontificale Romanum, in un'epoca posteriore, ma certo riprendendo concetti e formulazioni del passato, fa pregare cosi il Vescovo ufficiante il rito consacratorio del Cavaliere novello: Domine sancte, Poter omnipotens, aeterne Deus, qui cuncta solus ordinas et recto disponis, qui ad coèrcendam malitìam reproborum et tuendain justìtìam, usum gladii m terris homini- bus tua salubri disposinone permisistì, et militarem ordinem ad populi protectionem instìtui voluistì, quique per beatum Joannem militibus ad se m deserto venientìbus, ut neminem con- cuterent, sedpropriis contenti essent stìpendiis dicifecistì: clementìam tuam. Domine, suppliciter exoramus, ut sicut David puero tuo Goliam supe- randi largitus es facultatem, et Judam Machabaeum feritate gentìum nomen tuum non invo- cantìum triumpharefecistì; ita et huic famulo tuo, qui noviterjugo militiae colla supponi!, piotate coelestì vires et au- daciam adfìdei etjustìtiae defensionem tribuas, et praestes eifìdei, spei, et charìtatìs aug- mentum; et da fui tìmorem pariter et amorem, humilitatem perseverantìam, oboedientiam, et patientìam bonam, et cuncta in eo recto disponas, ut neminem cum gladio isto, voi alio, inju- ste laedat: et omnia cum eojusta et recto defendat: et sicut ipse de minori gradu adnovum militiae promovetur honorem, ita veterem hominem deponens cum actìbus suis, novum induat hominem: ut tè tìmeat et recto coiai, perfìdorum consortia vitet, et suam in proximum charitatem extendat, praeposito suo in omnibus recto obediat, et suum in cunctisjuste afficium exequatur. (O Signore santo. Padre onnipotente, eterno Iddio, che da solo ordini tutte le cose e le disponi secondo giustizia, tu che per reprimere la malvagità dei reprobi e per difendere la giustizia permettesti l'uso della spada sulla terra agli uomini secondo la tua salutare disposizione e volesti che fosse istituito l'ordine della Cavalleria per la protezione del popolo, e per mezzo del beato Giovanni facesti dire ai soldati che a lui nel deserto erano venuti di non depredare nessuno ma di essere contenti dei loro salari; supplici imploriamo la tua clemenza, o Signore: così come elargisti a David tuo servo la capacità di vincere Golia e facesti trionfare Giuda Maccabeo sulla malvagità delle genti che non invocavano il tuo nome, così anche a questo tuo servo, il quale va sottoponendo il collo al giogo della milizia, concedi con pietà celeste la forza e l'audacia per la difesa della fede e della giustizia, e aumenta la sua fede, la sua speranza e la sua carità; concedigli pure timore e amore per tè, umiltà, perseveranza, obbedienza, buona pazienza; disponilo per intero verso il giusto, affinchè non danneggi ingiustamente alcuno con questa spada o con un'altra, e difenda con essa quanto vi è di giusto e di retto; e poiché egli è promosso da uno stato inferiore alla nuova dignità della milizia, così, abbandonato il vecchio uomo con le sue azioni, accolga in sé un uomo nuovo: ti tema, ti onori in modo giusto, eviti di frequentare i perfidi, rivolga al prossimo la sua carità, obbedisca rettamente al suo superiore in ogni occasione ed esegua sempre il suo ufficio secondo giustizia. In queste espressioni ammantate di aulica solennità si tracciano i lineamenti essenziali del cavaliere cristiano ideale. Non chiediamoci se a tanta magniloquenza abbia corrisposto una realtà: si sa che dal sacramento e dal sacramentale non bisogna attendersi dei miracoli, tant'è vero che lo spirito genuino del servizio armato si inquinerà al contatto con la ricchezza, il benessere, l'ascesa sociale, infettando l'istituzione cavalleresca con i germi della decadenza così come aveva fatto nel Cristianesimo prima col sacerdozio, e poi con il monachesimo. Purtuttavia, non va dimenticato che così come la goccia scava la pietra, la catechesi costante ha condotto ad una indubbia evoluzione, ad un ingentilimento dei costumi, a una ben più affinata visione dell'uomo e del suo modo d'intendere e, quel che più conta, vivere la fede cristiana. Un'altra fonte preziosa di notizie sulla cavalleria e i suoi adepti, i suoi ideali e le regole d'una convivenza non sempre pacifica tra gente incline per natura alla lotta o spinta dalla sorte alla professione delle armi, l'abbiamo nella letteratura. Sulla base della tradizione orale, sono stati tramandati, in poesia come in prosa, eventi e personaggi che hanno acquistato un posto d'onore nella cultura dell'Europa neolatina e anglo-germanica. Figure come Roland, Orlando per noi, l'eroe di Roncisvalle, sono state nei secoli l'anima del teatro dei "pupi" che è gloria della Sicilia e condivide con l'Estremo Oriente la funzione di strumento primario nell'educazione delle masse popolari. Quando ho avuto la ventura di tenere all'Università delle Tré Età di Savona il quinto dei miei corsi sulle "Civiltà dell'Estremo Oriente", un corso denominato Cavalieri d'Oriente e d'Occidente, ho gustato io, e spero di avere fatto cogliere ai miei allievi, maturi di età ma ancor più di esperienza della vita, un fatto straordinario: l'esistenza d'un patrimonio ideale condiviso da civiltà assai lontane tra loro, lontane più nello spirito e nelle tradizioni che nella duplice dimensione spazio-temporale. Trasferiamoci in un qualsiasi ambiente dell'Europa sempre meno legata al civis romanus che aveva conquistato il mondo allora conosciuto imponendo la lex romana, e non quella soltanto. Il susseguirsi delle immigrazioni dall'oriente e dal nord, l'alternarsi dei cosiddetti barbari, gli stranieri portatori di concezioni e costumanze nuove, avevano affievolito lo spirito dello ius atutto beneficio della forza, al senso del diritto era subentrata la volontà del più potente. La saggezza della Chiesa ha fatto sì che energie dirompenti di uomini dal fisico robusto ma dallo spirito inquieto finissero incanalate e indirizzate con una gradualità imposta dalla natura umana più che da un piano organico di azione sociale. Ma ancora più saggia dobbiamo considerare la politica di modellamento delle coscienze a partire dalla prima età. Perché è proprio negli anni più teneri che si forma il carattere e tante doti, siano innate od acquisite, si consolidano. Comprendere bene questo fattore psicologico significa preparare le strutture portanti della società del domani, anche se non di rado il futuro ha riservato sorprese, delusioni, amarezze. "Cavaliere non si nasce, si diventa". È come dire: nessuno nasce perfetto, il carattere va formato. La pedagogia in quanto scienza continua ad insegnarlo; ma anche quando operava ancora in modo empirico seguiva appieno questo criterio. Ecco perché troviamo nell'istituzione cavalleresca una particolare attenzione per l'adolescenza e per la stessa fanciullezza: così come la troviamo nella liturgia della quale è ben nota l'efficacia formativa in ogni condizione psicofisica oltre che sociale. Una pedagogia per quanto rudimentale si pone degli obiettivi, più o meno chiari, più o meno organici, e di fronte alla varietà dei metodi uno ne adotta, non sempre consapevolmente. Sempre, comunque, ricorre alla legge della presentazione di modelli ai quali indirizzare i propri allievi: che i neofiti sono stati e continuano ad essere tali. La cavalleria aveva da un lato da rafforzare i propri ranghi, dall'altro da preparare le proprie future leve; in vista d'una continuità nella quale si riflette l'istinto di sopravvivenza, dell'uomo come delle istituzioni, occorreva assumere appunto dei modelli mostrandoli come figure ideali non solo, ma pienamente raggiungibili. Ed ecco delinearsi il cavaliere sanspeur et sans reproche, senza macchia e senza paura, capace di vivere appieno lo spirito cavalleresco nec laudìbus nec timore, liberi dal calcolo del premio quanto dalla paura di punizioni. È vero che un tipo d'uomo di questo genere si ha sulla carta come anche in quelle buone intenzioni delle quali la saggezza popolare dice che è lastricato l'inferno. Ma è altrettanto vero che se la cavalleria sviluppò una pedagogia sua propria, un'educazione peculiare per le finalità alle quali tendeva e che non sarebbero state di certo standardizzabili per la massa, lo fece prefiggendo a sé stessa ed ai suoi mèmbri, agli effettivi come a quelli da cooptare, un complesso di obbligazioni la cui osservanza conduceva all'elevazione costante, e non soltanto morale, mentre la loro violazione avrebbe comportato un abbassamento di fronte alla propria coscienza prima ancora che agli occhi altrui. Immaginiamo un fanciullo che, accanto a una dama, ma soprattutto ad un cavaliere, sente parlare in termini positivi e lusinghieri di elementi della vita che fanno dell'uomo una personalità libera seppure disciplinata, soddisfatta nell'esercizio costante della fedeltà, preoccupata di riscuotere costantemente l'approvazione della casta dei propri simili. Dieu premier servi: il servizio di Dio innanzitutto, così come proposto dai suoi rappresentanti in terra; quindi, Deus meumque ius, perché il senso della verità e del dovere non deve far velo alla difesa costante del proprio onore personale; poi l'esercizio di virtù naturaliter umane e per questo naturaliter cristiane, quali la disciplina, l'autocontrollo, la moderazione, la dedizione, la protezione dei deboli, la sollecitudine per i propri subalterni, la lealtà verso l'avversario, persino la generosità con il nemico sconfitto. Un ruolo considerevole è assegnato ai rapporti con la dama, incarnazione della bellezza e della grazia. È un amore rispettoso, tutt'altro che sdolcinato. Certo, nel tempo nostro che vede predominare quella che molti e troppi chiamano sincerità, schiettezza e via dicendo mentre meglio parleremmo di postribolarismo predominante, una tale correttezza si stenta a comprenderla; ma la rottura di ogni senso morale significa proprio il contrario della libertà: il decoro, la dignità, l'indirizzare la natura umana verso l'impero della ragione sulla sensualità animalesca, sono valori che l'età cavalleresca quanto meno insegnava a rispettare, non a deridere. Un'altra faccia del sentimento dell'onore e del dovere il fanciullo imparava: il mantenere fedeltà al suo signore e alla parola data. Il Machiavelli non era ancora nato, l'ideale era quello della "cortesia". In val d'Aosta, esempio degno di maggiore rilievo, i fanciulli di casa Challant venivano condotti di fronte agli stemmi degli antenati, e di ciascuno di questi si ricordavano le nobili azioni affinchè l'azione educativa si fondasse su elementi visivi tali da rafforzare la memoria e meglio foggiare il carattere. Erano la madre e due gentildonne a preparare il fanciullo a diventare paggio, quindi, alla corte d'un principe o d'un castellano, farsi domicellus e poi scudiere, percorrendo questo iter punteggiato da riti altamente formativi, fino a mostrarsi degno di portare le armi. Il ventunenne aspirante, superato un vero e proprio esame sotto forma di un'impresa, veniva "armato" cavaliere, ossia, riceveva solennemente le armi tutte sue nel corso d'un rito liturgico di investitura così ricco di simboli visivi e verbali e gestuali, preceduto da una "veglia d'armi" essa pure condotta ritualmente in modo da fissare taluni punti chiave; ed è proprio da questo complesso di atti, se non iniziatici, certo altamente allegorici, che è possibile ricavare parte delle norme morali per le quali la cavalleria avvertiva un legame del tutto particolare. Alla vigilia della solenne investitura il candidato si sottoponeva al bagno rituale che presenta tutti i caratteri della purificazione fisica intesa come un voto alla purezza dello spirito: una metanoia, un segno di penitenza e di conversione parallelo al battesimo. Indossava poi una cotta nera simbolo della morte, una tunica bianca simbolo dell'onore, e un manto rosso simbolo del sangue da versare, all'occorrenza, in difese della fede e di tutto ciò che è bene. Sempre digiuno, trascorreva la notte in cappella, ed era questa la "veglia d'armi". Il mattino, dopo la comunione sacramentale e la benedizione della spada, il Vescovo dava lettura dei doveri del cavaliere, poi procedeva all'investitura che consisteva nella vestizione (adoubemenf), nella consegna delle armi e nell'abbraccio finale (accolade): uno sviluppo delle tradizioni germaniche già note a Tacito e citate nella sua Germania. Ciascun elemento, come si può vedere, portava con sé un richiamo all'impegno di fedeltà da conservare al prezzo della vita stessa, al fatto che l'impiego delle armi era finalizzato alla tutela dell'onore di Dio e della Chiesa, del sovrano e dello Stato, di sé stesso e degli altri, specie i deboli, gl'inermi, gli indifesi. La stessa pompa del cerimoniale aveva una funzione ben precisa, più psicologica in senso ampliore che pedagogica in senso stretto: far comprendere che i valori soggiacenti a quelle esteriorità sfarzose erano inerenti al campo della morale e presupponevano l'impegno alla loro difesa. Le parole "La mia anima a Dio, la mia vita al Rè, il mio cuore alla mia dama, il mio onore a me", vanno ben distinte dalle frasi fatte, velano anzi tutta la filosofia della cavalleria medievale composta di idealità superiori. Varrà la pena di insistere sull'educazione cavalleresca come pure sul rituale dell'investitura perché, anche se non abbiamo noi un codice strido sensu, abbiamo però un quadro del complesso di valori dei quali il cavaliere doveva rappresentare l'incarnazione. Nella preparazione pluriennale non sarà difficile scorgere una chiara intenzionalità axiologica, una prospettiva alla quale orientare l'azione di chi, in vari tempi e a diversi livelli, aveva il compito delicato di farsi maestro d'un fanciullo, poi d'un adolescente, infine d'un giovane, con la piena consapevolezza che quell'allievo era stato chiamato da un destino sconosciuto e insondabile a farsi, un giorno, il portatore d'un ideale non solo, ma il difensore d'una visione tutta particolare della vita: armato di spada perché coscientemente votato al sacrificio. Un difensore esperto delle cose del mondo, esperto, per lo più a proprie spese, del fatto che il mondo non solo misconosce, ma disprezza e combatte ogni concezione elevatrice dello spirito, ogni ideologia schiettamente aristocratica. E tutto quello che può contribuire a rendere egregius l'uomo, ad elevarlo facendolo emergere dal gregge amorfo, anonimo, incolore, è sempre stato riguardato come un donchisciottismo di nessuna utilità o spregiato come espressione di superbia. Come in tutto ciò che è legato all'umanità, c'è da pensare che nell'intersecarsi della combattività con la religiosità ci fossero più aspirazioni che realtà; comunque, la regolamentazione nel ricorso alla forza e nell'uso delle armi così come adombrata da quanto rimane dei codici offre un contributo non indifferente alla comprensione d'un fenomeno che non sarebbe esatto circoscrivere al cristianesimo medievale e che spiega come sia stato possibile parlare di religioni militari ed anche di monaci guerrieri. Verranno i giorni in cui troverà accentuazione il misticismo che indirizzerà a ideali meno materiali, e più spiritualizzati ne risulteranno sia lo spirito, sia lo stile di vita. Si parlerà della queste du Graal, della ricerca del Santo Graal a voler simboleggiare l'anelito a quanto di più elevato possano albergare l'intelletto ed il cuore dell'uomo.<br />Quanto ho esposto non è di certo soddisfacente per il mio cortese uditorio, così come non lo è per me. Non lo considero una trattazione, ma solo un accenno, la puntualizzazione d'un tema che varrà la pena di sviluppare e approfondire sotto il duplice profilo storico e morale. Il mondo contemporaneo offre ai nostri occhi la visione d'una società che non lascia troppo sperare anche se non può dirsi tutta depravata, anche se lo stato di abiezione in cui è stata volutamente gettata viene dal calcolo d'una malvagità variamente paludata. L'irridere ai valori cavallereschi, ai valori morali tout court, il rafforzarsi costante dello spirito di casta nella lotta per il potere socio-politico ed economico, ha condotto ai risultati che tutti vedono fuorché coloro che dovrebbero vederli. Ma anche se non tutti hanno smarrito la retta coscienza, anche se esiste ancora la santità di vita spinta fino al suggello del martirio, sarà giocoforza guardare al futuro senza illusioni. Noi comunque seminiamo affinchè nel mondo di domani i valori della cavalleria possano emergere e trionfare sui disvalori dell'ora presente.<br /></div><div align="justify"><br /></div><div align="justify">Franco Bigatti<br /></div><div align="justify"><br /></div><div align="justify"><em>membro del Royal Institute of Philosophy e della Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi<br />Presidente del Centro Studi Orientali di Savona</em> </div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-51003714052001723122007-08-04T21:03:00.000+02:002007-08-07T19:54:07.072+02:00"De Nova Laude Militiae" ( " Nuovo Elogio della Cavalleria")<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM6vHsVgycECiMbpuiN83khC_vwBjPN33V_Y2TRA9HhuZg_4qLBziwrzbir6UUSgYTqZRD0JhkqAxyPoLy6qaogfj2sWw2DEOuVa9W0kKEegiJsOdgRLtIJ5KcLz6FUGfqsoblAVU6xB7b/s1600-h/cavaliere+in+preghiera.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5094924532413926962" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhM6vHsVgycECiMbpuiN83khC_vwBjPN33V_Y2TRA9HhuZg_4qLBziwrzbir6UUSgYTqZRD0JhkqAxyPoLy6qaogfj2sWw2DEOuVa9W0kKEegiJsOdgRLtIJ5KcLz6FUGfqsoblAVU6xB7b/s320/cavaliere+in+preghiera.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify">di <em>Cosmo Intini</em></div><div align="justify"><em>Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa<br /></em><br /><em>Prologo</em><br /><br />Seppur esplicitamente ispirato al noto sermone “De Laude Novae Militiae”, che S.Bernardo di Chiaravalle indirizzava quasi nove secoli fa ai cavalieri del Tempio, questo scritto non intende di certo configurarsi come una sua parafrasi che, oltre che irrispettosa, potrebbe anche risultare sospetta in tempi di revivals “templaristici” quali sono quelli odierni. Né tanto meno siamo spinti a questa stesura da un qualche senso di malcelata orgogliosa emulazione; ché, in tal caso, inevitabile si prospetterebbe per noi la caduta addirittura in una vera e propria grottesca parodia.<br />Vero è al contrario il nostro semplice desiderio di puntualizzare proprio l’irripetibile unicità ed assolutezza del “De Laude”, per genere e contenuto, svincolato come esso è da ogni limite e contingenza spazio-temporale alla pari di ogni sublime vetta di carattere spirituale; ed è solo alla luce di ciò che si è rivelata a noi oramai indifferibile l’urgenza di riproporne le tematiche, con la profonda convinzione di dover infatti esaltarne il carattere di attualità.<br />E come potrebbe tacciarsi di puro e semplice anacronismo ciò che mira nuovamente ad esortare e ad incoraggiare, come già nelle intenzioni del “Doctor Mariae”, a “combattere la giusta battaglia a favore di Cristo”?<br />In effetti, seppur adattandola al differente contesto storico, il che ne implica l’adozione con un carattere più specificatamente interiorizzato, ma non per questo meno “bellico”, tale “giusta battaglia” rimane comunque, oggi come e più di ieri, una doverosa ed impellente necessità. E non contro un altro popolo, o una differente religione, né contro questo o quell’umano nemico del cristianesimo; bensì contro il nemico-principe di Gesù Cristo: lo spirito artefice del male che perfidamente si è insinuato tra gli stessi cristiani, riducendo molti di essi a suoi nefasti e nefandi predicati!<br />“Anche l’amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno” - Salmo XL -.<br />“Sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre. Perché mi divora lo zelo per la tua casa” - Salmo LXVIII -.<br />La raffinatezza della tecnica che il “principe di questo mondo” ha oramai subdolamente adottato prevede che il proprio attacco a Cristo non si manifesti secondo modalità esplicite, immediate, scontate. Al contrario, con paziente ma inesorabile gradualità, il male si instilla giorno dopo giorno in una maniera che ai più risulta inavvertibile, in quanto camuffato sotto le mentite spoglie di ciò che non è altro che una mostruosità spacciata in maniera mistificante come fosse un bene: come fosse il Bene!<br />“Affinché satana non approfitti di noi con inganno: non ignoriamo infatti i suoi disegni” - 2 Cor. II, 11 -.<br />Sappiamo perfettamente che la parodia costituisce l’aspetto più tipico e l’arma più insidiosa del grande seduttore; e con questa ambiziosa illusione di sostituirsi al vero Bene, incarnato sempre e soltanto da Cristo Gesù, esso viene a riprodurre di Nostro Signore proprio quello che ne è l’aspetto “antinòmico”, la “controfigura”: l’Anticristo!<br /><br /><em>Della Militia<br /></em><br />La percezione della palesata sussistenza di un virulento attacco frontale in atto, ad opera delle forze anticristiche, suggerisce la necessità di un’immediata adozione di contromisure le quali, in virtù di una propria configurazione che risulti idonea allo scopo, si rivelino capaci di costituirsi a baluardo difensivo-protettivo contro di esse. Vedremo come e perché questo baluardo sia rappresentato, meglio di qualunque altra cosa, dalla “Militia Christi”, ovvero dalla “Cavalleria”: intendendo questa in un ben preciso senso.<br />Per una più corretta interpretazione di quale sia il senso della Cavalleria oggi, quasi 900 anni dopo S.Bernardo, in linea di principio non si può e non si deve prescindere dalla fedele e puntuale adesione proprio alla tradizione delineata nel “De Laude”. E tanto per cominciare va ricordato allora quale debba essere il compito di essa Cavalleria!<br />La “Militia Christi” nacque con una funzione ben precisa: quella di proteggere e custodire la “Terra Santa”. Dopo aver sfrondato però questa affermazione da tutte le interpretazioni puramente letterali e geografiche, abbiamo che, così come nel caso del termine “Israele” con cui si designa nelle S.Scritture il popolo eletto, denominazione la quale è passata ad indicare dopo la venuta di Nostro Signore tutto il “popolo dei battezzati”, parimenti la “Terra Santa” di cui è qui questione non significa altro che la S.Vergine Madre di Dio; e pertanto anche l’integrità e l’integralità della S.Chiesa. Ma su questo ritorneremo più avanti!<br />Alla luce di ciò decade per naturale conseguenza qualunque perplessità a riguardo della effettiva o meno attualità della Cavalleria. E ciò in quanto essa è Istituzione che, a partire dal Concilio di Troyes in cui fu redatta la Regola dell’ordine del Tempio e dall’immediatamente successivo sermone di S.Bernardo, risulta oramai “per sempre” investita della responsabilità di difendere e custodire appunto la S.Chiesa di Cristo Gesù.<br />“Cingi, prode, la spada al tuo fianco; nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte; cavalca per la causa del vero, del giusto, del bene” - Salmo XLIV -.<br />Tale opera di salvaguardia mantiene inalterato il rapportarsi a ciò che già S.Bernardo sottolineava essere la duplice battaglia che compete al Cavaliere: una, combattuta verso l’esterno (contro tutti i nemici di Cristo e della Sua S.Chiesa), la quale si potrebbe considerare fondata sull’azione; un’altra, invece, combattuta verso l’interno di sé stesso (contro il male che insidia il proprio cuore), la quale si potrebbe a sua volta considerare fondata sulla contemplazione. Tale “duplicità” coincide con il simbolico possesso di una “doppia spada”, equivalente in altri casi anche al simbolismo della “spada a due tagli”.<br />Va tuttavia riscontrata anche qui la necessità di operare una trasposizione sulla base della mutata contingenza storica: la “giusta battaglia” combattuta verso l’esterno non va ad esplicarsi in un ambito che coinvolga “la carne ed il sangue”, per usare l’espressione di S.Bernardo; ma si metamorfosa in un’azione bellica esplicantesi in contesti più precisamente di tipo “etico-culturale”.<br />“Cantate al Signore,…annunziate di giorno in giorno la sua salvezza. In mezzo ai popoli narrate la sua gloria, a tutte le nazioni dite i suoi prodigi” - Salmo XCV -.<br />Va comunque precisato che questa “interiorizzazione” dell’azione militante risulta tale solo fino ad un certo punto. Infatti, essa si avvale effettivamente dell’uso di armi tramite cui incidere sulla realtà circostante, seppure tali armi risultano essere di natura meramente “figurata”!<br />Si conduce in tal modo a perfetto compimento la “spiritualizzazione” di tutto quanto concerne il corredo di strumenti che il Cavaliere adopera per espletare la propria funzione bellica, la cui analogicità di significato con le virtù interiori propriamente cavalleresche veniva già colta e sottolineata da R.Lullo nel suo “Libro dell’Ordine della Cavalleria” (V, 1-19).<br />Pertanto, come afferma in tale opera il mistico catalano, abbiamo che: la “spada” indica la giustizia; la “lancia” è la verità; l’“elmo” è la vergogna del disonore e della viltà; la “corazza” è la chiusura al vizio ed all’errore; i “calzari di ferro” sono il tragitto verso Cristo immune da incertezze; gli “speroni” sono diligenza, prudenza e zelo; la “gorgiera” è l’obbedienza; la “mazza” è la forza del cuore; il “pugnale” è la misericordia; lo “scudo” è l’ufficio stesso di Cavaliere, posto come egli è tra Cristo e la S.Chiesa; la “sella” è la fermezza di cuore; il “cavallo” è la nobiltà e l’elevatezza sul mondo; le “redini” sono la capacità di raffrenare i propri impulsi eccessivi; la “testiera del cavallo” è la ragione; i “finimenti” sono l’oculatezza nel gestire i propri beni in quanto necessari al mantenimento della Cavalleria; il “giubbone” indica le grandi sofferenze che si devono patire per onore; il “blasone” sullo scudo, sulla sella e sulla cotta è l’ardimento nella battaglia; infine lo “stendardo” è l’onore da difendere.<br />Il possesso e soprattutto la messa in opera di tutte le summenzionate qualità interiori, nella realtà quotidiana di un cristiano, attesta già il configurarsi, almeno in maniera potenziale, di un’attività di tipo militante-cavalleresco. Tuttavia ciò non è affatto sufficiente a titolare un Cavaliere, in quanto, è bene ribadirlo, il “sacramentale” della vestizione cavalleresca implica che sia imprescindibile “fonte” della sua trasmissione l’intervento ministeriale di un Vescovo, di un Abate o di un altro Cavaliere già investito, secondo il rituale dell’antico Pontificale Romano.<br />La sussistenza di questo “rituale sacramentale” è la prima di una serie di specificità che stabiliscono quindi una profonda differenziazione tra la “via cavalleresca” e l’attività di una qualsivoglia “associazione laicale di fedeli”.<br />Una seconda, ma non secondaria specificità può considerarsi ancora l’appartenenza della Cavalleria ad un’antica, secolare tradizione; la qual cosa ne nobilita senz’altro l’essenza, costituendo altresì il suo assoluto paradigma comportamentale.<br />A tal proposito diviene pertanto necessario il recupero ortodosso di tale tradizione; e cioè sempre entro i canoni sanciti e riconosciuti da S.Madre Chiesa, così come furono ottimamente sintetizzati nella Regola Templare e nel “De Laude Novae Militiae”, nonché approfonditi da tanta riflessione cristiana posteriore. E ciò per ridare linfa all’Istituto cavalleresco che ai giorni nostri, negli ultimi Ordini ancora rimasti in vita, pare essersi ridotto piuttosto ad una mera organizzazione di carattere assistenzialistico-filantropico: indirizzato cioè più allo svolgimento di funzioni nell’ambito della ricerca di benessere e progresso, che non nella difesa dei cristiani e nell’opposizione a quanto di anticristiano (o anticristico) semmai sussiste in una visione della vita eccessivamente preoccupata del materialistico; che è come dire: del benessere prescindendo dallo spirituale, del progresso prescindendo da Dio.<br />“Non senza ragione porta la spada: per la punizione dei malvagi e la lode dei giusti”<br />-De Laude N.M. -.<br />Terza specificità, che demarca una definitiva differenziazione tra “sodalizio cavalleresco” e “associazione laicale cristiana”, è la “militanza”: che è poi ciò che distingue da chiunque altro il Cavaliere, proprio in quanto “Miles”.<br />“Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori. Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta…come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” - Gc. I, 22-25 -.<br />S.Bernardo sottolinea che “typus” del Cavaliere è colui che non teme né il demonio, né l’uomo, né la morte. Egli integra, insomma, la pratica quotidiana dei valori cristiani con un consapevole senso di “eroicità”, ovvero di disprezzo nei confronti di qualunque compromesso, sia pure la salvezza della propria vita, che possa inficiare la lotta a favore di Cristo Gesù e della Sua S.Chiesa.<br />“Difatti, cosa potrebbe temere in vita o in morte colui per il quale il Cristo è la Vita e la morte un guadagno?” - De Laude N.M. -.<br />“Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore” - Rom. XIV, 8 -.<br />“Rallegrati o forte campione se vivi e vinci nel Signore: ma ancor più esulta e sii glorioso nella tua gloria se morirai e ti riunirai al Signore. La vita è certo fruttuosa, e la vittoria gloriosa: ma a giusto diritto ad entrambe è da preporre la morte sacra. Infatti, se sono beati coloro che muoiono nel Signore, quanto più lo saranno quelli che muoiono per il Signore?” - De Laude N.M. -.<br />Ancora una volta è necessario operare una trasposizione nel contesto storico odierno, la quale concerna in questo caso il principio metafisico, l’archetipo che viene adombrato nelle suddette parole di S.Bernardo: alludiamo al “sacrificio”!<br />La “morte sacra” è da intendersi proprio in tal senso: non necessariamente in quanto morte fisica (se non, in ultima analisi, come “martirio”), ma primariamente in quanto “morte dell’ego”. Tale è la portata profonda del “sacrum facere”, il “sacro operare”; la qual cosa consiste nell’agire in maniera direttamente ispirata dallo Spirito, liberi da qualsiasi implicazione “egoica”, cioè legata alla e dalla contingenza. Tale “liberazione” è il traguardo finale di una progressiva operazione “ascetica”, che è poi ciò che costituisce la “battaglia interiore” del Cavaliere, nonché la sua milizia contemplativa. Di modo che si comprende bene come per il “Miles” si instauri un diretto rapporto di reciprocità tra “battaglia esterna e battaglia interna”, perché ambedue fondate su di un medesimo, coincidente atto di “sacrificio”. Pregare è combattere, combattere è pregare; contemplare è agire, agire è contemplare! Due sono i tagli della medesima spada!<br /><br /><em>Della malitia</em><br /><br />All’esaltazione dei caratteri costitutivi della “Militia Christi” S.Bernardo opponeva il biasimo di quella che ne era, all’epoca, la diretta controparte: la cavalleria secolare; da lui condannata, con opportuno gioco di parole, come “malitia”.<br />Avendo riconosciuto alla Cavalleria odierna la prerogativa di esplicare in maniera privilegiata la propria “azione bellica” all’interno del contesto etico-culturale, sorge allora evidente e spontaneo il parallelismo tra la medioevale “cavalleria secolare” (la cosiddetta “malizia”) ed il moderno “laicismo culturale”.<br />Con questo appellativo vogliamo alludere a tutto quel modus vivendi che è stato tipicizzato dall’uomo europeo postmedioevale, improntato ad un progressivo svincolamento dai riferimenti cristiano-cattolici inerenti al sacro, al trascendente, nella conduzione del proprio agire e pensare quotidiano.<br />L’accezione del termine “laicismo” è da intendersi quindi nel senso più generale e completo, in quanto informante la totalità dei diversificati ambiti che caratterizzano la cultura occidentale moderna; i quali sono propri di quell’uomo che, da unitariamente “europeo” che era in origine, man mano che smarriva la coesione mantenuta appunto dalla sua tradizionale appartenenza alla sola e medesima cultura cristiano-cattolica, disgregava la propria omogenea “identità” culturale e passava oltre tutto da una concezione del mondo rispettosamente teocentrica ad una più orgogliosamente antropocentrica.<br />Se da un lato si verificava l’esportazione nel Nuovo Mondo di una “pseudo-europeità” sempre più priva di “sane radici”, dall’altro si assisteva ad una parodistica sostituzione dell’unità culturale cristiano-cattolica europea con le varie e diversificate unità politico-nazionali. A tal proposito è però emblematico ricordare che nel termine “identità” procedono di pari passo sia il significato di “qualificazione di qualcosa o qualcuno per cui si è tale e non altro”, sia il significato di “uguaglianza, coincidenza”! Cioè a dire: non sussiste un’identità (= personalità) culturale se non vi è identità (= coincidenza) di cultura! E non è un ovvio gioco di parole!<br />L’Occidente, pur dopo vari secoli, ha compreso di dover porre rimedio a tale palese incongruenza; ma ha ricreato artatamente un’identità europea risultante invero univoca e laicistica, in quanto basata esclusivamente su presupposti “mercantilistici” e non mantenendo che in un conto marginale le radici cristiane dell’Europa stessa.<br />Dal punto di visto della più pura Cavalleria tale identità non può non leggersi quindi che come il trionfo di quella sottile “parodia” attuata ai danni della vera identità culturale europea cristiano-cattolica. Tanto più che, a conferma dell’anticriticità del fenomeno, si è giunti oramai a sovvertire il concetto stesso di “cattolicità” (= universalità) sostituendolo e pervertendolo con quello di “globalizzazione” (= massificazione).<br />La “malizia” della cultura laicistica occidentale è divenuto il terreno fertile per l’attecchimento della “mala pianta” del grande sovvertitore. Ed al Cavaliere non rimane che constatare come il nemico di Cristo, che un tempo premeva minaccioso alle sue porte, col sotterfugio adesso si è proditoriamente installato addirittura in casa propria!<br />“Ecco, la vostra casa sarà lasciata deserta” - Mt. XXIII, 38 -.<br />“Ho lasciato la mia casa, ho abbandonato la mia eredità” - Ger. XII, 7 -.<br />Necessario è pertanto che alla presa di coscienza segua, da parte della Cavalleria, la presa delle “armi”: la “mobilitazione spirituale”; affinché la mala pianta sia estirpata. Perché questo è il compito che alla “Militia” è assegnato, nonché l’onore che le è concesso!<br />“Siano scacciati dalla città del Signore tutti i malfattori…Sia sguainata la doppia spada dei<br />fedeli…per distruggere chi si erge contro la conoscenza di Dio, che è la fede cristiana”<br />- De Laude N.M. -.<br />“Affinché le nazioni non dicano: dov’è il loro Dio?” - Salmo CXIII -.<br /><br /><em>Come vivono i Militi di Cristo</em><br /><br />La “Militia Christi” a cui si rivolgeva S.Bernardo era costituita da “monaci-cavalieri”; e tale rimane l’ambizione suprema per la Cavalleria: fondarsi su uomini che abbraccino oltre che la “vocazione alla militanza” anche la “vocazione religiosa”. Tuttavia, poiché a mali estremi bisogna opporre estremi rimedi, data la contingenza dei tempi odierni non è da disdegnare l’apporto che è pure suscettibile di fornire il Cavaliere ancorché “secolare”, purché i suoi princìpi ed il suo stile di vita risultino ovviamente tali da diversificarlo in maniera totale ed evidente dal “laicista”. Ancor più perché egli potrà combattere il “laicismo” più dall’interno di quanto oggi possa (e in certi casi, debba) un religioso! E’ giusto infatti che quest’ultimo possa piuttosto dedicarsi con maggior esclusività all’“orazione”, alle funzioni di “ministro dei sacramenti”, alla “formazione”. Il Cavaliere, quando secolare, può da parte sua approfittare invece del suo inserimento diretto ed attivo nel contesto sociale laicistico, in qualunque campo egli svolga la propria attività, per prodigarsi nel compito di arginare con la propria azione l’aggressione anticristica e riportare tutto sul più giusto sentiero.<br />“Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini…Servite a Cristo Signore” - Col. III, 23-24 -.<br />Quali siano i valori di un cavaliere è abbondantemente precisato dalla tradizione: obbedienza, disciplina, povertà, umiltà, castità, onestà, fedeltà, lealtà, generosità, instancabilità, giustizia, coraggio, sprezzo di ogni male: tutte doti che in una parola costituiscono la sua “cortesia”, la sua “nobiltà”.<br />“Chi cammina nella giustizia ed è leale nel parlare, chi rigetta un guadagno frutto di angherie, scuote le mani per non accettare regali, si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue, chiude gli occhi per non vedere il male: costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio” - Is. XXXIII, 13-16 -.<br />Ma di quante qualità egli debba cristianamente possedere, due ci sembrano costituire una sorta di sunto di tutte le altre: l’esemplarità e la coerenza!<br />“Esemplare” è colui che assomma in sé tali e tante qualità e doti, da costituirsi quale punto di riferimento, modello, metro di paragone per tutti coloro che hanno bisogno di aiuto; nonché causa di timore per tutti coloro che compiono qualsivoglia male e prevaricazione.<br />“Fortificate le mani deboli, rinfrancate le ginocchia vacillanti! Dite ai pusillanimi: -Fatevi coraggio, non temete, ecco il vostro Dio-” - Is. XXXV, 3-4 -.<br />“Sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno” - Salmo L -.<br />Il Cavaliere sa dosare il proprio intervento conformemente alle occasioni ed alle persone, poiché la sua capacità d’adattamento gli consente di ritrovarsi a proprio agio in qualunque frangente, con pieno controllo di sé.<br />“Sembrano più miti degli agnelli e più feroci dei leoni” - De Laude N.M. -.<br />Ed è suo preciso dovere non venir mai meno, in nessun luogo e momento, alle aspettative derivate da tale sua esemplarità; mancando altrimenti di “coerenza” tra quanto afferma e quanto compie.<br />Tutti i valori posseduti dal Cavaliere sono inoltre gestiti con rigoroso e severo contegno, il quale risulta immune da ogni eccesso di emotività e passione: sia se ciò si manifesti sottoforma di “vacuo sentimentalismo” che sottoforma di “arido cerebralismo”, oppure di “euforia” o di “scoramento”. Il Cavaliere, insomma, non “autoindulge” mai: né in un senso, né in un altro!<br />La prerogativa del Cavaliere di costituire un “esempio in Cristo” rappresenta un’arma importantissima contro i disegni anticristici che mirano a svuotare l’individuo, privandolo nella sua vita quotidiana di vere certezze e di saldi riferimenti. La sua fede incrollabile, il suo perfetto equilibrio, il suo sincero disinteresse non possono non suscitare il desiderio di emulazione in chi, tra non poche difficoltà, stia oggi cercando di vivere con un senso di maggiore convinzione e profondità la propria fede cristiana; nonché ammirazione e senso di protezione in chi stia patendo un’ingiustizia.<br />“Beato l’uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera”<br />- Salmo XL -.<br />“Vedano gli umili e si rallegrino, si ravvivi il cuore di chi cerca Dio” - Salmo LXVIII -.<br />E questo perché ogni azione vittoriosa del Cavaliere è “grazia di Dio” che opera attraverso di lui.<br />“Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia…Mio scudo in cui confido, colui che mi assoggetta i popoli” - Salmo CXLIII -.<br />“Tu sei la mia roccia ed il mio baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi” - Salmo XXX -.<br />Al contrario, ogni caduta è solamente imputabile alla sua stessa responsabilità, al suo “orgoglio”. Quest’ultimo, assieme all’“immodestia”, è infatti il peccato maggiore che si annida nel cuore di un Cavaliere.<br />“Tale è la sorte di chi confida in sé stesso, l’avvenire di chi si compiace nelle sue parole. Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte” - Salmo XLVIII -.<br />“Non confiderete mai nella vostra prudenza e nella vostra forza, ma solo nell’aiuto del Signore” - De Laude N.M. -.<br /><br /><em>Il “tempio” dell’Anticristo</em><br /><br />L’“orgoglio” è la peggiore trappola per il Cavaliere in quanto, allorché la sua azione ne venisse permeata, essa si trasformerebbe in “ybris”, pari soltanto alla prepotenza della cultura laicistica nei confronti della Legge di Cristo Gesù.<br />“Anche dall’orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere; allora sarò irreprensibile, sarò puro dal grande peccato” – Salmo XVIII -.<br />L’orgoglio è del resto strettamente collegato con la “superbia”, la quale è il principe dei vizi capitali: di essa peccò difatti Lucifero, il “principe di questo mondo”!<br />Il Cavaliere, proprio in quanto “Miles Christi”, si costituisce pertanto come il più diretto e prescelto bersaglio dell’attacco anticristico.<br />“I superbi mi tendono lacci e stendono funi come una rete, pongono agguati sul mio cammino”<br />- Salmo CXXXIX -.<br />Egli svolge un’azione che possiamo certamente definire di “parafulmine”, in quanto, allorché un Cavaliere “cade”, l’effetto di vittoria del grande sovvertitore è centuplicato rispetto a quanto risulterebbe con la caduta di un individuo che non sia “Miles”, avendo infatti così eliminato uno tra i più forti antagonisti. In questo gli è pari soltanto l’ecclesiastico ed in special modo il monaco!<br />Da ciò si evince che la lotta non gli dà mai tregua; e mai gli è concesso di abbassare la guardia: troppo grande è in effetti la responsabilità di cui è investito.<br />E’ del resto ovvio che se il suo “essere militante” è ciò che attira contro di lui tutta la concentrata offensiva del nemico, parimenti è soltanto il “vivere fino in fondo tale sua militanza” ciò che gli può garantire la vittoria.<br />Infatti, con il puro operare (= carità) egli rinnova la “forza”; fortificando la sua pura dedizione a Cristo (= fede) egli rinnova il “coraggio”; non avendo più paura di nulla egli rinnova la pura certezza di non cadere (= speranza). Pertanto, “pura forza, puro coraggio e pura certezza” è quanto di più alto il Cavaliere, nel suo pregare, può chiedere che gli venga concesso dalla misericordia di Dio per la sua vittoria!<br />La Cavalleria è palesemente l’ultimo baluardo nella lotta contro le forze anticristiche; e ciò da quando queste, dopo aver con violenza annientato il “Tempio del Padre” in Gerusalemme, ed aver con perfidia annientato il “Tempio del Figlio” in Parigi, adesso vogliono annientare con la suadente menzogna il “Tempio dello Spirito Santo” che è in ogni individuo battezzato, per sostituirlo con il “tempio dell’Anticristo”.<br />“O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni, hanno profanato il tuo santo tempio”<br />- Salmo LXXVIII -.<br />Sappiamo che la parodia è il segnale della presenza del grande sovvertitore; e allora: cos’altro è se non un palese “sovvertimento” del significato vero e proprio di “templum” (= “spazio ritagliato, separato dall’esterno”, dal greco “temno”) il tentativo laicistico di creare un mondo, una cultura, un’identità da cui venga “tagliato fuori, separato, escluso” Nostro Signore?<br />E’ proprio questo il “tempio dell’Anticristo” che si vuol erigere sul Tempio dello Spirito Santo, per sostituirsi ad esso!<br />Ma il Cavaliere, fedele all’esempio di Cristo Gesù, fervente dello stesso zelo, è colui che può e deve scacciare dal Tempio di Dio i “mercanti”, i “cambiavalute”, i “venditori di (false) colombe”.<br />“Portate via di queste cose: e non fate della casa del Padre mio una casa di mercato”<br />- Gv. II, 16 -.<br />Ma tramite quali artifici è possibile per il nemico giungere ad insidiare il cristiano, fin dentro il suo Tempio, ossia dentro il suo cuore?<br />In genere le forze anticristiche si manifestano prima come “opposizione a Cristo”; poi, in maniera più sottile, “prescindendo da Lui”; ed infine, con estrema raffinatezza, tramite l’estrema e più subdola tattica: “travestendosi da Bene”!<br />“All’empio dice Dio: perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle? Se vedi un ladro corri con lui; e degli adulteri ti fai compagno. Abbandoni la tua bocca al male e la tua lingua ordisce inganni”<br />- Salmo XLIX -.<br />E’ così che, per mezzo dei suoi ambigui predicati umani, il Male mette in atto il definitivo sovvertimento! Questi individui miserandi, i predicati dell’Anticristo, arrogantemente propongono sé stessi come “fonte di valori, di verità, di carità”, glorificandosi al posto di Dio. Essi sono fautori convinti e detentori inattaccabili del potere laicistico, che attualmente informa di sé tutto il quotidiano. Essi pongono il laicismo come suprema istanza delle coscienze, pur essendo esso molto spesso in palese violazione della legge divina.<br />“La loro bocca dice menzogne e la loro destra giura il falso” - Salmo CXLIII -.<br />“Affilano le loro lingue come spade, scagliano come frecce parole amare per colpire di nascosto l’innocente” - Salmo LXIII -.<br />I capi politici, per una sorta di autodivinizzazione, aspirano ad essere riconosciuti come supremi dominatori universali, nonché “vindici” degli oppressi, fingendosi quali filantropi intesi ad assicurare il benessere universale. Ma essi sono coloro nei quali è ricapitolata tutta l’apostasia, l’ingiustizia, la malvagità, la falsa profezia e l’inganno (cfr. S.Ireneo, “Contro le eresie”).<br />“Esultino i fedeli nella gloria, sorgano lieti dai loro giacigli. Le lodi di Dio sulla loro bocca e la spada a due tagli nelle loro mani, per compiere la vendetta tra i popoli e punire le genti; per stringere in catene i loro capi” - Salmo CXLIX -.<br />Non contenti, tali capi politici spesso tentano di appropriarsi addirittura del ruolo di “difensori dei valori della Chiesa”; ma solamente per palese, astuto calcolo opportunistico. Evidente è infatti la contraddizione, di tipico “sapore anticristico”, in cui cadono coloro i quali, pur rimanendo per esplicita ammissione conformi alle idee laicistiche, al contempo pretenderebbero di aderire per comportamento al proprio inconciliabile contrario, rappresentato dai princìpi cristiani. Ontologicamente parlando, infatti, ciò risulta essere una prerogativa che può possedere soltanto ciò che è contrario al Bene; essendo, lo “scimmiottare”, un atteggiamento che è precipuo non di quest’ultimo, bensì appunto del Male! Colui che infatti apprezza i valori sanciti dal Cristo, se è un vero cristiano, non può che considerarli assoluti. Costoro invece, i predicati dell’Anticristo, al di là dell’esteriorità “buonistica”, non cedono mai dalla posizione laicistica che considera l’autorità spirituale una mera voce “relativa”; prestigiosa sì, ma pur tuttavia solamente una tra le tante: in ogni caso, “marginale” nell’ambito della realtà sociale! Infatti non ammetteranno mai, costoro, l’assurdità consistente nella separazione di autorità spirituale e potere temporale in due compartimenti stagni, falsando il senso delle parole dello stesso Gesù in merito alla dottrina del “…date a Cesare quel che è di Cesare”.<br />Da parte sua il Cavaliere, non auspicando certamente un inopportuno “mescolamento” tra i due ambiti, sa tuttavia quanto sia stato nefasto il travisamento di suddetta dottrina, la quale comunque sancisce la necessità non certo di una “separazione”, di una “divisione” dei poteri “sacerdotale e regale”, bensì di una giusta e feconda “complementarietà” di ruolo e funzioni tra di essi. Tale complementarietà raggiunse il suo irripetuto vertice tramite la coesistenza di Papato e Sacro Romano Impero!<br />Ma per chi come il Cavaliere è abituato a vivere nella piena unità del Cristo, la menzogna si smaschera da sola; in quanto non vi è mai Bene laddove non vi sia da parte dell’individuo totale santificazione in Cristo e nella Sua Chiesa. Non basta spacciarsi suadentemente per il “Bene”, se in realtà l’operato risulta ingenerare “separazioni, antagonismi, conflittualità, bivalenze, contraddizioni”. Non è difatti proprio questo il tratto distintivo del “diabolus”: creare divisioni (dal greco “dia-ballo”, “disunire, metter male fra due”)??<br />Ne consegue che coloro i quali illudono l’individuo di poter e dover laicisticamente trovare la verità attraverso la molteplicità delle “opinioni” personali, indipendentemente cioè dagli univoci dettami di Cristo Gesù, perpetrano il vero delitto ai danni della vera “libertà” dell’uomo; in quanto vanno a compiacere l’Anticristo nel suo scopo di sostituirsi a Cristo stesso, per assoggettare l’uomo come suo misero schiavo.<br />Il “Miles” sa che non conta affatto la propria soggettività di individuo, ma si affida al “servizio” che dalla tradizione gli è richiesto di portare avanti, aderendovi con fedele spirito di oggettiva unità nella Chiesa e nella Cavalleria.<br />“Manifesta al Signore la tua via, confida in Lui: compirà la sua opera; farà brillare come luce la tua giustizia, come meriggio il tuo diritto” - Salmo XXXVI -.<br />“Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei tu (Signore) che agisci” - Salmo XXXVIII -.<br />“Diresti che tutta questa moltitudine (di Cavalieri) abbia un cuore solo ed un’anima sola: a tal<br />punto ognuno si preoccupa non di seguire la propria volontà, ma quella di chi comanda”<br />- De Laude N.M. -.<br />Laddove il nemico è menzogna, perché ingenera molteplicità, frammentazione (checché egli ne dica), la Cavalleria è dunque verità: perché persegue vera unità in Cristo!<br />“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!…Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre” - Salmo CXXXII -.<br />Ma vi è ancora una prova che dimostra indirettamente quanto la Cavalleria, così come la si è andata delineando sin qui, costituisca un valido e necessario “baluardo” nei confronti delle forze anticristiche. Ciò consiste molto semplicemente nel fatto che queste ultime, evidentemente temendola in quanto efficacissima avversaria, con abile mossa hanno cercato nel tempo di adescarla a sé per inibirla (= opposizione a Cristo), svuotarla (= omissione di Cristo) e riproporla in veste adulterata (= sovversione di Cristo). Assistiamo pertanto a quella ingiuriosa pantomima, a quell’appropriazione indebita di incidenza solo apparentemente marginale, che è il “cavalierato del lavoro”; in esso ogni tratto di vera, tradizionale Cavalleria è stato mortificato ed annullato, sancendo figuratamente il ritorno nel Tempio di quei mercanti cacciati da Gesù, di quei cambiavalute, di quei venditori di false colombe.<br /><br /><br /><em>Della Terra Santa<br /></em><br />Per concludere il suo sermone, S.Bernardo si sofferma sui principali luoghi di Terra Santa, meditando su tutta quanta la ricchezza spirituale di cui essa è latrice, affinché i Cavalieri diventino ben consapevoli di quanto grande sia ciò che è stato affidato in custodia alla loro fedeltà, alla loro prudenza, al loro coraggio. E’ bene anche per noi, dunque, riflettere su di Essa!<br />Affinché la “mala pianta” delle forze anticristiche non attecchisca dentro di sé, il Cavaliere è colui che è chiamato a rinnovare il proprio cuore, svuotandolo della vecchia terra sterile e secca per colmarlo di “nuova terra” più fertile e sana in quanto “vergine”.<br />“La terra arida diventerà uno stagno e il suolo riarso avrà sorgenti abbondanti” - Is. XXXV, 7-.<br />Ed è questa la “Terra Santa” che egli vuole e deve proteggere, nonché custodire: ossia la S.Vergine Maria, da sempre tanto cara alla Cavalleria!<br />Tale Terra è la medesima che nutre l’“Albero della Vita”; è la Terra del giardino dell’Eden, che in ebraico significa, appunto, “vergine”.<br />Giovanni Crisostomo, Tertulliano, Celio Sedulio chiamano Nostra Signora: la “Terra Vergine”.<br />Proclo di Costantinopoli e Teodoro di Ancira la invocano come “Terra non seminata che aprì il Paradiso ad Adamo”. Sempre Proclo aggiunge che Lei è il “Paradiso Spirituale del Secondo Adamo (il Cristo)”.<br />Girolamo la definisce “Terra promessa a Davide”.<br />Il Cantico dei Cantici (IV, 12) si riferisce proprio a Maria quando parla di “hortus conclusus”: il “giardino recintato e protetto”.<br />Dopo aver posto in sé, con amorevole cura, questa fertilissima e vergine Terra, il Cavaliere può attendere allora che Ella venga fecondata dallo Spirito Santo. Se la preparazione sarà stata effettuata con sapienza, certamente il santo seme porterà fiore e frutto. Ed il cuore del Cavaliere diverrà di essi il “recipiente santificato”, il “privilegiato vaso” entro il quale attecchisca il “germoglio di Jesse”; in una parola: il S.Graal di cui egli è alla ricerca!<br />Rendendosi “vergine” come Nostra Signora, al pari di Lei diviene “ricettacolo di Cristo”.<br />Ma per divenire “come Lei”, bisogna “affidarsi a Lei”! Ed ecco allora che il Cavaliere dimostra di conoscere come il percorso magistrale per attuare questa assimilazione venga indicato dalla “Vergine Hodegetria” (“Colei che mostra il cammino”) attraverso la “Corona del S.Rosario”: ossia la via “che porta al Re”, la via “regale” per eccellenza in quanto la “più amata” da Dio!<br />“Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio,…al Re piacerà la tua bellezza” - Salmo XLIV - .<br />Nella Corona del S.Rosario, infatti, si sintetizzano per il Cavaliere le due Sante Tavole che costituiscono il “nutrimento” della sua Tradizione: quella che fu istituita da Nostro Signore, il Re-Messia, assieme ai suoi 12 Apostoli e quella, analoga in quanto sua simbolica replica, che fu istituita da Re Artù assieme ai suoi 12 Cavalieri-tipo. Il Centro focale di queste Tavole è occupato da due santi “Vasi”: rispettivamente il S.Calice eucaristico e la S.Coppa del Graal, di entrambi i quali è immagine la “Rosa”!<br />“Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca” - Salmo XXII -.<br />Il n.60, che rappresenta il totale dei grani della Corona del Rosario, costituisce la sintesi dei numeri 15 e 12, di cui esso è multiplo rispettivamente seconda 4 e secondo 5. E così i 60 grani del S.Rosario alludono ai “12 Apostoli-Cavalieri” che, innalzando le “15 misteriche rose” (le quali, in ossequio alla S.Trinità, sono divise in tre gruppi: gaudiose, dolorose e gloriose), fanno da “corona” attorno al loro Re ed alla loro Regina.<br />“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” - Salmo CXV -.<br />Quei “Dodici” divengono allora i “pilastri” del “Trono di Dio”!<br />“Giustizia e diritto sono la base del trono di Dio” - Salmo LXXXVIII -.<br />“Le sue fondamenta sono sui monti santi” - Salmo LXXXVI -.<br />La S.Vergine del Rosario, attorno al cui capo brillano 12 stelle, è il prototipo dell’“Ecclesia” nella sua intatta integralità, la quale si costituisce come complementarietà tra Papato (12 Apostoli-Cavalieri) ed Impero (12 Cavalieri-Apostoli).<br />“Ave, Tu sei per la Chiesa qual torre possente; Ave Tu sei per l’Impero qual forte muraglia”<br />- Inno Akathistos, XXIII -.<br />Il Cavaliere lotta affinché il “Trono della Terra Santa”, cioè l’“Ecclesia Papato-Impero”, sia ripristinato nella sua naturale e completa integrità. E affinché ciò possa realizzarsi nella storia, egli deve riuscire intanto a realizzarlo specularmente anche nel proprio cuore: perché egli stesso attraverso il S.Rosario diviene “Terra Santa”.<br />“Il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua dimora” - Salmo CXXXI -.<br />“E’ in Gerusalemme la sua dimora, la sua abitazione” - Salmo LXXV -.<br />Ossia, si identifica con Essa in quanto il Logos viene ad abitare in lui conferendogli il<br />“sacerdozio-regale”.<br />“Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek” - Salmo CIX -.<br />“Li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra”<br />- Ap. V, 10 -.<br />In tal modo il Cavaliere entra a far parte a pieno titolo, per diritto e per merito, della nobilissima “stirpe di Jesse”; viene eletto “suo germoglio”, essendo oltre tutto il “tutore delle sue radici”. Ed è proprio tale privilegiata elezione che gli guadagna l’appartenenza all’èlite la cui responsabilità è appunto quella di combattere “in prima linea” le forze anticristiche, oggi espresse dal laicismo.<br />“Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici…Su di lui si poserà lo spirito del Signore…Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i poveri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese. La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà…La radice di Jesse si leverà a vessillo per i popoli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa” - Is. XI,1-10 -.<br />Tuttavia tale particolare “gloriosa distinzione”, a cui il Cavaliere è condotto in virtù della sua “milizia”, non comporta mai per lui alcun diritto; ma piuttosto solamente un dovere: quello di “glorificare” sempre e dovunque Nostro Signore Cristo Gesù.<br />“Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam” - Salmo CXIII -.<br /><br /><br /></div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-60799018725881619842007-08-04T10:44:00.000+02:002007-08-06T18:47:59.119+02:00Introduzione alla spiritualità cavalleresca<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinsj6EECfDGlUuYurGp71iT8VGB4okKr0gxg5VLcVP_TGBk_Xu4FtoQrapj6G9UwFxN9VK-FGs_Q78CkZd4X6xHJRzaSQuggpRbSRCSRDYWtQo8eXbWPNyDQEgzkqiK4tQ4hVnlxnXjRor/s1600-h/Leighton1.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5094763943586729506" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinsj6EECfDGlUuYurGp71iT8VGB4okKr0gxg5VLcVP_TGBk_Xu4FtoQrapj6G9UwFxN9VK-FGs_Q78CkZd4X6xHJRzaSQuggpRbSRCSRDYWtQo8eXbWPNyDQEgzkqiK4tQ4hVnlxnXjRor/s320/Leighton1.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify"><br />1. Premessa. Devo prima di tutto ringraziare gli organizzatori di questo Incontro di studio, perché mi hanno dato la possibilità di guardare a due oggetti di studio per me abbastanza consueti quando disgiunti fra loro (da un lato la spiritualità dell'Europa medievale, e dall'altro le peculiarità della cultura tradizionale cavalleresca) con occhi diversi, cioè simultaneamente: sempre conscio del fatto che poche dinamiche esistenziali come la spiritualità ci introducono nel cuore di una cultura tradizionale, in questo caso quella cavalleresca del Medioevo europeo.2. Un necessario ritorno al reale. Il nostro argomento richiede comunque una premessa: siamo ammorbati oramai da anni da una serie pressoché infinita di pseudo-ordini cavallereschi, frastagliate e litigiose congreghe neotemplari, esoteristi d'accatto in vena di incursioni cavalleresche, legioni di cercatori del Graal usciti dal dopolavoro new age, che invadono anche le edicole delle stazioni con decine di pseudoricerche infarcite di pseudorivelazioni, utili solamente a deformare la già scarsa e difficile comprensione che l'uomo contemporaneo è in grado di avere - aldilà del fascino che prova per esso - per il mondo spirituale dell'Età di Mezzo in generale, e della Cavalleria in particolare. Per non confondersi con questo florido settore del famigerato "supermarket delle religioni" è necessario previamente effettuare quello che Gustave Thibon ha definito un ritorno al reale: aldilà di ogni invenzione e deformazione prodotte dal neospiritualismo così diffuso, cercheremo di procedere dal punto fermo di un assoluto rispetto per l'esperienza storica e spirituale del tempo; in termini antropologici, privilegiando l' autocomprensione dei protagonisti della spiritualità cavalleresca ad ogni tipo di astrazione ed interpretazione successiva, comunque motivata. 3. Le fonti.Lo studio della spiritualità cavalleresca esige prima di tutto un lavoro preventivo di definizione delle fonti, che in questa sede possono essere suddivise in tré grossolane categorie:3.1. I trattati organici sulla Cavalleria, come il De Laude Novae Militiae di San Bernardo di Chiaravalle (XII secolo)-(1), l'anonimo Ordene de Chevalerie (XIII secolo), fino al più tardo Llìbre del Orde de Cavaleria del Beato maiorchino Raimondo Lullo (2) (scritto verso il 1275), e parallelamente i trattati spirituali ad usum militìbus, come il noto trattatello di San Bernardino da Siena "La battaglia e il saccheggio del Paradiso", cioè della Gerusalemme celeste. Questi trattati, beninteso, non hanno pretese esaustive dell'argomento, ma più che altro il valore, tipico della cultura medievale, di una summa, in cui cioè gli aspetti spirituali, etici e tecnici si uniscono in sintesi che rendono in primo luogo il senso dell'interpretazione dell'Autore, noto o meno. Si tratta pertanto di documenti essenziali per la comprensione dell'universo culturale e spirituale della Cavalleria.3.2. le fonti agiografiche. Queste comprendono da un lato le "Vite" di Santi cavalieri (ne sia esempio la celebre Vita dì San Galgano di Montesiepi, la cui più recente riedizione dobbiamo alla curatela di Franco Cardini (4), e nello stesso tempo, in modo solo apparentemente contraddittorio, le "Vite" di alcuni esempi puramente negativi, di quelli che sempre Franco Cardini ha efficacemente definito "anticavalieri", milites dediti ad una vita di infrazione delle regole morali di base del proprio ceto e per questo passati alla leggenda. 3.3. I cicli letterari epici, che in tutto il Medioevo ebbero un ruolo di enorme importanza nella diffusione di un'immagine "alta", ideale della Cavalleria in tutt'Europa, senza distinzione di ceto, ma, al contrario, favorendo la diffusione del sistema di valori cavalleresco nell'intera christianitas medievale, ben aldilà quindi dei confini sociali del ceto dei milites. Questi scritti tradizionalmente si articolavano in tre cicli ampiamente compositi, definiti "Materie": la Materia di Roma, la Materia di Francia e la Materia di Bretagna. 4. La Cavalleria, ovvero il frutto del crogiolo. Già si è riconosciuto nel Cavaliere la figura più rappresentativa dell'Età di Mezzo. In effetti essa, come l'epoca che lo generò, si presenta come sintesi originale di una pluralità di componenti di eterogenea origine storica e culturale, fusi assieme a comporre, appunto, questa figura del tutto originale; come i diversi metalli nel crogiolo danno vita ad una lega originale, dalle caratteristiche irripetibili ed irriconducibili ai metalli semplici originari. In estrema sintesi, facendo perno su alcuni saggi fondamentali (5), possiamo individuare in primo luogo le componenti che, fuse nel crogiolo, danno origine al Cavaliere medievale. Sono componenti che ci richiamano immediatamente alla mente le grandi civiltà del periodo tardo antico: Roma, la Persia; l'irruenta energia dei popoli celto-germanici; la funzione spiritualmente ordinatrice, in un'epoca di cruciale trapasso, del Cristianesimo romano. Questo crogiolo operò costantemente per secoli, dalla fine dell'Impero Romano d'Occidente alla fine dei cosiddetti - ma oramai si sa, a torto - "secoli bui". Si tratta di più di seicento anni in cui vissero alcuni tra i protagonisti delle Materie medievali destinati a trascolorare nel Mito (Re Artù, Carlomagno), e in cui un mondo nuovo, la Christìanitas medievale, sorge dalle rovine del mondo greco-romano precedente. Dalla Persia partica arrivò nell'Europa romana, sull'onda della disastrosa sconfitta di Adrianopoli, la grande "novità" costituita dalla cavalleria pesante corazzata, i catafractìi, che rapidamente il saggio pragmatismo romano assorbì all'interno della propria macchina militare, conservandoli per secoli; questo anche grazie alla specifica vocazione che un antico regno foederato con Roma, l'Armenia, dimostrò di possedere: in epoca bizantina, reparti di cavalieri corazzati armeni sono attestati per decenni nell'Italia centrale. Dai popoli germanici giunse la mistica del branco a cavallo, che solo nei secoli si trasformò, fino a diventare schiera ordinata e disciplinata: ancora San Bemardo di Chiaravalle in pieno XII secolo ci tratteggia emblematiche figure di "anticavalieri" che al bellum iutum, organizzato e gerarchico, preferiscono la werra, la mischia individuale e scomposta, luogo dello scatenamento del wut, il furor germanico (6); parte integrante di questa "mistica" germanica era la fedeltà personale del singolo giovane cavaliere al capo, il vecchio, il senior: molto di questa fedeltà rimase viva nel menoma cavalleresco medievale fino al suo tramonto. Già dall'epoca longobarda queste truppe a cavallo, composte da iuniores legate al proprio senior da un patto di fedeltà per la vita e per la morte, entrano a far parte dell'esperienza quotidiana dell'Europa. Dal lievito spirituale del Cristianesimo giunse poi quell'apparato allegorico e simbolico che elevò la Cavalleria terrena a sentiero propedeutico a quella celeste, e che fece proprio il concetto di Milita estendendolo al grande conflitto cosmico cui ogni uomo è chiamato a partecipare: Militìa est vita homini super terram. Molte parole sono state spese sull'atteggiamento del Cristianesimo delle origini attorno all'uso delle armi, e spesso con scarsa cognizione di causa e ancor più scarso rispetto delle fonti (7). Qui ci accontenteremo di percorrere alcune fonti che sottolineano come, nella cultura cristiana, il combattimento concreto, terreno, militare, fùngesse immediatamente da fondamento per un'interpretazione simbolica che ne faceva l'archetipo dell'atteggiamento del cristiano di fronte al Male presente ed operante nel mondo: in quanto miles Christi, ogni cristiano è chiamato a combattere la pugna spiritualis del suo Signore. Fin dal Vangelo, la figura cardine del mondo militare romano, il legionario (particolarmente odiato dal giudaismo), acquista una valenza singolarmente positiva. Basti qui ricordare la celebre figura del Centurione di Cafarnao, che tratta Cristo come il generale di un esercito ultraterreno, a cui chiede l'esercizio della stessa auctoritas sui demoni che egli, in quanto ufficiale, era uso esercitare sui suoi milites. È nota la risposta di Gesù: "Vi assicuro che non ho mai notato una fede come questa neppure nel popolo d'Israele" (Luca, 7,9). È ancora un centurione che, al momento della morte di Cristo in croce, attesta: "Davvero costui era figlio di Dio!" (Matteo, 27, 54). Negli Atti degli Apostoli è nuovamente grazie ad un centurione, Comelio, della Coorte Italica che batteva arruolamento tra la Romagna e le alte Marche, che si deve l'esempio di pietas religiosa che convince Pietro ad accettare i "gentili" all'interno della Chiesa nascente (Atti, 10, 15). Disciplina, sincerità, pietas, fìdes, senso della gerarchia - non solo terrena - sono le caratteristiche spirituali positive che la Sacra Scrittura attribuisce a queste figure di miles romani. D'altronde la metafora della fede come combattimento contro il male non era affatto ignota al cristianesimo delle origini: già San Paolo (II Tim., 4,7) sottolinea come il cristiano combatta il "giusto combattimento", e, sia che viva o che muoia, "appartiene al Signore" (Rom., 14, 8). In un'Epistola del 356 il Vescovo di Alessandria Atanasio scrive: "non è permesso uccidere, però distruggere i nemici in guerra è legittimo e lodevole"*. San Benedetto, il fondatore del monachesimo occidentale, vede nella sua Regola il monaco come atleta Christì, che incarna in modo perfetto la militia. Il monaco è, quindi, l'archetipo ed il primo fra i milites Christì. La sapienza cristiana medievale era essenzialmente una sapienza simbolica: leggeva cioè le realtà non come piatta unidimensionalità apparente, ma come sinfonia di significati differenziati, eppure sinergici tra loro: a titolo di esempio specifico ricordiamo la chiarificazione del quadruplice senso della Scrittura così come Dante Alighieri espone nel Convivio. Non stupirà pertanto che anche la materialità del mestiere e degli strumenti della cavalleria fosse letta simbolicamente.In sintesi, il mondo medievale in generale - e quello cavalleresco in particolar modo - viveva intero nella tensione evangelica tra il "già" e il "non ancora", in cui la storia veniva letta attraverso le lenti del mito, e diveniva perciò "storia esemplare".5. I Cicli epici medievali, o le tre Materie. Come si è accennato poco sopra, i cicli epici medievali tradizionalmente si articolavano in tre "Materie": la Materia di Roma, la Materia di Francia e la Materia di Bretagna. È importante soffermarsi su questa tradizione letteraria proprio perché costituì uno specchio privilegiato della cultura cavalleresca europea, destinato ad influire sulla sua evoluzione per secoli. La tripartizione delle "Materie" sottolinea in effetti una disparità d'ispirazione ragguardevole; all'interno della "Materia di Roma" trovavano spazio quei componimenti lirici incentrati su personaggi romani o ellenistici (ad esempio, Alessandro Magno, personaggio che nel Medioevo conobbe una notevole fama simbolica e letteraria). La "Materia di Francia" è incentrata sulle figure di Carlo Magno e dei suoi Paladini, particolarmente la coppia di amici Orlando e Rinaldo, rispettivamente esempio di prouesse e di sagesse: il componimento più celebre di questa Materia è senz'altro la Chanson de Roland. Infine, la "Materia di Bretagna" raccoglie la messe di componimenti incentrati sul Santo Graal e le figure di Re Artù, Merlino, Lancillotto, Galvano, Galahad ed altre minori (9).Non è probabilmente possibile sminuire l'importanza che queste "Materie" letterarie ebbero nel dar corpo all'ideologia cavalleresca medievale; frutto a loro volta di un'idealizzazione frutto di secoli di lavoro sul piano spirituale e culturale, esse fornivano alla meditazione non solo del Cavaliere, ma dell'insieme della società medievale una serie di archetipi con cui confrontarsi e riferirsi (il Re giusto, il miglior Cavaliere del mondo, il Saggio), esempi cui tendere, anche se all'infinito, modelli retorici di confronto, schemi di valutazione della propria realtà concreta, che continuarono ad esercitare una propria particolarissima funzione normativa fino al XVIII secolo, ovunque in Europa sopravvivesse una cultura non prostituita ai "nuovi valori" della dantesca "gente nova", dell'incipiente società borghese. 6. Come la storia si fa "storia esemplare ". Ma all'occhio dell'uomo medievale non solo la parola di Dio, la vita dei santi o la lettera dei romans, ma la stessa storia si faceva "storia esemplare", e diveniva quindi specchio per la definizione sempre più esatta di una Norma spirituale, nel nostro caso della Via cavalleresca, in un legame spesso circolare tra realtà e mito: il mito influenza cioè la realtà dandole una forma difficile e preziosa, che a sua volta rinforza la capacità del mito originario di plasmare a propria misura la realtà. Vediamo alcuni esempi di questa dinamica: 6.1. Prima di tutto gli Ordini Cavallereschi. Nulla di più concreto e tipicamente medievale di queste Confraternite armate che, ricordiamolo, influenzarono profondamente non solo la cultura, ma la stessa geografia politica europea. Frutto della grande espansione della christìanitas tra XII e XIV secolo, quando si parla di Ordini Cavallereschi non si allude solamente ai tre grandi Ordini sovranazionali del Tempio, di San Giovanni (poi di Rodi, poi di Malta), di S. Maria di Gerusalemme, detto poi Ordine Teutonico, ma anche a quel numero più ampio di Ordini meno diffusi o legati più strettamente ad una comunità territoriale e linguistica (ricordiamo qui solamente gli spagnoli Ordini di Calatrava e Santiago, il portoghese Ordine di Cristo, l'italiano Ordine del Tau, il polacco Ordine dei Portaspada). Ebbene, non solamente l'esistenza di questi Ordini cambiò la storia dell'Europa (la riconquista della Spagna, la creazione della Prussia, del Portogallo e dei tre Paesi baltici di Estonia, Lettonia e Lituania, l'epopea legata al nome di Malta, la stessa storia della Terrasanta sarebbero stati del tutto diverse senza queste Confraternite guerriere dai tratti sempre religiosi e spesso monastici), ma entrò anche all'interno dei grandi cicli letterari del Graal: ricordiamo solamente come Wolfram von Eschenbach, il grandissimo minnesanger ("cantore d'Amore") autore del Parzival e del Titurel, inserì i templari, chiamandoli Templeisen e mantenendone intatti araldica e simboli, nella sua versione del Ciclo graalico, facendone addirittura i custodi del Castello del Graal, con cui ogni coraggioso che ardisca entrarvi deve scontrarsi (10). 6.2. In secondo luogo, il Pellegrinaggio. Per l'uomo medievale la vita intera, nella sua ontologica limitatezza, era una prova, un pellegrinaggio verso un'eternità successiva; a partire da questa coscienza il suo stesso ritmo di vita quotidiana necessariamente cambiava. È oramai noto agli studiosi la grande importanza della dimensione del pellegrinaggio per la vita dell'uomo medievale. Il Medioevo si può definire anzi il tempo del Pellegrinaggio: era al tempo del tutto usuale che chiunque, appartenente a tutti i ceti della società, affrontasse un iter, un viaggio della durata di anni sia verso i grandi Templi della Cristianità (Santiago, Roma, Gerusalemme sono solo i più celebri, ma l'Europa medievale era una ragnatela impressionante di Vie di pellegrinaggio, di santuari e di pellegrini). Di più, la stessa Crociata fu in realtà, per l'uomo medievale, non una spedizione di guerra ma un pellegrinaggio, a volte armato ed a volte inerme, un passagium, un iter (11) verso la Città centro del Mondo, in cui Gesù Cristo era nato, morto e risorto, in cui si poteva andare a cercar fortuna, sciogliere un voto, adempiere una penitenza, o semplicemente morire, certi della salvezza eterna; ed è un fatto che il termine "crociata" è in realtà assai tardo, del tutto sconosciuto non solamente ai cristiani del tempo, ma persino alle cronache musulmane. 6.3. Infine, l'Impero. Ottusi da secoli di relativismo e scetticismo, facciamo molta fatica a comprendere il valore spirituale, salvifico dell'Impero medievale, così come l'uomo dell'Età di Mezzo lo viveva, anche se abbiamo letto la storia di Artù ferito e del Re Pescatore nei Cicli Graalici, o magari abbiamo frequentato la Monarchici di Dante. In realtà l'Impero costituì il più duraturo mito politico incarnato nel genoma dell'Europa (motivo per cui esso è assai duro a morire, persino dopo secoli di democrazia borghese). In realtà, ed in estrema sintesi, l'Impero costituì lo sforzo epocale di dare al mondo una forma coerente con l'Ordine divino dell'Universo: non a caso le grandi figure di Imperatori (Artù, Federico Barbarossa...) trapassano rapidamente dalla storia al mito: non muoiono, ma sopravvivono nascosti - sotto una montagna, o aldilà del mare - per secoli, fino a che il mondo avrà bisogno di loro per l'ultima battaglia contro il male (12).7. La Cavalleria come Via etica. Alla Cavalleria, in quanto Via non solo sociale, ma anche - e per dignità, prima di tutto - spirituale, è propria un'etica specifica, un sistema di virtutes utili a guidare il cammino in questa terra del Cavaliere, per il proprio onore e nella certezza della Ricompensa celeste. In questa sede, allo scopo di fame ammirare la profondità e la singolare attualità, ci accontenteremo di indicare un breve percorso all'interno di questo sistema etico, facendo ricorso alla sintesi operata da Mario Polia (13): 7.1. En arche, in principio, la prima fra le virtù del Cavaliere è la nobiltà, nel suo valore etimologico di "non-viltà". Come sottolinea Raimondo Lullo nel citato Libro nell'Ordine della Cavalleria, la nobiltà così intesa, qualifica dell'animo, è il fondamento di Cavalleria. Solo nei secoli la nobiltà si irrigidirà come caratteristica ereditaria, e non a caso un tale irrigidimento porterà con sé l'inizio della decadenza della cavalleria medievale.7.2. Poi, l'umiltà, che non significa abiezione ma, di nuovo etimologicamente, humilitas, "senso della Terra", del limite. Si contrappone alla superbia.7.3. La misura nello stile di vita e nel comportamento. Si contrappone ad ogni forma di incontinenza. 7.4. La prudenza. 7.5. La pazienza. 7.6. La cortesia, particolarmente nei confronti della donna e dei deboli.7.7. La fedeltà, che non è valore autonomo, ma semplice conseguenza esteriore di una essenziale e primigenia fedeltà alla propria vocazione, così come disegnata dalle virtutes sopra elencate. Per cui l'ordine esterno è specchio di quello interiore, la fedeltà all'Imperatore è specchio della fedeltà a Dio, etc.8. La Cavalleria come Via spirituale.Ma la Cavalleria non è solamente un sistema di valori etici (che l'idea stessa di un'etica autonoma, tipica della cultura contemporanea, nell'ottica medievale è un non-senso, come l'ipotesi di una costruzione non fondata su terreno solido), ma è innanzitutto una Via spirituale, che per mezzo della charitas delle armi conduce il miles alla piena realizzazione spirituale. Il primo nodo da chiarire per il lettore contemporaneo è il rapporto tra le forme storiche della Cavalleria - ovviamente relative - e la sua essenza atemporale: "Una Via dello spirito, in quanto tale, si manifesta nel tempo, ma non è vincolata ne alla storia ne ai costumi - e neppure agli errori degli uomini - ma, proprio in quanto Via, deve poter essere accessibile da ogni punto della storia e deve potersi esprimere nella storia. È inevitabile (ed è persino salutare) che nel processo di trasformazione elementi accessori e forme particolari di manifestazione vadano perdute -ed altre forme, consone alle esigenze dei tempi, vengano assunte ...L'essenza della Cavalleria cristiana consiste nel servizio della Fede e della Giustizia. Tale servizio si esplica in due modi: verso Dio nella pietà, nella conoscenza e nella dedizione del proprio essere; verso il prossimo nell'offerta della propria vita in difesa dei deboli, degli oppressi e della Chiesa e nella lotta contro l'ingiustizia". Può essere interessante vedere come gli stessi strumenti della pratica professionale del Cavaliere, le sue armi, fossero interpretati sub specie interioritatis come simboli di una lotta spirituale che non prescinde dalla lotta esteriore, ma da essa si eleva: dalla Cavalleria terrena passando cioè, secondo il lessico graalico, alla Cavalleria celeste. La corazza, innanzitutto, è simbolo della Fede; l'elmo della Speranza; gli speroni dello zelo; la spada, classicamente a croce e a doppio taglio, assomma gli ovvi riferimenti alla Croce di Nostro Signore...; Infine il cavallo è simbolo chiarissimo della natura inferiore dell'uomo, che va guidata e condotta, rendendola in questo modo non solo utile, ma indispensabile alla Via cavalleresca. 9. Conclusioni.Nota Franco Cardini che uno dei motivi fondamentale del fascino contemporaneo per il mondo della Cavalleria medievale è di natura squisitamente estetica: un Cavaliere è più bello di un banchiere. Questo è vero, ma a sua volta l'estetica rimanda, come sempre, ad un altro livello: perché un Cavaliere è più bello di un banchiere? Perché l'estetica, il senso del bello, ha senso unicamente rimandando ad un ordine del cosmo. Un ordine non casuale ma pre-ordinato, che costituisce un valore, è bello e buono, e meritevole di essere difeso, al punto tale che l'archetipo che incarna una tale difesa si fa esempio di questa bontà e bellezza. L'Arcangelo Michele che sagitta Satana al grido "Chi come Dio?" è sempre rappresentato bellissimo, androgino, vestito da legionario romano o, appunto, da Cavaliere. Egli, non a caso, è il protettore della Cavalleria terrena. Il Cavaliere è quindi il difensore dell'ordine cosmico su questa terra. Per questo, non vi è nulla di più bello e buono. Persino all'alba del terzo millennio.<br /></div><br /><div align="justify">Note. 1. Del De Laude Novae Militìae di San Bernardo di Chiaravalle, scritto tra il 1128 e il 1136, vedasi prima di tutto la versione curata da Mario Polia, L'Elogio della nuova Cavalleria. Ai Cavalieri del Tempio, Rimini 1988. Sul clima culturale e spirituale che ne ispirò la stesura, vedasi F. Cardini, I poveri Cavalieri di Cristo: Bernardo dì Clairvaux e la fondazione dell 'Ordine Templare, Rimini 1994.2. Del Llibre del Orde de Cavaleria del Beato Ramon Llull, vedasi la classica versione di Giovanni Allegra, Il Libro dell'Ordine della Cavallerìa, 2° edizioni accresciuta. Carmagnola 1994. Sul complesso della sua opera di raffinato interprete della cultura medievale all'inizio del suo tramonto, vedasi l'Introduzione a nostra firma a R. Lullo, Phantastìcus. Dìsputa del chierico Pietro con l'insensato Raimondo, Rimini 1997. 3. San Bernardino da Siena La battaglia e il saccheggio del Paradiso, cioè della Gerusalemme celeste, Siena 1980. 4. Anonimo, Vita di San Galgano, a c. di F. Cardini, Siena 1976. 5. In primo luogo F. Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Firenze 1984, che contiene una ricca bibliografia da cui è ancora lecito partire per ulteriori approfondimenti. 6. Attorno al furor latino e al wut germanico vedasi M. Polia, Furor. Guerra, poesia, profezia, Rimini-Padova 1984.7. Sull'argomento, cfr. introduttivamente l'Introduzione di Mario Polia a San Bernardo di Chiaravalle, L'Elogio della nuova Cavalleria. Ai Cavalieri del Tempio, cit.8. Riportato in M. Polia, Introduzione a San Bernardo di Chiaravalle, L'Elogio della nuova Cavalleria. Ai Cavalieri del Tempio, cit., p. 59. 9. Per un primo elenco dei componimenti legati alla "Materia di Bretagna", vedasi il nostro Mistero del MagorMerlino, Rimini 1997; per un'utile introduzione al suo linguaggio simbolico cfr. M. Polia, II Mistero Imperiale del Graal, 3° edizione accresciuta, Rimini 1996.10. Sul rapporto tra Wolfram e i Templari, vedasi la nostra Introduzione a Idem, Titurel, o il Guardiano del Graal, Rimini 1993 11. Sul tema, vedi introduttivamente F. Cardini, Dio lo vuole! Intervista sulla Crociata, Rimini 1994. 12. Sul tema, vedi introduttivamente M. Polia, Il Mistero Imperiale del Graal, 3° edizione accresciuta. Rimini 1996.13. M. Polia, ''''Lineamenti di spiritualità cavalleresca", ne I Quaderni di Avallon n°12. Rimini 1986, pp. 75-76 e segg.<br /></div><div align="justify"> </div><div align="justify"><em>Adolfo Morganti</em></div><div align="justify"><em>Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa</em></div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-74728334322212268432007-08-04T10:24:00.000+02:002007-08-04T10:39:10.806+02:00La Benedizione del Nuovo Cavaliere. Traduzione dal " Pontificale Romanum"<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz9dySAItspIeqQD1W0p3mNueU_ki7cRXWgKuMvRCW1MIn4MYH4TR8IrDKOSzJOL5QGcdZ-Hpj_IUXsw0ZuUZx1_n3sI4tibNRE5VPdcVwVLoxse6d4tkTS21XcB6eNgjIJVoWgmH2y91A/s1600-h/Pettie1.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5094762049506151954" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz9dySAItspIeqQD1W0p3mNueU_ki7cRXWgKuMvRCW1MIn4MYH4TR8IrDKOSzJOL5QGcdZ-Hpj_IUXsw0ZuUZx1_n3sI4tibNRE5VPdcVwVLoxse6d4tkTS21XcB6eNgjIJVoWgmH2y91A/s320/Pettie1.jpg" border="0" /></a><br /><div>Traduzione dal " Pontificale Romanum "<br /></div><br /><div>Tratto da: "SAN BERNARDO - L'ELOGIO DELLA NUOVA CAVALLERIA. Ai Cavalieri del Tempio"</div><br /><div>A cura di Mario Polia - Il Cerchio - iniziative editoriali<br /></div><br /><div align="justify"><em>II cavaliere può essere creato e benedetto in qualunque giorno, luogo ed ora; ma se deve essere creato in seno alla celebrazione della Santa Messa, il vescovo, con quell'abito col quale ha celebrato la Messa o vi è intervenuto, stando in piedi dinnanzi al centro dell'altare davanti al faldistorio, o sedendo su di esso; secondo il convenuto, finita la Messa, compie il rito. Se invece la creazione del cavaliere avviene al di fuori della Santa Messa, il vescovo celebri la cerimonia con la stola sopra il rocchetto, o se può essere regolare, sopra il copripelle. E, per prima cosa, stando in piedi con il capo scoperto, benedice, qualora prima non sia già stata benedetta, la spada che qualcuno genuflesso davanti a lui tiene sguainata, e dice</em>:<br /></div><br /><div align="justify">V. <strong>Sostegno nostro nel nome del Signore</strong>.<br /></div><br /><div align="justify">R. <strong>Che fece il cielo e la terra.<br /></strong></div><br /><div align="justify">V. <strong>O Signore, esaudisci la mia preghiera.</strong><br /></div><br /><div align="justify">R. <strong>E la mia voce giunga a te.<br /></strong></div><br /><div align="justify">V. <strong>Il Signore sia con voi.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>E con il Tuo spirito.<br /></div></strong><br /><div align="justify"><em>Preghiamo<br /><strong></strong></em></div><br /><div align="justify"><strong>Esaudisci, ti preghiamo, o Signore, le nostre preghiere, e questa spada, della quale questo Tuo servo desidera cingersi, degnati di benedire con la destra della tua maestà, affinchè egli possa essere difensore della Chiesa, delle vedove, degli orfani, e di tutti coloro che servono Dio, contro la malvagità dei pagani e degli eretici; e sia egli motivo di terrore e sbigottimento per coloro che tramano insidie contro di lui.<br />Per Cristo Nostro Signore</strong>.<br /></div><br /><div align="justify">R. <strong>Amen.<br /></strong><em></em></div><br /><div align="justify"><em>Preghiamo<br /></div></em><br /><div align="justify"><strong>Benedici, o Signore santo, Padre onnipotente, eterno Dio, per l'invocazione del santo tuo nome e per l'avvento di Gesù Cristo figlio tuo Nostro Signore, e per il dono dello Spirito Santo Paraclito, questa spada, affinchè questo tuo servo, il quale oggi per tua sì grande bontà è da essa cinto, calpesti i nemici visibile e, ottenuta in tutto la vittoria, rimanga sempre illeso. Per Cristo nostro Signore</strong>.<br /></div><br /><div align="justify">R. <strong>Amen.</strong> <em>Poi dice, rimanendo in piedi come prima</em>:<br />Salmo 143<br /></div><br /><div align="justify"><strong>Benedetto sii, Signore Dio mio, che guidi le mie mani nel combattimento: * e le mie dita in guerra.<br />Mia misericordia, e mio rifugio: * mio sostegno e mio liberatore.<br />Mio protettore, nel quale io sperai: * tu che assoggettasti a me il mio popolo. Gloria al Padre. Come era</strong>, ecc.<br /></div><br /><div align="justify">V. <strong>Salva il servo tuo, o Signore.</strong><br /></div><br /><div align="justify">R. <strong>Dio mio, spero in te.<br /></strong></div><br /><div align="justify">V. <strong>Sarai per lui, o Signore, torre di fortezza.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>Dal volto del nemico.<br /></strong></div><br /><div align="justify">V. <strong>O Signore, esaudisci la mia preghiera.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>E la mia voce giunga a te.<br /></strong></div><br /><div align="justify">V. <strong>Il Signore sia con voi.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>E con il tuo spirito.<br /></strong></div><br /><div align="justify"><em>Preghiamo<br /></em></div><br /><div align="justify"><strong>O Signore santo, Padre onnipotente, eterno Dio, che da solo ordini tutte le cose e le disponi secondo giustizia, tu che per reprimere la malvagità dei reprobi e per difendere la giustizia permettesti l'uso della spada sulla terra agli uomini secondo la tua salutare disposizione e volesti che fosse istituito l'ordine della Cavalleria per la protezione del popolo, e per mezzo del beato Giovanni facesti dire ai soldati che a lui nel deserto erano venuti di non depredare nessuno ma di esser contenti dei propri salarii ; la tua clemenza, o Signore, supplichevolmente imploriamo, così come elargisti a Davide, fanciullo tuo, la capacità di superare Golia e facesti trionfare Giuda Maccabeo sulla malvagità delle genti che non invocavano il nome tuo, così anche a questo tuo servo, il quale testé sottopone il collo al gioco della milizia, concedi con pietà celeste le forze e l'audacia per la difesa della fede e della giustizia, e aumenta la sua fede, la sua speranza e la sua carità e dagli, parimenti, il timore e l'amore nei tuoi riguardi, l'umiltà, la perseveranza, l'obbedienza, la buona pazienza e disponilo interamente verso il giusto, affinchè non danneggi ingiustamente alcuno con codesta spada o con un'altra e affinchè difenda con essa quanto vi è di giusto e di retto e come egli stesso è promosso da uno stato inferiore alla nuova dignità della milizia, così, abbandonando il vecchio uomo che era e le sue azioni, accolga lui il nuovo uomo che è divenuto: affinchè ti tema e ti onori rettamente, eviti la famigliarità con i perfidi e rivolga al prossimo la sua carità, obbedisca rettamente al suo superiore in ogni occasione ed esegua sempre il suo ufficio secondo giustizia. Per Cristo nostro Signore.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>Amen.</strong><br /></div><br /><div align="justify"><em>Allora asperge la spada con acqua benedetta. Qualora invece la spada sia già stata benedetta si deve omettere quanto detto prima.<br /></em></div><br /><div align="justify"><em>Dopo questi atti il vescovo, sedendo, presa la mitria, consegna la spada sguainata nella mano destra al nuovo cavaliere inginocchiato davanti a lui, dicendo</em>:<br /></div><br /><div align="justify"><strong>Ricevi questa spada nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e utilizzala per la difesa di te stesso e della Santa Chiesa di Dio e per scompigliare i nemici della Croce di Cristo e della fede cristiana, e per quanto l'umana fragilità permetterà, non ledere ingiustamente alcuno con essa: e si degni di assicurare ciò Colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna come Dio, per tutti i secoli dei secoli.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>Amen.<br /></strong></div><br /><div align="justify"><em>Poi la spada viene riposta nel fodero e il vescovo cinge il nuovo il cavaliere con la spada, dicendo</em>:<br /></div><br /><div align="justify"><strong>Ti cinga la tua spada sopra il femore, o fortissimo, e considera che i santi non con la spada, ma con la fede vinsero i regni.<br /></strong></div><br /><div align="justify"><em>Perciò il nuovo cavaliere cinto dalla spada si leva in piedi ed estrae quella dal fodero e fa vibrare virilmente tre volte quella sguainata e la terge sopra l'avambraccio sinistro, poi la ripone nel fodero.<br />Allora il vescovo dà al nuovo cavaliere il bacio della pace dicendo</em>:<br /></div><br /><div align="justify"><strong>La pace sia con te</strong>.<br /></div><br /><div align="justify"><em>E il vescovo prendendo di nuovo la spada sguainata nella destra percuote leggermente tre volte con quella sopra le scapole il nuovo cavaliere inginocchiato davanti a lui, dicendo nel frattempo solamente:</em><br /><strong></strong></div><br /><div align="justify"><strong>Sii cavaliere pacifico, valoroso, fedele e devoto a Dio.<br /></strong><em></em></div><br /><div align="justify"><em>Poi, riposta la spada nel fodero, il vescovo dà con la mano destra un leggero schiaffo al nuovo cavaliere dicendo</em>:<br /><strong></strong></div><br /><div align="justify"><strong>Sii destato dal sonno della malizia, e veglia nella fede di Cristo e sia lodevole la tua fama.</strong><br /><em></em></div><br /><div align="justify"><em>E i cavalieri astanti impongono gli speroni al nuovo cavaliere; e il vescovo, stando seduto con la mitria, pronuncia l'antifona:</em><br /><strong></strong></div><br /><div align="justify"><strong>Bello nell'aspetto davanti ai figli degli uomini, cingi, o fortissimo, il tuo fianco con la tua spada.</strong><br /><em></em></div><br /><div align="justify"><em>Il vescovo si leva in piedi e stando rivolto verso il nuovo cavaliere, scoperto il capo, dice:</em><br /></div><br /><div align="justify">V. <strong>Il Signore sia con voi.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>E con il tuo spirito.<br /></strong></div><br /><div align="justify"><em>Preghiamo<br /></em><strong></strong></div><br /><div align="justify"><strong>Onnipotente eterno Dio, sopra questo tuo servo che desidera essere cinto con questa insigne spada (lett. punta), infondi la grazia della tua benedizione, e fa sì che egli, fidente nella virtù della tua destra, sia armato di celesti presìdi contro tutte le cose avverse, affinchè in questo secolo non sia turbato da nessuna tempesta di guerra.<br /></strong></div><br /><div align="justify">R. <strong>Amen.</strong><br /></div><br /><div align="justify"><em>Pronunciate queste parole, il nuovo cavaliere bacia la mano del vescovo, e, deposti la spada e gli speroni, va in pace.</em></div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-76756949112612289382007-08-04T09:58:00.000+02:002007-08-04T10:18:00.591+02:00La Buona Battaglia<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3OnW5ltmrUdyggza6J1b197aKzs-97Uhb9xmeJdUSCxR0zUzkO-u0CDQuA1FqnPUts0uJeTwhJOfCuRYCjWTC4n4fpwpYV_zyDlwbeQBzsRWPwdzIrnUj_GEIwUvYa3w8dXdaJR_4-XNh/s1600-h/san_giorgio.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5094754116701556226" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3OnW5ltmrUdyggza6J1b197aKzs-97Uhb9xmeJdUSCxR0zUzkO-u0CDQuA1FqnPUts0uJeTwhJOfCuRYCjWTC4n4fpwpYV_zyDlwbeQBzsRWPwdzIrnUj_GEIwUvYa3w8dXdaJR_4-XNh/s320/san_giorgio.jpg" border="0" /></a><br /><div align="justify">di Gìanpaolo Barra<br /></div><br /><div align="justify"><em>Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de "Il Timone" ha tenuto a Radio Maria il 18 marzo 1999, durante la "Serata Sacerdotale" condotta da don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati, utilizzata per i suoi appunti dall'autore</em>.<br /></div><br /><div align="justify">Oggi tenteremo di riflettere su un aspetto della storia, sulla chiave di lettura della storia. Intendo tanto la nostra storia personale quanto la storia in generale.Possiamo prendere a prestito una nota espressione biblica, "la buona battaglia" per dire che noi cristiani siamo chiamati a condurre a buon fine la "buona battaglia", come scrive san Paolo a Timoteo.<br />Anche chi si occupa di apologetica, come ogni cristiano, è chiamato a combattere la buona battaglia, ad essere soldato. Un soldato speciale, ovviamente, un soldato di Cristo. E il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che noi lo diventiamo con il Sacramento della Cresima.<br />Oggi, chi si occupa di apologetica viene visto come un soldato. Un uomo che si adopera per difendere la verità della fede, per promuovere la cultura che ne deriva, per apprezzare e far conoscere la storia gloriosa della Chiesa, per difendere la Chiesa stessa dalle contestazioni. È comprensibile che qualcuno si domandi: che bisogno c'è di "soldati" ? Per di più di "soldati di Cnsto" ? Non è forse questa un'espressione bellicosa, un modo di parlare un po' datato, d'altri tempi ?<br />Proviamo a rispondere. Cristo ha bisogno di "cavalieri", la Chiesa ha bisogno di "militanti", il mondo ha bisogno di soldati di Cristo perchè la vita di ogni uomo, dopo il peccato originale, commesso da Adamo ed Eva, è una vita vissuta in guerra.<br />Questa verità forte, che oggi spaverità non pochi credenti, emerge in primo luogo dalla Parola di Dio. Essa ci fa comprendere di quale guerra si sta parlando. Sentiamo il libro del Genesi. Dopo aver ceduto alla tentazione del serpente, il Signore Dio si rivolge a satana con queste parole, illuminanti per il tema che stiamo trattando: "Allora il Signore Dio disse al serpente: poiché tu hai fatto questo, su tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche, sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gn 3,14-15)<br />Ecco la prima verità sul senso della storia che stiamo vivendo: a causa del peccato originale, Dio ha posto una inimicizia tra la donna e il serpente, tra la stirpe della donna e la stirpe del serpente. La Chiesa ha sempre insegnato che la donna è Maria Santissima, la Madre di Dio, ma non sbaglia chi crede che la donna sia anche la Chiesa. Ne consegue che stirpe della donna è - in primo luogo - suo Figlio, Gesù. Ma stirpe della donna, della donna-chiesa è anche l'insieme dei fedeli - dei cattolici -, quindi ciascuno di noi. Il serpente è satana e la sua stirpe è l'insieme degli angeli ribelli e degli uomini che scelgono liberamente di servirlo in odio a Dio.<br />Se diamo ascolto alla Parola di Dio, essa ci svela che noi siamo nati in mezzo ad un combattimento che, iniziato prima di Adamo ed Eva, ai tempi della rivolta degli angeli ribelli, dura fino ai nostri giorni.<br />In questa guerra è impegnata, con tutte le sue forze, che gli vengono dal suo Capo che è Cristo, la Chiesa Cattolica, quindi ciascuno di noi.<br />Ora, io so bene che questo modo di ragionare è fuori moda. Viviamo nell'epoca del buonismo, del tutti siamo fratelli, del "volemose bene" ad ogni costo e ricordare quello che ci insegna la Parola di Dio, e cioè che, dopo il peccato originale, siamo in guerra, può impressionare qualcuno. Ma le cose stanno proprio così.<br />Andiamo avanti. Questa verità cosi forte è sempre stata insegnata dalla Chiesa.<br />San Paolo scrive ai cristiani di Efeso parole che possiamo considerare rivolte a noi: "Rivestitevi dell'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne ma contro i Principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo, contro gli spinti del male che abitano le regioni celesti" (Ef 6,11-12)<br />Poniamoci una domanda: "Chi di noi può sentirsi escluso da questo invito rivoltogli dall'Apostolo delle genti a "rivestirsi dell'armatura di Dio" ?<br />Tutta la vita di san Paolo fu dedicata al combattimento per la Gloria di Dio e la salvezza delle anime. A Timoteo scrive: "Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia. Ho terminato la mia corsa, ho conservato la Fede" (2 Tm 4,6-7)<br />Poco prima, aveva scritto: 'Questo è l'avvertimento che ti do, figlio mio Timoteo - ascoltiamo questo avvertimento come rivolto a ciascuno di noi - in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perchè fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza." (1 Tm 1,18)<br />Anche San Pietro ci invita alla resistenza di fronte al maligno "Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede." (1 Pt 5,8-9)<br />È tempo di una prima conclusione. Sono sufficienti queste verità emerse dalla Parola di Dio per avvisarci del senso generale della storia e della nostra storia personale. Siamo immersi in una battaglia, in una situazione di "inimicizia" tra la donna e il serpente.<br />Sulla scorta dell'insegnamento biblico e dell'illuminante esempio dei suoi santi (ricordiamo s. Agostino, s. Ignazio di Loyola, s. Massimiliano Kolbe), la Chiesa cattolica ha sempre insegnato che ogni suo figlio e chiamato ad essere "Miles Christi", soldato di Cristo.<br />Nella Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, la Chiesa ci ricorda "Tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta incominciata fin dall'origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, nè può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio." (GS 37,2)<br />Ora, proseguiamo nella nostra riflessione. Diventa fondamentale, se non vogliamo soccombere, sapere dove si sta svolgendo questa battaglia, in quale campo si affrontano i due eserciti, quello di Dio e quello di satana. Quello della Donna e quello del serpente<br />Il terreno privilegiato di combattimento è l'anima dell'uomo, è l'uomo stesso.<br />Poiché il demonio non può nuocere a Dio, che odia, ma del Quale conosce bene la superiorità infinita, allora rivolge la propria azione distruttiva verso l'opera di Dio, la creazione e - nella creazione - verso la creatura più eccellente: l'uomo.<br />E tra il genere umano, il demonio ha un odio particolare verso la creatura più eccelsa: Maria Santissima. Ma anche nei suoi confronti non può fare nulla, quindi si rivolge, odiandoli, contro i suoi figli diletti.<br />Andiamo avanti. Se il terreno privilegiato di questo combattimento è l'anima dell'uomo, la posta in gioco in questa battaglia è la vita eterna che ci aspetta dopo la morte.<br />Se non sapremo vincere, se per colpa nostra il demonio dovesse renderci suoi schiavi, la vita eterna che ci aspetta sarà quella disperata e tragicamente dolorosa dell'inferno.<br />Al contrario, se con l'aiuto della Grazia di Dio, risultassimo vincitori, la vita eterna che ci aspetta è quella del Paradiso, della gioia eterna senza fine.<br />Le armi che usa il serpente e coloro che lo servono in schiavitù sono le armi della menzogna, dell'omicidio e della tentazione.<br />Le nostre armi sono quelle della fede, di cui parleremo più avanti.<br />Noi abbiamo visto all'opera le armi del nemico Soprattutto nel XX secolo, quando il progetto di costruire un mondo nuovo, abitato da un uomo superbamente convinto di poter fare a meno di Dio si è avvicinato alla sua realizzazione.<br />E abbiamo visto la tragedia delle guerre mondiali e delle guerre nazionali, i campi di concentramento, il totalitarismo comunista e l'arcipelago GuLAG<br />E vediamo la silenziosa carneficina di bambini innocenti uccisi con l'aborto ancora prima di vedere la luce del sole. In questi ultimi 30 anni, in 173 Paesi del nostro mondo, oltre 1.000.000.000 (un miliardo) di bambini è stato sterminato con l'aborto.<br />Vogliamo provare a leggere "teologicamente" questo fatto ? Vogliamo avere il coraggio di dire che l'aborto costituisce un sacrificio umano gradito a satana ? Vogliamo avere il coraggio di dire che satana, scimmiottando Dio, vuole i suoi sacrifici e niente gli è più gradito del sacrificio di vittime innocenti, le più innocenti, le più vicine alla innocenza di Gesù ?<br />Parlando del nemico. Pio XII scriveva agli Uomini di Azione Cattolica d'Italia parole che non hanno perso la loro attualità: "Esso [il nemico] si trova dappertutto e in mezzo a tutti, sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia, la ragione senza la fede, la libertà senza l'autorità, talvolta l'autorità senza la libertà. È un "nemico" divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo si, Chiesa no. Poi Dio si, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto, anzi non è mai stato" (12-10-1952)<br />Stando ad un altro grande pontefice, Papa Paolo VI, si direbbe che oggi il nemico sia penetrato da qualche fessura anche nella Chiesa.<br />In un celebre discorso pronunciato nel 1972, Papa Paolo VI diceva: "Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio."<br />Al suo grande amico Jean Guitton, Paolo VI rivelava: "Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia" (Jean Guitton, Paolo VI segreto, pp 152-153)<br />I risultati di quest'azione sono sotto gli occhi di tutti. In sintesi potremmo enumerarli cosi. In primo luogo confusione dottrinale, offuscamento della verità. Poi sfiducia dei Pastori. Alcuni di essi sono stanchi e sfiduciati. Quindi i fedeli, e gli uomini in generale, hanno perduto il senso del peccato. Non si ha più la consapevolezza che vi sono parole, opere, pensieri e omissioni che offendono Dio e che sono, talvolta, peccati mortali. Anzi, nemmeno si conosce la distinzione tra peccato mortale e peccato veniale. In quarto luogo si è perso lo spirito missionario, il dovere di portare il Vangelo, e non altre dottrine, in tutto il mondo, si è persa la sete di conquistare anime alla causa del Vangelo e della Chiesa.<br />I nemici di Dio operano per distruggere quello che resta del Cristianesimo e noi abbiamo deposto le armi, convinti che la guerra fosse finita.<br />Se questa è la situazione, si capisce bene - e cosi rispondiamo alla domanda con la quale abbiamo aperto la nostra riflessione apologetica - perchè Cristo, la Chiesa e il mondo hanno bisogno di soldati.<br />E c'è bisogno dell'apologetica, cioè della proposizione chiara e semplice delle verità della Fede, della cultura che ne deriva e c'è bisogno di difendere questa verità dalle contestazioni.<br />Questa è la "buona battaglia".<br />Quali sono, dunque, le armi che dobbiamo utilizzare ?<br />Ricordiamo che questa è una guerra speciale, non convenzionale. San Paolo dice che combattiamo "non contro creature fatte di sangue e di carne", ma contro "i dominatori di questo mondo, contro gli spiriti del male".<br />La preghiera è la prima arma. La frequenza ai sacramenti, alla Confessione e alla santa Comunione, perchè la Grazia di Dio fortifichi la nostra anima e la renda inaccessibile agli attacchi del Nemico. Poi, esercizio e pratica delle virtù.<br />La seconda arma è la formazione. Dobbiamo conoscere le ragioni della nostra Fede e saperle proporre al prossimo. Dobbiamo conoscere gli errori e le strategie del Nemico per poterle smascherare e denunciare.<br />Infine, la terza arma è quella dell'apostolato concreto, efficace.<br />Consapevoli che Gesù ha vinto il mondo e che le porte degli inferi non prevarranno, restiamo fedeli al Vangelo, al Papa e alla Chiesa per ottenere anche noi la vita eterna.<br /></div><div align="justify">Bibliografia:<br /></div><div align="justify">Plinio Correa De Oliveira, Rivoluzione e contro-rivoluzione. Cristianità, Piacenza 1977.<br />Sant'Agostino, La città di Dio. Rusconi, III ed., Milano 1992.<br />Hubert Jedin, La storia della Chiesa è teologia e storia. Vita e Pensiero, Milano 1968.<br />Roberto De Mattei, Il crociato del XX secolo. Plinio Correa de Oliveira. Piemme, Casale Monf.to (AL) 1996.<br />Andrea Sciffo, La cerca senza tempo. Tracce dell' Ordine cristiano. II Cerchio, Rimini 1999.</div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-77842750738462076922007-07-13T18:52:00.000+02:002007-07-13T19:09:38.207+02:00La lotta fra la Gospa e sotona. Quando il sovvertitore si traveste da Immacolata Concezione<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi65SygFold2AZFatafNeSA6vblBQIRORiWowILD6I_IX2WavSU3lRYO3KFRxMIUXyMvaR0wIezqq6w_we2uhxzZV6vDhnPqshzzu2pW1RfGhfSvDnAgJfuEUV9qReM70gZsEQipvkz7aBp/s1600-h/donna_e_drago.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5086728059451611442" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi65SygFold2AZFatafNeSA6vblBQIRORiWowILD6I_IX2WavSU3lRYO3KFRxMIUXyMvaR0wIezqq6w_we2uhxzZV6vDhnPqshzzu2pW1RfGhfSvDnAgJfuEUV9qReM70gZsEQipvkz7aBp/s320/donna_e_drago.jpg" border="0" /></a><br /><div><br />Nel nostro precedente articolo,(1) abbiamo essenzialmente tracciato un resoconto di cosa vuol dire militare con Maria in questi tempi di Sua chiamata alle “armi” in difesa della Chiesa Cattolica. Abbiamo anche visto la valenza di queste inconsuete “armi” celesti donateci per entrare in lotta contro satana. Quindi, una visione del tutto spostata verso una battaglia celeste entro una cavalleria celeste. In quest’articolo, che nasce appunto come eco del precedente, si tenterà di tracciare a grandi linee i termini di questa guerra: dove si svolge, dove avviene la sovversione. E’ utile ricordare, innanzitutto, che diabolus est simia dei: la sua manifestazione sarà quindi marcata da una parodia del piano divino senza inventare nulla di nuovo. Quest’articolo nasce, quindi, come una continuazione di quello precedente, focalizzandone alcuni punti. Infatti ci siamo chiesti dove è effettivamente palpabile la lotta e la sovversione del piano di Cristo attraverso Maria Immacolata. Siamo partiti proprio da come la Madonna viene chiamata a Medjugorje: Gospa; e da come viene chiamato satana: sotona. Nomi entrambi femminili, quasi ad indicare la costante e ravvicinata lotta che si sta consumando fra il volere di salvezza divino, in un tempo di grazia datoci con Maria, ed il sovvertitore di questo mondo. Dove e come sotona si traveste da immacolata-sovvertita proponendo le sue infami proposte all’umanità. Vi chiederete per quale motivo il principe di questo mondo si dovrebbe travestire da Madonna? E’ Mirjana di Medjugorje a raccontare: “Io ho visto il satana travestito nella veste della Madonna. Mentre aspettavo la Madonna è venuto il satana. Aveva un manto e tutto il resto come la Madonna, però dentro c'era la faccia del satana. Quando satana è venuto io mi sentivo come ammazzata. Egli distrugge e diceva: ‘Sai, ti ha raggirato; devi venire con me, ti farò felice nell'amore, nella scuola e nel lavoro. Quella ti fa soffrire.’ Allora io ripetevo: ‘No, no, non voglio, non voglio’. Sono quasi svenuta. Allora è arrivata la Madonna che disse: ‘Scusami, ma questa è la realtà che tu devi sapere’. Appena è arrivata la Madonna mi sono sentita come se fossi resuscitata, con una forza”.(2) La promessa di un futuro senza Cristo, di una situazione “migliore” senza croce e passione, una via larga e facile da seguire, senza il sudore del combattimento spirituale: ecco le infami proposte. Viene subito alla mente il Vangelo con la tentazione rivolta a Gesù: “Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro magnificenza e gli disse: ‘ Tutte queste cose io te le darò, se prostrato a terra mi adorerai’” (Mt 4, 8-9). “Satana vuole rapinare l’uomo a Dio perché ne pretende l’adorazione. Egli odia Dio, perché non accetta di essere una creatura. Vorrebbe essere Dio, ma non lo può. Da qui si genera la sua ribellione e la sua volontà di creare un suo regno in alternativa a quello divino. La sua massima aspirazione è quella di ottenere dall’uomo quel culto e quell’adorazione che una creatura deve rendere solo al suo Creatore”.(3) La seduzione di satana, principe di questo mondo, risiede nel voler creare un nuovo regno alternativo a quello divino e pretenderne il culto. L’adorazione a sotona trova terreno fertile in una struttura sociale ideale ed immacolata – crede l’uomo- che rispecchia l’aldiquà e non l’aldilà. Gesù infatti dice: “Il mio regno non è di questo mondo. Se di questo mondo fosse il mio regno, le mie guardie avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei. Ora, il mio regno non è di qui.” (Gv 18,36) Una società, quella dell’aldiquà, con la parvenza e la seduzione di rendere gli uomini in grado di governare e dirigere il Creato senza la mediazione di un pontifex, il quale ha il preciso compito, appunto, di pontificare con il potere di Cristo Gesù: lo Spirito Santo. “Gli disse allora Pilato: ‘Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?’. Rispose Gesù: ‘Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande’ ” (Gv 19, 10-11). Il regno terreno creato dall’uomo, con le sue sole forze e senza il potere e la mediazione che viene dall’Alto, è un regno slegato da una valenza sacrale. In effetti per Sant’Agostino, accanto ad una Città di Dio che sorge per l’umiltà degli uomini e nello stesso tempo ne rafforza le virtù in un’autentica esperienza di fede, si contrappone un’altra città. Gli abitanti di questa città, preferiscono sostituire alla luce della Verità, al vero Dio, i propri dèi orgogliosi e superbi. “Come abbiamo udito così abbiamo anche veduto nella città del Signore degli uomini valorosi, nella città del nostro Dio; Dio l’ha fondata per l’eternità (Sal 47,9); e in un altro Salmo: La corrente del fiume rende fertile la città di Dio, l’Altissimo ha reso santa la sua tenda, Dio è in essa, non crollerà (Sal 45,5-6). Abbiamo appreso da queste simili testimonianze che esiste una città di Dio. Sarebbe troppo lungo citarle tutte. E abbiamo desiderato esserne cittadini con quell’amore che ci ha ispirato il suo fondatore. A lui, fondatore della santa città, i cittadini della città terrena antepongono i propri dèi. Non sanno che Egli è il Dio degli dèi, non degli dèi falsi, cioè ribelli e superbi che, privati della sua luce immutevole e universale e ridotti pertanto a uno stato di degenere autorità, bramano di conseguire in qualche modo un proprio potere e chiedono onori divini a coloro che hanno sottomesso con l’inganno”.(4) Una città falsa e peccatrice, dove le virtù sono rimpiazzate dal pervertimento morale dato da una volontà umana contro la stessa natura; quella natura umana che è immagine della Trinità. Di conseguenza, una città terrena e ribelle a Dio non rispecchia l’immagine Trinitaria. “Cominciarono ad essere cattivi in segreto per incorrere in un’aperta disobbedienza. Non sarebbero giunti all’azione cattiva se non precorreva la volontà cattiva. E inizio della volontà cattiva fu senz’altro la superbia. Inizio di ogni peccato appunto è la superbia. E la superbia è il desiderio di una superiorità a rovescio. Si ha infatti la superiorità a rovescio quando, abbandonata l’’autorità cui si deve aderire, si diviene e si è in qualche modo autorità a se stessi”.(5) Fin qui ci rendiamo conto di un sovvertimento sostanziale, di una superiorità a rovescio di fronte ad azioni che non inventano nulla di nuovo, ma ne ribaltano sostanzialmente il senso. A Dio e alla Sua autorità si sostituisce l’io, che diviene autorità a sé stesso e si adora per mezzo di una schiera di dèi ribelli. Mi verrebbe quasi da dire: libero Dio in libero io, che fa eco a libera Chiesa in libero Stato!!! Gli uomini, divisi in “ uomini ribelli” e “ uomini devoti”, saranno quindi quelli superbi e quelli umili. “E’ bene avere il cuore in alto, però non a se stesso che è proprio della superbia, ma al Signore che è proprio dell’obbedienza la quale può essere soltanto degli umili (…) Dunque nella città di Dio e alla città di Dio esule nel tempo si raccomanda soprattutto l’umiltà e viene messa in grande rilievo nel suo Re che è il Cristo, ed è dottrina della Sacra Scrittura che nel suo rivale, che è il diavolo, domina il vizio contrario che è la superbia. Ne deriva la grande diversità per cui l’una e l’altra città, di cui parliamo, si differenziano, una cioè è società degli uomini devoti, l’altra dei ribelli, ognuna con gli angeli che le appartengono, in cui da una parte è superiore l’amore a Dio, dall’altra l’amore di sé”.(6) Ma è l’amore umano verso il Dio Uno e Trino a fondare le società, ed è con l’amore che l’uomo si reintegra in un corso naturale delle cose. Così è l’uomo che contribuisce in Dio alla realizzazione della pace, contrariamente all’amore di sé. “Due amori dunque diedero origine a due città, alla terrena l’amore di sé fino all’indifferenza per Iddio, alla celeste l’amore a Dio fino all’indifferenza per sé. Inoltre quella si gloria in sé questa nel Signore”.(7) Sovvertita quindi l’autorità, dalla divina all’umana, l’uomo terreno ribelle e superbo della città del diavolo diviene in qualche modo devoto alla sua nuova religione ed ai suoi nuovi idoli: “perciò divennero sciocchi e sostituirono alla gloria di Dio non soggetto a morire l’immagine dell’uomo soggetto a morire e di uccelli e di quadrupedi e di serpenti e in tali forme di idolatria furono guide e partigiani della massa. Così si asservivano nel culto alla creatura anziché al Creatore che è benedetto sempre”.(8) Società quindi, sciolta da Dio, che si gloria in sé stessa come portatrice di neo-culti per guidare le masse, in un “mondo più libero”, “più felice” e di “pace”. Insomma liberté, égalité, fraternité. “Tutte queste cose io te le darò, se prostrato a terra mi adorerai”. La città di Dio è quindi portata in terra, ed è istituita con la venuta di Cristo: la Chiesa di Roma pellegrina, che media fra le città terrene, le quali da sole non possono assicurare la pace; quella non degli uomini fondata su falsi valori, ma quella portata e garantita da Cristo (9). Questa pace, intesa ed identificata come la “tranquillità dell’ordine e assetto di cose uguali e diseguali che assegna a ciascuno il proprio posto”,(10) viene garantita da Cristo Gesù tramite la Sua Santa Chiesa ed i Suoi uomini devoti. E’ opportuno a questo punto intendere che una città terrena, quella ribelle e superba, secondo Agostino è una città in lotta con sé stessa e con gli altri, poiché si fa idolatricamente portatrice di una verità incondizionata, sua e solamente sua. Nulla vi sarà, al di fuori della superbia, che legittimerà qualsiasi azione. Queste azioni legittimate, pertanto, non verranno da Cristo tramite il Suo Santo Spirito che vive nella Santa Chiesa - ‘Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto’ -, ma tramite l’uomo; quindi con un potere che viene dal basso per mezzo di un insieme di valori e dogmi che la città terrena si è posta. Simili città terrene, quelle che prendono il volto di questo mondo dell’aldiquà, si definiranno sempre immacolate; ovvero fondate giuridicamente senza colpe originali, e perciò infallibili e senza macchie di peccato nella loro verginale missione terrena di guide e partigiani della massa. La storia moderna ne è piena di esempi, dalla Rivoluzione francese in poi. Lo Stato liberale in qualche modo incarna l’aspettativa messianica di una società perfetta: “vivere nel migliore dei mondi possibili”; partorisce l’attesa di una umanità nuova. Il culto a Garibaldi è un grandioso esempio di sacralizzazione politica, ma anche attesa messianica di un capo, creato da un sincretismo fra religione tradizionale - quella cristiana cattolica per intenderci - e religione secolare e civile - quella massonica liberale -. “Per assecondare la religiosità delle classi popolari ed evitare che il suo acceso anticlericalismo ne potesse incrinare il favore, Garibaldi è stato descritto come un uomo dotato di speciale carica e favore religioso, una sorta di santo, quando non addirittura un alter ego di Cristo (sic!). L’assimilazione raggiunge livelli parossistici. Fra Pantaleo lo paragona senza neppure ricorrere ad allusioni a Gesù: in certa iconografia popolare la identificazione è smaccata e blasfema, si basa anche sulla confusione dei tratti somatici, sulla chioma bionda e la barba. ‘I suoi tratti forti e benevoli coi capelli alla nazzarena contribuivano all’illusione; ci furono contadini che , vedendolo, credettero realmente in un’apparizione o in un secondo avvento’. Si stampano santini e icone nelle quali la sua immagine è capziosamente simile a quella di Cristo, o - in altri casi - a quella di San Pietro (ritratto affiancato a un San Paolo che somiglia in maniera inquietante a Mazzini). Ci sono addirittura stampe che lo mostrano crocifisso o ascendente al cielo, in Meridione gli vengono attribuiti poteri magici e divini”.(11) Lo stesso avvenne anche con la religione comunista che prometteva in prospettiva l’arrivo di un mondo e di una società migliore “con il fascino di una dottrina che appariva, contemporaneamente, come una scienza, come una fede, e come potenza politica che prometteva liberazione, emancipazione ed uguaglianza a tutti i popoli”.(12) “Nella maggior parte dei nuovi regimi avvenne un processo sincretico di fusione fra comunismo e religione tradizionale, soprattutto attraverso la sacralizzazione del capo, il quale incarnava in sé i principi, i valori e i comandamenti della nuova ideologia politica, mentre, nelle stesso tempo, la sua figura veniva ammantata di sacralità anche dalle credenze religiose popolari”.(13) Ed in seguito il corpo di Lenin verrà imbalsamato e venerato con le sue reliquie, come un santo “donato” per mezzo della redenzione comunista, nata dalla immacolata e verginale ideologia marxista-stalinista-leninista, portatrice in seno della buona novella salvifica-bolscevica a tutte le genti.<br />Lo stesso sistema di sincretismo fra religione tradizionale e religione secolare e civile avviene con la nascita degli Stati Uniti d’America, di matrice massonico-protestante-puritana. Nonostante che nella Costituzione degli Stati Uniti 1787 non vi sia nessun riferimento a Dio, e nel primo emendamento ad essa nel 1791 vi si garantisca la libertà a tutte le religioni - senza però riconoscere a nessuna la funzione di Chiesa dello Stato - gli Stati Uniti si considerano un popolo scelto specificatamente da Dio, il quale ha dato loro una missione salvifica a beneficio di tutta l’umanità. Bisogna capire quale “dio” invoca l’America. Assai forte è la valenza simbolica sacrale e rituale, di matrice massonico-luciferina per intendersi, espressa nel dollaro americano dalla scritta In God We Trust (Confidiamo in Dio) o, al di sopra dell’immagine della piramide con il “sacro” triangolo e l’occhio divino, dalla scritta di virgiliana memoria: Annuit Coeptis (Ha favorito la nostra impresa). Il simbolismo del dollaro è in effetti il veicolo di una fede: quella del popolo americano verso la propria nazione; una nazione che in qualche modo, al di là delle apparenze democratiche, si definisce “regale”. Continuando con le immagini presenti sulla banconota, notiamo infatti la rappresentazione di un’aquila dalle ali spiegate, che stringe con gli artigli delle frecce e un ramo d’olivo, mentre col becco dispiega un nastro che reca la scritta: E Pluribus Unum (Da molti uno). Novello Israele, il popolo americano è in una Nuova Terra Promessa, punto d’inizio per un nuovo annuncio alle genti. Dio annuncia alla nuova terra americana, immacolata e vergine, non corrotta dalla Vecchia Europa, sede - così si disse - dell’anticristica teocrazia del papato di Roma, della venuta redentrice di un Novus Ordo Seclorum. Questa terra vergine darà il suo fiat mihi. Il 4 luglio 1776 la Dichiarazione d’Indipendenza reciterà che il popolo americano assume “tra tutte le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per legge naturale e divina”, ed invoca il totale abbandono “al supremo Giudice dell’universo quanto alla rettitudine delle nostre intenzioni” con una “ ferma fiducia nella protezione della Divina Provvidenza”.(14) Quel continuo richiamare Dio sia nel dollaro, sia nell’aggiunta del 1954 alla formula di dichiarazione secondo cui gli Stati Uniti sono: One Nation Under God (nazione sottomessa a Dio: quindi una specie di omologo di un qualunque fondamentalistico stato islamico!!!), sia ancora nel giuramento alla Costituzione con la celebre frase: So help me God (Che Iddio mi aiuti), ebbene tutto ciò fa sottintendere che la religione americana è una religione civile. La visione religiosa di una nazione Americana immacolata nella sua fondazione e messianica nella sua missione salvifica per le genti, lascia intendere che chi è con l’America è con Dio, e chi non è con questo dio non è di conseguenza con l’America: dio inteso come insieme di valori sociali ed ideologici che tiene unita la comunitas fidei. Il dogma dell’immacolata concezione americana risulta quindi essere per gli stessi americani un “evento pari per importanza alla nascita di Cristo”,(15) poiché essa nazione americana ha partorito “un uomo nuovo che agisce secondo nuovi principi”,(16) prendendo le sembianze di una specie di messia collettivo. Parlare di una nazione come evento messianico, ma anche portatrice e testimone di questo evento di salvezza, è in qualche modo già parlare di attese escatologiche. Herman Melville notava che l’essenza messianica della nazione americana era già nella natura divina della sua democrazia intesa come dignità sacra. “Quella dignità democratica che si irradia senza fine su tutta la ciurma di Dio, da lui stesso, il grande e solo Dio che è centro e circonferenza di ogni democrazia: è la sua onnipresenza e la nostra eguaglianza divina”.(17) Un dio, un messia che si incarna nel popolo, si incarna nei valori civili, si incarna nella città terrena, al di sopra di qualsiasi altro. “Noi americani siamo un popolo speciale, un popolo eletto, l’Israele della nostra epoca, noi rechiamo l’arca delle libertà del mondo (…) Dio ha predestinato, e l’umanità attende grandi cose dalla nostra razza; e grandi cose noi sentiamo nella nostra anima. Il resto delle nazioni deve ora porsi sulla nostra scia. Noi siamo i pionieri del mondo, l’avanguardia, inviata attraverso un deserto inesplorato per aprire una strada nel Nuovo Mondo che ci appartiene. Nella nostra giovinezza è la nostra forza, nella nostra inesperienza è la nostra sapienza. In un periodo in cui le altre nazioni mormorano appena, la nostra voce profonda giunge lontano. Troppo a lungo siamo stati scettici su noi stessi, e abbiamo dubitato dell’avvento di un Messia politico. Ma egli è venuto in noi, se noi daremo espressione ai suoi incitamenti”. (18)Il messia americano, nato da una terra e dall’insieme di un popolo immacolato e vergine, si fa vivo e presente nelle strutture di valori che accomuna l’intera nazione: l’amor di patria, gli eroi dell’indipendenza, le feste e le ricorrenze, le istituzioni, vi si genera una vera struttura religiosa che sembra ricalcare come parodia sovversiva la religione della città di Dio. “La religione americana ha le sue ‘sacre scritture’ che sono la dichiarazione di indipendenza e la Costituzione, custodite e venerate come le tavole della Legge; ha i suoi profeti come i Padri Pellegrini; celebra i suoi eroi santificati, come George Washington, il ‘Mosè americano’ che ha liberato dalla schiavitù inglese il ‘Nuovo popolo di Israele’, cioè gli americani delle colonie, conducendolo nella Terra promessa della libertà, dell’indipendenza e della democrazia; venera i suoi martiri, come Abraham Lincoln, vittima sacrificale assassinata il Venerdì santo 1865, mentre la nazione americana era stata sottoposta al fuoco rigeneratore di una crudele guerra civile per espiare le sue colpe e riconsacrare la sua unità e la sua missione”.(19) “Lincoln entrò immediatamente nel Pantheon della religione civile americana, occupandovi un posto eletto, pari soltanto a quello di Washington: accanto al Padre della nazione, sedeva ora il Figlio che si era immolato per salvare l’unione e la democrazia”.(20) Vista in questa prospettiva religiosa, la questione si complica dopo la tragedia dell’11 settembre e le conseguenti decisioni belliche di Bush. “Di conseguenza, i suoi soldati non sono solo combattenti terreni, sono diventati missionari. Non uccidono semplicemente dei nemici, vanno a caccia di demoni. (…) La nozione del popolo eletto si è gradualmente modificata in un’idea più pericolosa. Non si tratta più degli americani come popolo scelto da Dio: l’America stessa è percepita ora come un progetto divino (…) La bandiera è diventata sacra come la Bibbia, il nome della nazione sacro come il nome di Dio, il presidente è diventato un sacerdote. Di conseguenza, chi fa obiezioni sulla politica estera di George Bush non è soltanto un critico, è un sacrilego o un anti-americano”.(21) In questo senso la nazione americana, divenuta regno di Dio in terra, è stata sottoposta ad un sacrificio rituale per mezzo di martiri.<br />Alla luce di ciò noi crediamo che siamo ad un punto cruciale e decisivo della storia, proprio perchè sul suolo americano non era mai avvenuto un attacco del genere e di questa portata e valenza. Ovverosia, trasponendo il tutto nei termini del nostro discorso, mai la terra americana immacolata e benedetta aveva dovuto subire una spada che trafiggesse il centro del suo cuore - il suolo americano stesso - e vedere flagellato e crocifisso suo figlio - il messia collettivo con il volto dei tanti poveri morti nella tragedia,(22) con il volto soprattutto dell’intera civiltà democratica con i suoi simboli, politico-economici, crocifissa per la prima volta in maniera così esplicita e diretta -. E’ in quel momento che si è compiuto e realizzato il tutto! Chi è con l’America è con il dio democratico che ha subìto il martirio nella sua terra promessa, nonché partecipa alla missione salvifica, rivolta a tutte le genti, di esportare quell’unica presenza divina che è la democrazia. Chi al contrario non percepisce ciò come suo modello di vita e di politica, e quindi non è con l’America, è tale da essere considerato un eretico, perchè rifiuta di vedere e di “adorare” in quella povera gente morta nella sciagura il “sacrificio” del dio collettivo. Naturalmente vi deve essere un atto pontificale per far discernere il bene dal male e guidare il popolo redento nella sua testimonianza democratica. Il sacrificio di milioni di vittime ha preso un volto, ed il messia collettivo con l’intero mondo democratico ha parlato per bocca di un pontifex: George W. Bush. “Noi - dice Bush - non possiamo comprendere interamente i disegni e la potenza del male. Ma è sufficiente sapere che il male, come la bontà esiste. E ha trovato nei terroristi dei servitori volontari”.(23) L’America stessa è divenuta strumento salvifico, ed una missione le è stata consegnata dal dio collettivo martirizzato in quell’11 settembre il quale ha parlato per mezzo del presidente suo pontifex. Questi ha dichiarato che la nazione americana ha “la grande opportunità in questo tempo di guerra di guidare il mondo verso valori che possono arrecare una pace duratura”.(24) E ciò non costituisce del resto una novità: “In ogni guerra, l’America aveva creduto di agire in nome di Dio e protetta da Dio, contro le forze del male, identificato con il diavolo o, nel pensiero apocalittico, con l’anticristo. La demonizzazione degli indiani, da parte dei coloni puritani, fu la giustificazione per iniziare il loro genocidio. Durante la guerra di indipendenza il male fu rappresentato dall’Inghilterra, il novello faraone che voleva tenere in schiavitù il nuovo popolo d’Israele. Poi, nei primi anni della Repubblica, il male fu identificato con le fazioni che minavano l’unità della nazione e con le cupidigie espansioniste della vecchia, reazionaria, corrotta, bellicosa e bigotta Europa del dispotismo e della teocrazia papale. Successivamente, l’insidia del male proveniente dal vecchio mondo fu vista negli immigrati cattolici ed ebrei. Durante la Guerra civile, nordisti e sudisti si demonizzarono reciprocamente (…) La potenza malefica riassunse l’aspetto del nemico esterno durante le due guerre mondiali (…) Poi, nei lunghi anni della Guerra fredda, il male fu incarnato dall’Unione Sovietica e dal comunismo (…) Alle fine del Ventesimo secolo, il male ostile alla democrazia di Dio aveva trasmigrato dalla Russia in Medio Oriente, assumendo le sembianze di Saddam Hussein (…) Poi, dall’11 settembre, il male si incarnò nei terroristi islamici e in Osama bin Laden: e fu nuovamente guerra dell’America in nome di Dio per la difesa della libertà”.(25) “Gli apocalittici della destra religiosa(26) si sono sentiti in sintonia con la politica estera del presidente Bush perché sono fautori della potenza militare americana (così come sono sostenitori, al pari di Bush, della pena di morte e della libertà del porto d’armi), considerano le Nazioni Unite uno strumento satanico per imporre un ordine mondiale antiamericano, e sostengono lo Stato d’Israele gli insediamenti territoriali ebraici nei territori palestinesi, perché secondo la profezia apocalittica, il ritorno degli ebrei in possesso della Terra Santa anticipa l’avvento del Regno di Cristo ( e la loro conversione al cristianesimo), e soprattutto credono nella missione universale della democrazia americana come nazione eletta da Dio. Per questi motivi, la teologia di guerra di Bush ha ricevuto il consenso di larga parte dei cristiani conservatori, degli evangelici tradizionalisti, dei fondamentalisti”.(27)<br />Sia assolutamente chiaro che qui non si vuole parteggiare per nessuno, se non con la Santa Romana Chiesa ed il Suo Santo Pontefice. Nostro Signore Gesù, Infinita Misericordia, non può essersi schierato con una nazione, per combattere un’altra parte di mondo che Egli dovrebbe invece aver rinnegato! Se così fosse Egli non sarebbe più un Dio che è morto per tutti! Perciò ancora una volta ci rivolgiamo al mondo cattolico affinché non cada nella trappola seducente della faziosità sentimentale, del parodistico revival delle crociate neocon e dei “profeti della televisione”.(28)<br />‘Dai frutti li riconosceremo’: e non siamo stati certo noi ad affermarlo! E dite voi se il continuo sangue che scorre in Terra Santa ed in Medio Oriente possa essere considerato un buon frutto da cogliere! Da cattolici rimaniamo fedeli alle decisioni della Santa Sede, che si oppose già con Giovanni Paolo II sia alla Guerra del Golfo, sia all’attacco contro l’Afghanistan, sia a quello contro l’Iraq. Un monsignore lo fece capire con toni assai forti: “Non vogliamo essere i cappellani della Casa Bianca”.(29) E’ un mondo che pare aver preso un’oscura strada con questo suo voler compiere la parodia di passione, morte e resurrezione di Cristo: l’unico Dio nato per mezzo di una Vera Terra Vergine. Slegata dalla città di Dio, dalla Chiesa pellegrina, l’umanità si sta sovrapponendo ad Essa sostituendola tramite la costruzione di città terrene ribelli e superbe a Dio. Continui neo-culti nascono da ideologie e filosofie che pretendono di essere portatrici in seno di una nuova buona novella da dare all’umanità. Si considerano immacolate poiché l’ombra dell’imperfezione del peccato non li sfiorò né prima né mai. Questa pseudoimmacolatezza che prende nome di relativismo, (che chiamiamo la religione del secondo me…) partorisce continue nuove religioni, nuove presenze di speranze messianiche. La religione scientista, la religione ecologista, la religione politica ed ideologica di uno Stato, la religione del martire dello Stato, la religione fondamentalista, la religione laicista, la religione della filosofia, la religione fai da te, la religione new age, la religione sportivo-domenicale, la religione di internet e dei suoi forum, la religione del cantante rock morto ed idolatrato, la religione dei consigli televisivi, la religione dei film cinematografici (tanto per citare, ricordo incidentalmente l’avvenuta nascita della religione dello jediismo, che si ispira ai cavalieri Jedi della saga di “Guerre Stellari”),(30) la religione delle mode, la religione del suicidio, la quale pare aver trovato in Giappone numerosi adepti,(31) la religione del turismo, la religione dei messaggi tramite cellulare ecc. ecc. ‘ Tutte queste cose io te le darò, se prostrato a terra mi adorerai’. Dirà la Madonna a Medjugorje: “Cari figli sono venuta a voi con le mani aperte per prendervi tutti nel mio abbraccio sotto il mio manto. Ma non posso fare questo finché il vostro cuore è pieno di luci false ed idoli falsi.” (02.08.2005) Tutto questo strano equilibrio, pieno di luci false ed idoli falsi, vincola e legittima questa nuova religione - o meglio dissoluzione - di questa nostra comunitas fidei. Infatti tutte queste false religioni vengono considerate dall’uomo come entità sacre, di natura divina, senza le quali verrebbe meno il nostro sentirsi messia collettivo; e di conseguenza fallirebbe la nostra società, che affonda le sue radici proprio nella libera e nuova re-interpretazione della realtà. Un vero e proprio totem a cui noi diamo quotidianamente il nostro bacio spirituale. ‘Vattene satana! Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto’ .(32) Vi si scorge, quindi, la sfumatura di una lotta quella fra la Donna ed il drago. La Gospa, vera Immacolata, e sotona che tenta di travestirsi e rubare il forte e decisivo ruolo svolto dall’unica e vera Immacolata in questi nostri ultimi tempi, prima della Sua vittoria. Un travestimento che sembra addirittura avvalersi, sovrapponendosi, della famosa immagine apocalittica della Donna: “Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto”(Ap 12,2). Fu Condoleezza Rice ad affermare, a riguardo della guerra tra Israele e Libano: “Il mondo sta ascoltando 'le doglie' del nuovo Medio Oriente che nasce, e non possiamo tornare indietro a quello vecchio”. E’ stato scritto da Domenico Savino: “E tuttavia non è questa espressione - ‘Nuovo Medio Oriente’, intendo - ciò che inquieta nella dichiarazione della Rice, ma il fatto che Condoleezza l'abbia accompagnata con una ‘formula’ che è in realtà un messaggio in codice: il mondo sta ascoltando le 'doglie' del 'Nuovo Medio Oriente' che nasce, e non possiamo tornare indietro a quello vecchio. L'espressione ‘doglie del nuovo Medio Oriente che nasce’ non è casuale ed è densa di significati religiosi. ‘Doglie del parto’ è espressione usata tra il resto nel Capitolo 12 dell'Apocalisse, laddove è scritto: ‘Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto’. A quest' immagine ricorre anche san Paolo, quando insegna che la creazione, proprio a causa della «schiavitù del peccato», è stata sottomessa alla caducità e, per questo, geme e soffre nelle doglie del parto, attendendo con impazienza la rivelazione dei figli di Dio, poiché soltanto su una tale strada può essere veramente liberata dalla schiavitù della corruzione, per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio (confronta Romani 8,19-22). L'Apocalisse, che nella lettura cattolica, descrive ad un tempo la venuta ed il ritorno del Cristo sulla terra e la terribile ma inutile lotta di Satana contro di Lui e la Chiesa, si ricollega all'insegnamento di Paolo che proietta la pienezza della Redenzione nella dimensione escatologica finale”.(33)<br />Proprio in Medio Oriente le doglie di Hiram (34)si fanno più violente, “le truppe ebraiche hanno osato accerchiare e bombardare Nazareth, la città dell’Annunciazione, la fonte segreta della salvezza di tutti, senza alcun rispetto per Maria, per la Vergine che è gloria di Israele, per questo Fiore dei fiori della Torah”.(35) Quell’Hiram che ha sovvertito il nome di Marih (36)(contrario del nome e contraria ad esso) travestendosi e mascherandosi; tentando di distruggere tutto ciò che conduce a Lei, vera Immacolata Concezione, e prendendo la Sua immagine per sostituirLa con quella sua parodia animalesca. “L’allora premier di Israele, Benjamin Netanyahu, per annunciare un servizio sulla ingegneria genetica e sulla possibilità di creare incroci tra persone umane e animali, aveva scelto il quadro di una donna con un bambino in braccio e alla quale, con un fotomontaggio, era stata data la testa di una mucca. Quel quadro, però, era cristiano e la figura femminile con il Figlio era la Madonna”.(37) L’immagine di una parodia. Ecco quindi la lotta fra la Gospa e sotona, quando il sovvertitore si traveste da Immacolata Concezione. I figli nati sotto Maria Immacolata saranno gli uomini devoti, i figli di Dio. I figli nati dal drago saranno gli uomini ribelli che si considereranno, come parodia, dio in terra. Un’umanità intera che si sta considerando essa stessa come messia collettivo. “Ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’ . Ma il serpente disse alla donna: ‘Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male’ ”.(38)<br />O Maria tu sola sei Immacolata e Vergine e nessun altro Ti potrà mai eguagliare e sovrapporsi alla Tua celeste immagine. Seppur nella nostra continua infedeltà alla legge di Cristo, noi umilmente Te ne preghiamo supplichevoli, nemica di ogni eresia diabolica, schiaccia la testa al serpente che insidia le nostre vite, mostrandosi come astuto sovvertitore e scimmia di Dio nel mondo. Donaci la grazia, o Vergine Immacolata, di combattere fino alla morte, se necessario, come veri Tuoi soldati, fai risorgere la cavalleria di Cristo pronta a difendere, con il Tuo Santissimo aiuto, senza mezze misure la Santa Romana Chiesa ed il Suo Santo Pontefice. Te ne preghiamo, seppur nelle nostre debolezze ed infermità. Ma sia fatta sempre la volontà di Dio e non la nostra. O Regina della Pace, prega per noi.<br /><br />Federico Intini<br />Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa<br /><br /><br /><br /><br />Note:<br /><br />[1] E’ il tempo di Maria. Chiamata alle armi per i suoi cavalieri di Cristo: <a href="http://www.identitaeuropea.org/archivio/articoli/intini_tempo.html">http://www.identitaeuropea.org/archivio/articoli/intini_tempo.html</a> <a href="http://www.katechon.net/modules/news/article.php?storyid=1972">http://www.katechon.net/modules/news/article.php?storyid=1972</a><br />2 Satana appare a Mirjana: http://medjugorje.altervista.org/doc/mirjana//satana_mirjana.html<br />3 Padre Livio Fanzaga, Il Falsario. La lotta quotidiana contro satana, Sugarco edizioni, 1999, p. 107<br />4 Sant’Agostino, De civitate Dei, 11,1<br />5 Idem, 14,13<br />6 Idem, 14, 13.1<br />7 Idem, 14,28<br />8 Ibidem<br />9 Mt 10,34; Lc 22,36; Gv 14,27;<br />10 De Civitate Dei, 19,13.1<br />11 In Gilberto Oneto, L’iperitaliano. Eroe o cialtrone? Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi, il Cerchio,2006. pp.252-253<br />12 Emilio Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, 2007 p.168<br />13 Idem, p.171<br />14 Emilio Gentile, idem, p. XV<br />15 Albanese, The Sons of the Fathers, p.107 cit. in Emilio Gentile, idem, p.34<br />16 J.H.St.J. Crèvecoeur, Letters from an American Farmer, a cura di W.B. Blake, NY, 1912, p.44 cit. in Emilio Gentile, idem, p.35<br />17 H. Melville, Moby Dick ( 1851), Milano 1966, pp.127-28 cit. in Emilio Gentile, ibidem<br />18 Id., White Racket (1850), cit. in Emilio Gentile idem p.36<br />19 Emilio Gentile, idem p. XVI<br />20 Emilio Gentile,idem, p.37<br />21 G. Monbiot, Post-9/11 America Is a Religion, 30 luglio 2003, http:// <a href="http://www.alternet.org/">http://www.alternet.org/</a> cit. in Emilio Gentile, La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore, Laterza, 2006 p. 213<br />22 Come ci informa Emilio Gentile in La democrazia di Dio p.169 veniamo a conoscenza che alcuni dalle macerie del World Trade Center raccolsero polvere e ciottoli dal suolo, mettendoli in apposite bottiglie come simboliche reliquie dei martiri della fede americana. Nasce quindi la religione dell’11 settembre.<br />23 Presidents Pays Tribute at Pentagon Memorial: Remarks by the President at the Department of Dense Service of Remembrance, 11 ottobre 2001 cit. in Emilio Gentile, La democrazia di Dio, idem p.134<br />24 The President’s State of the Union Address, 29 gennaio 2002 cit. in Emilio Gentile, ibidem<br />25 Emilio Gentile, idem, pp.135-137<br />26 Mi ritornano a questo punto ancora una volta alla mente alcune frasi della Madonna di Medjugorje, la Regina della Pace : “Quelli che fanno predizioni catastrofiche sono falsi profeti. Essi dicono: in tale anno, in tale giorno, ci sarà una catastrofe. Io ho sempre detto che il castigo verrà se il mondo non si converte. Perciò invito tutti alla conversione. Tutto dipende dalla vostra conversione.” (15 dicembre 1983) “Voi sbagliate quando guardate al futuro pensando solo alle guerre, ai castighi, al male. Se pensate sempre al male vi mettete già sulla strada per incontrarlo. Per il cristiano c'è un unico atteggiamento nei confronti del futuro: la speranza della salvezza. Il vostro compito è quello di accettare la pace divina, viverla e diffonderla. E non a parole, ma con la vita.” ( Messaggio 10 giugno 1982) Ciò non è in netto contrasto con certa politica internazionale neocon e telepredicativa, e con certe strategie della tensione fondamentalistiche?<br />27 Emilio Gentile, La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore, Laterza, 2006 p. 196<br />28 Rimando l’approfondimento di tale argomento, ovvero alle basi del pensiero della forte ed influente corrente nichilista neocon e la deriva della destra cattolica ad un articolo scritto da Luigi Copertino: http://www.identitaeuropea.org/archivio/articoli/copertino_deriva.html<br />29 http://www.quadranteuropa.it/articolo.asp?idarticolo=5327<br />30 http://www.antrocom.net/upload/sub/antrocom/030107/04-Antrocom.pdf<br />31 La chiamata al suicidio collettivo, vista come liberazione e realizzazione dell’individuo, avviene tramite internet con annunci di questo tipo: “Cerco ragazzi che vogliono morire con me in tal giorno, nel tal posto, nel tal modo” da: http://www.antrocom.net/upload/sub/antrocom/010105/07-Antrocom.pdf<br />32 Mt 4,10<br />33 <a href="http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1321%20&chiave=doglie%20messianiche">http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1321%20&chiave=doglie%20messianiche</a>. Vi si può inoltre leggere in questo articolo un importante ed efficace riassunto sul fondamentalismo evangelico protestante e sulla sua influenza nella politica della Casa Bianca assieme ai nichilisti neocon.<br />34 Hiram è il nome dell’architetto capo della costruzione del Tempio di Re Salomone. Esso è anche il nome della rivista del Grande Oriente d’Italia. Intendiamo quindi per Hiram l’intero progetto massonico di creare un nuovo umanesimo come unica via, come di recente ha voluto dire il Gran Maestro Gustavo Raffi, ma anche i “bollori” di certo fondamentalismo integralista ebraico di voler ricostruire il Tempio di Salomone sulla spianata delle moschee a Gerusalemme ripetendo l’antico rito. Ricostruire il Tempio sarebbe un autentico abominio, poiché il Cristo, oltre che ultima Vittima sacrificale morta per tutti è anche il Tempio. Ne spiega bene le modalità e l’ attualità di questo piano Maurizio Blondet in I fanatici dell’Apocalisse. Ultimo assalto a Gerusalemme, Il Cerchio, Rimini. Al piano legato al nome Hiram si contrappone il piano vittorioso di Marih. Da parte nostra con questo simbolo, il quale rimanda sempre a qualcosa più in Alto di noi, riusciamo a scorgere la battaglia fra la Donna ed il drago, il quale si traveste tentando di sovvertire il nome di Maria e gli insegnamenti della Santa Romana Chiesa. Prendiamo l’arma: il Santo Rosario.<br />35 Citazione di Louis Massignon in Vittorio Messori, Ipotesi su Maria, Ares, 2005, p.504<br />36 Marih è la forma greca del nome Maria. Traslitterandolo in italiano si pronuncia Marie.<br />37 Vittorio Messori, Ipotesi su Maria, Ares, 2005, p.505<br />38 Genesi 3,3-5 </div>Federico Intinihttp://www.blogger.com/profile/06253136791629732747noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-712801140138394792007-07-06T18:42:00.000+02:002007-07-13T18:44:21.864+02:00Difesa del Crocifisso segno della nostra Fede<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHGImbgDYxe7SAHvSvPdvv5c3gDMc5CfzI5USoig93J1M60r2uCIQ7arJMCT-c1Bp_S7_SaHMFazzjJ1dCxXXmmciCP1eydRuNC0hjWUYeOy6p00Iv1qXNt7Whv5HvAzYGwDt4hyphenhyphenCWq0zV/s1600-h/crocifisso-scuola.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5086723264427056114" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHGImbgDYxe7SAHvSvPdvv5c3gDMc5CfzI5USoig93J1M60r2uCIQ7arJMCT-c1Bp_S7_SaHMFazzjJ1dCxXXmmciCP1eydRuNC0hjWUYeOy6p00Iv1qXNt7Whv5HvAzYGwDt4hyphenhyphenCWq0zV/s320/crocifisso-scuola.jpg" border="0" /></a><br /><div><span style="font-size:78%;"></span><br />Dal giornale dei frati cappuccini: “Leonessa e il Suo Santo” ( n.252 Maggio-Giugno 2007)<br /><br />"E' importante che Dio sia presente nella vita pubblica, con segni della Croce, nelle case e negli edifici pubblici"<br /><br />S.S. Benedetto XVI – Castelgandolfo, 15 Agosto 2005<br />(Festa dell'Assunzione di Maria Santissima)<br /><br />“Ma il Figlio dell’Uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18,8). Non possiamo assolutamente rimanere indifferenti verso questa affermazione di Nostro Signore Gesù Cristo. Proviamo a riflettere e guardiamoci intorno nel frattempo. Come sta evolvendo la nostra società? Rispetta gli insegnamenti evangelici? Possiamo ritenerci soddisfatti di come stanno crescendo i nostri figli? E le famiglie sono unite? Perché così tante divisioni sembrano crescere? Quanti ancor oggi pregano quotidianamente, si confessano e partecipano alla Santa Messa? Quanti credono ancora alla viva presenza di Gesù nell’Eucaristia? Noteremo, allora, una veloce perdita della Fede nella nostra vita e, di conseguenza, un rapido sfratto di tutto ciò che è sacro e quello che lo rappresenta. Una cacciata di Dio dal mondo da parte dell’umanità, la quale, oggi, preferisce seguire la tentazione di satana che già fu rivolta al Cristo nel deserto, quando gli mostrò tutti i regni del mondo con tutte le loro ricchezze: “ Tutte queste cose io te le darò, se prostrato a terra mi adorerai” (Mt 4,9). La risposta di Gesù, verso questa subdola proposta del maligno, fu rapida ed implacabile: “ Vattene satana! Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto” (Mt 4,10). Oggi in tanti modi sta avvenendo questa rottura col divino, rinnegando il Suo culto e la Sua adorazione. Per esempio tramite l’eliminazione dei crocifissi e di ogni simbologia cristiana nei luoghi pubblici, in ossequio dello stato laico. Già Benedetto XVI ebbe chiaramente a dire, poco dopo il suo rientro dalla Turchia: “Oggi la laicità viene comunemente intesa come esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell’ambito della coscienza individuale. La laicità si esprimerebbe nella totale separazione tra lo stato e la Chiesa”. Sorgono quindi, spontaneamente, alcune considerazioni:<br />- Stato laico vuol dire un tipo di stato che interagisce con la Chiesa per il bene comune. Per dirla con il catechismo della Chiesa Cattolica:“E’ compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della società civile, dei cittadini e dei corpi intermedi”. (1)<br />- Stato laico, oggi, viene invece considerato un tipo di stato ateo ed agnostico, dove i principi morali e religiosi sono repressi e combattuti o visti come inutili superstizioni di un medioevo oscurantista. Anche qui la Chiesa ci avverte della deriva: “L’idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio. C’è l’idolatria quando l’uomo onora e riverisce una creatura al posto di Dio, si tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro ecc. (…) L’idolatria respinge l’unica Signoria di Dio; perciò è incompatibile con la comunione divina”. (2)<br />Capiamo che addirittura può trasformarsi in culto idolatrico lo stesso Stato, nel momento in cui la società respinge l’unica Signoria di Dio e preferisce adorare ciò che al Signore si sovrappone. (3) “ Vattene satana! Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto”. Con queste premesse, risulta chiara l’importanza di avere un crocifisso ed i segni della tradizione sacra nei luoghi pubblici, nonché la gravità del gesto del volerli sostituire dopo due millenni. Rimaniamo profondamente addolorati e sorpresi dalle affermazioni del Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni, a proposito della presenza del crocifisso nei luoghi pubblici: “Nel nostro pensiero bisogna fare un importante distinguo fra luogo pubblico e persone. Nel primo, oltre alla fotografia del Presidente della Repubblica, in cui tutti ci riconosciamo, non dovrebbero esserci altri elementi di connotazione. Con questo, non vogliamo intraprendere alcuna guerra al crocefisso, anche se non siamo d’accordo”.(4) Questa affermazione di pieno relativismo (5) (ahimé!!!) è stata pronunciata dopo l’incontro pubblico a Palazzo Vitelleschi, a Roma, con il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro, Luigi Danesin, della Gran Loggia d’Italia, Massoneria (6) Universale di Rito Scozzese Antico Accettato, Obbedienza di Piazza del Gesù. Sostituire l’immagine di Dio con Napolitano, perché oltre al Presidente della Repubblica “non dovrebbero esserci altri elementi di connotazione”, suona come nota stonata, soprattutto perché in questo caso chi si esprime è un rabbino Capo. Il culto a Dio viene insomma sostituito da un altro culto! Riccardo di Segni conferma il suo pensiero in un articolo intitolato: “ Sul crocifisso nelle scuole”. Egli dice: “La domanda che allora si pone a quella parte del mondo cattolico che si batte tanto per il crocifisso è se siano tornati, o non siano mai finiti, i tempi in cui la religione cattolica ha pensato di imporsi e diffondersi non con la testimonianza e la pratica esemplare delle sue virtù, ma con l´invasione, la forza, l´occupazione. Il problema che ci preoccupa è quale modello di religione sia dietro alle richieste dei difensori del crocifisso (…) come cittadini partecipiamo al dibattito civile per definire i limiti e i diritti di ogni religione nella società laica; come fratelli, rivolgiamo ai fratelli cattolici una domanda preoccupata sulla loro identità, sul loro modo di vivere e proporre la loro fede al mondo circostante”.(7) Risulta chiaro che oggi lasciare il crocifisso in un luogo pubblico, in un’Italia che ha 2000 anni di storia cristiana, non viene inteso come simbolo religioso e di fede (8) portatore di pace, di speranza, di carità, di rispetto per tutte le religioni, per tutte le tradizioni dei popoli, per tutte le razze, di reale vittoria sulle potenze infere ed oscure che s’annidano prima dentro di noi e poi nella società; ma viene percepito come se:<br />a) La religione cattolica ha pensato di imporsi e diffondersi non con la testimonianza e la pratica esemplare delle sue virtù, ma con l´invasione, la forza, l´occupazione.<br />Risulta pertanto strano per il mondo laicista che un cattolico, il quale ha fede in Gesù, voglia che il suo Signore rimanga nel luogo dove è stato visto da tante generazioni passate. La difesa della croce sembra essere oggi un nuovo modello religioso, una nuova identità del credente; e ciò preoccupa il mondo laicista ed ateo, o anche solamente non cattolico:<br />b) Il problema che ci preoccupa è quale modello di religione sia dietro alle richieste dei difensori del crocifisso (…) come fratelli, rivolgiamo ai fratelli cattolici una domanda preoccupata sulla loro identità, sul loro modo di vivere e proporre la loro fede al mondo circostante.<br />In ultimo la soluzione pertanto sembra essere quella di limitare le manifestazioni spontanee della fede, ed in tempi di dichiarata “democrazia” e di “libertà” sembra strano che simili repressioni possano avvenire ed anche concesse:<br />c) come cittadini partecipiamo al dibattito civile per definire i limiti e i diritti di ogni religione nella società laica.<br />Riccardo di Segni non è il solo! Oltre a tanti personaggi del mondo politico c’è stato pure quello “pseudo-musulmano” occidentalizzato di Adel Smith – dal cognome infatti “islamissimo” - che ha definito Gesù crocifisso: “cadavere in miniatura”. L’immagine del Redentore doveva essere tolta dalle pareti, poiché turbava l'animo sensibile dei bambini; dimenticando che, nel Corano, alla sura dei profeti (XXI,91), vi è scritto:“Ricordati pure di Maria, la quale preservò la sua verginità, e noi alitammo in essa del nostro spirito, e facemmo, di essa e di Suo Figlio, un segno della potenza di Dio, per le creature”. Si delinea così, il nuovo pensiero del nuovo ordine mondiale dell’uomo moderno , che non è altro che la vecchia tentazione del vecchio sovvertimento universale del serpente antico. Vengono in mente le celebri parole di Pio XII, pronunziate alla Gioventù Italiana dell’Azione Cattolica il 19 Marzo 1958:“ Mille errori moderni sono stati puniti dal loro fallimento; voi avete visto l’orgoglio di talune grandezze oscurarsi nel nulla, l’opulenza di talune fortune scomparire all’improvviso, l’abiezione della lussuria spesso mescolarsi a fiumi di lacrime e di sangue che hanno attraversato il mondo nei tempi passati. Altri errori dovranno scomparire, altre sedi elevate dovranno cadere; altre ambizioni sfrenate crollare in pezzi. E la rovina sarà tanto più vertiginosa, quanto più sarà stata grande l’audacia di rivaleggiare con Dio”. Non ci resta solo (ed è tanto!!!) che rimanere ancorati alla nostra tradizione, a Cristo Gesù ed a Maria, alla Santa Messa, alla Adorazione Eucaristica, alla lettura della Sacra Scrittura, all’acqua benedetta, agli oggetti benedetti presenti nelle nostre case o portati addosso, ed alla recita del Santo Rosario nelle nostre famiglie; senza mai dimenticarci che: “Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” (Mc. 8,38). Concludendo: noi crediamo, per grazia del Cielo, che Gesù fu veramente Dio fattosi uomo, che veramente ha amato ed ama tutti quanti, tutti i popoli, tutte le razze, tutti i suoi nemici, tutti i suoi persecutori; e noi cattolici siamo chiamati a seguire il Suo insegnamento e non a relativizzarlo. Umanamente non potremmo mai del tutto capire la Sua Immensa Misericordia. Aiutano e “turbano” alquanto l’animo queste parole che riferì lo stesso Gesù a Suor Faustina Kowalska, poi divenuta Santa: “Anche se l’anima fosse come un cadavere in piena putrefazione, se umanamente non ci fosse più rimedio, non è così davanti a Dio. Le fiamme della misericordia mi consumano, desidero effonderla sulle anime degli uomini. Io sono tutto amore e misericordia. Un’anima che ha fiducia in Me è felice, perché Io stesso mi prendo cura di lei. Nessun peccatore, fosse pure un abisso di abiezione, mai esaurirà la mia misericordia, poiché più vi si attinge più aumenta. (…) Quando un’anima esalta la mia bontà, satana trema davanti ad essa e fugge fin nel profondo dell’inferno. Il mio cuore soffre perché anche le anime consacrate ignorano la mia Misericordia e mi trattano con diffidenza. Quanto mi feriscono! Se non credete alle Mie parole, credete almeno alle Mie piaghe!”.<br /><br />Federico Intini<br />Associazione Studi Cavallereschi S. Giuseppe da Leonessa<br /><br />1 Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1910.<br />2 Idem, n. 2113.<br />3 Per esempio con leggi quali l’aborto, il divorzio, i matrimoni “misti” o la cancellazione dell’ora di religione cattolica dalle scuole ecc. ecc. Questo vale anche per le altre grandi tradizioni religiose non cristiane, in crisi anch’esse! Lo scardinamento odierno, ad opera del mistero d’iniquità , il nemico infernale di tutta l’umanità, volge a distruggere le tradizioni dei popoli sostituendosi ad esse in parodie della legge divina e con pseudo neo-culti.<br />4 Fonte sito “Messaggero”: <<a href="http://www.ilmessaggero.it/view.php?data=20061027&ediz=01_NAZIONALE&amp;amp;amp;npag=16&file=G.xml&type=STANDARD">http://www.ilmessaggero.it/view.php?data=20061027&ediz=01_NAZIONALE&amp;amp;amp;npag=16&file=G.xml&type=STANDARD</a>><br />Fonte “Uarr” ultimissime:<br /><http:><br />5 Per relativismo s’intende ogni concezione filosofica che considera la realtà non conoscibile in sé stessa. La realtà delle cose viene quindi appresa in relazione alle particolari condizioni in cui i fenomeni vengono osservati. Perciò non ammette verità assolute nel campo della conoscenza o principi immutabili in sede morale. Con questa concezione si smentisce la Viva realtà di Cristo, la Sua Assoluta Verità, divenendo alquanto superfluo seguire la Sua Via ed i Suoi insegnamenti. In questo modo l’azione ed il pensiero umano, slegati da Dio, divengono anarchici, tutto può essere lecito, nulla è Assoluto poiché vengono dettati dall’Io istintivo e dalle passioni sfrenate. Accondiscendendo a questa tentazione luciferina, si può arrivare a dire che togliere il crocifisso in nome della libertà laica è giusto in sé stesso, quanto è giusto che lo stesso rimanga per chi ha fede. Ma chi ha ragione? Nulla è assoluto, tutto diviene relativo. Notiamo per altro che anche le prese di posizione quali il limitare e definire i diritti di ogni religione nella sfera pubblica, si trasformano anch’esse in una assolutizzazione, compiuta da una assoluta laicista relativizzazione. L’assoluto divino si trasforma in una sua parodia, quale è un paradossale assoluto relativo luciferino!! Per dirla con Benedetto XVI: “la dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura soltanto il proprio io e le sue voglie”. Già: l’io non Dio!!!<br />6 La massoneria è una setta, la cui filosofia è ritenuta inconciliabile già da tempo dalla Chiesa cattolica con la propria fede ed i propri dogmi:<br />I. <a href="http://www.alleanzacattolica.org/temi/massoneria/clementexii.htm">Lettera apostolica In eminenti apostolatus specula di Papa Clemente XII (1738)</a>II. <a href="http://www.alleanzacattolica.org/indici/mag_pontificio/20041884.htm">Enciclica Humanum genus di Papa Leone XIII (1884)</a>III. <a href="http://www.alleanzacattolica.org/temi/massoneria/massoneria_appendice_iii.htm">Dichiarazione sulla massoneria della Congregazione per la Dottrina della Fede (1983)</a>IV. <a href="http://www.alleanzacattolica.org/temi/massoneria/massoneria_appendice_iv.htm">Inconciliabilità fra fede cristiana e massoneria. Riflessioni a un anno dalla Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede (1985)</a><br />Risultano pertanto strani questi incontri, ed ambigue queste affermazioni da parte del Gran Maestro Luigi Danesin al Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni: " (…) il giorno di questo incontro ci consente di esprimerci reciprocamente e di ascoltarsi reciprocamente, nell'intento di contribuire all'impegno etico e civile che le accomuna, promuovendo il dialogo e la comprensione fra comunità, quella massonica liberale e quella ebraica, in parte largamente affini per cultura esoterica e tradizioni spirituale ed iniziatica". Riccardo di Segni ha risposto: "Sono molto grato per questa occasione d'incontro e di scambio, questa è la mia prima visita qui. Sono vari i piani di confronto, quello ideologico, quello storico, quello rituale ed infine quello spirituale". Fonte: “ Il Tempo” 27/10/2006 “Comunità Ebraica e Gran Loggia d’Italia” di Ester Mieli o sito internet:<br />7 Dal sito “Morashà.it La porta dell’ebraismo italiano in rete”:<br /><http:><br />8 Addirittura oggi il significato religioso della Croce, grazie ad una recente sentenza del Consiglio di stato e della spintarella del Presidente della Repubblica, si dissolve divenendo “ simbolo dei valori civili”, dello Stato laicista, ovvero neo-culto della “ religione civile” degli “atei devoti”. Si sovverte il culto del Dio delle Scritture con l’Io umanistico occidentale. “ Vattene satana! Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto”.</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-10214122191284164782007-07-06T18:07:00.000+02:002007-07-13T17:56:04.156+02:00E' il tempo di Maria. Chiamata alle armi per i Suoi cavalieri di Cristo.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlAS-my8OZBNCmepnmkIALn5TYW0A2fmYfptRotOychhrW-QNC1uqjTQzqLLpI2V4zLAESbTUCb2pFKJ1N4Ac0QdNHPykGl5dozMWl5L5EaMtln8dBR3o8ncSItvbXbzkuPKCCOJAyB3_z/s1600-h/Domina_nostra_Regina_Militiae.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5086710783252093922" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlAS-my8OZBNCmepnmkIALn5TYW0A2fmYfptRotOychhrW-QNC1uqjTQzqLLpI2V4zLAESbTUCb2pFKJ1N4Ac0QdNHPykGl5dozMWl5L5EaMtln8dBR3o8ncSItvbXbzkuPKCCOJAyB3_z/s320/Domina_nostra_Regina_Militiae.jpg" border="0" /></a><br /><div><span style="font-size:78%;"><br /></span><span style="font-size:100%;">Gesù dunque, vista la madre e presso di lei il discepolo che amava, disse alla madre: “ Donna, ecco tuo figlio!”. Quindi disse al discepolo: “ Ecco tua madre!” ( Gv. 19, 26-27)<br />Come possiamo permetterci di dimenticare questo? Non scenderò a delineare o percorrere le varie critiche da secoli mosse ai devoti di Maria, ma spero che Dio possa concedermi la grazia di forgiare un’immagine di ciò che stiamo “tutti” vivendo in questi tempi di guerra. Già: tempi di guerra! Poiché l’intero mondo sembra assopito in un vortice di confusione e violenza “ maligna”. Ed è una guerra che si sta consumando non solo con quei conflitti armati o con quelle strategie della tensione di matrice “fondamentalistico-yankee-massonica” - non neghiamone l’evidenza - che artatamente creano mostri apocalittici e nuove guerre di terrore; ma anche e soprattutto con una divisione dirompente nella società, la quale si presenta con una tale violenza ed un tale odio da farci percepire che tale situazione non la possiamo risolvere con le nostre “ sole” forze, “umanamente”. Non è guerra quell’odio che oggi si respira nelle famiglie? Non sono guerre i litigi che sempre più facilmente assumono una connotazione “maligna”? Non è guerra il pantano in cui è caduta la politica? Non è guerra - ed un cattolico oggi sa bene cosa ciò vuol dire - cercare oggi più che mai di rimanere costantemente vigile e attento alle miriadi di tentazioni, ai compromessi che sembrano costantemente mettere in gioco la sua fede, vivendo in un continuo stato di difesa ed arroccamento, quasi fosse un “oscuro e notturno” bombardamento di umiliazioni? “Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo né della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri. Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte. Noi invece che siamo del giorno, dobbiamo essere sobri e rivestiti con la corazza della Fede e della Carità e avendo come elmo la speranza della salvezza.” (1Ts 5, 4-8) Già, la speranza non deve mai venir meno! Ma qualcuno, o qualcosa, intanto ci ha dichiarato guerra!!! Facciamo un breve discernimento su cosa è già manifesto, su cosa si appresta a manifestarsi, e su come eventualmente rispondere. Intanto rispondiamo con un nome: Maria.</span><a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn1" name="_ednref1">[1]</a> Sarebbe interessante ed edificante ripercorrere ora tutta la storia delle moderne apparizioni mariane, ma sono lavori già affrontati in vari libri; qui ritengo opportuno invece arrivare all’essenza dell’intera questione, capire dove ora è sincronizzato il Tempo di Maria ed il compito di Lei negli ultimi tempi. “Ma quale sarà il ruolo di Maria in quell’occasione? I Santi – particolarmente il Montfort – ritengono che la Vergine avrà un ruolo importantissimo e palese. Il libero ‘sì’ di Maria, per volere divino, precedette l’Incarnazione del Verbo. Maria, alla prima venuta di Cristo, fu madre e collaboratrice del Redentore, ma in modo assai discreto. Per la seconda venuta del Signore, che sarà un ritorno glorioso, il ruolo di Maria sarà invece aperto: sarà lei a preparare ‘gli apostoli degli ultimi tempi’, come ama esprimersi il Montfort, e a condurre la lotta contro il ‘drago rosso’ dell’Apocalisse”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn2" name="_ednref2">[2]</a> Ebbene, Padre Ildebrando Santangelo fa notare: “ Le grandi apparizioni sono tre: Lourdes, Fatima, Medjugorje.”<a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn3" name="_ednref3">[3]</a> Tali apparizioni sono grandi sia perché in ognuno di tali luoghi la Madonna è apparsa molte volte, sia perché Dio le ha accreditate con molti miracoli, sia per la grandezza dello scopo per cui Dio le ha volute, sia, infine, per il loro simbolismo. Qui specifichiamo le ultime due cose:<br /><br />a) Le apparizioni di Lourdes avvennero contro l’Illuminismo, l’Idealismo e il Razionalismo, che allora era all’apogeo e dominavano tutta la cultura europea. Il Signore con esse volle far vedere come ci sono delle verità e delle realtà al di sopra della ragione e come la scienza, constatando i miracoli che lui, a conferma della apparizioni, opera e ne dà la prova. Le apparizioni di Fatima avvennero principalmente contro la massoneria, che dominava tutti i gangli della società, e per preavviso al più grande flagello che stava per abbattersi sull’umanità, il comunismo. Le apparizioni di Medjugorje avvengono contro l’ateismo che ormai domina tutto il mondo, tanto in quello comunista quanto in quello capitalista.<br /><br />b) Le apparizioni di Lourdes avvengono di mattina, a principio dell’era di satana e dell’era di Maria; quelle di Fatima avvengono a mezzogiorno, quando con la rivoluzione comunista di ottobre 1917 comincia il trionfo di satana e la lotta più violenta, più intelligente e più perversa della storia contro tutto ciò che si chiama Dio, come già aveva profetizzato S. Paolo (2 Ts 2,4); ma, contemporaneamente, esse fanno esplodere nel popolo cristiano la devozione a Maria; quelle di Medjugorje avvengono verso il tramonto, ossia verso la fine del regno di satana e dell’era di Maria, e, quindi, verso la conclusione della storia e vicino alla Parousia. Accanto a queste grandi apparizioni vi sono molte apparizioni minori che fanno vedere la presenza costante della Madonna vicino ai suoi figli per cercare di salvarli…” <a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn4" name="_ednref4">[4]</a> A questo punto partendo da questi utili presupposti, non possiamo rimanere d’ora in poi indifferenti verso quelle apparizioni che si protraggono con grande misericordia e grazia verso il tramonto, e prima della notte dell’umanità, tendendoci ancora una volta la mano divina. Parlo di Medjugorje! Accostarsi a questo fenomeno, vuol dire innanzitutto spogliarsi e lasciar cadere la nostra corazza arrugginita con i nostri idoli, lasciando manifestare quello che è nascosto,“ fra i monti”<a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn5" name="_ednref5">[5]</a> innalzati dal nostro ego. Proprio su questi monti, dove un giorno vi sarà il segno grandioso e bellissimo promesso da Maria ad indicare che l’ora di satana sta per finire. Sarà il crollo degli idoli innalzati dall’uomo sulle vette della superbia. Non bisogna però confondere Medjugorje, come una credenza millenarista, catastrofica e settaria di un certo cattolicesimo, assimilabile alla deriva neocon americana e dei suoi “profeti della televisione”. Consapevoli anche di un certo cattolicesimo, assai incline a dare il fianco a simili visioni incoerenti della fede (ma chi è senza peccato scagli la prima pietra) sappiamo bene che i parametri da seguire sono quelli già detti dalla Madonna, la Regina della Pace: “Quelli che fanno predizioni catastrofiche sono falsi profeti. Essi dicono: in tale anno, in tale giorno, ci sarà una catastrofe. Io ho sempre detto che il castigo verrà se il mondo non si converte. Perciò invito tutti alla conversione. Tutto dipende dalla vostra conversione.” (15 dicembre 1983) Ma quale deve essere il nostro atteggiamento a riguardo? “Voi sbagliate quando guardate al futuro pensando solo alle guerre, ai castighi, al male. Se pensate sempre al male vi mettete già sulla strada per incontrarlo. Per il cristiano c'è un unico atteggiamento nei confronti del futuro: la speranza della salvezza. Il vostro compito è quello di accettare la pace divina, viverla e diffonderla. E non a parole, ma con la vita.” ( Messaggio 10 giugno 1982) Tornando a quanto detto più sopra, chi o che cosa ha dichiarato guerra? E come questa guerra si sta manifestando, in tutte le sue forme? Siamo certi che noi almeno cattolici ne siamo consapevoli? Nel messaggio che la Madonna a Medjugorje ci ha lasciato il 14 aprile 1982 viene chiarita una questione, viene fatta luce e discernimento su ciò che stiamo vivendo tutt’oggi: “Dovete sapere che satana esiste. Egli un giorno si è presentato davanti al trono di Dio e ha chiesto il permesso di tentare la Chiesa per un certo periodo con l'intenzione di distruggerla. Dio ha permesso a satana di mettere la Chiesa alla prova per un secolo ma ha aggiunto: Non la distruggerai! Questo secolo in cui vivete è sotto il potere di satana ma, quando saranno realizzati i segreti che vi sono stati affidati, il suo potere verrà distrutto. Già ora egli comincia a perdere il suo potere e perciò è diventato ancora più aggressivo: distrugge i matrimoni, solleva discordie anche tra le anime consacrate, causa ossessioni, provoca omicidi. Proteggetevi dunque con il digiuno e la preghiera, soprattutto con la preghiera comunitaria. Portate addosso oggetti benedetti e poneteli anche nelle vostre case. E riprendete l'uso dell'acqua benedetta!”<br />Notiamo alcune cose fondamentali:<br />a) La Chiesa è immersa in una forte prova.<br />b) La Chiesa non sarà distrutta.<br />c) Il potere di satana sta per essere infranto, perciò manifesta ogni genere di violenza.<br />d) Importanza della preghiera.<br />Di conseguenza noi cattolici abbiamo un impegno importante: fedeltà alla Chiesa Cattolica e speranza in Essa in completa obbedienza; obbedienza che non può essere svenduta con facili compromessi e chiacchiere, pseudo-intellettuali e puerili, condite con costanti e scontati criticismi. A cosa giovano? E’ tempo di muoversi, non di raccontarsi tante belle storie e poltrire nei nostri idoli mentali!!! Nostro compito è la difesa della Chiesa, non il nostro contributo all’anticristo tramite il nostro immobilismo. Di certo oggi la battaglia è prettamente culturale, ed ogni cattolico che abbia possibilità e carisma è chiamato ad informarsi per informare gli altri. Pronto a smentire le subdole diffamazioni, tutte tese a minare le fondamenta stessa della nostra fede. Non possiamo non notare come, giorno dopo giorno, insorgano continui e sempre più violenti attacchi alla Chiesa. Ad esempio, tramite libri come quello di Dan Brown<a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn6" name="_ednref6">[6]</a>, che ha dato vita a veri e propri eserciti, tutti intenti a screditare la divinità di Gesù; o anche tramite pseudo-documentari, tesi in realtà a screditare la figura del Santo Pontefice, su una fantomatica Chiesa ricolma d’omertà in puro stile mafioso, la quale coprirebbe atti osceni di pedofilia (questo grazie alla “potente” intercessione di “San Toro”, al quale già si vedono spuntare le sue dovute corna bovine); o ancora tramite politici fintamente cattolici e difensori della famiglia, quando in realtà dai frutti che di loro cogliamo ci accorgiamo del loro marciume; o ancora tramite programmi televisivi, del cui messaggio costantemente distruttivo dovremmo oramai renderci conto, smettendo pertanto di introdurre la loro perversa droga celebrale nelle nostre case. Oramai molti giovani hanno sostituito Maria Mater Boni Consilii, con Maria de Filippi, con i suoi consigli “ iniziatici”, e la sua trasmissione “ ritualizzata” come guida di un’intera generazione allo sbando. Ma come andare serenamente incontro a tutta questa dissoluzione anticristica, vincendo? Ce lo dice Maria Santissima l’8 agosto 1985: “Cari figli, oggi vi invito ad entrare in lotta contro satana per mezzo della preghiera, particolarmente in questo periodo (Novena dell'Assunta). Adesso satana vuole agire di più, dato che voi siete a conoscenza della sua attività. Cari figli, rivestitevi dell'armatura contro satana e vincetelo con il Rosario in mano. Grazie per aver risposto alla mia chiamata!” Rivestirsi dell’armatura rimanda ad un’immagine tipicamente militare, di chiamata alle armi, e non di un immobilismo buonista e tiepido. Ma quale armatura? Il 18 luglio 1985: “ Cari figli, oggi vi invito a collocare nelle vostre case numerosi oggetti sacri, e ogni persona porti addosso qualche oggetto benedetto. Benedite tutti gli oggetti; così satana vi tenterà di meno, perché avrete la necessaria armatura contro satana. Grazie per aver risposto alla mia chiamata! ” E quali armi? “…Cari giovani, satana è forte e farà di tutto per disturbarvi ostacolandovi in tutte le vostre iniziative. Aumentate quindi le vostre preghiere perché ne avete particolarmente bisogno in questi ultimi tempi. La migliore arma da impiegare contro satana è il rosario.” (1.8.1990) Ma cosa può fare il Rosario di così importante? "Con il Rosario potete vincere tutti gli ostacoli che satana in questo momento vuole procurare alla Chiesa Cattolica" (25.8.1985). Teniamo bene presente quanto già ci dice S. Paolo: “ Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestitevi della corazza della giustizia e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio.” (Ef. 6, 11-17) Una vera immagine di investitura entro una cavalleria celeste.<br />Ma a proposito di scudi! E’ assai noto il fatto che la Medaglia Miracolosa affidata dalla Vergine a suor Caterina, a Rue de Bac in quel lontano 1830, sembri un piccolo scudo.“Questa medaglia non è un semplice minioggetto materiale: è un segno, cioè qualcosa che rimanda al di là di se stesso…figura di protezione divina: la medaglia può essere vista, nella sua forma ovale voluta dalla Madonna stessa, come una riduzione a proporzioni minime dello scudo di difesa usato dai soldati ”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn7" name="_ednref7">[7]</a> Questo scudo, dato in dono da Maria ai Suoi soldati, in effetti allude a ciò che è in atto tuttora, e che sembra incominciare il suo sviluppo proprio nel 1830.<a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn8" name="_ednref8">[8]</a> L’immagine della Vergine Maria con le dodici stelle, quest’ultime riportate sul retro della medaglietta, mentre schiaccia definitivamente il serpente e le sue seduzioni. Non possiamo non vedervi un rimando apocalittico:<br />“Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste dieci diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra”. (Ap.12,1-3) Non dobbiamo scandalizzarci di questo: la vicenda storica della Chiesa è accompagnata da “ segni” che sono sotto gli occhi di tutti, ma che chiedono di essere interpretati. Tra questi l’Apocalisse pone il “ segno grandioso” apparso nel cielo, che parla di lotta tra la Donna e il drago”. <a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn9" name="_ednref9">[9]</a> Oltre all’immagine di Maria che sferra il colpo decisivo a satana vi è da prendere “seriamente” in considerazione l’iscrizione incisa; più precisamente la preghiera che deve accompagnare questi soldati di Maria: “ O Marie, conçue sans péché, priez pour nous qui avons recours à vous ” (“Oh Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”). Preghiera assolutamente rivoluzionaria nel 1830, poiché come ben si sa il dogma dell’Immacolata Concezione avverrà con Pio IX nel 1854 e sarà riconfermata dalla Vergine stessa a Lourdes nel 1858: “ Que soy era immacolada councepciou ” ( “ Io sono l’Immacolata Concezione” ) . A questo punto notiamo bene come la Madonna abbia confermato a Lourdes quanto già detto a Rue de Bac. Riguardo ancora allo scudo mariano c’è da dire ancora una cosa. Sul rovescio della Medaglia fu riportato, oltre alle dodici stelle che contornano una M ed una croce anche due cuori. Il Cuore di Gesù ed il Cuore di Maria. Questo non può che portarci a sua volta direttamente a Fatima, a mio parere, con la richiesta di stabilire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato, per la salvezza di molte anime e per la pace nel mondo. Questo con una solenne e pubblica consacrazione della Russia al Suo Cuore.“ Il mio Cuore Immacolato sarà il vostro rifugio nella via che vi porterà a Dio” ha detto Nostra Signora. In questo contesto e piano di attacco della Vergine Immacolata contro satana, nonché come realizzazione di quanto detto a Fatima, s’inserisce l’intera vicenda Medjugorje. Dirà la Madonna il 25 agosto del 1991: “Cari figli, anche oggi vi invito alla preghiera, adesso come mai prima, quando il mio piano ha cominciato a realizzarsi. Satana è forte e desidera bloccare i progetti della pace e della gioia e farvi pensare che mio Figlio non sia forte nelle sue decisioni. Perciò vi invito, cari figli, a pregare e digiunare ancora più fortemente. Vi invito alla rinuncia durante nove giorni, affinché con il vostro aiuto sia realizzato tutto quello che voglio realizzare attraverso i segreti che ho iniziato a Fatima. Vi invito, cari figli, a comprendere l'importanza della mia venuta e la serietà della situazione. Desidero salvare tutte le anime e presentarle a Dio. Perciò preghiamo affinché tutto quello che ho cominciato sia realizzato completamente.” Ma credo sia interessante notare, come la Madonna a Medjugorje si presenti come Regina della Pace. Ora la parola “pace”, non ci deve assolutamente far pensare alla teosofica, sovversiva e dissolutiva bandierina pacifista, né ad un pietismo fragile, sentimentale e tiepido. Questa parola invece racchiude in sé una valenza più che profonda e regale. Deriva dal latino Pàx, che a sua volta riprende la radice sscr. Paç- = Pak-, Pag-, “legare, unire, saldare”, pâç-a-yâmi: “lego”; ma anche paç-as: “corda”. Il latino continua con paciscor: “concordare”, ma anche “impegnarsi, sacrificarsi”, ed il greco peg-nyo: “conficco, collego” o pàg-ios: “saldo, fermo”. Il senso che ne viene è di “legare, saldare con fermezza ciò che è sciolto”. Questa è la Pace! La Pace di Maria ha la funzione di katéchon. Ma cosa “legare e trattenere”? Dirà la Regina della Pace il 1 gennaio 2001: “Cari figli! Io vi ho voluti qui questa sera in modo speciale. In modo speciale ora che satana è libero dalle catene, io vi invito a consacrarvi al mio Cuore e al Cuore di mio Figlio. In modo speciale ora, cari figli miei, io vi invito ad essermi vicino. Io vi benedico tutti con la mia benedizione materna. Andate in pace, cari figli miei.” Ne risulta che per combattere nelle fila dell’esercito di Maria Immacolata poiché come ci ha detto “Io, attraverso di voi, trionferò”<br />(2.6.2007), bisogna proteggersi dietro lo scudo del Suo Cuore e di quello di Gesù, con l’arma del Santo Rosario. Essere katéchon di Maria significa non lasciare che anche in noi vincano, manifestandosi, quelle forze dissolutive e oscure “Cari figli, non permettete che satana si impadronisca dei vostri cuori, sì da diventare sua immagine anziché mia. ” (30.01.1986) Nostro compito, tuttavia, è la denuncia dell’anticristo ovunque egli si manifesti nei luoghi dove è stato sciolto: “ affinché satana non approfitti di noi con inganno; non ignoriamo infatti i suoi disegni ”<br />(2 Cor. 2,11) Questo denunciare l’anticristo è già in qualche modo katéchon, come nota Maurizio Blondet che: “il primo atto di un esorcismo efficace consiste nel dare al demone specifico il suo vero nome. Oggi, ‘informare’ contro la menzogna totale - altro segno anticristico inequivocabile - è già ‘nominare’ l'innominabile, è la prima igiene”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn10" name="_ednref10">[10]</a> La nostra battaglia non deve assolutamente indulgere nel guardare il male e soffermarvisi troppo, fino ad assorbirlo ed inconsapevolmente farlo proprio: “ se rivolgi la tua mente all’avversario, questa sarà catturata da lui, e se la rivolgi dentro il tuo corpo sarà catturata da te stesso (…) Se rivolgi la tua mente alla spada che ti colpisce la mente sarà catturata dalla spada” (Takuan). La Madonna viene a noi come Madre, come maestra spirituale, ma anche come la Regina della Pace, del katéchon, di un esercito di nuovi apostoli di nuovi e veri cavalieri che sorgono in difesa della Chiesa, per richiamarci tutti alla conversione e ad entrare fiduciosi nella battaglia: “Siate pronti a lottare contro satana! Ma questo potete farlo solo con la preghiera!” ( Messaggio 5 febbraio 1985) In questi tempi così forti e carichi, non possiamo più noi cattolici poltrire nelle nostre comodità, accontentarci di qualche preghiera quando capita, e fare della Messa un vuoto dovere a cui non corrispondere quotidianamente. Dobbiamo agire e militare nella fede! Svegliamoci!!! Sorgano nuovi cavalieri in difesa della Chiesa. I pericoli per gli apostoli e per tutti i soldati di Cristo sono a destra e a sinistra. Ciò che è difficile è camminare nel giusto mezzo. Questi pericoli sono: da un lato il misoneismo, ossia l’avversione dei tradizionalisti ad ogni novità e ad ogni progresso; dall’altro il progressismo e il rigetto del passato. Hanno ragione gli uni e gli altri. Gli uni nel senso che nel passato ci sono tesori di scienza, di spiritualità, di apostolicità formanti la Chiesa; gli altri nel senso che nel presente bisogna conoscere la psicologia degli uomini, dei giovani e dei ragazzi d’oggi e le nuove tecniche di propaganda e di incidenza; hanno torto gli uni, perché bisogna aprirsi al progresso, gli altri, perché bisogna pur conservare il passato.<a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn11" name="_ednref11">[11]</a> Testimoniamo la nostra fede con l’esempio e la luce, a prova per gli altri che Cristo è realmente morto, risorto e vive in mezzo a noi. Fondiamo librerie di forte cultura cattolica, raccogliamoci nelle nostre parrocchie e diocesi, collaboriamo con i nostri sacerdoti e vescovi per organizzare incontri culturali di grande testimonianza e discernimento dei tempi. Rammentiamo cosa ci dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, riguardo la vocazione dei laici: Nelle comunità ecclesiali, la loro azione è così necessaria che, senza di essa, l’apostolato dei Pastori, la maggior parte delle volte, non può raggiungere il suo pieno effetto.<a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn12" name="_ednref12">[12]</a> Oggi più che mai la Chiesa ha bisogno di cavalieri che difendano la fede del popolo e che l’affianchino in un discernimento che appartiene propriamente alla sfera temporale. Sorgano nuovi cavalieri dediti alla “guerra” contro tutto ciò che è di satana. Arruoliamoci!!! Riuniamoci tutti nell’esercito di Maria che chiama insistentemente alle armi e facciamo risorgere la Militia Christi. La Pace di Maria è gioioso Katéchon, incatena-trattiene colui che è stato sciolto, in un combattimento che ha la sua chiamata, che ha le sue armi, e che ha la sua armatura ed i suoi scudi. Ad Jesum per Mariam come diceva San Bernardo; partiamo quindi da Maria -nemica vittoriosa di ogni eresia che s’annida prima in noi e poi nel mondo- e con il Rosario in mano, rivalutiamo i santuari mariani presenti nelle nostre città e paesi. “Con il Rosario potete vincere tutti gli ostacoli che satana in questo momento vuole procurare alla Chiesa Cattolica” (25.8.1985). Non rimarremo delusi. Abbiamo un cattolicesimo diviso, un mondo laico disorientato, completamente o quasi del tutto inebetito, mancante di discernimento, ed assai abile nel gettarsi a capofitto fra le braccia dell’anticristo. Ancor più si cade nella trappola, quando vogliamo insegnare al Vaticano (anche questa è democrazia liberale) quello che deve fare. Consapevoli degli enormi problemi e sforzi all’interno dell’alto clero, il nostro compito è e rimane la difesa anche con la critica quando serve, ma non il costante e scontato criticismo! Porta buoni frutti? Questo dobbiamo chiederci: quale sarà il risultato delle nostre opere! E mi rivolgo al mondo cattolico: quanto ancora faremo contento satana continuandoci a combattere fra di noi? Quanto ancora saremo ciechi nel non vedere la matrice maligna di queste guerre in atto, invece di appoggiarle insieme ai suoi rappresentanti idolatrizzati come salvatori della cristianità e della democrazia? “Satana vuole la guerra e l’odio.” (25.09.2001) Siamo profondamente stufi noi cattolici di sottostare ad una giostra politica di radice massonica subdolamente nascosta nel laicismo relativista, nel liberal-capitalismo sovversivo e nelle ipocrisie di facciata di certa real politik. Che i nemici della Chiesa di Roma e della fede del popolo cristiano sappiano: Essa non cadrà, ma saranno loro a cadere durante la corsa per l’auto-divinizzazione.<a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn13" name="_ednref13">[13]</a> La battaglia è in atto fra i nemici della Chiesa: Hiram,<a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn14" name="_ednref14">[14]</a> con tutto ciò che è attorno a questo nome, legato ai piani del nuovo ordine mondiale, e Marih,<a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn15" name="_ednref15">[15]</a> (contrario del nome Hiram, e quindi contraria ad esso) Madre della Chiesa, venuta a schiacciare la testa alla sovversione, alla parodia del Suo Santissimo nome e della Sua maternità. Hiram che si vuole sovrapporre a Marih, alla Sposa, alla Chiesa di Roma, con una nuova ri-costruzione e porre le “nuove fondamenta” di “ nuove liturgie”. Battaglia fra la Donna ed il drago.<a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn16" name="_ednref16">[16]</a> La nostra giaculatoria sia: “ Lasciamoli divertire un altro po’! ” Tenendo bene a mente che: “soffrire con pazienza le ingiurie inferte contro di noi è degno di lode; ma sopportare pazientemente le ingiurie contro Dio sarebbe il culmine delle empietà” <a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn17" name="_ednref17">[17]</a> Nostro Signore Gesù è, rimane e rimarrà Re del Cielo e della Terra e non Presidente di qualche Stato. La Vergine Maria è, rimane e rimarrà Regina; e non col titolo di ministro delle Pari Opportunità! Teniamoci stretta la profezia di S. Cesario vescovo di Arles ( 469-542), profezia ritrovata fra le carte di mons. De Lau, martirizzato durante la Rivoluzione francese. Il titolo era Magna Sancti Cesarii Arelatensis Ecclesiae Episcopi praedictio: “ Splende finalmente il raggio della misericordia divina. Ecco, viene il nobile esiliato, il predestinato di Dio. Egli sale sul trono dei suoi antenati dal luogo dove la malizia di uomini depravati l’aveva cacciato. Egli recupera la corona del giglio rifiorito (…). Posta la sua sede nella città pontificia, rimetterà la tiara sul capo d’un santo pontefice, colmo d’amarezza per le tribolazioni sofferte, il quale condurrà il clero a vivere secondo la disciplina dei tempi apostolici. Ambedue uniti di cuore e d’animo, faranno trionfare la riforma nel mondo”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn18" name="_ednref18">[18]</a> Per questo noi cristiani saremo accusati di fondamentalismo estremista, di terrorismo contro la civiltà democratica, sovversivi, nemici del vero amore, addirittura nemici di quel “ dio” che oggi chiama insistentemente alla guerra preventiva, razzisti, illusi e folli…Ma manteniamoci nella Pace con la nostra Regina, nella battaglia del katéchon; sia la speranza a guidare le nostre opere e tutto ciò che dovremo testimoniare. “Cari figli, voglio che comprendiate che Dio ha scelto ognuno di voi nel suo piano di salvezza per l'umanità. Voi non potete capire quanto grande sia la vostra persona nel disegno di Dio. Perciò, cari figli, pregate affinché nel pregare comprendiate ciò che poi dovete fare secondo il piano di Dio. Io sono con voi perché possiate tutto realizzare. Grazie per aver risposto alla mia chiamata!” ( 25.01.1987) “Oh Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi, e per quelli a voi non ricorrono in particolar modo per i nemici della Santa Chiesa e per quelli che vi sono raccomandati ”ed ancora preghiamo così come ci insegnò la Madonna nel 1863: Augusta Regina dei Cieli e Signora degli angeli. Tu hai ricevuto da Dio il potere e la missione di schiacciare la testa a satana. Noi umilmente ti chiediamo di inviare le legioni celesti, affinché ai tuoi ordini, perseguitino i demoni, li combattano dappertutto, reprimano la loro audacia e li respingano nell’abisso. Chi è come Dio! O buona e tenera Madre, tu sarai sempre il nostro amore e la nostra speranza. O divina Madre, invia i santi angeli per difenderci e respingere lontano da noi il crudele nemico. Santi angeli e arcangeli, difendeteci e custoditeci.<br /><br /><br />Federico Intini<br />Associazione Studi Cavallereschi San Giuseppe da Leonessa<br /><br /><br /><br /><br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref1" name="_edn1">[1]</a> Faccio notare ai lettori una cosa curiosa. Mentre mi trovo a scrivere quest’articolo non posso non notare che le parole Gesù e Maria mi vengono segnate in rosso dal computer. Ovvero come un errore. Soprattutto Maria, mi meraviglia, nome assai comune nelle donne. Mi stupisce la cosa! Mentre se scrivo: Teodolinda, Teofila, Eneo, Ermenegilda, Ermengarda, Tamburella, Telesforo ed addirittura satana, belzebù, l’errore non sussiste. Saranno più comuni ed importanti questi nomi? Per Microsoft Word, Maria e Gesù sono un errore! Se lucifero potesse invocare per la propria salvezza, la Santissima Vergine con la sola parola “ Maria”, raggiungerebbe il paradiso all’istante. Tanto più un uomo, anche se si trovasse nei momenti più duri e più disperati della vita. ( San Massimiliano Kolbe)<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref2" name="_edn2">[2]</a> Padre Gabriele Amorth, Tratto dalla rivista paolina "Madre di Dio" - Novembre 2004 o sito internet: http://www.mariadinazareth.it/La%20Donna%20e%20il%20drago/9.htm<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref3" name="_edn3">[3]</a> Le apparizioni di Medjugorje ancora non sono riconosciute dalla Chiesa, semplicemente per il fatto che esse sono tuttora in atto. La Santa Sede, giustamente è prudente a riguardo, prima di emettere un giudizio definitivo sulla vicenda. Vale però la pena chiarire che nei messaggi lasciati dalla Madonna, non viene aggiunto ne tanto meno tolto nulla al messaggio del Vangelo. Celebre d'altronde la frase di Giovanni Paolo II su Medjugorje: «Se non fossi Papa, sarei già a Medjugorje a confessare». Dal sito: <a href="http://medjugorje.altervista.org/doc/papa/quandoaparlare.html">http://medjugorje.altervista.org/doc/papa/quandoaparlare.html</a> Padre Amorth inoltre aggiunge: “Come distinguere le vere dalle false apparizioni? È compito dell’autorità ecclesiastica che è tenuta a pronunciarsi solo quando lo ritiene opportuno; per cui è lasciata larga parte all’intuizione e alla libertà dei fedeli. Il più delle volte le false apparizioni sono fuochi di paglia, che si spengono da sé. Altre volte si scopre che c’è inganno, interesse, manipolazione, o che il tutto nasce da qualche mente squilibrata o esaltata. Anche in questi casi è facile ricavarne le conclusioni. Quando invece il concorso di popolo si dimostra costante, crescente per mesi e per anni, e quando i frutti sono buoni («Dai frutti si conosce la pianta», dice il vangelo), allora c’è da prendere le cose sul serio.” Dal sito: <a href="http://medjugorje.altervista.org/doc/pamorth/apparizioni_vere_o_false.html">http://medjugorje.altervista.org/doc/pamorth/apparizioni_vere_o_false.html</a><br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref4" name="_edn4">[4]</a> Ildebrando A. Santangelo, L’ultima battaglia, Comunità editrice Adrano Catania<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref5" name="_edn5">[5]</a> Medjugorje infatti vuol dire “fra i monti”: il Krizevac e il Podbrdo.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref6" name="_edn6">[6]</a> “Libri cattivi abbonderanno sulla terra e gli spiriti di oscurità spargeranno da ogni parte un universale rilassamento in tutto ciò che concerne Dio.” Attuale profezia della Madonna di La Salette. Nel 1999 negli Archivi Vaticani sono stati ritrovati dall’ abbé Michel Corteville i segreti dati da Maria ai due pastorelli de La Salette, Melania e Massimino, che avevano poi inviati a Pio IX nel 1851. Ha detto l’abbé Corteville che è la prima volta che un’apparizione mariana fa scoprire i suoi segreti autenticati. Intanto lo scorso mese la Sugarco ha pubblicato un libro di mons. Antonio Galli intitolato: Scoperti in Vaticano I segreti de La Salette, dove si analizzano i seguenti segreti che la Madonna ha voluto donare aux peuples. Ebbene da questi messaggi, di spaventosa attualità, la Madonna descrive l’apostasia e le mosse, e la modalità della venuta del figlio della perdizione, tra queste preparata dall’abbondare di libri iniqui. Fondiamo librerie di forte connotazione cattolica!!!<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref7" name="_edn7">[7]</a> Citazione di Stefano De Fiores, in Vittorio Messori, Ipotesi su Maria, edizioni Ares, 2005 p. 147<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref8" name="_edn8">[8]</a> La Madonna a Suor Caterina Labourè per altro disse: Verrà un momento in cui il pericolo sarà grande e tutto sembrerà perduto, ma Io sarò con voi, abbiate fiducia.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref9" name="_edn9">[9]</a> Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 2003<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref10" name="_edn10">[10]</a> http://www.effedieffe.com/rx.php?id=2018%20&chiave=leone<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref11" name="_edn11">[11]</a> Ildebrando A. Santangelo, L’ultima battaglia, Comunità Editrice Adrano Catania, p.181<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref12" name="_edn12">[12]</a> Catechismo Chiesa Cattolica, “La vocazione dei laici”, 900<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref13" name="_edn13">[13]</a> A ciò valgono le celebri parole di Pio XII, pronunziate alla Gioventù Italiana dell’Azione Cattolica il 19 Marzo 1958:“ Mille errori moderni sono stati puniti dal loro fallimento; voi avete visto l’orgoglio di talune grandezze oscurarsi nel nulla, l’opulenza di talune fortune scomparire all’improvviso, l’abiezione della lussuria spesso mescolarsi a fiumi di lacrime e di sangue che hanno attraversato il mondo nei tempi passati. Altri errori dovranno scomparire, altre sedi elevate dovranno cadere; altre ambizioni sfrenate crollare in pezzi. E la rovina sarà tanto più vertiginosa, quanto più sarà stata grande l’audacia di rivaleggiare con Dio”. Si aggiungono inoltre a proposito le recenti dichiarazioni del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, Gustavo Raffi: “La Massoneria del Grande Oriente d’Italia si propone l’elaborazione di un progetto di un nuovo umanesimo per il rinascimento dei valori, la sola via per pervenire ad una civiltà della persona edificata sui fondamenti culturali di uguaglianza, libertà, fratellanza, tolleranza: nostri valori, questi, che conducono all’amore gratuito dell’uomo per il proprio simile e che non potranno mai essere acquistati da alcuna società finanziaria”. Fonte: Comunicato Stampa GOI Rimini, 15 aprile 2007. Si può trovare anche in: http://massoneria.wordpress.com/2007/04/28/massoneria-gran-loggia-2007-raffi-goi-i-massoni-come-sentinelle-etiche-per-un-nuovo-umanesimo/<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref14" name="_edn14">[14]</a> Hiram è il nome dell’architetto capo della costruzione del Tempio di Re Salomone. Esso è anche il nome della rivista del Grande Oriente d’Italia. Traete voi lettori le dovute conclusioni!!!<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref15" name="_edn15">[15]</a> Marih è la forma greca del nome Maria. Traslitterandolo in italiano si pronuncia Marie.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref16" name="_edn16">[16]</a> Non posso non notare una sorprendente “coincidenza”- se di “coincidenza” vogliamo parlare- riguardo la nascita della massoneria. Fu, come noto, il 24 giugno 1717 quando quattro logge londinesi si associarono sotto un Gran Maestro formando la Gran Loggia di Londra. Data assai emblematica. Duecento anni dopo dal 1717, a Fatima, in quel 1917 avvenne l’apparizione della Vergine quando la massoneria oramai era un fenomeno dilagante nella società, mentre a Medjugorje la Regina della Pace incomincerà le sue apparizioni proprio fra il 24-25 giugno. Un caso? Una forzatura? Nulla è un caso agli occhi della fede e della strategia divina.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref17" name="_edn17">[17]</a> San Tommaso, S.T. 2-2,q.136,a.4<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref18" name="_edn18">[18]</a> A. Galli, Kérizinen, Segno, Udine, 1995, p.30</div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-1302424748240578718.post-17340074512544054542007-07-06T18:01:00.000+02:002007-07-13T17:25:41.099+02:00Misericordia e giustizia, armi del Katechon.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-aJnoKA5d4xcKUma4OQq-EE6CqLgyX3F1yfHdAGq2oOA51hj3E1hpkC4BmPxBk-D-I_utiCebHqkBoPG2HWAvQ5DoTIk9FBxoXCQhOee030TRSEo0BwkAlFxtasp-_LQFUjuNGWpApB6D/s1600-h/anticristo.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5086702957821680594" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-aJnoKA5d4xcKUma4OQq-EE6CqLgyX3F1yfHdAGq2oOA51hj3E1hpkC4BmPxBk-D-I_utiCebHqkBoPG2HWAvQ5DoTIk9FBxoXCQhOee030TRSEo0BwkAlFxtasp-_LQFUjuNGWpApB6D/s320/anticristo.jpg" border="0" /></a><br /><div>Contro il tiepidismo cattolico<br /><br />E’ utile partire dalle parole pronunciate da S.S.Benedetto XVI in occasione dell’Angelus dello scorso 18 febbraio 2007. Ritornando sulla liturgia domenicale, la quale si era incentrata sul tema dell’“amore cristiano verso il nemico” così come proposto in Lc. 6,27-38, il Pontefice ha così commentato: “Giustamente questa pagina evangelica viene considerata la magna charta della non violenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male, secondo una falsa interpretazione del ‘porger l’altra guancia’, ma nel rispondere al male con il bene, spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia…”. Oltretutto, ha proseguito il Pontefice, tale non violenza non è tanto un comportamento meramente tattico, ma è parte viva dell’ontologia del cristiano, in quanto rappresenta “…l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della Sua potenza che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità”.<br />Premesso ciò, ed alla luce di tale prospettiva, è allora innanzitutto possibile cogliere chiaramente quanto la “rivoluzione cristiana” (per usare un’altra espressione del Papa) si sia posta da subito ben al di là non solo dell’ontologia morale dei Gentili (il che può risultare pure ovvio), ma anche e soprattutto di quella israelitica (il che è certamente più emblematico). Se l’A.T. non è riuscito infatti ad andare oltre il dettato dell’“ama il prossimo tuo come te stesso” (Lev. 19,18), in cui tale “prossimo” si intendeva evidentemente circoscritto con tassativa esclusività all’ambito ebraico, Cristo Gesù dilata invece incommensurabilmente il senso di tale amore estendendolo non solo all’indirizzo dell’intera ecumene, ma, paradossalmente e scandalosamente, anche a beneficio del “nemico”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn1" name="_ednref1">[1]</a><br />La finezza teologica di Benedetto XVI, che va sempre riconosciuta nelle più sottili pieghe delle Sue parole, ben coglie e ritrasmette quale sia il senso evangelico più proprio della “mitezza cristiana” di fronte al “nemico”. Più precisamente il Pontefice ricorda che essa mitezza – senza voler scadere in un sentimentalistico “volemose bene”, né tanto meno in un masochistico “facciamoci del male” o peggio ancora in un ignavo e vittimistico “è tutta colpa nostra” – consiste nel pieno confidare tanto sulla “mano di misericordia” di Dio, quanto sulla Sua “mano di giustizia”!<br />Ciò è reso ancor più necessario per la piena consapevolezza del fatto che quel “prossimo”, che la Chiesa di Cristo Gesù deve amare con mitezza, è effettivamente ogni giorno di più un “infido nemico” nel senso pieno della parola; rappresentato, come esso è, da tutti coloro che mirano con tutti i mezzi possibili - siano essi espliciti che occulti, ma pur sempre subdoli - alla persecuzione, alla delegittimazione ed all’annientamento della Chiesa cattolica medesima.<br />I fedeli nella Chiesa, mandati nel mondo come “agnelli tra lupi famelici” e che devono da sempre combattere una guerra di difesa, non possono prescindere dall’ausilio di queste “due armi”, la cui complementarietà rimane l’unica garanzia per la loro personale e collettiva incolumità. L’azione del cattolico-fedele in Cristo infatti non può e non deve far altro che informarsi allo stesso comportamento che è proprio del suo Dio, che risulta per l’appunto guidato dai due principi della misericordia e del giudizio. Tali due principi “…non possono essere disgiunti. Non si può predicare misericordia incondizionata…come dicevano (e dicono ancora, forse) i falsi profeti, né si può predicare il giudizio incondizionato, come facevano (e fanno) i profeti di sciagura”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn2" name="_ednref2">[2]</a> Lo stesso Giovanni Paolo II diceva che “la misericordia, così come la insegnò e la praticò Gesù…è la pienezza della giustizia”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn3" name="_ednref3">[3]</a><br />Nel cammino di salvezza, l’amore è ciò che “dona slancio”: la missione ecclesiale trae infatti dall’amore di Dio la propria forza, in quanto “l’amore di Cristo ci spinge…” (2Cor. 5,14). Mentre, d’altra parte, è nella verità che si raggiunge il traguardo finale: Dio “…vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità…” (1Tim. 2,4), cioè a dire è Suo desiderio d’Amore la salvezza di tutti attraverso la verità (cfr. Catechismo C.C. 851). Se dunque l’amore-misericordia è uno strumento, da parte sua la verità-giustizia è lo scopo; e mentre ciò ribadisce l’inevitabile propria inscindibile complementarietà nonché la propria equivalenza “ontologica” (Dio è infatti misericordia e giustizia in egual misura, se è possibile esprimerci così), non ci nascondiamo tuttavia la sussistenza, dal punto di vista dell’uomo, di una certa qual superiorità di tipo “logico” della seconda, in quanto rappresentativa della “meta finale”, della “conclusione” a cui si perviene per il tramite della prima in quanto “premessa”! S.Vincenzo de Paoli, quasi provocatoriamente, diceva: “Soccorrere…è opera di giustizia e non di misericordia”.<br />Vi è insomma una forte componente “escatologica” nella così articolata endiadi misericordia-giustizia, poiché allorquando Gesù al Suo ritorno glorioso giudicherà tutti gli uomini in base ai loro gesti di misericordia, ebbene saranno i “giusti” che andranno alla vita eterna e regneranno per sempre con Lui (cfr. Mt. 25,31-46). Ed è per questo che non vi è vera misericordia che non sia giustizia; né vi è vera giustizia che non sia misericordia!<br />Se è vero come è vero che sussiste il dettato di conformarsi alla misericordia di Dio - “siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc. 6,36) -, altrettanto doveroso è quindi il conformarsi alla Sua giustizia. Tant’è che, come dice S.Agostino, : “La giustizia di Dio è quella grazie alla quale, per sua grazia, egli fa di noi dei giusti”!<a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn4" name="_ednref4">[4]</a> E del resto, così scrive pure S.Giovanni: “Se voi sapete che Egli è giusto, dovete riconoscere che chiunque pratica la giustizia è nato da lui” (1Gv. 2,29). Pur con atteggiamento di misericordia e di amore, anche a costo di sofferenza, bisogna esser insomma “…per la giustizia…sempre pronti a rispondere a chiunque vi chieda conto della vostra speranza…Affinché siano coperti di confusione, proprio in ciò di cui vi calunniano, coloro che deridono la vostra buona condotta in Cristo” (1Pt. 3,14-16).<br />Lungo la storia sacra dell’A.T. e del N.T. la misericordia e la giustizia sono stati i principi che hanno sempre guidato il comportamento di Dio. Tuttavia, quando ha prevalso l’ira-giustizia ciò non ha costituito un momento di vendetta quanto piuttosto di fedeltà al Suo misterioso piano, al Suo progetto. In tempi di emergenza, di scontro decisivo tra bene e male, Dio fa prevalere la Sua ira-giustizia; è compito di tutti allora riconoscere i tempi di Dio per adeguarsi ad essi: “vigilate, dunque, perché non sapete quando il padrone della casa verrà…di modo che, venendo (Egli) all’improvviso, non vi trovi addormentati” (Mc. 13,35-36).<br />Come adeguarsi ai tempi? Applicando prontamente, con misericordia e per misericordia, la giustizia e quindi la verità; in maniera tale che ognuno potrà rispondere con il proprio “sì” alla fatidica domanda: “Ma il Figlio dell’uomo, alla sua venuta, troverà forse la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Il cattolico, colui che ha fede in Cristo Gesù, non può non volere la verità-giustizia, dato che essa è il Cristo stesso: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv. 14,6). La “verità-giustizia” si colloca pertanto come punto centrale di una triade che riconosce ai propri estremi la “via” rappresentata dall’”amore misericordioso”, e la “vita” costituita dalla “salvezza in eterno”.<br />Escatologicamente il “nemico della verità”, che è anche il “nemico della via e della vita”, altro non è se non il male in senso stretto, quello cioè contro cui il cristiano “non può e non deve arrendersi”. Perché se il nemico è l’individuo umano che nel proprio consapevole libero arbitrio ha scelto la lontananza da Cristo Gesù, o peggio l’opposizione a Lui, il male è invece satana in persona, di cui l’uomo-nemico della Chiesa di Cristo si fa predicato consapevole o, a volte, anche inconsapevole. A tale proposito le parole di Gesù sono tanto esplicite quanto categoriche; ed ai Farisei che lo provocano risponde: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde” (Mt. 12,30; Lc. 11,23). Dio è Colui “che raccoglie, unisce” tramite Amore e Verità; il diavolo (dal gr. dia-ballo : “disunire, metter male fra due, calunniare, rendere odioso, screditare”) è invece colui che “disperde, divide” con la sua mancanza di amore e verità. Chi non è con Cristo è anti Cristo; ed all’Anticristo rende, consapevolmente o inconsapevolmente, i propri servigi! Per amore, l’uomo-nemico può essere perdonato; ma per verità e giustizia il male anticristico che è dentro di lui deve essere combattuto: “…per spezzare in tal modo la catena dell’ingiustizia”! Proprio a tal proposito ecco quanto affermato recentemente dal cardinal G.Biffi: “Se il cristiano per aprirsi al mondo e dialogare con tutti stempera il fatto salvifico, preclude la sua connessione personale con Gesù e si ritrova dalla parte dell’Anticristo”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn5" name="_ednref5">[5]</a><br />Cosa è dunque oggi il “tiepidismo cattolico” nei confronti del “nemico”? E’ quell’ormai invalso equivoco secondo il quale l’equilibrio tra amore e verità deve pendere in maniera esagerata verso il primo, a discapito della seconda. Ma la fede, venendo così privata dell’incisività che guadagnerebbe con un atteggiamento di convinta applicazione della verità-giustizia, ne risulta compromessa in quanto svuotata di un pilastro determinante per la buona riuscita della battaglia difensiva. Dice il Catechismo: “Il primo comandamento ci richiede di nutrire e custodire la nostra fede, con prudenza e vigilanza, e di respingere tutto ciò che le è contrario” (Catechismo C.C. 2088). E S.Paolo, da parte sua: “…(combatti) la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nelle fede” (1Tm. 1,18-19).<br />La mitezza cristiano-cattolica non implica dunque il ripudio della “buona battaglia”, che è oltretutto difensiva; poiché quando male interpretata essa mitezza diviene il nocivo “tiepidismo” che mina alla base i baluardi per la difesa della fede: sia questa personale che collettiva!<br />Buona è dunque la dote dell’umiltà misericordiosa, purché essa non degeneri in ottusità: perché l’asina di Balaam non si trasformi nell’asino di Buridano!<br /><br />L’asina di Balaam e l’asino di Buridano<br /><br />Ma qual è la differenza tra il comportamento dell’asina di Balaam e l’asino di Buridano? E’ la stessa che sussiste tra quel cattolico che non teme di patire le “bastonate” derivategli dalla testimonianza della propria fede nella verità e nella giustizia (primo caso), e quell’altro cattolico che invece (secondo caso) rimane con indecisione pericolosamente in bilico tra la propria fede cristiana e quella anti cristiana, assumendo cioè un atteggiamento tiepido, poco fermamente convinto nel manifestare e difendere il proprio credo, per il timore d’“irritare” l’interlocutore e mancargli così di rispetto (!!). Ma che magnifico esempio di carità è mai quello secondo cui non bisogna turbare colui che insiste nell’errore?! E ciò tanto più quando l’atteggiamento di infedeltà a Cristo assume i contorni evidenti di una tattica anticristica! L’essere umano va sempre rispettato nella prospettiva del suo recupero alla fede: “la Chiesa rifiuta ogni forma di razzismo come una negazione dell’immagine del Creatore intrinseca ad ogni essere umano”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn6" name="_ednref6">[6]</a> Tuttavia l’anticristicità va sempre affrontata e respinta nella prospettiva del suo costituirsi quale letale insidia per la fede; in quanto, come ammonisce sempre il cardinal G.Biffi a proposito di quel certo “ecumenismo di bassa lega, dalle buone maniere”: “…Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità, scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn7" name="_ednref7">[7]</a><br />Seppur l’insidia sia oggi di particolare attualità, risale tuttavia già alle origini il preciso e fermo invito dei Padri a “…non soccombere alla tentazione, ma a riportare la vittoria sul demonio che ci insidia. Cristo infatti – ci ricordano con insistenza – si è presentato sulla scena del mondo per sconfiggere le opere del maligno, come avverte S.Giovanni (1Gv. 3,8)”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn8" name="_ednref8">[8]</a><br />Ed è forse proprio l’evangelista S.Giovanni ad enucleare con più efficacia i termini della questione! Sempre nella sua Prima Lettera egli ribadisce la necessità della carità e dell’amore misericordioso verso i fratelli (cfr. 1Gv. 2,9-11; 3,10 e segg.; 4,7); ma altresì sottolinea la doverosità di riconoscere dove ed in chi si celi l’Anticristo: “…Come avete sentito l’Anticristo viene; anzi già fin d’ora sono molti gli anticristi (1Gv. 2,18)…Non vi ho scritto come se voi non conosceste la verità, ma perché la conoscete e sapete che nessuna menzogna può uscire dalla verità…E chi è il bugiardo se non chi dice che Gesù non è il Cristo? Costui è l’Anticristo che nega il Padre e il Figlio. Chi nega il Figlio non possiede nemmeno il Padre; chi invece confessa il Figlio possiede pure il Padre (2,21-23)…Figlioli, nessuno vi seduca; chi pratica la giustizia è giusto, come Egli è giusto, ma chi pecca è del diavolo, perché il diavolo è peccatore sin dal principio (3,7-8)…Da questo si conoscono i figli di Dio e i figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio, come pure chi non ama il proprio fratello (3,10)…Carissimi, non vogliate credere ad ogni spirito, ma esaminate prima se tali spiriti provengono da Dio o no, perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo. Da questo dovete conoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce in Gesù il Cristo venuto nella carne è da Dio; ma ogni spirito che non confessa Gesù, non è da Dio, ed è quello dell’Anticristo (4,1-3)…Colui che non è da Dio non ci ascolta; da questo dobbiamo riconoscere lo spirito della verità e lo spirito dell’errore (4,6)”.<br />Da tutto quanto sin qui ribadito si evince quindi che il compito del cattolico, accanto alla fondamentale necessità della preghiera continua, oggi più che mai è quello di difendere la propria fede con virile fermezza ed altrettanta sapiente sagacia: per parare, con l’una, gli anticristici colpi della “persecuzione” e cautelarsi, con l’altra, dalle lusinghe anticristiche della “seduzione”!<br />Delle due, la “sagacia” è forse oggi la virtù più immediatamente necessaria; poiché la perfidia dell’Anticristo consiste propriamente nel far in modo di nascondersi là dove meno ce la si aspetti o dove meno esso vorrebbe farci credere che essa sia: “Qui sta la sapienza! Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia; perché è un numero d’uomo (Ap. 13,18)<br /><br />Quando il bue dice cornuto all’asino<br /><br />Sì! Perché, oltretutto, chi asino si fa rischia pure di divenire facile preda delle apostrofi del bue di turno; il quale, se perfido, non perderà occasione di diffamarlo addebitandogli responsabilità che invece gli sono proprie! Il proverbiale “bue che dice cornuto all’asino”!<br />L’antinomia al Cristo, che costituisce la caratteristica saliente appunto dell’Anticristo, manifesta il suo grado massimo di perfidia e di subdolo intento nel mirare non tanto, e non solo, allo scontro diretto con la Chiesa cattolica, quanto ad una lenta, impercettibile nonché progressiva e sempre più totale sostituzione ad essa!<br />Quando “il bue dice cornuto all’asino” (e già in questo si palesa bene da che parte stiano veramente le “corna”!) non solo il primo intende delegittimare l’altro tramite menzogna, calunnia e diffamazione; ma oltretutto, leggendo la metafora più in profondità, ci rendiamo conto che esso cerca con malizia di sovvertire le rispettive reciproche posizioni. Ed è del resto proprio in questo che, per usare un’ulteriore metafora, riconosciamo la caratteristica tipicamente luciferica di atteggiarsi a “scimmia di Dio”!<br />Tale imitazione, costituendosi quale surrogato falsificante - intenzionata come essa è piuttosto a scalzare il modello, che non a riconoscerlo come prototipo cui adeguarsi -, tradisce la propria “diabolicità” (= dia-ballo) nell’appellarsi ad una misericordia ed una giustizia artatamente “scisse, separate” tra loro. Infatti, non più intese nella loro cristica, unitaria complementarietà, misericordia e giustizia si svuotano dello Spirito di Dio riducendosi a morta lettera, ad ipocrita giudizio, a sepolcro imbiancato! In tal modo l’autoglorificazione umana si sostituisce a quella per Dio, che è da effettuarsi attraverso Cristo Gesù, il Giusto per antonomasia. Così come pure le opere si sostituiscono alla fede e la legge si sostituisce alla grazia! “…Che cosa dice la Scrittura? «Abramo credette a Dio e ciò gli fu ascritto a giustizia (Rm. 4,3)…fu ascritta la fede a giustizia». Come gli fu ascritta? Non nella circoncisione, ma prima (Rm. 4,9-10)…Infatti, non in forza della legge fu fatta ad Abramo ed alla sua stirpe la promessa che sarebbe stato l’erede del mondo, ma in forza della giustizia della fede (Rm. 4,13)…Che diremo dunque? Che i Gentili, i quali non cercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, quella che proviene dalla fede. Israele, invece, che perseguiva una legge di giustizia, non è giunto a praticare la legge. E perché? Perché non l’hanno cercata dalla fede, ma dalle opere. Inciamparono nella pietra di scandalo (Rm. 9,30-32)…Gli Ebrei hanno zelo per Dio, ma non è illuminato. Non volendo, infatti, riconoscere la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Termine della legge, infatti, è Cristo, a giustizia per ogni credente (Rm. 10,2-4)”.<br /><br />Contro l’ipocrisia anticristica<br /><br />Il non aver riconosciuto in Gesù il Cristo-Messia pone i “fratelli maggiori” in una posizione per loro pericolosa, in quanto suscettibile di giungere ad incarnare l’apostasia anticristica! Dice sempre S.Paolo: “…non tutti hanno obbedito alla Buona Novella (Rm. 10,16)…Ma io domando: i Giudei non hanno forse udito? (Rm. 10,18)…Ma io dico: forse Israele non ha compreso? (Rm. 10,19)…A Israele dice (Dio): «Tesi tutto il giorno le mie mani ad un popolo contumace e ribelle» (Rm. 10,21)<a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn9" name="_ednref9">[9]</a>…Al presente vi è un residuo scelto per grazia (= i Cristiani). Or, se è per grazia, non è per le opere, altrimenti la grazia non è più una grazia. Che dire adunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava, ma l’ha ottenuto la parte eletta. Tutti gli altri, invece, sono stati induriti; come sta scritto: «Dio diede loro uno spirito di torpore: occhi per non vedere, orecchi per non intendere, fino a questo giorno» (Rm. 11,5-8)”.<br />Se da una parte gli Ebrei si sono preclusi (sino a questo giorno) la rinnovata giustificazione e la rinnovata elezione da parte di Dio, da parte sua il cattolico con la propria fede nella giustizia e nella misericordia cristica non solo può salvare sé stesso, ma può oltretutto contribuire a salvare gli stessi Ebrei: “Come un tempo anche voi non credevate a Dio ed ora per la loro (= degli Ebrei) incredulità avete ottenuto misericordia, così anch’essi ora sono divenuti disubbidienti a causa della misericordia concessa a voi, affinché ora ottengano misericordia. Dio, infatti, ha racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare misericordia a tutti (Rm. 11,30-32)”.<br />In definitiva, la salvezza non verrà ottenuta da Israele tramite l’ambizioso e bestemmiante progetto di ripristinare il proprio Tempio a Gerusalemme: ciò, più che un tributo a Dio, sarebbe un’opera umana per Lui oltraggiante, in quanto attività mirante alla idolatrica autoesaltazione di un popolo! D’altro canto, il cattolico non deve cadere nella trappola di considerare come decisiva e doverosa “misericordia” verso Israele la propria sentimentalistica opposizione a tutto quanto oggi, non senza equivoche e forzate ambiguità, viene fatto ricadere sotto il termine di “antisemitismo”! Ben altro comportamento potrà valere allo scopo: ossia, un comportamento di giustizia misericordiosa che sia consapevole, per fede, della potenza e della grazia di Dio nel giudizio: “…cedete il posto all’ira divina, poiché sta scritto: «A me la vendetta, io darò ciò che spetta», dice il Signore. Anzi, «se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo così ammasserai carboni accesi sul suo capo» (Rm.12,19-20)”.<br />Accondiscendere pertanto all’inveterato ed isterico malvezzo giudaico di indulgere con compiacimento ad un atteggiamento contraddittorio che coniuga, in un ibrido, da una parte un “superbo senso di superiorità” (per cui il Giudeo non vuole, né può né deve volere, di esser assimilato dai goym) e dall’altra un “maniacale senso di vittimismo” (per cui il Giudeo ritiene di essere costantemente discriminato e perseguitato dai goym), ebbene accondiscendere a questo gioco vizioso non facilita certo l’induzione dei Giudei al pentirsi della colpa di non aver riconosciuto in Gesù il Cristo-Messia tanto atteso. Anzi, è proprio questa loro psicopatologica instabilità a funzionare paradossalmente da provocatoria, scatenante causa di tutti quegli eccessi antigiudaici occorsi nella storia! In una spirale perversa l’Anticristo, con diabolica mossa duplicemente efficace benché unica, fa sia degli Ebrei gli stessi artefici del concretizzarsi di ciò di cui hanno paura, sia del cattolicismo tiepido la mina esplosiva posta alle fondamenta della Chiesa cristiana.<br />La determinante e risolutiva importanza del rapporto con gli Ebrei è legata peraltro al rapporto che questi possiedono, a loro volta, con quella che è la visione del mondo laico-progressista d’oggi, incarnata soprattutto dal protestantesimo liberal-massonico e neoconservatoristico statunitense, ma al cui modello si conforma del resto gran parte della visione politico-culturale europea! Non sarà il caso di approfondire qui la questione, esulando dai compiti prefissici. Basterà tuttavia almeno dire che ad uno sguardo più attento è possibile cogliere tanto nel “sionismo”, quanto nel “lobbismo massonico” il perseguimento di un medesimo scopo, tramite i medesimi procedimenti!<br />Risulta intanto del tutto emblematico che Ebraismo e massoneria, seppur in senso concreto l’uno ed in senso astratto l’altra, perseguano entrambi, quale “eschatìa”<a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn10" name="_ednref10">[10]</a> del proprio operato, la “costruzione del Tempio”. Né è un caso che, recentemente, si sia giunti pure alla oramai anche pubblica dichiarazione di una comune unità di intenti, nonché di un’affinità “…per cultura esoterica e tradizioni spirituale ed iniziatica”<a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn11" name="_ednref11">[11]</a>, presagendo oltretutto “…collaborazioni e nuove prospettive, perché sono molteplici i punti di contatto tra Massoneria e cultura ebraica”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn12" name="_ednref12">[12]</a><br />Se la massoneria, in senso stretto, è già stata dichiarata più volte “inconciliabile” con la fede cristiana,<a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn13" name="_ednref13">[13]</a> le esplicite affermazioni di reciproca solidarietà - miranti all’attuazione di laicistici e relativistici intenti di dialogo solidarietà ed uguaglianza tra tutte le fedi umane - non fanno che tirar dentro al medesimo anticristico progetto anche i “fratelli maggiori”. Se ci viene detto che: “…la Libera Muratoria da corporazione muraria diventa un Tempio dell’Umanità, dove uomini diversi per fede, per religione, per credo anche politico trovano un luogo comune per confrontarsi…La Massoneria non ha mai voluto esser chiesa, però ha sempre richiesto ai propri membri di esser credenti…in un essere supremo”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn14" name="_ednref14">[14]</a> ebbene, spontaneo ci viene allora di pensare che “ab uno disce omnes”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn15" name="_ednref15">[15]</a> forma antica per dire “dimmi con chi vai…”! S.Massimiliano Kolbe, vittima cattolica dei lager, così si esprimeva: “La massoneria è senza dubbio il capo del serpente infernale. Non dico i massoni, perché sono persone infelici, ma le loro finalità, la loro organizzazione rivolta contro Dio e contro la felicità delle anime”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn16" name="_ednref16">[16]</a> Chiaro è insomma di quale “essere supremo” si diventi i fedeli credenti, soprassedendo alla centralità di Cristo Gesù!<br />Come possa coniugarsi a tale laicismo l’ebraismo, è facile comprenderlo nel fatto che, per stessa ammissione dei propri autorevoli rappresentanti, esso non è una religione vera e propria: “…gli ebrei non sono neanche una religione, sono un popolo che ha una sua religione”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn17" name="_ednref17">[17]</a><br />Sempre alcuni ebrei, intellettuali e dissenzienti questa volta, hanno definito tale religione come la cosiddetta “religione dell’olocausto”: l’unico vero elemento aggregante per gli ebrei sparsi in tutto il mondo.<a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn18" name="_ednref18">[18]</a> In essa appaiono presenti tutti gli “ingredienti” tipici di una vera religione, ordinati secondo le rispettive funzioni e dinamiche: grandi sacerdoti (E.Wiesel, S.Wiesenthal, ecc.), profeti (S.Peres, B.Netanyahu, ecc.), dogmi e comandamenti (“Mai più”, “Sei milioni”, ecc.), rituali (Giorno della Memoria, pellegrinaggi ad Auschwitz), santuari e templi (Yad Vashem, l’ONU). Il tutto però, quale palese contraffazione di una vera religione, esclusivamente relegato ad un livello umano, terreno, contingente, storicistico e, pertanto, antimetafisico! Anche il Messia non è visto necessariamente come individuo: “ Il Dio degli ebrei è il Padre, e il popolo di Israele è il Figlio. Questo Figlio ha il compito di perpetuare il concetto dell’esistenza del Padre e della sua unità a tutti i popoli della terra…Tutti sono figli di Dio. Il Messia è quella persona o quell’epoca che porterà la fraternità universale<a title="" style="mso-endnote-id: edn19" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn19" name="_ednref19">[19]</a>…L’era Messianica è un’aspirazione e vi si arriverà quando tutti si saranno convinti che gli uomini sono fatti a immagine di Dio”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn20" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn20" name="_ednref20">[20]</a> Traspare in ciò la ristrettezza della visione ebraica la quale riduce alla pura e semplice dimensione umana, niente affatto “trascendente” quindi, il concetto di Messianicità. Dal canto suo, il Cristo va infinitamente oltre quando afferma che “…il mio regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo il mio regno, la mia gente avrebbe combattuto affinché non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma il regno mio non è di quaggiù” (Gv. 18,36).<br /><br />La pseudo-religione dell’olocausto trova un chiaro parallelo nella “religione dell’11 settembre”, la quale non fa che trasporre, su un piano solo apparentemente diverso, tensioni e paranoie del tutto simili. Ancora una volta, infatti, come già nel caso dell’“olocausto”, dopo aver preso a pretesto un drammatico evento storico gli si impianta sopra una sorta di pseudo-teologia; all’interno della quale una nazione, singoli individui, luoghi, avvenimenti e addirittura oggetti, vengono riconsiderati quali veicoli di significati ierologici ed inseriti in un contesto messianico-escatologico! Ma ciò si configura, peraltro, quale soltanto il più recente esito di un processo autoesaltativo-idolatrico già avviato dagli Stati Uniti d’America sin dalla sua costituzione!<br />E così: “…l’America stessa è percepita come un progetto divino,…la bandiera è diventata sacra come la Bibbia, il nome della nazione sacro come il nome di Dio, il presidente è diventato un sacerdote,…i suoi soldati sono diventati missionari…Di conseguenza chi fa obiezioni sulla politica estera di G.Bush non è soltanto un critico, è un sacrilego”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn21" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn21" name="_ednref21">[21]</a> Ancora una volta, cioè, l’essere umano sovverte le gerarchie invertendo l’ordine divino con quello terreno, confondendo le opere con la verità, la lettera con lo spirito. Dice Cristo Gesù: “Io vi conosco e so che in voi non c’è l’amore di Dio. Io sono venuto in nome del Padre mio e non mi riceverete: se un altro verrà in proprio nome lo riceverete. Come potete avere la fede voi che ricevete la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene solo da Dio?” (Gv. 5,42-44).<br />L’ipocrisia anticristica della “religione dell’olocausto” risiede nell’aver “…trasformato l’amore di sé in una convinzione dogmatica in cui il fedele osservante adora sé stesso. In questa religione gli ebrei adorano l’Ebreo. E’ l‘adorazione esclusiva dell’ego-mio, in quanto soggetto di sofferenza infinita che avanza verso la propria autoredenzione…E’ ovvio che Dio resti fuori dal gioco; è stato licenziato perché ha fallito la sua missione storica: non era lì a salvare gli ebrei. Nella nuova religione, l’ebreo diventa il nuovo dio degli ebrei, tutto si gioca sull’ebreo che riscatta sé stesso”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn22" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn22" name="_ednref22">[22]</a><br />Da parte sua, in maniera in certo qual modo analoga, l’ipocrisia anticristica della “religione dell’11 settembre” consiste invece nel “…confondere il ruolo di Dio con quello della nazione americana, come sembra fare G.Bush;<a title="" style="mso-endnote-id: edn23" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn23" name="_ednref23">[23]</a>…identificando gli Stati Uniti col regno di Dio, trasformando l’America in un idolo, la Old Glory (la bandiera americana, N.d.A.) in un totem e la guerra preventiva in una guerra santa contro il male…La religione americana santifica la nazione americana come popolo eletto, santifica le sue istituzioni quasi fossero la realizzazione del regno di Dio, legittima in nome di Dio i suoi comportamenti, anche quando non sono affatto religiosi o sono in netto contrasto con i principi cristiani, e considera i suoi successi e la sua potenza una conferma della speciale protezione divina sulla nazione americana in perenne lotta contro il male nel mondo”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn24" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn24" name="_ednref24">[24]</a><br />L’una e l’altra di tali ipocrisie manifestano oltretutto la propria intrinseca equivocità nella comune pretesa di investire le rispettive aberrazioni idolatriche con il “crisma della rettitudine”. E così, da una parte la missione messianica della nazione statunitense, secondo le parole di G.Bush, è quella di utilizzare la propria posizione di forza per “…creare un equilibrio di potenza nel mondo a favore della libertà umana,…costruire un ordine internazionale in cui il progresso e la libertà possano fiorire in molte nazioni,…estendere i benefici della libertà e del progresso alle nazioni che ne sono prive”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn25" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn25" name="_ednref25">[25]</a> Mentre dall’altra parte per l’ebraismo, in maniera affine, “…l’epoca messianica è un’epoca nella quale vi sarà la pace universale, gli uomini si sentiranno fratelli…in una terra rinnovata, sotto la guida diretta di Dio”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn26" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn26" name="_ednref26">[26]</a> Ed il raggiungimento di tale epoca sarà ottenuto proprio grazie al popolo ebraico, in quanto esso “…ha come missione quella di essere di esempio, e attraverso l’esempio svolge la sua missione nel mondo,…perché l’ebraismo è qualcosa di nobile, di puro (sic!), che ha scopi di elevazione morale, mentre l’uomo è quello che è”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn27" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn27" name="_ednref27">[27]</a> Paradossalmente, proprio “…dalla dispersione del popolo ebraico viene la diffusione dell’ideale ebraico in mezzo ai popoli…Se gli ebrei fossero tutti nella stessa terra, facessero come tutti gli stati di questo mondo e guardassero soltanto i fatti propri, verrebbero meno alla loro missione:…è provvidenziale che il popolo ebraico sia disperso ai quattro angoli della terra”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn28" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn28" name="_ednref28">[28]</a><br />Ma ci chiediamo: con questo dio-messia che guiderà direttamente la “terra rinnovata” in un, oseremmo dire, “supremo benessere mondiale” posto sotto l’egida moralistica ebraico-statunitense, non è che si stia in realtà alludendo al “principe di questo mondo”? Oltretutto è un sintomo di esagerata e miope sottovalutazione proprio dell’Anticristo ciò che fa pure dire: “…Satana è considerato (dagli ebrei) come uno degli angeli che sono al servizio di Dio. Perché ha questa orribile fama? Soltanto perché il suo compito è quello di mettere in evidenza i peccati, i vizi del popolo. E’ l’angelo accusatore, che fa vedere a Dio i lati peggiori del popolo di Israele”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn29" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn29" name="_ednref29">[29]</a><br />Ed ancora: “Non esiste l’inferno, ma esiste la punizione. Come per il giusto c’è un premio che viene concesso, nel lasso di tempo di un anno, così per il reprobo c’è la punizione. Dopo questo anno, questi undici mesi, vanno tutti in Paradiso”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn30" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn30" name="_ednref30">[30]</a><br />Contro tali inganni la voce di giustizia del cattolico certo non può e non deve rimanere muta ed inerte, ma deve al contrario levarsi per far sentire misericordiosamente il proprio grido d’allarme verso tutti coloro che, consapevolmente o inconsapevolmente, si fanno o si pongono nelle condizioni di farsi predicati dell’Anticristo!<br /><br /><br /><br />Il Katechon<br /><br />Pare che a nulla siano serviti gli strali lanciati dalla profetica vetero-testamentaria contro quella “pace e misericordia” promessa dai falsi profeti (cfr. Ger. 6,14; 8,8-12; 14,13; 23,16. Ez. 13,10-16. Mi. 3,5). E lo stesso S.Paolo analogamente avverte: “Quando diranno «Pace e sicurezza», allora improvvisa li sorprenderà la rovina, come le doglie della donna incinta, e non avranno scampo” (1Ts. 5,3). La necessità di non confondere la pace temporale con quella eterna è già stata difatti stigmatizzata dallo stesso Gesù, allorché ha nettamente distinto la Sua pace da quella del mondo (cfr. Gv. 14,27). Pur essendo ovviamente auspicabile anche il raggiungimento di quest’ultima, tuttavia è necessario che essa vada intesa solamente nella prospettiva del suo ulteriore trascendimento; dal momento che, nella visione cristiana, il fine della storia universale è al di là della storia stessa. Ed è del resto proprio in questo che risiede il mistero pasquale della resurrezione; di modo che non certamente ad una rinnovata Gerusalemme terrena si deve alludere, bensì alla venuta della Gerusalemme celeste!<br />La pace terrena è pertanto un concetto votato all’instabilità ed all’apparenza esteriore: solamente un “sintomo di progresso”, come dice Solov’ev; ed il progresso è un sintomo della fine della storia, in cui avrà un ruolo fondamentale l’Anticristo! Oltretutto, come scrive sempre Solov’ev, in quanto “…il male esiste realmente e non si esprime soltanto nell’assenza del bene, ma in una diretta opposizione (contro il bene)”,<a title="" style="mso-endnote-id: edn31" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn31" name="_ednref31">[31]</a> ebbene esso esige allora di essere individuato e combattuto, in quanto è dovere cristiano schierarsi per Cristo contro il Suo oppositore. Altrimenti, se non secondo questo senso, in quale altro modo bisognerebbe interpretare il passo evangelico in cui Cristo afferma di essere venuto a portare in questo mondo la “divisione” e “non la pace” (Mt. 10,34)?<br />Pare inoltre scontato, quindi, che per una lotta vittoriosa “…occorre avere un punto di appoggio in un altro ordine di esistenza”.<a title="" style="mso-endnote-id: edn32" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn32" name="_ednref32">[32]</a> E se quest’altro ordine di esistenza è appunto il Cristo risorto, il punto di appoggio è costituito allora dalla Sua verità incarnata nel “Katechon”!<br />“Voi ben sapete che cosa impedisce la manifestazione (dell’avversario di Cristo), che avverrà a suo tempo. Infatti il mistero dell’iniquità è già qui in azione; soltanto v’è chi impedisce, finché sia tolto di mezzo” (2Ts. 2,6-7). “Katechon”, cioè “colui che impedisce”, è l’insieme coordinato dell’azione della duplice mano di Dio: rispettivamente quella di misericordia e quella di giustizia; che è come dire di “autorità sacerdotale” e di “potere regale”. L’esegesi patristica ha ben visto infatti nella complementarietà attiva tra Papato ed Impero il reale ed unico baluardo “politico-religioso” capace di opporsi al mistero di iniquità.<a title="" style="mso-endnote-id: edn33" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn33" name="_ednref33">[33]</a><br />Tuttavia una parte di esso è già stata “tolta di mezzo”; ed è stato proprio per il decadere dello “ius romano”, simbolo della regalità nella sua funzione sacra,<a title="" style="mso-endnote-id: edn34" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_edn34" name="_ednref34">[34]</a> che l’Istituto dell’Imperium si è sovvertito e corrotto nell’“imperialismo”! Ecco quindi la necessità di reintegrare pienamente quell’endiadi di “misericordia e giustizia”; la cui messa in opera, se in senso generale compete individualmente ad ogni cattolico, in senso particolare trova la sua migliore attuazione allorché suddivisa tra il “sacerdote” (la cui opera è pertanto da definirsi di “misericordia giusta”) ed il laico cattolico (la cui opera è da parte sua di “giustizia misericordiosa”). Questa testimonianza laicale di “giustizia misericordiosa”, in attesa e nella prospettiva di un ritorno di una politica veramente “consacrata a Cristo”, non può che realizzarsi se non tramite le armi della “preghiera” e della “cultura”, con uno spirito che potremmo definire “cavalleresco” quanto a contenuti e modalità: spirito di virile fermezza e decisione, il quale sia privo di menzogna, alieno dai compromessi e incapace delle mezze misure, nonché coraggiosamente denunciante le menzogne ed i compromessi altrui… Ma questo è un altro discorso che sarà bene trattare in un’ulteriore occasione!<br /><br />Cosmo Intini<br />Ass. Studi Cavallereschi “S.Giuseppe da Leonessa”<br /><br /><br /><br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref1" name="_edn1">[1]</a> La sussistenza del succitato passo del Levitico è spesso indicata impropriamente quale una delle presunte prove della mancanza di originalità di Gesù rispetto alla morale ebraica. Nei migliori dei casi viene invocata altre volte come prova di una equiparabilità tra morale cristiana e morale ebraica. Per quel che ci riguarda, a noi pare che tali obiezioni decadano alla luce appunto di quanto si è appena fatto osservare.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref2" name="_edn2">[2]</a> A.Niccocci-ofm, in Ira e misericordia. Linee teologiche dall’Antico al Nuovo Testamento – SBF Corso di aggiornamento biblico teologico: Il cristiano di fronte alla violenza, Gerusalemme 13-16 aprile 2004.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref3" name="_edn3">[3]</a> Omelia di sabato 2 febbraio 1985, Monterrico –Perù.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref4" name="_edn4">[4]</a> S.Agostino, Lo spirito e la lettera, 32, 56 (PL 44,237).<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref5" name="_edn5">[5]</a> G.Biffi, Esercizi spirituali al Papa ed alla Curia romana, Città del Vaticano 27/02/07.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref6" name="_edn6">[6]</a> Discorso di Giovanni Paolo II in occasione della visita al mausoleo di Yad Vashem, Gerusalemme 23/03/2000.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref7" name="_edn7">[7]</a> G.Biffi, Attenti all’Anticristo! L’ammonimento profetico di V.Solov’ev, Piemme, Casale Monferrato 1991.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref8" name="_edn8">[8]</a> A.Gentili, L’Anticristo: attualità di una ricerca, Ed. Il Cerchio, Rimini 1995, p.73.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref9" name="_edn9">[9]</a> Cfr. Is. 65,2.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref10" name="_edn10">[10]</a> Punto più alto, culmine, parte estrema.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref11" name="_edn11">[11]</a> Ester Mieli, Comunità ebraica e Gran Loggia d’Italia, in IL TEMPO, Roma 27 /10/2006,<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn12" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref12" name="_edn12">[12]</a> Il rabbino capo Di Segni incontra il Grande Oriente, in Erasmo Notizie Anno V - n.11, Roma 2003<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn13" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref13" name="_edn13">[13]</a> Per un accurato riassunto dei principali documenti della Chiesa di Roma, a riguardo del rapporto tra fede cristiana e massoneria, cfr. A.Morganti (a cura di), Inimica vis: la Chiesa Cattolica contro la massoneria, Ed. Il Cerchio, Rimini 2006.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn14" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref14" name="_edn14">[14]</a> Il rabbino capo, Erasmo Notizie, cit.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn15" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref15" name="_edn15">[15]</a> Da uno conosci tutti gli altri.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn16" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref16" name="_edn16">[16]</a> S.Massimiliano Kolbe, Scritti, ENMI, Roma 1997, p.1839.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn17" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref17" name="_edn17">[17]</a> E.Toaff con A.Elkann, Il Messia e gli Ebrei, Bompiani, Milano 2002, p.34.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn18" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref18" name="_edn18">[18]</a> Cfr. G.Atzmon, Purim special – from Esther to AIPAC, in Counterpunch, 3-4 marzo 2007, tradotto in sito web EFFEDIEFFE.com del 06-03-07.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn19" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref19" name="_edn19">[19]</a> E.Toaff con A.Elkann, op.cit., p.26 seg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn20" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref20" name="_edn20">[20]</a> Idem, p.83.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn21" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref21" name="_edn21">[21]</a> Citato in E.Gentile, La democrazia di Dio: la religione americana nell’era dell’impero e del terrore, Ed. Laterza, Roma-Bari 2006, p.213.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn22" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref22" name="_edn22">[22]</a> G.Atzmon, op.cit.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn23" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref23" name="_edn23">[23]</a> E.Gentile, op.cit., p.218.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn24" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref24" name="_edn24">[24]</a> Idem, p.216.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn25" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref25" name="_edn25">[25]</a> E.Gentile, op.cit., p.138.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn26" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref26" name="_edn26">[26]</a> E.Toaff con A.Elkann, op.cit., p.9.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn27" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref27" name="_edn27">[27]</a> Idem, p.32.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn28" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref28" name="_edn28">[28]</a> Idem, p.34 seg.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn29" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref29" name="_edn29">[29]</a> Idem, p.39.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn30" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref30" name="_edn30">[30]</a> Idem, p.29.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn31" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref31" name="_edn31">[31]</a> V. Solov’ev, I tre dialoghi ed il Racconto dell’Anticristo, Ed. Marietti, Genova-Milano 2006, p.143.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn32" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref32" name="_edn32">[32]</a> Idem, dalla Prefazione dell’Autore, p.LXV.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn33" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref33" name="_edn33">[33]</a> Cfr. pure S.Tommaso d’Aquino, De Anticristo, opuscolo LXVIII.<br /><a title="" style="mso-endnote-id: edn34" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=1302424748240578718#_ednref34" name="_edn34">[34]</a> In latino ius (dall’i.e. *YOUS), ancor prima di costituire un termine giuridico, indica nel concetto romano “lo stato di regolarità, di normalità, richiesto dalle regole rituali” e prescrive quello a cui ci si deve attenere. Lo ius procede dal Fas, al quale è indissolubilmente legato come l’effetto alla causa. Il Fas indica il diritto divino e deriva dalla stessa radice da cui deriva il verbo fari, “parlare”. La radice comune i.e. da cui il termine proviene è *BHA- che indica “la parola vivente in sé stessa” (quindi il Logos). Su tutto ciò cfr. M.Polia, Imperium: origini e funzioni del potere regale nella Roma arcaica, Ed Il Cerchio, Rimini 2001, p.20 segg.</div>Unknownnoreply@blogger.com