venerdì 6 luglio 2007

Misericordia e giustizia, armi del Katechon.


Contro il tiepidismo cattolico

E’ utile partire dalle parole pronunciate da S.S.Benedetto XVI in occasione dell’Angelus dello scorso 18 febbraio 2007. Ritornando sulla liturgia domenicale, la quale si era incentrata sul tema dell’“amore cristiano verso il nemico” così come proposto in Lc. 6,27-38, il Pontefice ha così commentato: “Giustamente questa pagina evangelica viene considerata la magna charta della non violenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male, secondo una falsa interpretazione del ‘porger l’altra guancia’, ma nel rispondere al male con il bene, spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia…”. Oltretutto, ha proseguito il Pontefice, tale non violenza non è tanto un comportamento meramente tattico, ma è parte viva dell’ontologia del cristiano, in quanto rappresenta “…l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della Sua potenza che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità”.
Premesso ciò, ed alla luce di tale prospettiva, è allora innanzitutto possibile cogliere chiaramente quanto la “rivoluzione cristiana” (per usare un’altra espressione del Papa) si sia posta da subito ben al di là non solo dell’ontologia morale dei Gentili (il che può risultare pure ovvio), ma anche e soprattutto di quella israelitica (il che è certamente più emblematico). Se l’A.T. non è riuscito infatti ad andare oltre il dettato dell’“ama il prossimo tuo come te stesso” (Lev. 19,18), in cui tale “prossimo” si intendeva evidentemente circoscritto con tassativa esclusività all’ambito ebraico, Cristo Gesù dilata invece incommensurabilmente il senso di tale amore estendendolo non solo all’indirizzo dell’intera ecumene, ma, paradossalmente e scandalosamente, anche a beneficio del “nemico”![1]
La finezza teologica di Benedetto XVI, che va sempre riconosciuta nelle più sottili pieghe delle Sue parole, ben coglie e ritrasmette quale sia il senso evangelico più proprio della “mitezza cristiana” di fronte al “nemico”. Più precisamente il Pontefice ricorda che essa mitezza – senza voler scadere in un sentimentalistico “volemose bene”, né tanto meno in un masochistico “facciamoci del male” o peggio ancora in un ignavo e vittimistico “è tutta colpa nostra” – consiste nel pieno confidare tanto sulla “mano di misericordia” di Dio, quanto sulla Sua “mano di giustizia”!
Ciò è reso ancor più necessario per la piena consapevolezza del fatto che quel “prossimo”, che la Chiesa di Cristo Gesù deve amare con mitezza, è effettivamente ogni giorno di più un “infido nemico” nel senso pieno della parola; rappresentato, come esso è, da tutti coloro che mirano con tutti i mezzi possibili - siano essi espliciti che occulti, ma pur sempre subdoli - alla persecuzione, alla delegittimazione ed all’annientamento della Chiesa cattolica medesima.
I fedeli nella Chiesa, mandati nel mondo come “agnelli tra lupi famelici” e che devono da sempre combattere una guerra di difesa, non possono prescindere dall’ausilio di queste “due armi”, la cui complementarietà rimane l’unica garanzia per la loro personale e collettiva incolumità. L’azione del cattolico-fedele in Cristo infatti non può e non deve far altro che informarsi allo stesso comportamento che è proprio del suo Dio, che risulta per l’appunto guidato dai due principi della misericordia e del giudizio. Tali due principi “…non possono essere disgiunti. Non si può predicare misericordia incondizionata…come dicevano (e dicono ancora, forse) i falsi profeti, né si può predicare il giudizio incondizionato, come facevano (e fanno) i profeti di sciagura”.[2] Lo stesso Giovanni Paolo II diceva che “la misericordia, così come la insegnò e la praticò Gesù…è la pienezza della giustizia”.[3]
Nel cammino di salvezza, l’amore è ciò che “dona slancio”: la missione ecclesiale trae infatti dall’amore di Dio la propria forza, in quanto “l’amore di Cristo ci spinge…” (2Cor. 5,14). Mentre, d’altra parte, è nella verità che si raggiunge il traguardo finale: Dio “…vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità…” (1Tim. 2,4), cioè a dire è Suo desiderio d’Amore la salvezza di tutti attraverso la verità (cfr. Catechismo C.C. 851). Se dunque l’amore-misericordia è uno strumento, da parte sua la verità-giustizia è lo scopo; e mentre ciò ribadisce l’inevitabile propria inscindibile complementarietà nonché la propria equivalenza “ontologica” (Dio è infatti misericordia e giustizia in egual misura, se è possibile esprimerci così), non ci nascondiamo tuttavia la sussistenza, dal punto di vista dell’uomo, di una certa qual superiorità di tipo “logico” della seconda, in quanto rappresentativa della “meta finale”, della “conclusione” a cui si perviene per il tramite della prima in quanto “premessa”! S.Vincenzo de Paoli, quasi provocatoriamente, diceva: “Soccorrere…è opera di giustizia e non di misericordia”.
Vi è insomma una forte componente “escatologica” nella così articolata endiadi misericordia-giustizia, poiché allorquando Gesù al Suo ritorno glorioso giudicherà tutti gli uomini in base ai loro gesti di misericordia, ebbene saranno i “giusti” che andranno alla vita eterna e regneranno per sempre con Lui (cfr. Mt. 25,31-46). Ed è per questo che non vi è vera misericordia che non sia giustizia; né vi è vera giustizia che non sia misericordia!
Se è vero come è vero che sussiste il dettato di conformarsi alla misericordia di Dio - “siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc. 6,36) -, altrettanto doveroso è quindi il conformarsi alla Sua giustizia. Tant’è che, come dice S.Agostino, : “La giustizia di Dio è quella grazie alla quale, per sua grazia, egli fa di noi dei giusti”![4] E del resto, così scrive pure S.Giovanni: “Se voi sapete che Egli è giusto, dovete riconoscere che chiunque pratica la giustizia è nato da lui” (1Gv. 2,29). Pur con atteggiamento di misericordia e di amore, anche a costo di sofferenza, bisogna esser insomma “…per la giustizia…sempre pronti a rispondere a chiunque vi chieda conto della vostra speranza…Affinché siano coperti di confusione, proprio in ciò di cui vi calunniano, coloro che deridono la vostra buona condotta in Cristo” (1Pt. 3,14-16).
Lungo la storia sacra dell’A.T. e del N.T. la misericordia e la giustizia sono stati i principi che hanno sempre guidato il comportamento di Dio. Tuttavia, quando ha prevalso l’ira-giustizia ciò non ha costituito un momento di vendetta quanto piuttosto di fedeltà al Suo misterioso piano, al Suo progetto. In tempi di emergenza, di scontro decisivo tra bene e male, Dio fa prevalere la Sua ira-giustizia; è compito di tutti allora riconoscere i tempi di Dio per adeguarsi ad essi: “vigilate, dunque, perché non sapete quando il padrone della casa verrà…di modo che, venendo (Egli) all’improvviso, non vi trovi addormentati” (Mc. 13,35-36).
Come adeguarsi ai tempi? Applicando prontamente, con misericordia e per misericordia, la giustizia e quindi la verità; in maniera tale che ognuno potrà rispondere con il proprio “sì” alla fatidica domanda: “Ma il Figlio dell’uomo, alla sua venuta, troverà forse la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Il cattolico, colui che ha fede in Cristo Gesù, non può non volere la verità-giustizia, dato che essa è il Cristo stesso: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv. 14,6). La “verità-giustizia” si colloca pertanto come punto centrale di una triade che riconosce ai propri estremi la “via” rappresentata dall’”amore misericordioso”, e la “vita” costituita dalla “salvezza in eterno”.
Escatologicamente il “nemico della verità”, che è anche il “nemico della via e della vita”, altro non è se non il male in senso stretto, quello cioè contro cui il cristiano “non può e non deve arrendersi”. Perché se il nemico è l’individuo umano che nel proprio consapevole libero arbitrio ha scelto la lontananza da Cristo Gesù, o peggio l’opposizione a Lui, il male è invece satana in persona, di cui l’uomo-nemico della Chiesa di Cristo si fa predicato consapevole o, a volte, anche inconsapevole. A tale proposito le parole di Gesù sono tanto esplicite quanto categoriche; ed ai Farisei che lo provocano risponde: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde” (Mt. 12,30; Lc. 11,23). Dio è Colui “che raccoglie, unisce” tramite Amore e Verità; il diavolo (dal gr. dia-ballo : “disunire, metter male fra due, calunniare, rendere odioso, screditare”) è invece colui che “disperde, divide” con la sua mancanza di amore e verità. Chi non è con Cristo è anti Cristo; ed all’Anticristo rende, consapevolmente o inconsapevolmente, i propri servigi! Per amore, l’uomo-nemico può essere perdonato; ma per verità e giustizia il male anticristico che è dentro di lui deve essere combattuto: “…per spezzare in tal modo la catena dell’ingiustizia”! Proprio a tal proposito ecco quanto affermato recentemente dal cardinal G.Biffi: “Se il cristiano per aprirsi al mondo e dialogare con tutti stempera il fatto salvifico, preclude la sua connessione personale con Gesù e si ritrova dalla parte dell’Anticristo”.[5]
Cosa è dunque oggi il “tiepidismo cattolico” nei confronti del “nemico”? E’ quell’ormai invalso equivoco secondo il quale l’equilibrio tra amore e verità deve pendere in maniera esagerata verso il primo, a discapito della seconda. Ma la fede, venendo così privata dell’incisività che guadagnerebbe con un atteggiamento di convinta applicazione della verità-giustizia, ne risulta compromessa in quanto svuotata di un pilastro determinante per la buona riuscita della battaglia difensiva. Dice il Catechismo: “Il primo comandamento ci richiede di nutrire e custodire la nostra fede, con prudenza e vigilanza, e di respingere tutto ciò che le è contrario” (Catechismo C.C. 2088). E S.Paolo, da parte sua: “…(combatti) la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nelle fede” (1Tm. 1,18-19).
La mitezza cristiano-cattolica non implica dunque il ripudio della “buona battaglia”, che è oltretutto difensiva; poiché quando male interpretata essa mitezza diviene il nocivo “tiepidismo” che mina alla base i baluardi per la difesa della fede: sia questa personale che collettiva!
Buona è dunque la dote dell’umiltà misericordiosa, purché essa non degeneri in ottusità: perché l’asina di Balaam non si trasformi nell’asino di Buridano!

L’asina di Balaam e l’asino di Buridano

Ma qual è la differenza tra il comportamento dell’asina di Balaam e l’asino di Buridano? E’ la stessa che sussiste tra quel cattolico che non teme di patire le “bastonate” derivategli dalla testimonianza della propria fede nella verità e nella giustizia (primo caso), e quell’altro cattolico che invece (secondo caso) rimane con indecisione pericolosamente in bilico tra la propria fede cristiana e quella anti cristiana, assumendo cioè un atteggiamento tiepido, poco fermamente convinto nel manifestare e difendere il proprio credo, per il timore d’“irritare” l’interlocutore e mancargli così di rispetto (!!). Ma che magnifico esempio di carità è mai quello secondo cui non bisogna turbare colui che insiste nell’errore?! E ciò tanto più quando l’atteggiamento di infedeltà a Cristo assume i contorni evidenti di una tattica anticristica! L’essere umano va sempre rispettato nella prospettiva del suo recupero alla fede: “la Chiesa rifiuta ogni forma di razzismo come una negazione dell’immagine del Creatore intrinseca ad ogni essere umano”.[6] Tuttavia l’anticristicità va sempre affrontata e respinta nella prospettiva del suo costituirsi quale letale insidia per la fede; in quanto, come ammonisce sempre il cardinal G.Biffi a proposito di quel certo “ecumenismo di bassa lega, dalle buone maniere”: “…Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità, scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo”.[7]
Seppur l’insidia sia oggi di particolare attualità, risale tuttavia già alle origini il preciso e fermo invito dei Padri a “…non soccombere alla tentazione, ma a riportare la vittoria sul demonio che ci insidia. Cristo infatti – ci ricordano con insistenza – si è presentato sulla scena del mondo per sconfiggere le opere del maligno, come avverte S.Giovanni (1Gv. 3,8)”.[8]
Ed è forse proprio l’evangelista S.Giovanni ad enucleare con più efficacia i termini della questione! Sempre nella sua Prima Lettera egli ribadisce la necessità della carità e dell’amore misericordioso verso i fratelli (cfr. 1Gv. 2,9-11; 3,10 e segg.; 4,7); ma altresì sottolinea la doverosità di riconoscere dove ed in chi si celi l’Anticristo: “…Come avete sentito l’Anticristo viene; anzi già fin d’ora sono molti gli anticristi (1Gv. 2,18)…Non vi ho scritto come se voi non conosceste la verità, ma perché la conoscete e sapete che nessuna menzogna può uscire dalla verità…E chi è il bugiardo se non chi dice che Gesù non è il Cristo? Costui è l’Anticristo che nega il Padre e il Figlio. Chi nega il Figlio non possiede nemmeno il Padre; chi invece confessa il Figlio possiede pure il Padre (2,21-23)…Figlioli, nessuno vi seduca; chi pratica la giustizia è giusto, come Egli è giusto, ma chi pecca è del diavolo, perché il diavolo è peccatore sin dal principio (3,7-8)…Da questo si conoscono i figli di Dio e i figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio, come pure chi non ama il proprio fratello (3,10)…Carissimi, non vogliate credere ad ogni spirito, ma esaminate prima se tali spiriti provengono da Dio o no, perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo. Da questo dovete conoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce in Gesù il Cristo venuto nella carne è da Dio; ma ogni spirito che non confessa Gesù, non è da Dio, ed è quello dell’Anticristo (4,1-3)…Colui che non è da Dio non ci ascolta; da questo dobbiamo riconoscere lo spirito della verità e lo spirito dell’errore (4,6)”.
Da tutto quanto sin qui ribadito si evince quindi che il compito del cattolico, accanto alla fondamentale necessità della preghiera continua, oggi più che mai è quello di difendere la propria fede con virile fermezza ed altrettanta sapiente sagacia: per parare, con l’una, gli anticristici colpi della “persecuzione” e cautelarsi, con l’altra, dalle lusinghe anticristiche della “seduzione”!
Delle due, la “sagacia” è forse oggi la virtù più immediatamente necessaria; poiché la perfidia dell’Anticristo consiste propriamente nel far in modo di nascondersi là dove meno ce la si aspetti o dove meno esso vorrebbe farci credere che essa sia: “Qui sta la sapienza! Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia; perché è un numero d’uomo (Ap. 13,18)

Quando il bue dice cornuto all’asino

Sì! Perché, oltretutto, chi asino si fa rischia pure di divenire facile preda delle apostrofi del bue di turno; il quale, se perfido, non perderà occasione di diffamarlo addebitandogli responsabilità che invece gli sono proprie! Il proverbiale “bue che dice cornuto all’asino”!
L’antinomia al Cristo, che costituisce la caratteristica saliente appunto dell’Anticristo, manifesta il suo grado massimo di perfidia e di subdolo intento nel mirare non tanto, e non solo, allo scontro diretto con la Chiesa cattolica, quanto ad una lenta, impercettibile nonché progressiva e sempre più totale sostituzione ad essa!
Quando “il bue dice cornuto all’asino” (e già in questo si palesa bene da che parte stiano veramente le “corna”!) non solo il primo intende delegittimare l’altro tramite menzogna, calunnia e diffamazione; ma oltretutto, leggendo la metafora più in profondità, ci rendiamo conto che esso cerca con malizia di sovvertire le rispettive reciproche posizioni. Ed è del resto proprio in questo che, per usare un’ulteriore metafora, riconosciamo la caratteristica tipicamente luciferica di atteggiarsi a “scimmia di Dio”!
Tale imitazione, costituendosi quale surrogato falsificante - intenzionata come essa è piuttosto a scalzare il modello, che non a riconoscerlo come prototipo cui adeguarsi -, tradisce la propria “diabolicità” (= dia-ballo) nell’appellarsi ad una misericordia ed una giustizia artatamente “scisse, separate” tra loro. Infatti, non più intese nella loro cristica, unitaria complementarietà, misericordia e giustizia si svuotano dello Spirito di Dio riducendosi a morta lettera, ad ipocrita giudizio, a sepolcro imbiancato! In tal modo l’autoglorificazione umana si sostituisce a quella per Dio, che è da effettuarsi attraverso Cristo Gesù, il Giusto per antonomasia. Così come pure le opere si sostituiscono alla fede e la legge si sostituisce alla grazia! “…Che cosa dice la Scrittura? «Abramo credette a Dio e ciò gli fu ascritto a giustizia (Rm. 4,3)…fu ascritta la fede a giustizia». Come gli fu ascritta? Non nella circoncisione, ma prima (Rm. 4,9-10)…Infatti, non in forza della legge fu fatta ad Abramo ed alla sua stirpe la promessa che sarebbe stato l’erede del mondo, ma in forza della giustizia della fede (Rm. 4,13)…Che diremo dunque? Che i Gentili, i quali non cercavano la giustizia, hanno conseguito la giustizia, quella che proviene dalla fede. Israele, invece, che perseguiva una legge di giustizia, non è giunto a praticare la legge. E perché? Perché non l’hanno cercata dalla fede, ma dalle opere. Inciamparono nella pietra di scandalo (Rm. 9,30-32)…Gli Ebrei hanno zelo per Dio, ma non è illuminato. Non volendo, infatti, riconoscere la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Termine della legge, infatti, è Cristo, a giustizia per ogni credente (Rm. 10,2-4)”.

Contro l’ipocrisia anticristica

Il non aver riconosciuto in Gesù il Cristo-Messia pone i “fratelli maggiori” in una posizione per loro pericolosa, in quanto suscettibile di giungere ad incarnare l’apostasia anticristica! Dice sempre S.Paolo: “…non tutti hanno obbedito alla Buona Novella (Rm. 10,16)…Ma io domando: i Giudei non hanno forse udito? (Rm. 10,18)…Ma io dico: forse Israele non ha compreso? (Rm. 10,19)…A Israele dice (Dio): «Tesi tutto il giorno le mie mani ad un popolo contumace e ribelle» (Rm. 10,21)[9]…Al presente vi è un residuo scelto per grazia (= i Cristiani). Or, se è per grazia, non è per le opere, altrimenti la grazia non è più una grazia. Che dire adunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava, ma l’ha ottenuto la parte eletta. Tutti gli altri, invece, sono stati induriti; come sta scritto: «Dio diede loro uno spirito di torpore: occhi per non vedere, orecchi per non intendere, fino a questo giorno» (Rm. 11,5-8)”.
Se da una parte gli Ebrei si sono preclusi (sino a questo giorno) la rinnovata giustificazione e la rinnovata elezione da parte di Dio, da parte sua il cattolico con la propria fede nella giustizia e nella misericordia cristica non solo può salvare sé stesso, ma può oltretutto contribuire a salvare gli stessi Ebrei: “Come un tempo anche voi non credevate a Dio ed ora per la loro (= degli Ebrei) incredulità avete ottenuto misericordia, così anch’essi ora sono divenuti disubbidienti a causa della misericordia concessa a voi, affinché ora ottengano misericordia. Dio, infatti, ha racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare misericordia a tutti (Rm. 11,30-32)”.
In definitiva, la salvezza non verrà ottenuta da Israele tramite l’ambizioso e bestemmiante progetto di ripristinare il proprio Tempio a Gerusalemme: ciò, più che un tributo a Dio, sarebbe un’opera umana per Lui oltraggiante, in quanto attività mirante alla idolatrica autoesaltazione di un popolo! D’altro canto, il cattolico non deve cadere nella trappola di considerare come decisiva e doverosa “misericordia” verso Israele la propria sentimentalistica opposizione a tutto quanto oggi, non senza equivoche e forzate ambiguità, viene fatto ricadere sotto il termine di “antisemitismo”! Ben altro comportamento potrà valere allo scopo: ossia, un comportamento di giustizia misericordiosa che sia consapevole, per fede, della potenza e della grazia di Dio nel giudizio: “…cedete il posto all’ira divina, poiché sta scritto: «A me la vendetta, io darò ciò che spetta», dice il Signore. Anzi, «se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo così ammasserai carboni accesi sul suo capo» (Rm.12,19-20)”.
Accondiscendere pertanto all’inveterato ed isterico malvezzo giudaico di indulgere con compiacimento ad un atteggiamento contraddittorio che coniuga, in un ibrido, da una parte un “superbo senso di superiorità” (per cui il Giudeo non vuole, né può né deve volere, di esser assimilato dai goym) e dall’altra un “maniacale senso di vittimismo” (per cui il Giudeo ritiene di essere costantemente discriminato e perseguitato dai goym), ebbene accondiscendere a questo gioco vizioso non facilita certo l’induzione dei Giudei al pentirsi della colpa di non aver riconosciuto in Gesù il Cristo-Messia tanto atteso. Anzi, è proprio questa loro psicopatologica instabilità a funzionare paradossalmente da provocatoria, scatenante causa di tutti quegli eccessi antigiudaici occorsi nella storia! In una spirale perversa l’Anticristo, con diabolica mossa duplicemente efficace benché unica, fa sia degli Ebrei gli stessi artefici del concretizzarsi di ciò di cui hanno paura, sia del cattolicismo tiepido la mina esplosiva posta alle fondamenta della Chiesa cristiana.
La determinante e risolutiva importanza del rapporto con gli Ebrei è legata peraltro al rapporto che questi possiedono, a loro volta, con quella che è la visione del mondo laico-progressista d’oggi, incarnata soprattutto dal protestantesimo liberal-massonico e neoconservatoristico statunitense, ma al cui modello si conforma del resto gran parte della visione politico-culturale europea! Non sarà il caso di approfondire qui la questione, esulando dai compiti prefissici. Basterà tuttavia almeno dire che ad uno sguardo più attento è possibile cogliere tanto nel “sionismo”, quanto nel “lobbismo massonico” il perseguimento di un medesimo scopo, tramite i medesimi procedimenti!
Risulta intanto del tutto emblematico che Ebraismo e massoneria, seppur in senso concreto l’uno ed in senso astratto l’altra, perseguano entrambi, quale “eschatìa”[10] del proprio operato, la “costruzione del Tempio”. Né è un caso che, recentemente, si sia giunti pure alla oramai anche pubblica dichiarazione di una comune unità di intenti, nonché di un’affinità “…per cultura esoterica e tradizioni spirituale ed iniziatica”[11], presagendo oltretutto “…collaborazioni e nuove prospettive, perché sono molteplici i punti di contatto tra Massoneria e cultura ebraica”.[12]
Se la massoneria, in senso stretto, è già stata dichiarata più volte “inconciliabile” con la fede cristiana,[13] le esplicite affermazioni di reciproca solidarietà - miranti all’attuazione di laicistici e relativistici intenti di dialogo solidarietà ed uguaglianza tra tutte le fedi umane - non fanno che tirar dentro al medesimo anticristico progetto anche i “fratelli maggiori”. Se ci viene detto che: “…la Libera Muratoria da corporazione muraria diventa un Tempio dell’Umanità, dove uomini diversi per fede, per religione, per credo anche politico trovano un luogo comune per confrontarsi…La Massoneria non ha mai voluto esser chiesa, però ha sempre richiesto ai propri membri di esser credenti…in un essere supremo”,[14] ebbene, spontaneo ci viene allora di pensare che “ab uno disce omnes”,[15] forma antica per dire “dimmi con chi vai…”! S.Massimiliano Kolbe, vittima cattolica dei lager, così si esprimeva: “La massoneria è senza dubbio il capo del serpente infernale. Non dico i massoni, perché sono persone infelici, ma le loro finalità, la loro organizzazione rivolta contro Dio e contro la felicità delle anime”.[16] Chiaro è insomma di quale “essere supremo” si diventi i fedeli credenti, soprassedendo alla centralità di Cristo Gesù!
Come possa coniugarsi a tale laicismo l’ebraismo, è facile comprenderlo nel fatto che, per stessa ammissione dei propri autorevoli rappresentanti, esso non è una religione vera e propria: “…gli ebrei non sono neanche una religione, sono un popolo che ha una sua religione”.[17]
Sempre alcuni ebrei, intellettuali e dissenzienti questa volta, hanno definito tale religione come la cosiddetta “religione dell’olocausto”: l’unico vero elemento aggregante per gli ebrei sparsi in tutto il mondo.[18] In essa appaiono presenti tutti gli “ingredienti” tipici di una vera religione, ordinati secondo le rispettive funzioni e dinamiche: grandi sacerdoti (E.Wiesel, S.Wiesenthal, ecc.), profeti (S.Peres, B.Netanyahu, ecc.), dogmi e comandamenti (“Mai più”, “Sei milioni”, ecc.), rituali (Giorno della Memoria, pellegrinaggi ad Auschwitz), santuari e templi (Yad Vashem, l’ONU). Il tutto però, quale palese contraffazione di una vera religione, esclusivamente relegato ad un livello umano, terreno, contingente, storicistico e, pertanto, antimetafisico! Anche il Messia non è visto necessariamente come individuo: “ Il Dio degli ebrei è il Padre, e il popolo di Israele è il Figlio. Questo Figlio ha il compito di perpetuare il concetto dell’esistenza del Padre e della sua unità a tutti i popoli della terra…Tutti sono figli di Dio. Il Messia è quella persona o quell’epoca che porterà la fraternità universale[19]…L’era Messianica è un’aspirazione e vi si arriverà quando tutti si saranno convinti che gli uomini sono fatti a immagine di Dio”.[20] Traspare in ciò la ristrettezza della visione ebraica la quale riduce alla pura e semplice dimensione umana, niente affatto “trascendente” quindi, il concetto di Messianicità. Dal canto suo, il Cristo va infinitamente oltre quando afferma che “…il mio regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo il mio regno, la mia gente avrebbe combattuto affinché non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma il regno mio non è di quaggiù” (Gv. 18,36).

La pseudo-religione dell’olocausto trova un chiaro parallelo nella “religione dell’11 settembre”, la quale non fa che trasporre, su un piano solo apparentemente diverso, tensioni e paranoie del tutto simili. Ancora una volta, infatti, come già nel caso dell’“olocausto”, dopo aver preso a pretesto un drammatico evento storico gli si impianta sopra una sorta di pseudo-teologia; all’interno della quale una nazione, singoli individui, luoghi, avvenimenti e addirittura oggetti, vengono riconsiderati quali veicoli di significati ierologici ed inseriti in un contesto messianico-escatologico! Ma ciò si configura, peraltro, quale soltanto il più recente esito di un processo autoesaltativo-idolatrico già avviato dagli Stati Uniti d’America sin dalla sua costituzione!
E così: “…l’America stessa è percepita come un progetto divino,…la bandiera è diventata sacra come la Bibbia, il nome della nazione sacro come il nome di Dio, il presidente è diventato un sacerdote,…i suoi soldati sono diventati missionari…Di conseguenza chi fa obiezioni sulla politica estera di G.Bush non è soltanto un critico, è un sacrilego”.[21] Ancora una volta, cioè, l’essere umano sovverte le gerarchie invertendo l’ordine divino con quello terreno, confondendo le opere con la verità, la lettera con lo spirito. Dice Cristo Gesù: “Io vi conosco e so che in voi non c’è l’amore di Dio. Io sono venuto in nome del Padre mio e non mi riceverete: se un altro verrà in proprio nome lo riceverete. Come potete avere la fede voi che ricevete la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene solo da Dio?” (Gv. 5,42-44).
L’ipocrisia anticristica della “religione dell’olocausto” risiede nell’aver “…trasformato l’amore di sé in una convinzione dogmatica in cui il fedele osservante adora sé stesso. In questa religione gli ebrei adorano l’Ebreo. E’ l‘adorazione esclusiva dell’ego-mio, in quanto soggetto di sofferenza infinita che avanza verso la propria autoredenzione…E’ ovvio che Dio resti fuori dal gioco; è stato licenziato perché ha fallito la sua missione storica: non era lì a salvare gli ebrei. Nella nuova religione, l’ebreo diventa il nuovo dio degli ebrei, tutto si gioca sull’ebreo che riscatta sé stesso”.[22]
Da parte sua, in maniera in certo qual modo analoga, l’ipocrisia anticristica della “religione dell’11 settembre” consiste invece nel “…confondere il ruolo di Dio con quello della nazione americana, come sembra fare G.Bush;[23]…identificando gli Stati Uniti col regno di Dio, trasformando l’America in un idolo, la Old Glory (la bandiera americana, N.d.A.) in un totem e la guerra preventiva in una guerra santa contro il male…La religione americana santifica la nazione americana come popolo eletto, santifica le sue istituzioni quasi fossero la realizzazione del regno di Dio, legittima in nome di Dio i suoi comportamenti, anche quando non sono affatto religiosi o sono in netto contrasto con i principi cristiani, e considera i suoi successi e la sua potenza una conferma della speciale protezione divina sulla nazione americana in perenne lotta contro il male nel mondo”.[24]
L’una e l’altra di tali ipocrisie manifestano oltretutto la propria intrinseca equivocità nella comune pretesa di investire le rispettive aberrazioni idolatriche con il “crisma della rettitudine”. E così, da una parte la missione messianica della nazione statunitense, secondo le parole di G.Bush, è quella di utilizzare la propria posizione di forza per “…creare un equilibrio di potenza nel mondo a favore della libertà umana,…costruire un ordine internazionale in cui il progresso e la libertà possano fiorire in molte nazioni,…estendere i benefici della libertà e del progresso alle nazioni che ne sono prive”.[25] Mentre dall’altra parte per l’ebraismo, in maniera affine, “…l’epoca messianica è un’epoca nella quale vi sarà la pace universale, gli uomini si sentiranno fratelli…in una terra rinnovata, sotto la guida diretta di Dio”.[26] Ed il raggiungimento di tale epoca sarà ottenuto proprio grazie al popolo ebraico, in quanto esso “…ha come missione quella di essere di esempio, e attraverso l’esempio svolge la sua missione nel mondo,…perché l’ebraismo è qualcosa di nobile, di puro (sic!), che ha scopi di elevazione morale, mentre l’uomo è quello che è”.[27] Paradossalmente, proprio “…dalla dispersione del popolo ebraico viene la diffusione dell’ideale ebraico in mezzo ai popoli…Se gli ebrei fossero tutti nella stessa terra, facessero come tutti gli stati di questo mondo e guardassero soltanto i fatti propri, verrebbero meno alla loro missione:…è provvidenziale che il popolo ebraico sia disperso ai quattro angoli della terra”.[28]
Ma ci chiediamo: con questo dio-messia che guiderà direttamente la “terra rinnovata” in un, oseremmo dire, “supremo benessere mondiale” posto sotto l’egida moralistica ebraico-statunitense, non è che si stia in realtà alludendo al “principe di questo mondo”? Oltretutto è un sintomo di esagerata e miope sottovalutazione proprio dell’Anticristo ciò che fa pure dire: “…Satana è considerato (dagli ebrei) come uno degli angeli che sono al servizio di Dio. Perché ha questa orribile fama? Soltanto perché il suo compito è quello di mettere in evidenza i peccati, i vizi del popolo. E’ l’angelo accusatore, che fa vedere a Dio i lati peggiori del popolo di Israele”.[29]
Ed ancora: “Non esiste l’inferno, ma esiste la punizione. Come per il giusto c’è un premio che viene concesso, nel lasso di tempo di un anno, così per il reprobo c’è la punizione. Dopo questo anno, questi undici mesi, vanno tutti in Paradiso”.[30]
Contro tali inganni la voce di giustizia del cattolico certo non può e non deve rimanere muta ed inerte, ma deve al contrario levarsi per far sentire misericordiosamente il proprio grido d’allarme verso tutti coloro che, consapevolmente o inconsapevolmente, si fanno o si pongono nelle condizioni di farsi predicati dell’Anticristo!



Il Katechon

Pare che a nulla siano serviti gli strali lanciati dalla profetica vetero-testamentaria contro quella “pace e misericordia” promessa dai falsi profeti (cfr. Ger. 6,14; 8,8-12; 14,13; 23,16. Ez. 13,10-16. Mi. 3,5). E lo stesso S.Paolo analogamente avverte: “Quando diranno «Pace e sicurezza», allora improvvisa li sorprenderà la rovina, come le doglie della donna incinta, e non avranno scampo” (1Ts. 5,3). La necessità di non confondere la pace temporale con quella eterna è già stata difatti stigmatizzata dallo stesso Gesù, allorché ha nettamente distinto la Sua pace da quella del mondo (cfr. Gv. 14,27). Pur essendo ovviamente auspicabile anche il raggiungimento di quest’ultima, tuttavia è necessario che essa vada intesa solamente nella prospettiva del suo ulteriore trascendimento; dal momento che, nella visione cristiana, il fine della storia universale è al di là della storia stessa. Ed è del resto proprio in questo che risiede il mistero pasquale della resurrezione; di modo che non certamente ad una rinnovata Gerusalemme terrena si deve alludere, bensì alla venuta della Gerusalemme celeste!
La pace terrena è pertanto un concetto votato all’instabilità ed all’apparenza esteriore: solamente un “sintomo di progresso”, come dice Solov’ev; ed il progresso è un sintomo della fine della storia, in cui avrà un ruolo fondamentale l’Anticristo! Oltretutto, come scrive sempre Solov’ev, in quanto “…il male esiste realmente e non si esprime soltanto nell’assenza del bene, ma in una diretta opposizione (contro il bene)”,[31] ebbene esso esige allora di essere individuato e combattuto, in quanto è dovere cristiano schierarsi per Cristo contro il Suo oppositore. Altrimenti, se non secondo questo senso, in quale altro modo bisognerebbe interpretare il passo evangelico in cui Cristo afferma di essere venuto a portare in questo mondo la “divisione” e “non la pace” (Mt. 10,34)?
Pare inoltre scontato, quindi, che per una lotta vittoriosa “…occorre avere un punto di appoggio in un altro ordine di esistenza”.[32] E se quest’altro ordine di esistenza è appunto il Cristo risorto, il punto di appoggio è costituito allora dalla Sua verità incarnata nel “Katechon”!
“Voi ben sapete che cosa impedisce la manifestazione (dell’avversario di Cristo), che avverrà a suo tempo. Infatti il mistero dell’iniquità è già qui in azione; soltanto v’è chi impedisce, finché sia tolto di mezzo” (2Ts. 2,6-7). “Katechon”, cioè “colui che impedisce”, è l’insieme coordinato dell’azione della duplice mano di Dio: rispettivamente quella di misericordia e quella di giustizia; che è come dire di “autorità sacerdotale” e di “potere regale”. L’esegesi patristica ha ben visto infatti nella complementarietà attiva tra Papato ed Impero il reale ed unico baluardo “politico-religioso” capace di opporsi al mistero di iniquità.[33]
Tuttavia una parte di esso è già stata “tolta di mezzo”; ed è stato proprio per il decadere dello “ius romano”, simbolo della regalità nella sua funzione sacra,[34] che l’Istituto dell’Imperium si è sovvertito e corrotto nell’“imperialismo”! Ecco quindi la necessità di reintegrare pienamente quell’endiadi di “misericordia e giustizia”; la cui messa in opera, se in senso generale compete individualmente ad ogni cattolico, in senso particolare trova la sua migliore attuazione allorché suddivisa tra il “sacerdote” (la cui opera è pertanto da definirsi di “misericordia giusta”) ed il laico cattolico (la cui opera è da parte sua di “giustizia misericordiosa”). Questa testimonianza laicale di “giustizia misericordiosa”, in attesa e nella prospettiva di un ritorno di una politica veramente “consacrata a Cristo”, non può che realizzarsi se non tramite le armi della “preghiera” e della “cultura”, con uno spirito che potremmo definire “cavalleresco” quanto a contenuti e modalità: spirito di virile fermezza e decisione, il quale sia privo di menzogna, alieno dai compromessi e incapace delle mezze misure, nonché coraggiosamente denunciante le menzogne ed i compromessi altrui… Ma questo è un altro discorso che sarà bene trattare in un’ulteriore occasione!

Cosmo Intini
Ass. Studi Cavallereschi “S.Giuseppe da Leonessa”



[1] La sussistenza del succitato passo del Levitico è spesso indicata impropriamente quale una delle presunte prove della mancanza di originalità di Gesù rispetto alla morale ebraica. Nei migliori dei casi viene invocata altre volte come prova di una equiparabilità tra morale cristiana e morale ebraica. Per quel che ci riguarda, a noi pare che tali obiezioni decadano alla luce appunto di quanto si è appena fatto osservare.
[2] A.Niccocci-ofm, in Ira e misericordia. Linee teologiche dall’Antico al Nuovo Testamento – SBF Corso di aggiornamento biblico teologico: Il cristiano di fronte alla violenza, Gerusalemme 13-16 aprile 2004.
[3] Omelia di sabato 2 febbraio 1985, Monterrico –Perù.
[4] S.Agostino, Lo spirito e la lettera, 32, 56 (PL 44,237).
[5] G.Biffi, Esercizi spirituali al Papa ed alla Curia romana, Città del Vaticano 27/02/07.
[6] Discorso di Giovanni Paolo II in occasione della visita al mausoleo di Yad Vashem, Gerusalemme 23/03/2000.
[7] G.Biffi, Attenti all’Anticristo! L’ammonimento profetico di V.Solov’ev, Piemme, Casale Monferrato 1991.
[8] A.Gentili, L’Anticristo: attualità di una ricerca, Ed. Il Cerchio, Rimini 1995, p.73.
[9] Cfr. Is. 65,2.
[10] Punto più alto, culmine, parte estrema.
[11] Ester Mieli, Comunità ebraica e Gran Loggia d’Italia, in IL TEMPO, Roma 27 /10/2006,
[12] Il rabbino capo Di Segni incontra il Grande Oriente, in Erasmo Notizie Anno V - n.11, Roma 2003
[13] Per un accurato riassunto dei principali documenti della Chiesa di Roma, a riguardo del rapporto tra fede cristiana e massoneria, cfr. A.Morganti (a cura di), Inimica vis: la Chiesa Cattolica contro la massoneria, Ed. Il Cerchio, Rimini 2006.
[14] Il rabbino capo, Erasmo Notizie, cit.
[15] Da uno conosci tutti gli altri.
[16] S.Massimiliano Kolbe, Scritti, ENMI, Roma 1997, p.1839.
[17] E.Toaff con A.Elkann, Il Messia e gli Ebrei, Bompiani, Milano 2002, p.34.
[18] Cfr. G.Atzmon, Purim special – from Esther to AIPAC, in Counterpunch, 3-4 marzo 2007, tradotto in sito web EFFEDIEFFE.com del 06-03-07.
[19] E.Toaff con A.Elkann, op.cit., p.26 seg.
[20] Idem, p.83.
[21] Citato in E.Gentile, La democrazia di Dio: la religione americana nell’era dell’impero e del terrore, Ed. Laterza, Roma-Bari 2006, p.213.
[22] G.Atzmon, op.cit.
[23] E.Gentile, op.cit., p.218.
[24] Idem, p.216.
[25] E.Gentile, op.cit., p.138.
[26] E.Toaff con A.Elkann, op.cit., p.9.
[27] Idem, p.32.
[28] Idem, p.34 seg.
[29] Idem, p.39.
[30] Idem, p.29.
[31] V. Solov’ev, I tre dialoghi ed il Racconto dell’Anticristo, Ed. Marietti, Genova-Milano 2006, p.143.
[32] Idem, dalla Prefazione dell’Autore, p.LXV.
[33] Cfr. pure S.Tommaso d’Aquino, De Anticristo, opuscolo LXVIII.
[34] In latino ius (dall’i.e. *YOUS), ancor prima di costituire un termine giuridico, indica nel concetto romano “lo stato di regolarità, di normalità, richiesto dalle regole rituali” e prescrive quello a cui ci si deve attenere. Lo ius procede dal Fas, al quale è indissolubilmente legato come l’effetto alla causa. Il Fas indica il diritto divino e deriva dalla stessa radice da cui deriva il verbo fari, “parlare”. La radice comune i.e. da cui il termine proviene è *BHA- che indica “la parola vivente in sé stessa” (quindi il Logos). Su tutto ciò cfr. M.Polia, Imperium: origini e funzioni del potere regale nella Roma arcaica, Ed Il Cerchio, Rimini 2001, p.20 segg.